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Autore: Fenio394Sparrow    25/02/2017    1 recensioni
Ci sono tante, troppe persone che si sentono sole a questo mondo. Hanno paura. Elisa è come loro: è spaventata, non sa nemmeno lei perchè. Sa solo che vorrebbe smetterla di sentirsi sola, perchè la solitudine la sta consumando, come se ogni giorno che passa qualcosa di sè sfuma via, perso per sempre. Ma un giorno qualcuno le sorride, e le si scalda il cuore.
La spessa cortina di gelo che si era creata fra lei e il mondo sembrava destinata a cristallizzarsi e a rimanere più solida che mai quando un’improbabile ragazza le sorrise sulle scale.
[...]
La sconosciuta non poteva avere più di quindici anni. Le sorrideva radiosa dall’alto della sua posizione eretta: non era un sorriso sarcastico e irrisorio, di quelli che era solita ricevere nei bagni dalle bullette di turno. Era un sorriso sincero, aperto ed entusiasta, tutto per lei.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Prologo
Il Sole






 
 
Quando aveva quattordici anni, Elisa aveva l’odioso vizio di sedersi esattamente al centro del primo gradino della scala, appena fuori le portefinestre che davano sull’atrio della scuola, con un libro in mano e la merenda comprata al distributore nell’altra. Non era un posto molto comodo, in effetti, visto che rischiava di uccidere ogni persona che passava, ma non era colpa sua se da lì riusciva a vedere tutto ciò che accadeva nel cortile dell’istituto. Aveva iniziato il primo anno delle superiori da tre settimane e già si era fatta un’idea delle leggi non scritte che doveva rispettare, dei posti che conveniva  evitare e delle persone con cui era meglio non scambiare due chiacchiere.

Lo si poteva capire benissimo dal posto in cui si ritrovavano nell’intervallo: la maggior parte della gente scendeva in giardino a godersi il sole e ritrovarsi con gli amici delle altre classi. Elisa credeva che un buon numero di persone che rimaneva all’interno della scuola fosse misantropa - bastava alzare lo sguardo per vedere il modo disgustato con cui osservavano gli studenti di sotto. O forse erano soltanto pigri. Con i quattro piani più il seminterrato di cui era formata la scuola, il Liceo Rita Levi Montalcini era l’edificio più grande che il quartiere avesse mai visto, escludendo il grattacielo degli uffici che Elisa incontrava abitualmente per prendere la metro. Era anche vissuta, la sua scuola, però resisteva imperterrita come una vecchia signora che nonostante i reumatismi si ostina ad andare al mercato da sola: comunicava un senso di decadenza mal celato, percepibile dalla ruggine sulle recinzioni e alcune finestre staccate. Avevano disegnato un murales sulla parte bassa della facciata, ma i colori erano monotoni e poco appariscente: Elisa sapeva della sua esistenza grazie alle foto del sito, altrimenti non ci avrebbe mai fatto caso.

Il vero modo per capire che tipo di persona eri all’interno dell’ambito scolastico era solo uno, coniato da Elisa stessa in quelle tre settimane di osservazione, ossia capire in quale zona del giardino ti trovavi. Una scuola così enorme necessitava di un cortile altrettanto grande. Dall’alto del suo gradino, Elisa ne aveva una visione estremamente accurata, che spaziava dal cancello dell’entrata alle scale che collegavano la palestra al giardino. Una prima rampa di scale scendeva su un ampio spazio di pietra trapezoidale, che aveva altre scale terminanti nel resto del cortile: una composizione mal riuscita di cemento ed erba rada, con alberi folti sulla destra e il campetto da calcio proprio davanti a lei. Elisa trovava profondamente ingiusto che avessero un campo da calcio ma non uno da pallavolo.

L’angolo più remoto ed infido del cortile era perennemente pieno di persone, nessuna delle quali era un tipo raccomandabile. Elisa sapeva che lì non si fumavano solo sigarette. Di solito non aveva problemi con i fumatori, ma i tre quarti di loro erano minorenni, diamine, non potevano farlo. Era illegale. Lo chiamava “Angolo Fumatori” per ovvi motivi. Potevi aspettarti solo un tipo di persone, ovvero coloro che erano accettati dalla società perché fumavano, seguivano la moda anche a costo di sembrare ridicoli e che schiamazzavano senza un apparente motivo. Quell’anno le ragazze erano obbligate a portare leggins super aderenti neri e magliette corte per mettere in evidenza le proprie grazie. I ragazzi potevano indossare magliette stampate e jeans a vita bassissima. Erano unisex le scarpe bianche e i jeans rigorosamente a vita bassa. Prevedeva un’epidemia di febbre, quell’inverno, per via di tutta quella pelle scoperta.

Elisa si limitava a sedersi lì, su quel gradino alto che dominava tutto il giardino, con la sua merenda e il libro che tanto non avrebbe letto.
Osservava le persone si affezionava, in un certo senso.

La ragazza dai capelli verdi l’affascinava terribilmente. Il viso lentigginoso e delicato, di porcellana, la faceva sembrare un elfo. Vestiva sempre di nero e sembrava possedere solo magliette della Jack Daniel’s, ma la cosa più affascinante di lei erano gli occhi alteri e grigio ardesia, duri come pietra. Elisa si chiedeva sempre quale fosse la sua storia, ma sapeva che non gliel’avrebbe mai raccontata. Jack Daniel’s fumava, ma Elisa sospettava che fosse una dipendenza non dovuta al debutto in società.

Invidiava da morire la sua amica dalla pelle di cioccolato. Aveva le labbra un po’ troppo carnose per il nasino all’insù e gli occhi da bambina, ma il suo sorriso ristabiliva l’equilibrio. Sorrideva spesso, al contrario dell’amica.

Frequentavano la periferia dell’Angolo Fumatori, all’ombra dei rami, ed era solo Jack Daniel’s a fumare. Pelle di cioccolato si limitava a conversare con lei e a riaccompagnarla dentro una volta finita la sigaretta. Era un bene, secondo Elisa, perché se fumava solo sigarette non fumava altro.
Avevano le facce da Artistico, forse era per quello che non le vedeva spesso fra i corridoi.
La sua scuola vantava ben tre indirizzi di studio: Liceo Artistico, Linguistico e Scientifico. I pregiudizi le facevano credere che a fumare fossero prevalentemente quelli dell’Artistico, per questo evitava di frequentarli. Un comportamento snob da parte sua? Probabile, ma Elisa non voleva vedere la vicenda com’era veramente: erano gli altri a non voler frequentare lei, non il contrario.
Perciò il primo mese di scuola passò scandito dal ritmo degli intervalli passati ad osservare le persone, lenti ed inesorabili – monotoni, in effetti – fino a che non accadde l’impensabile.

La spessa cortina di gelo che si era creata fra lei e il mondo sembrava destinata a cristallizzarsi e a rimanere più solida che mai quando un’improbabile ragazza le sorrise sulle scale.
«Cosa leggi?»
Strappata dal viaggio che stava intraprendendo, Elisa alzò lo sguardo, infastidita.
La sconosciuta non poteva avere più di quindici anni. Le sorrideva radiosa dall’alto della sua posizione eretta: non era un sorriso sarcastico e irrisorio, di quelli che era solita ricevere nei bagni dalle bullette di turno. Era un sorriso sincero, aperto ed entusiasta, tutto per lei.
 “Ignota” aveva denti bianchi e dritti, un po’ più grandi del normale, ma le labbra e le guance piene distoglievano l’attenzione dai minuscoli quanto insignificanti difetti fisici. Quel sorriso era bello e vivace, non recava alcun segno di malizia; forse fu per quello che si scoprì a ricambiarlo, seppur con timidezza.                    
   «Sto leggendo Lo Hobbit, della Rowling.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia. «Ma la Rowling non è quella che ha scritto Harry Potter?»
Teneva una sigaretta fra l’indice e il medio della mano destra, lasciando un filo di fumo nell’aria. «Vuoi fare un tiro?»
«No, grazie» rispose Elisa. «Comunque hai ragione, la Rowling ha scritto Harry Potter. Lo Hobbit è di Tolkien.» Si strinse nelle spalle. «Volevo vedere se lo sapevi.»

Ignota piegò la testa e sorrise ancora, facendole l’occhiolino, ed Elisa si stupì ancora della sua bellezza: il viso a cuore era perfettamente coerente con la sua figura tutte curve e sorrisi. Non era magra come lei e come la maggior parte delle ragazze che venivano classificate come “belle”. C’era molta carne da stringere sulle cosce e sulla vita si intravedevano dei rotolini di ciccia, ma non era per niente sproporzionata. Sembrava perfettamente a suo agio col proprio corpo.
Fece un tiro. «Come ti chiami?»
«Elisa; tu?»
«Elena Brusenti, primo C Linguistico.» Portò la sigaretta alle labbra ed inspirò con eleganza, anche se strizzò un po’ gli occhi nel farlo. Non doveva fumare da molto.
«Credevo che da dove venissi tu foste tutti dell’Artistico» osservò Elisa.
Elena sedette accanto a lei. «Dal posto da cui vengo io? E quale sarebbe?»
Elisa si mosse a disagio sul gradino. «I bassifondi del Montalcini. O l’angolo fumatori, scegli tu.»
«Angolo Fumatori suona decisamente meglio» commentò  Elena.
«Già.» Si morse il labbro, perché non sapeva cos’altro dire.
«Comunque no, siamo mischiati. Tu cosa vorresti fare da grande?»
Che cosa vuoi fare da grande? Lo aveva chiesto con la stessa vocina infantile di una bimba delle elementari.
«Mi piacerebbe fare l’architetto. Ponti, strade, cose così. Tu?»
«L’artista di strada.»
Elisa alzò un sopracciglio, senza capire se scherzasse. C’era sempre un sorriso sulle labbra di Elena, quell’aria gentile e serena. Non espirava il fumo come una signora, soffiando verso il basso. Metteva la bocca ad “O” come se tentasse di fare anelli di fumo. Non sapeva se fosse colpa del mascara, ma le ciglia esageratamente lunghe le davano un’aria civettuola, mitigata dall’assenza di ombretto.
«L’artista di strada» ripeté Elisa, scettica.
Elena fece le spallucce. «Tipo Bohemien. A me verrebbe il mal di testa con tutti quei numeri.»
«Non capisco perché fai l’Artistico se vuoi fare l’artista di strada.»
La guardò come se fosse stata stupida. «Perchè io, a differenza di alcuni Bohemien, non ho abbastanza denaro per mantenermi da sola per le strade di Roma. Farò la traduttrice per qualche casa editrice – ho fatto la rima! – e poi mi darò alla bella vita!»
«Per strada.»
«Per strada.»
Bé, aveva una certa logica. Ma visto che non sapeva cosa aggingere, si limitò a stiracchiare un sorriso sulle labbra.
La campanella scelse proprio quell’istante per suonare.
Le conversazioni non si spensero subito: le coppiette si salutavano con dolci baci, gli amici si davano pacche sulle spalle e i fidanzati in classe insieme si dirigevano in aula mano per mano.

Elisa osservava tutto ciò con un misto di desiderio e rimpianto, una morsa alla bocca del stomaco. Il rivoletto freddo che le scendeva lungo la schiena la portava a stringere le braccia in un abbraccio in cerca di calore anche in piena estate. Raramente rifletteva su quanto si sentisse sola; quel giorno fu diverso. Essere nello sciame senza davvero farne parte le faceva male come un colpo inferto da una frusta, sibilante e sordo, in attesa del successivo. Ciò che più desiderava, a cui aspirava da sempre – avere degli amici veri, qualcuno disposto a passare del tempo con lei, a non farla sentire così sola – era la cosa più lontana dalla sua portata. Aveva terribilmente paura di uscire da quella bolla che si era creata, quella bolla che odiava ma dalla quale non era in grado di separarsi, perché alla fine, se non aveva nessun altro, poteva contare su sé stessa e quel vuoto che attutiva i colpi, no? Se lo ripeteva da anni, ma quell’abbraccio solitario le serpeggiava dentro, insinuando il dubbio.

Elena sembrava completamente esente da quelle elucubrazioni mentali. Osservava la folla che rientrava fumando, scambiando qualche saluto con qualcuno di passaggio.

«Devo andare» borbottò Elisa alzandosi in piedi.
Elena invece non dava segno di volersi alzare. «Anche io»
Si salutarono con un sorriso – Elisa da dietro le vetrate dell’atrio, Elena tranquillissima sui gradini – e poi il viso della ragazza scomparve dietro la massa di ragazzi.
 
Per arrivare in classe doveva salire tre piani di scale e andare nell’ultima aula del corridoio sinistro. Lungo di esso c’era un’infinta serie di enormi finestre  che illuminavano l’ambiente anche nei giorni più bui. Quelle del suo corridoio davano sul campo da calcetto e il giardino, il lato destro sul cortile interno. Elisa cercò fra la folla la ragazza dal viso a cuore e la trovò poggiata ad un muretto, con un libro fra le mani e la sigaretta in bocca. Una compagna l’avvertì dell’arrivo della professoressa e si affrettò a rientrare.
Solo al termine dell’ora si accorse di aver dimenticato il libro di sotto e che Elena lo stava leggendo.
 
 





Nda:
Soooo, alla fine ce l'ho fatta. Questo prologo marcisce da due anni nella mia mente, dite grazie alla mia Sensie per averlo tirato fuori. A proposito, il capitolo è per te, babe <3
E' un progetto molto impegnativo ed importante per me, spero di ricevere un feedback da parte vostra perchè altrimenti perdo la voglia e penso che sia tutto inutile e mi deprimo e mi consolo con i Pan di Stelle e noi non lo vogliamo, vero?
Io no di certo.
Allora, che ne pensate dell'atmosfera, di Elisa, di Elena, dei loro sogni?
Io posso solo dirvi che mi sono impegnata al massimo per crearle, le amo, loro come tutti i miei personaggi. Chiedo venia per eventuali errori ma non ho potuto far controllare, se aspettavo non pubblicavo più.
Feniah :3
   
 
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