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Autore: Papillon_    26/02/2017    2 recensioni
Kurt incontra Blaine un mattino in un autobus e da quel giorno la sua vita cambia. Non fa altro che pensare a quei suoi occhi ambra e a quei riccioli scuri, mentre affronta gli ultimi anni di liceo tra i problemi di ogni giorno. Poi, nel giorno del suo compleanno, Blaine ha un incidente e anche se non lo conosce, anche se tutto rappresenta un gigantesco interrogativo, Kurt sente il bisogno di andare a trovarlo in ospedale. Ci va ogni giorno, per tutta l'estate.
Tra promesse, sogni condivisi e sorrisi malcelati, la loro amicizia si spinge sempre più in là, ma proprio quando Kurt capisce di essersi innamorato si rende conto che forse non ha mai fatto davvero i conti con la grande incognita che è Blaine Anderson.
(Words: 27k)
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arrivi tu
 
So baby pull me closer in the backseat of your Rover
That I know you can't afford
Bite that tattoo on your shoulder
Pull the sheets right off the corner
Of the mattress that you stole
From your roommate back in Boulder
We ain't ever getting older


Kurt pensa di essersi abituato a una vita tutta uguale. Ne guarda la superficie di tanto in tanto, prima di addormentarsi, ed è piatta. Senza crepe, un continuo susseguirsi di puntini e una routine che francamente, odia.
Odia il fatto che lo smog gli si infili tra i capelli e lo costringa a lavarseli tutte le sere, odia la spiacevole piega della carne in più sui fianchi che li arrotondano in quel modo insopportabile, odia la sua pelle piena di puntini neri. Odia la maschera che deve farsi ogni sera prima di andare a dormire.
Ma più di tutto, più dei programmi senza senso e dei compiti di matematica e del fatto che debba cavarsela con un padre single, odia la strada che deve percorrere con l’autobus ogni mattino per arrivare al suo liceo. Una tediosa linea asfaltata piena di buche. E vogliamo parlare dell’autobus in sé, poi, pieno di gente che non conosce e che non sopporta a prescindere, ragazzi più grandi che sgomitano per riuscire a sedersi e adulti chiaramente in ritardo che gli vengono addosso senza neanche chiedergli scusa perché si sentono superiori.
In realtà, Kurt Hummel non è sicuro al cento per cento che ci sia qualcosa che sopporta nella sua vita. A volte, sogna di essere nato passerotto. Sono liberi di volare e andarsene dove vogliono, liberi da ogni convenzione e costrizione. Liberi di cantare quando ne hanno voglia e di mostrare le loro piume colorate. Kurt si sente in una gabbia, invece, e ha paura che prima o poi questa gabbia diventerà così stretta da farlo soffocare.
Quel quattro ottobre, quando Kurt si sveglia il mattino e fa esattamente le stesse cose che ha fatto per una vita intera, non immagina che tutto stia per cambiare. Fa colazione svogliatamente e si dice di lasciare un bacio sulla guancia di suo padre perché gli vuole bene e ha bisogno di credere che lui sappia che Kurt è forte, anche se molto solo. Si trascina alla fermata portandosi dietro l’ombrello per il tempo uggioso e aspetta, sistemandosi meglio attorno al collo l’enorme sciarpa di cotone grigia e calcia qualcosa di invisibile quando finalmente si infila nel bus facendosi spazio tra i corpi pressati. Alza lo sguardo per un secondo, alla ricerca di uno spazietto libero dove sistemarsi per poter ascoltare la musica e estraniarsi dai rumori del mattino – e lo vede per la prima volta.
Come diceva, una vita tutta uguale. Piccoli puntini che si uniscono nel formare una superficie piatta.
Finchè non arriva quella pennellata di colore vivido che gli entra nella pelle e gli toglie il respiro facendogli contorcere qualcosa di indefinito nello stomaco. Le cuffiette gli rimangono tra le dita, a metà via tra il suo mento e il suo petto. Immobile, mentre l’autobus si mette in marcia e il suo corpo viene leggermente sbilanciato in avanti, e allora Kurt deve trovare necessariamente una maniglia alla quale aggrapparsi. Ma non smette di guardarlo.
Lì, la testa coperta da un berretto che gli ricopre la fronte e schiaccia i suoi boccoli neri che inevitabilmente finiscono per ricadergli sugli occhi – o almeno qualcuno. La pennellata è di un colore che non ha un nome. Qualcosa che non si trova sulle normali tavolozze. Un miscuglio di ambra dorata e verde dei prati. Kurt ci mette qualche secondo buono nel realizzare che no, non ha mai visto quel ragazzo e che sì, lo sta fissando, ma non ce la fa a distogliere lo sguardo. È come un magnete e fa paura. Una forza gravitazionale che gli impedisce anche solo di pensare di guardare qualcos’altro non siano i suoi occhi.
Anche quel mattino il viaggio è uno schifo, le persone gli vengono addosso e rischia di inciampare un paio di volte durante le frenate, ma non gli importa. Per la prima volta c’è qualcosa di diverso.
Per la prima volta la gabbia sembra un pochino meno stretta.
Kurt non riesce a non cercare i suoi occhi. E non riesce nemmeno a far finta che gli dispiaccia il fatto che gli occhi di quello sconosciuto non lo abbiano lasciato neanche per un istante da quando sono partiti.
 
***
 
Quella pennellata di colore – quel giallo intenso, il giallo appena prima dei tramonti o che invade il cielo durante l’alba – non lo lascia andare minimamente. Se lo porta dietro a lezione, e i giorni successivi, lo tira fuori ogni tanto come da bambini si tirano fuori dal cassetto i sogni, quando stai male e vuoi stare meglio.
Kurt non conosce nemmeno il suo nome ed è assurdo, no? Che una persona senza nome ti entri nel sangue con così tanta facilità.
Quella routine un po’ nuova lo colpisce come un fiume in piena, costringendolo a remare a braccia piene per stare dietro a quello che prova. Quel ragazzo lo vede tutti i giorni: sale sempre alla stessa fermata, ha sempre questi boccoli ribelli che gli ricadono sul sopracciglio destro e che si premura di sistemare con le dita, e Kurt si chiede come sarebbe passare le mani tra i suoi capelli.
Somigliano all’inchiostro nero, lo stesso che si espande sulle pagine di diario che sta riempiendo per colpa sua. Perché scrivere è un po’ il suo sfogo, lo aiuta a capire tutti i pensieri che si affollano nella sua mente senza trovare un angolino di spazio.
Kurt si sveglia ogni giorno con il cuore nella gola e il solo, semplice desiderio di rivedere quel ragazzo per imprimersi sulla pelle anche i più piccoli dettagli del suo viso. Si sono sorrisi, un paio di volte. Non ha capito da chi è partito il gesto, chi ha ricambiato. Se il sorriso era un semplice movimento timido o un modo per dire “Lo so, fa schifo condividere questo spazio angusto ogni singolo giorno con un branco di sconosciuti, ma almeno ho una costante”.
Per Kurt, la costante è quel ragazzo.
 
“Sai, uhm – ultimamente ti vedo diverso.”
Kurt adora i macarons alla fragola, ed è così felice che oggi nella vetrina dei dolci ne siano rimasti un paio perché aveva seriamente bisogno di zuccheri e al diavolo i fianchi, per una volta vuole provare a viziarsi, se lo merita. Ne raccoglie uno dal piattino e gli dà un morso soddisfatto, per poi recuperare un po’ di caffè dalla sua tazza. Ama il Lima Bean. È forse l’unico locale nel raggio della scuola che sia in grado di offrire un caffè che sappia effettivamente di – caffè. E quella è la loro routine – lui e Rachel quando possono si fermano lì appena dopo scuola se non hanno troppo da studiare.
“Diverso?”
“Mmh mmh.”, conferma lei annuendo, giocherellando con il suo i-phone 5 ricoperto da una cover del tutto improbabile, riempita interamente di brillantini rosa. “Non lo so, a volte ti assenti e non – ascolti. Sei in un mondo tutto tuo.”
Kurt deglutisce con calma, e non crede sia colpa del macaron. Perché certo, non è del tutto facile confessare alla tua migliore amica che ti potrebbe piacere qualcuno da – dio, sono già passati cinque mesi? No, non se ne parla, anche perché Rachel è Rachel, e non è esattamente la persona più affidabile dell’universo, e Kurt lo ammette con il senno di poi visto che è una delle pochissime persone che ha lasciato entrare nella sua vita. Non sa nemmeno cosa prova. Non sa nemmeno cosa significa, lui, provare qualcosa, perché non è stupido e di ragazzi carini ne ha visti tanti ma quello che incontra sul bus ogni mattino – lui ha qualcosa di diverso. Qualcosa in più, ma come può spiegare cosa prova se lui stesso è il primo a non saperlo –
“Kurt? Ecco, vedi, lo stai facendo di nuovo.”, si lamenta lei con uno sbuffo di risata. Si passa una mano tra i capelli e lascia finalmente scivolare lontano dalla sua mano il proprio cellulare. “Lo sai che puoi dirmi tutto. E c’è chiaramente qualcosa che non mi stai dicendo.”
Kurt si lecca appena le labbra per recuperare un po’ di caffè residuo, e poi – opta per dire una mezza verità. “C’è solo…qualcuno di nuovo nella mia vita. Non so nemmeno il suo nome, Rach –”, la interrompe, nel vedere il viso di lei illuminarsi inesorabilmente. “E’ solo qualcuno che mi capita di incontrare tutti i giorni e…non lo so. Davvero, non lo so.”
“E’ carino?”
A Kurt balena nella mente per un attimo lo sguardo di quel ragazzo, le sue mani che corrono tra i capelli per cercare disperatamente di schiacciarli sotto il capellino di lana senza successo, quando ancora pioveva. O quel sorriso sghembo, quel sorriso che sapeva di mattino e sveglia troppo presto e lenzuola sfatte.
“Nessuno…”, mormora appena, lasciandosi scappare un sorriso. Distoglie lo sguardo dalla sua amica. “Nessuno è come lui. Non ho – non ho mai visto nessuno come lui.”
C’è un silenzio confortante, dopo, e Kurt si bea di quei momenti nel tentativo di trovare coraggio e continuare a parlare.
“Sai, forse – forse devo solo cercare di capire – tutti questi sentimenti.”
Rachel aggrotta la fronte per un attimo, la punta delle labbra che si arriccia verso l’alto. “Per esperienza personale.”, mormora appena, scrollando le spalle. “So che quando stai cercando di capire i tuoi sentimenti, è già troppo tardi.”
È il turno di Kurt adesso, quello di essere perplesso. “Troppo tardi?”
Rachel annuisce di colpo, mordendosi le labbra. “Troppo tardi, sì Kurt: vuol dire che li stai già provando.”
 
***
 
Ciao, Kurt. Oggi voglio chiederti scusa per non averti mandato abbastanza messaggi della Buonanotte.
I messaggi della Buonanotte sono importanti, sai? Ho letto da qualche parte che tutti noi, almeno una volta nella vita, dovremmo mandare un messaggio della Buonanotte. Mandare il messaggio della Buonanotte a qualcuno vuol dire ammettergli che quella notte lo terrai con te. Che vuoi che sia il tuo ultimo pensiero, quello che ti culla e che ti tiene al sicuro.
È come dire “Ecco, scelgo di portarmi nel cuore proprio te” e dirglielo deliberatamente, senza riserve.
Quindi buonanotte, Kurt.
Buonanotte a te che hai sempre combattuto e non hai mai avuto paura di mostrare il tuo cuore.

 
***
 
Sono passati sei mesi da quando Kurt ha visto quel ragazzo quella prima volta sull’autobus, e può dire con certezza che ad oggi non sia successo niente che abbia spezzato quella piacevole – seppur tutta uguale, routine. O forse gli piace mentire a sé stesso, perché qualcosa è cambiato, anche se non lo vuole ammettere.
Gli capita di tanto in tanto di seguirlo. Non è – qualcosa di assurdamente ridicolo, ma più che altro un esperimento: vuole vedere dove va, vuole vedere se in qualche modo ha riposto il proprio cuore in un posto sicuro. Al ritorno, spesso, si ritrova a scendere nella fermata di quel ragazzo, a qualche isolato da dove abita lui, e senza farsi vedere lo segue in giro per le strade di Lima, attraverso i parchi e i viali alberati. È arrivato marzo, uno dei mesi che Kurt preferisce: il sole scalda la pelle e finalmente il gelo invernale è un fioco ricordo lontano.
Quel ragazzo ha una sorta di – punto di ritrovo, a Kurt piace chiamarlo così. Sta all’angolo della panetteria di una delle strade che porta al centro e il ponticello che invece porta verso la periferia. Gli piace lì. Quel ragazzo ha qualche amico, e Kurt conosce perfettamente il suo pomeriggio tipo: si incontrano per fumare qualche sigaretta e chiacchierare, c’è qualche ragazzo più grande che porta le moto e gli è capitato più volte di vedere scivolare qualche bottiglia di birra di mano in mano. Kurt lo sa che quello non è ciò che si può definire come l’ambiente migliore per qualcuno della loro età – sono al terzo anno di liceo e va bene, dovrebbero sperimentare, ma in qualche modo vuole quel ragazzo lontano dai guai.
Ed è certo, più di ogni altra cosa, che quel ragazzo dai guai ci sia violentemente attratto.
Ne ha la conferma un giorno in cui arriva al ponte e lo vede mentre discute animatamente con un agente di polizia; dalla pena e il foglietto che quest’ultimo tiene in mano, Kurt non ci mette molto a dedurre che il gruppetto di amici del ragazzo dell’autobus abbiano preso una multa. Gli viene da sorridere lì, ben nascosto dietro il tronco robusto di un albero, mentre si chiede se qualcuno sarà mai in grado di prendersi cura di lui.
È proprio appena prima di andarsene che succede l’impensabile; le voci dei ragazzi e degli agenti non sono altro che sussurri strascicati, ma Kurt si ritrova a sentire qualcosa in modo assolutamente chiaro fin troppo stranamente. Un nome.
“Blaine.”
Kurt si lecca appena le labbra.
L’agente ripete quel nome ad alta voce per assicurarsi che sia corretto, e Kurt non può più avere dubbi: il ragazzo dell’autobus si chiama Blaine. Un sorriso incredulo fa capolino sulle sue labbra, mentre con il cuore in gola corre verso casa.
 
Sta di fatto che di Lima, ragazzo riccioluto dagli occhi ambrati e quegli atteggiamenti che ormai Kurt ha la presunzione di sapere a memoria – non trova nessun Blaine. Cerca in lungo e il largo sui social, spulciando anche tra qualche amicizia in comune e attendendo con il cuore in gola che spunti fuori la sua faccia da un momento all’altro, ma non accade.
Può essere che non abbia nessun account, cosa rara ma effettivamente possibile.
Kurt non può credere di essere così poco fortunato; sta di fatto che al termine di quella giornata si immerge nel suo letto con la mente ingombra di pensieri, ma più di tutto, gli viene da sorridere. Sorridere perché almeno può aggrapparsi a qualcosa, può aggrapparsi a quel Blaine appena sussurrato, e in un qualche modo va bene così.
 
***
 
Ciao, Kurt.
Oggi ti chiedo scusa per non essere rimasto più tempo con te sotto un cielo ricoperto di stelle. Avrei dovuto chiederti di sceglierne una, la più bella tra tutte, di ricordarla anche nelle notti dopo, perché quella sarebbe stata la tua stella, il tuo punto di riferimento.
Non meriti una singola stella, meriti un intero cielo stellato, meriti il sole che sorge ogni mattino e le nuvole che si preparano cariche di pioggia.
Scusami per non essere stato in grado di amarti meglio, perché chi non ama nel modo giusto ferisce ed è quello che purtroppo ho continuato a fare io.
Invidio chiunque un giorno ti terrà tra le braccia e sarà in grado di amarti esattamente come meriti.

 
***
 
I mesi si accumulano l’uno dietro l’altro, e presto la scuola finisce e arriva l’estate, e Kurt rimane con nient’altro in mano che un piccolo, nome sussurrato.  Va a numerose feste la sera, ma non perché ne abbia particolarmente voglia: solo perché spera che in mezzo a quella marmaglia di gente ci sia anche – Blaine. Blaine che non vede più sull’autobus da quando è finita la scuola.
Ha più di un’occasione per lasciarselo alle spalle. Alle feste di Quinn, una loro compagnia di classe molto popolare, ci va almeno la metà della scuola e ci sono tantissimi ragazzi carini. Ce ne sono diversi che provengono anche dalle scuole di Westerville e dei dintorni, e Kurt vede dai sorrisi di alcuni di loro che potrebbe concedersi una chance. Ma la sua mente continua ad andare lì. A quella pennellata di colore vivido, e non c’è niente che possa fare per evitarlo.
Una sera Rachel sta sorseggiando il suo cocktail mentre osserva Finn da lontano, che gioca in piscina con alcune ragazze, compresa Quinn. Un po’ la capisce, si rivede in lei, mentre osserva un ragazzo che di rimando non la potrà mai notare. Infiltra una mano tra le sue, concedendole un sorriso caldo.
“Sai, Rach, penso che tu avessi ragione.”, le confessa a bassa voce, e Kurt pensa a quanto sia ridicola quella situazione nel complesso, visto che deve urlare sopra la musica per farsi sentire. “Forse è troppo tardi, forse tutti questi sentimenti li stiamo già provando.”
 
***
 
Succede qualcosa di assolutamente in aspettato quell’estate, però: suo padre conosce una donna che porta a cena fuori una volta a settimana, finchè una notte di Luglio Burt entra nella camera del figlio sgattaiolando come un ladro e si siede ai piedi del letto, un luccichio piuttosto sospetto negli occhi. È fortunato che è estate, e Kurt sta recuperando la lettura di qualche libro che aveva lasciato da parte.
Suo padre lo guarda negli occhi, semplice. E gli dice di essersi innamorato.
Kurt si sente in dovere di posare il libro.
Parlano fino alle prime luci del mattino, e dopo quella conversazione di una notte, Kurt sa per certo che suo padre chiederà a questa Carole di convivere. Non sa se ama la cosa, ma gli piace il fatto che suo padre abbia finalmente trovato qualcuno, e spera nel profondo del suo cuore che questa donna sia quella giusta per lui.
 
***
 
Buffo, no, che questa famigerata Carole sia anche la madre di Finn Hudson. Scoppia il putiferio quando si viene a sapere che durante quell’estate i due andranno a convivere insieme – Finn a cena ha sempre il broncio perché sostiene che molti dei suoi amici ora pensano che sia gay solo perché abita insieme a Kurt Hummel. Kurt francamente non era a conoscenza del fatto che l’omosessualità fosse trasmissibile con la convivenza. Ma cosa vuole farci, ha a che fare con ragazzi che hanno il cervello di un criceto.
Il primo mese Kurt lo odia. Odia il fatto che Carole prenda un sacco di spazio nella loro nuova casa, odia il fatto che riempia gli angoli con le sue foto, quando invece nella casa vecchia c’erano quelle della sua mamma. Odia il fatto che sia una cuoca eccellente e una grande lavoratrice, perché tutto questo la rende praticamente perfetta. Odia il fatto che Finn lo tratti male, trasformando il suo risentimento in frecciatine che lo fanno piangere per nottate intere. Odia suo padre, anche, a un certo punto, perché ha portato a vivere con lui un’altra donna che non è sua madre, e non è facile. Nessuno dovrebbe convivere con questo tipo di dolore.
Però una sera – è Agosto, fuori c’è un caldo soffocante e Burt ha provato a fare la carne ai ferri, ed è stato così carino a comprare delle lanterne che a fine serata hanno tutti lanciato verso il cielo. Ed ecco, a un certo punto suo padre prende Finn per una spalla e lo trascina in casa con la scusa di fargli vedere una cosa che ha che fare con le macchine e Kurt si incupisce, ha quasi voglia di scoppiare a piangere, quando una mano gentile si posa sulla sua spalla.
“Non siamo qui per sostituire nessuno, tesoro.”, gli dice Carole dolcemente, sorridendogli dal profondo del cuore. “Non sarò mai Elizabeth, e non voglio esserlo. Era una donna meravigliosa, e voglio che tu sappia che tuo padre non l’ha dimenticata. Non la dimenticherà mai, la porterà nel suo cuore per sempre.”
Le labbra di Kurt si accartocciano in un sorriso.
“Lui –”, mormora Carole, un po’ mamma e un po’ imbarazzata e con la voce tenera di chi sembra che ti sta raccontando una fiaba. “Ti vuole così tanto bene, non ne hai idea.”
E forse è quella la prima crepa. La prima volta che Kurt lascia entrare Carole nella sua vita, la prima volta che cede e che capisce che si è comportato come un bambino fino a quel momento. Suo padre è finalmente felice, quella potrebbe effettivamente essere la loro nuova vita, e Kurt non la vuole rovinare con il suo malumore. Forse anche un po’ per questo solleva la mano e fa scontrare le dita contro quelle di Carole; lei gliele stringe in modo caotico, e c’è una lacrima incastrata nei suoi occhi.
“Grazie.”, sussurra Kurt, e poi, inspiegabilmente, l’abbraccia.
 
Quando a inizio settembre Carole chiede a Finn di accompagnare anche Kurt a scuola con lui visto che ha già la patente, Kurt si rifiuta in modo categorico: rifarà l’abbonamento dell’autobus. In un primo momento Carole sembra non capire ma cede, e Finn non osa opporsi: naturalmente preferisce farsi vedere da solo quando arriva al cortile della scuola.
L’estate gli è scivolata tra le dita e Kurt stenta a crederci che sia passato così tanto tempo dall’ultima volta che ha visto quel ragazzo. C’è una piacevole giornata di sole il primo giorno di scuola, e quando Kurt sale sull’autobus si sente – felice. Speranzoso. Forse troppe cose tutte insieme.
Si fermano alle solite fermate, ed è alla quarta dopo quella in cui sale Kurt che finalmente lo rivede, Blaine. Uguale a come lo ricordava: sempre bellissimo, forse con la pelle più abbronzata e i ricci leggermente più lunghi sulla parte davanti. A Kurt manca il fiato.
Accenna un sorriso nella sua direzione, anche se sa perfettamente che non lo può vedere.
Eccoti qui, pensa.
Eccoti qui, mi sembra di starti aspettando da una vita.
 
***
 
Avrei voluto dedicarti più canzoni d’amore.
Impararle a memoria per cantarle sotto la tua finestra, o addirittura scriverne, così sarebbero state solo mie e tue.
Le canzoni d’amore sono così assurdamente belle e complicate. Così vuote e melanconiche finchè non cominci a capirne il vero significato, quando finalmente ti innamori. Allora tutte quelle righe assumono un significato anche per te. Non sono solo canzoni, ma diventano vita.
Kurt, tu sei la ragione per cui ho cominciato a dare un significato alle canzoni d’amore. E questo è tanto.
Questo è tutto.

 
***
 
Kurt ha perso il conto di quante volte Rachel gli abbia chiesto di poter venire a trovarlo semplicemente perché adesso condivide casa con Finn. È noiosa. Dolce, per carità, perché Kurt la capisce, probabilmente si comporterebbe anche peggio. Ma non può costantemente stare attaccato al telefono perché la sua migliore amica vorrebbe passare metà della giornata a casa sua, solo per saltare dalla sedia ogni volta che sente la voce ovattata di Finn.
Stanno provando a fare i compiti in cucina, quel pomeriggio, quando Finn si affaccia alla porta.
“Oh. Hai visto la mamma?”
“Ciao Finn.”
Finn sembra accorgersi solo in quel momento che Kurt non è solo. “Oh. Ehy Rachel.”
Kurt alza gli occhi al cielo nel vedere in che modo osceno Rachel stia sbattendo le palpebre in direzione di Finn. “Uhm…è uscita qualche minuto fa. Ha detto che passa a prenderti lei dopo allenamento.”
“Perfetto. Allora a dopo.”
“Ciao, Finn!”, esclama Rachel, leccandosi appena le labbra. “Buon allenamento. Falli secchi.”
Kurt vorrebbe come minimo sparire sotto il tavolo nel vedere la faccia di Finn aggrottarsi. “C-certo. Come no. A presto, Rachel.”
Pochi secondi dopo sentono la porta principale chiudersi, e Rachel scatta in piedi dalla sedia per andare verso la finestra, dove scosta la tenda poter osservare Finn un altro po’. Scoppia in un gridolino a dir poco imbarazzante. “Mi ha salutata, Kurt. Due volte!”
Kurt alza un sopracciglio verso il nulla. “Sai com’è, si chiama educazione.”
“E se gli lasciassi un biglietto in camera sua? Sarebbe così romantico! Nulla di che, solo una poesia, una frase…”
“Rachel, questo implicherebbe entrare in camera sua.”
Lei incrocia le braccia lentamente mentre si risiede al tavolo di legno. “E allora? Non potrebbe mai capire che sono stata io. Sarà tutto così misterioso ed eccitante!”
Kurt cerca di calmare i nervi mordicchiandosi appena il labbro inferiore. “Tesoro. Finn ha lasciato la sua stanza e ti ha vista qui, e quando tornerà questa sera troverà un biglietto sotto il cuscino. E davvero secondo te non ci arriverà al fatto che glielo hai lasciato tu.”
“Beh, ci sei anche tu in questa stanza.”
“Sì ma io non lascio bigliettini compromettenti a Finn Hudson, grazie tante!”
“Ma perché devi sempre sminuire ogni cosa che mi viene in mente? È romantico!”
“E’ patetico.”, la schernisce Kurt, lasciando scivolare la matita sopra il proprio libro di scienze. “E’ patetico che tu ogni giorno mi chiedi di fare i compiti insieme solo perché vuoi vederlo, ed è patetico perché alla fine finisci per salutarlo e basta.”
Gli occhi di Rachel si riempiono appena di lacrime. “Sarei io quella patetica?”, chiede con un filo di voce, cominciando a raccattare le proprie cose alla bell’e meglio per sistemarle nella sua borsa di pelle. “E tu, allora, che guardi da lontano questo ragazzo da quasi un anno e non hai nemmeno mai provato a parlargli? Tu che cosa sei, Kurt?”
Qualcosa di estremamente fragile si spezza al livello del cuore di Kurt. Ingoia l’amaro boccone, cercando di non scoppiare a piangere come un bambino di fronte alla sua migliore amica, ma esattamente in cosa ha sbagliato? Ha ragione, anche lui sta inseguendo da lontano qualcuno da tantissimo tempo, e non ha avuto nemmeno mai il coraggio di fargli un saluto, a differenza della sua migliore amica che si è impegnata molto di più.
Si lecca appena le labbra. “Hai – ragione.”, soffia appena in tempo, prima che Rachel lasci la stanza. Cerca i suoi occhi per un attimo. “Non – non andare via, va bene? Faccio una cioccolata calda. Poi se vuoi pensiamo cosa puoi scriverci su questo biglietto.”
Rachel si asciuga bruscamente le lacrime e lascia ricadere la borsa di pelle vicino alla propria sedia. Annuisce pianissimo, e Kurt lo prende come un segno affermativo per cominciare a preparare la cioccolata. Accende i fornelli mentre le parole di Rachel gli rimbombano nelle orecchie, e senza che ci sia il bisogno di dire niente, è lei che viene da lui ad abbracciarlo da dietro, poco dopo.
Kurt spera che non noti che sta piangendo.
 
Rachel gli chiede scusa, ma in realtà Kurt sente che è lui quello che dovrebbe scusarsi. Perché è lui il codardo, quello che non riesce a farsi avanti e combattere per ottenere anche solo una manciata di parole per quel ragazzo sull’autobus. E così lascia scorrere i mesi tutti uguali sulla sua pelle.
Finchè un giorno succede qualcosa di diverso.
Fa tutto come ha sempre fatto, non cambia nulla. Al suono della campanella che segna la fine delle lezioni Kurt segue la marmaglia di ragazzi fuori da scuola e si dirige alla solita fermata e aspetta che arrivi il suo autobus. Lo vede, i riccioli parzialmente sistemati dietro le orecchie, e le dita della mano destra strette al cellulare. È un secondo. Blaine alza la testa e saluta qualcuno alla sua sinistra, un ragazzo con una bizzarra cresta di capelli che porta il nome di Noah Puckerman – per gli amici, Puck.
Nonché migliore amico di Finn.
 
Lo raggiunge il mattino dopo, a scuola, proprio mentre sta parlando con Finn di fronte agli armadietti, poco prima che inizino le lezioni. Deglutisce un paio di volte prima di trovare il coraggio di aprire bocca.
“Ehy, Puck. Ti posso fare una domanda?”
Puck chiude l’armadietto e lo guarda come se fosse appena spuntato fuori da un enorme cappello da circo. “Scusa, fatina, ma noi due non ci parliamo. Soprattutto non in pubblico.”
“Puck.”, lo ammonisce Finn borbottando, guardandosi attorno per cercare di capire se qualcun altro li sta ascoltando. “Ne abbiamo parlato. Non lo trattare così.”
“Sennò cosa, il tuo nuovo paparino adottivo ti fa la predica, è questo?”
Finn alza gli occhi al cielo. “Lo sai che mi ha chiesto di tenerlo d’occhio. E lo ha chiesto anche a te, idiota. Burt è uno apposto.”
Kurt incrocia le braccia al petto con fare eloquente. “Pronto? Io sarei ancora qui.”
Puck finisce per sbuffare e scrollare appena le braccia. “Okay, lo faccio solo perché Burt è un tipo apposto.”, borbotta, voltandosi verso Kurt. “Che vuoi sapere?”
A Kurt mancano le parole, e si dà dell’idiota almeno un milione di volte. “Niente. Uhm. Solo – ho bisogno di un nome. Ho visto che hai salutato un ragazzo, ieri…all’uscita da scuola. Capelli neri. Occhi verdi…”
Puck aggrotta la fronte come se non avesse la più piccola e remota idea di quello di cui Kurt sta parlando, quando improvvisamente si batte il palmo di una mano sulla fronte. “Ma certo! Anderson. Stai parlando di Blaine Anderson.”
Kurt sorride appena, il cuore che gli si riempie di qualcosa che è senza nome. Sa di non avere nemmeno bisogno di appuntarsi il suo nome, perché se lo ricorderà, non ha dubbi su questo.
“Perché ti interessa sapere il nome di Blaine Anderson?”, chiede Finn a bruciapelo.
Kurt si schiarisce la voce, sfiorandosi con le dita il polso sinistro. “Nulla di importante.”
“Ti piace.”, borbotta Puck, ma non lo dice con quel tono disgustato che Kurt si sarebbe aspettato da lui, ma sembra quasi incuriosito dalla cosa. “Beh, ti va anche bene, Anderson gioca per la tua squadra.”
Kurt ha davvero voglia di gridare per la sua fortuna, ma la verità è che qualcosa, dentro di lui, in qualche modo glielo aveva già fatto capire.
“Non incoraggiarlo.”, lo ammonisce Finn, dandogli una pacca sull’avambraccio. “Lo sai che razza di tipo è Blaine Anderson.”
Gli occhi di Kurt scattano immediatamente in quelli del fratello, mentre si lecca le labbra. “Di cosa stai parlando?”
“Cosa, non lo sai?”, chiede Puck in mormorio, incrociando le braccia davanti al petto. “Anderson non ha…beh, diciamo che non fa parte delle migliori delle compagnie, ecco tutto. Frequentavo lui e i suoi amici quando mi sono messo nei guai e ho fatto alcuni mesi in riformatorio.”
Kurt sente qualcosa bruciargli nel petto, e ha la forte sensazione che si tratti di rabbia, più di tutto. Forse perché un po’ se lo aspettava. Forse perché in tutti quei mesi si è semplicemente limitato a guardare e non ha fatto niente per intervenire.
“E’ un drogato, Puck, non addolcirgli la pillola.”
“Secondo me si lascia solo trascinare, ma non fa parte di quelli cattivi. Fidati, fatina, io li ho visti quelli cattivi, e Anderson non è uno di quelli.”
“Stagli alla larga comunque, Kurt.”, mormora Finn guardandolo negli occhi, ed è buffo che sia la prima volta in così tanto tempo che Kurt ha la sensazione che qualcuno stia davvero tentando di proteggerlo. Ma Blaine – lui non è così. Kurt non può crederci che sia così. Aspetta che Finn e Puck se ne vadano, e appena hanno voltato l’angolo raccoglie il telefono in mano e digita sulla barra di ricerca il suo nome – Blaine Anderson. Lo trova in pochissimo tempo, e senza pensarci due volte gli manda una richiesta d’amicizia.
 
Non appena riaccende il telefono durante la pausa pranzo una minuscola, insignificante notifica cattura la sua attenzione: Blaine gli ha accettato la richiesta d’amicizia. Qualcosa di spropositamente enorme gli si muove al livello dello stomaco: non capisce nemmeno cosa sta facendo mentre apre la chat e decide di scrivergli. Lo deve fare per Rachel, lo deve fare in nome delle cose bruttissime che le ha detto, ma lo deve fare soprattutto per sé stesso.
 
Chat con: Blaine Anderson
 

Ciao! Grazie di aver accettato la mia richiesta. So che piove
dal nulla, ma è da un po’ che ti ho notato. Prendiamo lo
stesso autobus sia all’andata che al ritorno. Ieri ti ho visto
salutare un amico e ho pensato di prendere al volo l’
occasione…e so anche che molto probabilmente mi sto
rendendo ridicolo.
 
Non scusarti! Mi ha fatto piacere ricevere la tua richiesta.
Hai fatto bene ;)
 
Okay, Kurt si rende conto che poteva andare meglio, ma a conti fatti sarebbe potuta andare anche molto peggio. Deglutisce con il cuore in gola.
 
Non credo che frequentiamo la stessa scuola…io
vado al McKinley. Tu?
 
 
Al St John. Siamo a pochi passi, in realtà, è
per questo che prendiamo lo stesso autobus. Mi
auguro che il cibo da voi sia meglio del nostro.
Rischio di prendermi ogni settimana una nuova
Intossicazione alimentare.
 
 
Credo che potremo fare a gara su chi mangia peggio,
ma fidati, vincerei io.
 
 
Non ci scommetterei! ;)
 
 
Beh, uhm…che fai di bello oltre la scuola? Gruppi extrascolastici?
 
 
Non frequento nessun gruppo extrascolastico…li trovo noiosi.
 
 
Oh. Beh, posso capirti. Io frequento il glee…non so se avete
qualcosa che ci assomiglia al vostro liceo. Canto coreografato.
È divertente, dovresti provare! Nessun tutù o cose del genere,
promesso.
 
 
Mi hai appena fatto sorridere. :D Però no, non ho intenzione di
cominciare alcuna attività. Semmai cambiassi idea mi ricorderò
di questo glee ;)
 
 
Facciamo il gioco delle tre domande a bruciapelo?
 
 
Che razza di gioco sarebbe? XD
 
 
Io ti faccio tre domande molto semplici a cui tu
rispondi con massimo una o due parole. Credi di
poterci riuscire?
 
 
Puoi giurarci.
 
 
Bene. Colore preferito tra blu ed arancione?
 
 
E io che pensavo mi chiedessi qualcosa di sconcio…
Blu.
 
 
Ti piacerebbe! Cibo preferito?
 
 
Mi prendi in giro? Pizza tutta la vita!
 
 
Uhm, allora andiamo d’accordo! Caffè o thè?
 
 
Caffè, caffè, caffè. Anche mille al giorno, ti prego.
 
 
Hai risposto con tutte le risposte che avrei dato io, è
positivo…abbiamo un sacco di cose
in comune!
 
 
Sembrerebbe! ;)
 
 
Uhm…lo so che non sappiamo molto l’uno dell’altro,
ma credo che già sapere il fatto che ti piaccia il caffè così tanto
valga qualcosa. Sei mai stato al Lima Bean? Non so, qualche volta
dopo scuola potremmo bere qualcosa insieme se ti va. Lì fanno
dei caffè per cui vale davvero la pena andarci J
 
Kurt non riceve risposta per quattro ore. Verso sera, finito di beccolare l’insalata che si è preparato controvoglia, torna in camera sua e si butta sul letto con la consapevolezza di aver fatto la figura di merda più grande della storia. Ha chiesto al ragazzo che gli piace da più di un anno di uscire, e non ha nemmeno ricevuto una misera risposta.
È un bip sospetto di segnale di notifica che lo distrae, poco prima che si prepari al suo solito rituale e vada a dormire.
 
Scusami, ero fuori. Davvero, fare quel giochino con te
e averti parlato mi ha fatto tanto piacere. Dico sul serio,
e mi piacerebbe tanto rifarlo. Solo che sto già uscendo con qualcuno,
quindi non me la sento di prendere altri impegni. Mi dispiace.
Ci sentiamo presto!
 
Qualcosa di inesorabile si spezza definitivamente nello stomaco di Kurt. Sa che non dovrebbe fare così male – non conosce quel ragazzo, è inutile che menta a sé stesso, non lo conosce, sa di lui solo quello che vuole vedere, è solo che per un po’, anche solo per un po’, ci aveva sperato.
Si getta sotto le coperte: quella sera non ha alcuna intenzione di sprecare tempo con il suo rituale di bellezza. Subito dopo spegne il telefono e si dimentica persino di metterlo in carica: non ha alcuna intenzione di rispondergli. Non potrebbe farcela.
 
***
 
Kurt ha quella sensazione strana – quella sensazione di essere in una bolla, con la mente vuota e piena allo stesso tempo, che ti prende quando stai sognando. Probabilmente lo sta facendo. Sbatte le palpebre velocemente una, due, tre volte di fila – ha freddo e si sente pesante, come se avesse un peso troppo grande sulle spalle. Osserva per un attimo ciò che lo circonda: ha i piedi nudi che sfiorano l’asfalto sotto di lui e, appena più in là, la strada che sta percorrendo porta al ponte della città. Conosce ormai quel luogo a memoria per quante volte c’è stato prima, ma non capisce il motivo di quel sogno. Si muove a fatica in avanti, come se una forza maggiore gli impedisse di muoversi. Luci e forme prendono vita accanto a lui mentre si muove nel sogno senza meta, finchè si rende conto che c’è qualcosa che non va.
A pochi passi da lui c’è una macchina distrutta, vetri sparsi sull’asfalto che creano una scia luminosa senza forma. Cerca di raggiungerla, finchè inciampa su qualcosa di solido. Un corpo.
Non vede molto, e ha la mente troppo annebbiata troppo pesante troppo vuota per capire – così si avvicina alla cieca e lo sfiora con le dita ed ha così dannatamente freddo, e non capisce. Ha un paio di jeans neri sgualciti, una felpa scura coperta da un giubbino di pelle, e poi – i riccioli. Sono la prima cosa che colpisce Kurt – i riccioli scuri ricoperti di sangue. Kurt avvicina la mano a quel volto e non riesce – non riesce a capire, è come bloccato, è come se ci fosse un enorme peso che blocca la sua gola e li impedisce di respirare, finchè finalmente riesce a vedere attraverso i capelli, e ci sono gli occhi di Blaine.
Le sue dita sono improvvisamente sporche di sangue attorno al suo viso e Kurt le ritrae come se scottassero. Ha la sensazione di aver cominciato a gridare, ma è quel tipo di urlo muto che si fa nei sogni, che sfonda le pareti della mente, ma non quelle della gola. Si lascia andare e piange, piange accanto a quel corpo senza vita, e poi –
Si sveglia, finalmente. Si aggrappa disperatamente alle coperte sotto di lui mettendosi a sedere con il fiato corto, la gola e la fronte sudata per aver combattuto fino a quel momento con la propria mente per svegliarsi. Ha l’impulso di prendere il telefono, anche se sa che non può di certo scrivergli nel cuore della notte per chiedergli se stia bene, lo sa questo.
Solo – sembrava tutto così dannatamente reale. E sono due settimane che fa lo stesso, identico sogno ogni notte, con qualche particolare che si perde e qualche particolare che si aggiunge, ma il risultato è sempre lo stesso: Blaine che è ricoperto di sangue in mezzo a una strada asfaltata.
Gli viene da piangere e non capisce perché. Non gli ha più scritto da quel giorno in cui Blaine gli ha detto di essere già impegnato, quindi non capisce perché deve sognarlo. Non capisce perché deve sognarlo così –in quel modo.
Kurt afferra i lembi della coperta e vi si immerge sotto, sforzandosi di chiudere gli occhi e di non pensare alle proprie dita sporche di sangue. Il cuore gli batte così forte che ha l’impressione che gli esca dal petto, ma si ripete all’infinito che Blaine sta bene. Blaine deve stare bene.
E quelli sono solo stupidi incubi di una mente stanca che gli gioca brutti scherzi.
 
Dopo aver parlato con Blaine in chat, Kurt a volte ha cercato di evitare l’imbarazzo salendo in macchina con Finn al mattino per andare a scuola. Ha sopportato fin troppi viaggi in cui doveva fingere di non vedere Blaine – e sentiva i suoi occhi addosso, li sentiva e basta, ma non aveva il coraggio di ricambiare lo sguardo e salutare. E in quei pochi momenti in cui decideva di farlo – Blaine stava casualmente guardando fuori dalla finestra, o sbirciando il telefono.
Ha pensato sia un codardo, fin troppe volte. Ma forse lì dentro codardi sono in due, e Kurt non ha il diritto di giudicarlo.
Ma quello – quello è il giorno del compleanno di Blaine. Kurt lo sa per la minuscola notifica che aleggia da qualche giorno nel menù a tendina del proprio telefono, e della quale non è riuscito a sbarazzarsi. Un compleanno è sempre un compleanno e Kurt ha tutta l’intenzione di scrivergli qualcosa – non sa ancora cosa, esattamente, ma ha il bisogno di farlo. Buffo che abbia bisogno di quella particolare occasione per essere coraggioso, ma non gliene vengono in mente altre.
Quando sale sul bus il mattino del quattordici marzo, però, alla fermata di Blaine non sale nessuno che ci assomigli vagamente.
 
Kurt rimane con una strana sensazione che gli attanaglia lo stomaco fino a sera. Passa tutta la mattina a prendere appunti distrattamente in classe, e più di una volta si becca anche una strigliata da Mercedes che le chiede di ascoltarla perché deve decidere il nuovo assolo da portare al glee; tocca a malapena cibo e al pomeriggio non fa altro che distrarsi, mentre quella sensazione si fa sempre più pressante nel suo petto e non riesce proprio ad ignorarla.
Alla sera, si impone di preparare la cena con un minimo sorriso sulla faccia per non preoccupare suo padre e Carole. Ha deciso di preparare la lasagna al forno e si sforza di sorridere e fare battute mentre aspetta che raggiunga la temperatura giusta; ed è proprio in quel momento che si dice di scrivere qualcosa a Blaine. Prima o poi dovrà farlo, no? Quindi non capisce perché aspettare oltre. Ha la sensazione che se gli scriverà adesso, adesso che è circondato dalla sua famiglia, qualsiasi sarà la sua risposta non potrà fargli male.
Aspetta che la solita pagina dei compleanni si apra e clicca con il cuore nella gola sul nome di Blaine Anderson – e quando scorre la sua bacheca gli basta qualche frase per capire che c’è qualcosa che non va.
Un’accozzaglia di Guarisci presto e Ti siamo vicini e Puoi farcela che rimbombano nella mente di Kurt ed esplodono come fuochi d’artificio, troppo insieme e troppo tutto per dare un senso compiuto a ciò che sta leggendo. Improvvisamente Kurt ha chiare nella sua mente le immagini di tutti quei sogni che durante quelle notti ha fatto su Blaine – trattiene il respiro, perché semplicemente non può essere.
Non può essere.
Lascia scivolare il cellulare sul bancone affianco a sé e si volta per aprire il forno, si sforza di afferrare la teglia piena tra i guantoni, anche se non vede proprio niente. È tutto offuscato dalle lacrime, ma Kurt sa che si deve sforzare nel cercare di essere forte. Prepara i piatti, stringendo più volte le labbra per impedirsi di singhiozzare, e quando si siede di fronte a Finn cerca i suoi per un breve istante.
“Cosa è successo a Blaine?”, chiede, ed è così assurdo perché a conti fatti Blaine non è nessuno per lui. Un conoscente, a malapena, ma non un amico, non qualcosa di importante. Eppure Kurt sta tremando ed ha paura ed è la sensazione più sconvolgente che ha mai provato in tutta la sua vita.
“Ti avevo detto…”, sussurra Finn a denti stretti, deglutendo poi per cercare di calmarsi. “Kurt, devi stare alla larga da quel ragazzo.”
La forchetta è immobile tra le dita di Kurt mentre trafigge Finn con lo sguardo. Si sente così stanco, e non capisce nemmeno come sia potuto succedere tutto in una volta. “Dimmelo.”, mormora semplicemente. “Che cosa gli è successo?”
È sollevato che Burt e Carole siano troppo presi l’uno dall’altra per ascoltare la conversazione. C’è un programma divertente alla TV, ma Kurt non ha voglia di togliersi la curiosità e capire di cosa si tratti.
“Un incidente.”, mormora Finn, sentendosi quasi in colpa – non ha senso, poi, che si senta in colpa. “L’altro ieri…me l’ha detto Puck. Ha rischiato di non farcela.”
Il silenzio è spezzato dal rumore assordante che produce la forchetta di Kurt nel momento in cui si schianta sul piatto di porcellana sotto di sé. Burt e Carole si voltano di scatto, spaventati ed incuriositi, mentre gli occhi di Kurt si inondano di lacrime e non capisce nemmeno il perché, perché non ne ha il diritto. Non ne ha la forza. Eppure piange. E fa così dannatamente male che non riesce a spiegarlo, non a parole almeno: ha la sensazione che nessuno lo capirebbe.
Burt sbuffa un “Figliolo…”, mentre Carole istintivamente si alza per avvicinarsi a lui, ma Kurt è più veloce. Scatta in piedi passandosi una mano tra i capelli, fregandosene per un attimo della lacca a cui tiene tanto – nulla ha più senso in quel momento.
“Perché non me lo hai detto?”
“Non lo conosci nemmeno, Kurt!”, è l’unica risposta di Finn, che strappa via a brandelli la conversazione con un’unica frase. Basta solo quello, perché fa più male di una ferita. Kurt lascia tutti dietro di sé e percorre le scale più veloce che può nel raggiungere il seminterrato, e si getta sul letto in lacrime, non avendo la più pallida idea di cosa fare dopo e odiandosi, odiandosi per non poter fare niente, odiandosi per non essere in grado di salvare nessuno. Piange fino a sentire dolore ai polmoni, perché nessuno lo capirebbe. Nessuno capirebbe cosa sta provando, perché nessuno darebbe peso allo stupido ragazzo con la stupida cotta per una persona che vedeva una manciata di ore nel bus.
Sbatte le palpebre un paio di volte, e chiede a un Dio in cui nemmeno crede di far vivere Blaine.
 
Kurt si stupisce di essersi addormentato tra le lacrime; capisce di non essere solo nel realizzare che c’è qualcuno che gli sta sfiorando la schiena in dolci e calibrati tocchi, e in un sospiro sa che si tratta di Carole. Non ha neanche bisogno di chiedere. Suo padre l’ha sicuramente mandata per assicurarsi che vada tutto bene, e Kurt si sente così male dentro per averli fatti probabilmente spaventare a morte.
“Sei sveglio?”, soffia Carole nel buio della stanza. Kurt percepisce un fruscio di stoffa e poco dopo la lampada che tiene sopra il comodino viene accesa, illuminando debolmente la stanza. “Ti ho portato un po’ di latte caldo e dei biscotti. Non hai toccato cibo tesoro, tuo padre è preoccupato.”
Kurt non ha il coraggio di voltarsi e guardare Carole negli occhi, perché ha la sensazione che se lo farà finirà per cedere di nuovo e piangere ancora. Non è bravo a nascondere la sua fragilità. E se si specchiasse negli occhi di Carole sarebbe come infrangere un vetro già rotto. Stringe tra le dita la coperta sotto di sé, leccandosi appena le labbra.
“C’è questo ragazzo.”, soffia, e non sa nemmeno perché lo sta dicendo ad alta voce. Perché ha scelto Carole. Forse è perché non la sta guardando negli occhi. “Non lo conosco nemmeno, in realtà. Lo vedo ogni mattino sul bus da più di un anno e in qualche modo mi sembra di conoscerlo da sempre, ma non è così. Ci ho parlato una volta e non è andata neanche bene, mi sono reso ridicolo –”
È confortante, però. Perché anche se non la guarda negli occhi, Kurt è certo che Carole lo stia ascoltando.
“Ha avuto un incidente. È grave. Potrebbe non farcela ed io – io mi sento così dannatamente impotente –”
“Non c’è niente che tu possa fare, tesoro –”
“Tu non capisci.”, finalmente Kurt ruota il capo e la guarda negli occhi, “Non capisci, io ho sognato il suo incidente e per me è come essere lì con lui, capisci? Come essere sull’asfalto con lui e gridare aiuto ma nessuno mi sente. Nessuno mi sente.”
Carole aggrotta la fronte e finisce per allungare le braccia verso Kurt; lo stringe così forte che lui ha l’impressione che voglia rimettere insieme i suoi pezzi. Finisce per versare qualche lacrima che si infrange sul maglioncino color prugna di Carole.
“Ho il turno in ospedale domani. Posso cercare di capire cosa sta succedendo, va bene?”
Kurt annuisce appena sopra la sua spalla, stringendo più forte il suo maglioncino tra le dita. “Grazie.”
“Il suo nome?”, chiede Carole in un sussurro. A Kurt gli si spezza la voce a metà.
“Blaine – Anderson.”
“Okay.”, soffia dolcemente lei, percorrendo la sua schiena in lunghi tocchi, senza lasciarlo andare. “Non siamo supereroi, Kurt, non possiamo salvare le persone, per lo meno non sempre. Possiamo sperare. Tu non smettere di sperare, va bene?”
 
La sera dopo Kurt è in camera a recuperare qualche compito lasciato indietro durante la settimana – ha avuto troppo da pensare e tutto insieme, ma sa anche di non poter gettare via il suo anno scolastico – quando Carole si affaccia dalla scala. Sembra allegra, e Kurt perde un battito di cuore.
“Solo buone notizie.”, sospira, togliendosi in fretta e furia il cappellino che portava sulla testa. Deve essersi praticamente precipitata in camera sua non appena arrivata. “Questa settimana sono stata assegnata alla stanza di Blaine. Si sta riprendendo piano piano.”
Il sospiro di sollievo che Kurt rilascia ha la capacità di lasciarlo definitivamente senza forze; si passa una mano tra i capelli e sente gli occhi pizzicare – non può fare niente per impedirselo.
“Oggi era sveglio, sai? Gli ho parlato un po’ di te. Ti ho usato per spezzare il ghiaccio.”
Kurt francamente non sa cosa dire. Ha le dita accartocciate attorno alla sua matita preferita, un pezzetto di labbro inferiore tra i denti.
“Solo che lo conosci e che eri preoccupato…non gli ho detto altro, stai tranquillo. Puoi ricominciare a respirare.”
A Kurt scappa uno sbuffo di risata. Vorrebbe chiedere a Carole – Cosa pensi di lui? È meraviglioso, vero, anche se probabilmente non se ne rende conto? Riuscirò mai ad avere coraggio abbastanza da provarci? – ma sa anche che non spetta a Carole rispondere. “Grazie.”, soffia invece, leccandosi appena le labbra.
Carole scrolla le spalle come per dire – Non mi devi nemmeno ringraziare, lo sai.
“Io lascerei passare qualche giorno.”, mormora lei infine, scaldandosi le mani strofinandole insieme. È incredibile quanto quella donna sia freddolosa. “Ma poi – potresti venire a trovarlo, se ti fa piacere. Credo gli farebbe bene avere un po’ di compagnia.”
Se Kurt si vedesse da fuori, non pensa si riconoscerebbe. Per il modo in cui lascia cadere la matita e spinge il via il libro dalle gambe e poi si precipita giù dal letto e corre su per le scale, per abbracciare Carole forte come non gli era mai capitato. Le vuole bene. Le vuole così tanto bene, ed è felice di averla lì, ma non per quella cosa che ha fatto con Blaine, ma per tutto. Per aver salvato suo padre e migliorato la sua vita.
La stringe, e pensa che presto potrà rivederlo.
 
Non passano troppi giorni dal momento in cui Kurt riceve un messaggio da Carole, un veloce – Okay è tutto sistemato puoi andare a trovarlo – che gli fa improvvisamente battere il cuore molto più veloce. Kurt si è preparato a questo momento, per quanto possa servirsi prepararsi perché è certo che ogni cosa che dirà sarà imprevista, ed ha – fondamentalmente paura. Di dire qualcosa di sbagliato. Di essere invadente. Un po’ di tutto, in realtà.
L’orario di visita è fissato verso sera, dalle sei e mezza in poi, e per i parenti allargato anche dopo l’orario di cena. Kurt non porta quasi nulla con sé, ma ha il bisogno di aggrapparsi a qualcosa durante il viaggio in bus quindi raccoglie la borsa di pelle con cui va a scuola, poco gli importa che dentro abbia ancora i libri che ha usato quel mattino. Entra in ospedale e si dirige agli ascensori come indicato da Carole: deve raggiungere il quarto piano e no, non è un amante di quelli arnesi e non tende a prenderli quando è da solo, ma ha il bisogno fisico di arrivare più in fretta che può.
Chiude gli occhi mentre i piani scorrono e l’ascensore raggiunge finalmente il reparto che sta cercando. Ha le dita improvvisamente ghiacciate mentre si mette a scrutare i numeri delle stanze per capire quale di quelle sia quella giusta – Carole gli ha dato un numero specifico, la duecentosei. Ed è così che passa le stanze una ad una – la duecentodue, la duecentotre, un piccolo corridoio, la duecentoquattro, duecentocinque – ed è finalmente arrivato, il cuore che praticamente gli batte furioso e si fa sentire soprattutto nella gola.
Nel superare la soglia si ritrova Carole a qualche metro, le mani ferme sui fianchi e un dolce sorriso sulle labbra. È quando vede entrare Kurt che fa un passo di lato, per far in modo che lo veda: Blaine è infinitamente piccolo e scuro in viso, sistemato proprio al centro del letto in modo che la sua testa divida il cuscino in due perfette metà; i suoi occhi sono circondati da pesanti occhiaie e la sua fronte è fasciata abbondantemente, un particolare che Kurt nota rabbrividendo appena, perché – tutto quello, l’ospedale, le bende, il labbro spaccato, sono cose che lo rendono diverso. Blaine è diverso. Così tanto che per un attimo Kurt si sente così fragile e fuori luogo che vorrebbe gridare e uscire – ma è Carole che spezza il silenzio.
“Kurt, tesoro.”, mormora piano. “Sei arrivato. Io e Blaine scommettevamo sull’orario del tuo arrivo, lui diceva che ci avessi rinunciato. Gli ho garantito che saresti venuto.”
A Kurt viene da sorridere, guardando a terra. “No, infatti, non avresti dovuto dubitarne.”, mormora, e non ha il coraggio di guardarlo negli occhi. Si sente così stupido perché quello è – diamine, è lo stesso ragazzo che ha osservato da lontano per più di un anno, quello a cui si sente stranamente legato da qualcosa che non ha un nome, lo stesso ragazzo con cui ha scambiato qualche parola su un social che lo ha fatto stare male per intere settimane.
“Beh, come ti avevo detto – voi dovreste conoscervi, no?”, chiede Carole in un soffio, sistemando meglio alcuni tubicini che spuntano fuori da un cerotto fissato alla pelle di Blaine, da cui Kurt si affretta a distogliere lo sguardo. Non sta ancora guardando Blaine.
“Sì, lo conosco.”, soffia Blaine, ed è solo in quel momento che Kurt lo guarda. Gli sembra di annegare, ma allo stesso tempo di non essere mai riuscito a respirare con così tanta cura. “Mi ricordo di te.”
Kurt spalanca gli occhi per un attimo e si impone di dire qualcosa, qualsiasi cosa per non sembrare un completo idiota perché andiamo, Blaine Anderson si ricorda di lui, si ricorda di lui
Carole si schiarisce appena la voce, e fa un passo verso Kurt per coprirgli una spalla con una mano in un gesto confortante. “Devo correre da altri pazienti. Ci pensi tu a lui?”, gli chiede in un mormorio, lasciandosi scappare un occhiolino che fa arrossire Kurt senza preavviso. I passi di Carole si allontanano velocemente, rendendo Kurt consapevole del silenzio assordante della stanza. Punta gli occhi in una piccola sedia posta all’angolo della stanza, si bagna appena le labbra.
“Prendo un attimo la sedia, uh –”
“Certo, fai pure.”, dice piano Blaine. Kurt ha la sensazione che sia così stanco – e debole. Da quel poco che ha capito, sa che lo hanno salvato all’ultimo con un’operazione da morte certa. Ciò che lo ha salvato è stato il tempismo con cui sono riusciti a intervenire. E molto probabilmente anche il fatto che Blaine sia – così dannatamente giovane, e pieno di vita. Deve essere così, Kurt si dice. Altrimenti non si sarebbe imposto di vivere, combattendo così ardentemente.
I primi minuti li passano nel silenzio più totale, con l’imbarazzo di cercare gli occhi dell’altro di tanto in tanto e quella stupida mancanza di coraggio di parlare per primi.
“Wow, sei molto di compagnia.”, scherza Blaine, e quello rompe un po’ il ghiaccio, Kurt lo deve ammettere. Si ritrovano a ridacchiare piano, le loro voci che si uniscono in un connubio, e Kurt cerca di scrollarsi di dosso la sensazione di essere di troppo.
“Devi scusarmi.”, mormora, strofinando le dita contro la propria coscia. “E’ solo – ci credi che mi sono fatto una lista con le cose che potevo dirti, in modo che non ci fossero silenzi?”
Blaine aggrotta appena la fronte. “Uh. Okay. E questa lista dov’è?”
Kurt si morde appena il labbro inferiore. “L’ho lasciata a casa.”
“Fantastico.”, scherza Blaine, e Kurt nota che fa questa strana ma meravigliosa quando ride, che prima alza gli occhi verso l’alto e sembra così – dolce. Accogliente e dolce. Niente di meno. “Senti, possiamo – fare anche senza lista.”
“Tu dici?”
“Ma certo. Per prima cosa, vorrei sapere cosa ci fai qui. Non che mi dispiaccia –”, si affretta ad aggiungere Blaine, allungando le dita in un gesto di scuse. “Solo…non credo di capire.”
Kurt vorrebbe tanto dirgli che in realtà, non capisce nemmeno lui cosa stia succedendo. Non capisce perché lo abbia sognato. Ci sono così tante cose che non capisce da esserne spaventato. “…per Carole.”
Blaine sembra ancora più perplesso di prima. “Intendi – l’infermiera?”
“Che è la compagna di mio padre.”
“Sì, ma questo lo sapevo già.”
Kurt deglutisce, cercando le parole giuste. “Mi ha parlato di te, e…un amico di mio fratello ti conosce, in qualche modo sapevo dell’incidente. Ho pensato ti andasse un po’ di compagnia, tutto qui.”, sceglie di dirgli una mezza verità, che è comunque meglio di una totale bugia. Blaine si lecca appena le labbra, sibilando di dolore per un istante che si cancella subito.
“Mi fa…”, Kurt odia che sia così doloroso per lui parlare. “Mi fa piacere. Avere compagnia, intendo. Grazie.”
Kurt gli sorride, sentendo il proprio cuore scartare un battito. Non sa cosa gli prende, ma ha bisogno di capire. “Prima, quando c’era Carole, hai detto che ti ricordavi di me.”, sussurra. “E’ vero?”
Blaine sbatte appena le palpebre prima di bagnarsi le labbra e parlare. “Sì, mi ricordo di te. Prendiamo lo stesso autobus, e…tu sali prima di me. Io salgo a qualche fermata dopo la tua.”
Tre fermate dopo, lo corregge Kurt nella mente, ma in realtà non potrebbe chiedere nulla di più. Blaine si ricorda di lui, ed è quello che in realtà conta.
“Perché quella faccia?”, chiede improvvisamente Blaine, e Kurt è colto alla sprovvista.
“Quale faccia?”
“La faccia che stai facendo adesso.”
Kurt finisce per sorridere. “No. Niente. Non pensavo potessi ricordarti di me, tutto qui.”
Blaine annuisce appena, e sembra soddisfatto di essere riuscito a farlo parlare. “Mi dispiace non averti sentito più dopo quella volta.”
Ecco, Kurt adesso arrossisce vistosamente, e non cerca nemmeno di nascondersi. “Intendi – in chat?”
“Beh, sì. Mi aspettavo mi scrivessi ancora. Mi era piaciuto il gioco…aspetta, come lo avevi chiamato?”
“Delle domande a bruciapelo.”
“Delle domande a bruciapelo.”, ripete piano Blaine. “Sei sparito.”
“Mi hai detto chiaramente di essere già impegnato.”, si difende Kurt scrollando appena le spalle, e non è sicuro di capire il sorrisino che aleggia sulle labbra di Blaine.
“Forse te l’ho detto solo per vedere come reagivi.”
Kurt non è sicuro di capire totalmente che piega ha preso quella conversazione. Si ritrova a mordicchiarsi il labbro inferiore. “Beh, non è stato carino. E sembrava me lo stessi dicendo perché volevi sbarazzarti di me.”
“Non volevo sbarazzarmi di nessuno! Magari volevo solo che mi dicessi di fregarmene delle persone con cui mi stavo sentendo e mi chiedessi di uscire con te. Dritto al punto.”
Kurt assottiglia appena le palpebre. “Non sono quel tipo di persona.”
“Che tipo di persona?”
“Il tipo di persona che è vagamente in grado di – essere diretta e andare dritta al punto. Proprio no, mi dispiace.”
“Perché ti dispiace?”
Kurt scrolla le spalle. “Ho la sensazione che a volte farebbe bene esserlo.”
Blaine gli sorride, ed è senza riserve. “Puoi dirlo forte. Ma mi piace anche chi sa essere meravigliosamente timido.”
“Non sono timido!”, borbotta Kurt arrossendo, e Blaine cede ridacchiando e Kurt si rende immediatamente conto di quanto tutto quello sia ridicolo, perché certo, certo che lo è, e in qualche modo Blaine lo ha già capito. “Allora, ti…ti senti con qualcuno?”, chiede in un borbottio, nel tentativo di sembrare audace. Blaine dopo un po’ si fa serio, giocherella con la coperta sotto le sue dita.
“Sì. Ma nulla di serio. Sai, quei rapporti che non si definiscono e che ti fanno sentire un completo idiota, perché non sai mai come comportarti.”
Kurt si sente – come pugnalato. Sa che non ne ha il diritto; ha aspettato fin troppo tempo per farsi avanti e Blaine non poteva certo stare ad aspettare lui, ma in qualche modo sperava gli dicesse di no. I suoi crollano sulle proprie dita accartocciate in grembo. “Oh, beh. Uhm…”
“Non è mai venuto a trovarmi.”, mormora Blaine a quel punto, e quello cambia tutto. Kurt non sa dire perché, ma ha la sensazione che Blaine si stia liberando; lo guarda in viso e vede la sua delusione, la sua convinzione di essere lasciato da parte, e di non valere abbastanza. “Ha avuto diverso tempo e non l’ho ancora visto; lui insieme ai miei amici, quindi questo la dice lunga, non trovi?”
Kurt annuisce, si copre il petto con le braccia. “Prova a dare loro tempo, forse…forse hanno avuto impegni, forse…”
“Tu nemmeno mi conosci e sei stato disposto a venire. Immagino che gli impegni li abbia anche tu.”, lo interrompe Blaine, e c’è una vena di rabbia nella sua voce. “Non è che non hanno tempo, non hanno voglia. È da sfigati passare il pomeriggio in ospedale ad assistere un tuo amico malato.”
“Beh, mi spiace dirlo, ma gli unici sfigati sono loro se non sanno nemmeno stare vicino ad un amico nel momento del bisogno.”
C’è qualcosa di speciale, negli occhi di Blaine, quando lo guarda dopo quelle parole. “Hai proprio ragione.”, conferma, la voce morbida e soffice. Ruota il capo per puntarlo fuori dalla finestra. “Uhm, Kurt? Potresti…spostare appena le tende? Non vedo niente.”
Kurt ci mette un minuto buono a realizzare che Blaine ha appena usato il suo nome – che Blaine effettivamente ricordava, il suo nome, dalla loro conversazione sulla chat. Si alza schiarendosi la voce e sposta le tende giusto quel poco che permetta a Blaine di vedere fuori.
“C’è quasi buio.”, soffia Blaine, perdendosi a osservare il cielo. “Non faccio molto caso al passare del tempo stando sempre seduto qui.”
Kurt non ha il coraggio di dire niente.
“Ha piovuto, oggi?”
“Un pochino in mattinata.”, spiega Kurt. “Il sole è uscito verso pomeriggio. Un bello spettacolo, vederlo combattere contro le nuvole.”
Blaine ha un sorriso minimo sulle labbra.
“Quello che farai tu.”, borbotta Kurt, attirando l’attenzione di Blaine, che lo osserva con la fronte aggrottata. “Sì, tu: farai come il sole, combatterai contro le nuvole e tutto tornerà al suo posto.”
Kurt ha paura che quella sua visione assolutamente ingenua della realtà possa infastidire Blaine come poche altre cose, ma non gli sembra. Blaine sorride un pochino di più, per poi sprofondare ancora un po’ sul materasso. “Sono un po’ stanco.”
Kurt si lecca appena le labbra. “Ti lascio, allora.”, mormora appena, e senza pensarci si avvicina al letto e gli sistema meglio le lenzuola in modo che sia più coperto. Nel farlo, per sbaglio gli sfiora una mano e sente – qualcosa che non aveva mai sentito prima, qualcosa di così intenso e bello che per un attimo non gli vengono le parole.
“Sono…sono contento di essere venuto oggi.”
“Anch’io sono contento che tu sia venuto, oggi.”, mormora appena Blaine. Le sue labbra non stanno sorridendo ma i suoi occhi sì. “Ti rivedrò?”
Ti rivedrò?
“Naturalmente.”, soffia Kurt, e gli sembra di aver gridato, anche se la sua voce è appena un sussurro. “Torno presto, te lo prometto.”
E qualcosa si fa spazio negli occhi di Blaine, sembra quasi tristezza: forse immagina che Kurt gli dica così solo per convenienza, ma è pronto a dimostrargli che si sbaglia, e che tornerà. Quando abbandona la stanza lasciando Blaine indietro, Kurt si sente i suoi occhi addosso per tutto il tragitto.
 
Kurt non saprebbe definirlo a parole, quello che si crea fra lui e Blaine. E’ un po’ come cercare di dare un nome a quella sfumatura nata per sbaglio su una tavolozza di colori: un miscuglio di rossi e blu ed arancioni e colori intensi che poi nella sua testa non corrispondo a nulla che hai già visto durante la vita. È tutto nuovo, tra di loro, e si crea piano, pezzetto per pezzetto, a volte timidamente e a volte con così tanta violenza che Kurt deve fermarsi per qualche secondo buono per ricordarsi come si respira. Inutile dirlo, Kurt va a trovarlo ogni giorno su quel letto di ospedale. Non perché si senta costretto, ma perché sa che non farlo significherebbe ferire prima sé stesso - e poi Blaine. Non vuole essere causa della tristezza di Blaine, vuole vederlo sorridere per quanto sia possibile, vuole combattere per vedergli spuntare quello sguardo luminoso che ha visto in così poche volte. All’inizio arriva titubante, ancora non sapendo bene come comportarsi: c’è ancora imbarazzo tra i due, e devono riempire i silenzi con palpebre che sbattono agitate e lingue che sfregano sulle labbra – ma dura poco. Perché la timidezza è sostituita presto da altro, da quella voglia che hanno entrambi di conoscersi un pochino di più. E anche se non lo dicono ad alta voce, si fanno un sacco di compagnia. Blaine non è più solo i giorni in cui fa buio e Kurt non è costretto a chiudersi in camera con i suoi libri, e si costruisce una routine a cui nessuno dei due rinuncerebbe per nulla al mondo.
Poi si aggiungono le piccole cose, come il caffè che Kurt comincia a portargli ogni sera – sempre lo stesso, un medium drip, ormai lo ha imparato e non sa esprimere a parole quanto quello lo faccia stare bene, solo il semplice imparare cose nuove e sempre diverse di Blaine. Ha scoperto che a Blaine piacciono i giochi in scatola, quindi si procura anche qualcuno di quelli per qualche sera in cui vogliono semplicemente rilassarsi. E straordinariamente, parlano tanto. Kurt parla a Blaine e lo ascolta e arriva a un certo punto in cui gli sembra di conoscerlo da sempre – di conoscerlo meglio di quanto non conosca sé stesso. Parlano di niente, come di tutto – la peggiore paura di Blaine è essere abbandonato, preferisce l’oceano alla città, odia il tè caldo, fuma solo perché lo fanno i suoi amici e perché non vuole sostanzialmente rimanere solo. E piano piano, anche Kurt si lascia andare. Adora il tè caldo. Non fuma, e non perché sa che il fumo fa male, perché una volta ha provato con Rachel di nascosto e sono stati male entrambi. Preferisce la città all’oceano.
La sua più grande paura è quella di rimanere solo.
Così simili per certi versi eppure così diversi – due facce della stessa medaglia che si sono incontrate così, per puro caso, perché a un certo punto delle loro vite il destino è finito per diventare pigro. E va bene così. Va bene essere un po’ rotti e riempire le voragini che l’altro si lascia dietro. Va bene litigare, scherzare a volte per conoscersi più a fondo. Va bene non capire cosa si sta provando.
Perché probabilmente si sta già provando tutto quanto.
 
Un giorno Blaine tiene le dita attorno al caffè distrattamente, e Kurt – lui ci ha provato a distrarlo. Gli ha chiesto se avesse voglia di giocare a qualsiasi cosa gli venisse in mente, gli ha proposto di accendere la TV, ma nulla.
“Lo vedo che c’è qualcosa che non va.”, mormora Kurt a un certo punto, lì rannicchiato sulla sedia che è solito mettere sempre accanto al letto di Blaine.
“Non ho niente.”
“Okay, possiamo continuare a fare finta che tu oggi sia di pessimo umore e non combinare niente tutta la giornata, o puoi semplicemente sputare il rospo. A te la scelta.”
Blaine tiene gli occhi fissi sulle lenzuola attorno alle sue gambe, ed è qualcosa che fa spesso, quella di abbassare lo sguardo perché non sa come affrontarlo. “Si tratta dei miei genitori.”, ammette con un filo di voce, e Kurt ruota completamente il corpo verso di lui perché quella – uh sì che quella è una novità. Hanno parlato dei reciproci genitori, certo, ma non ci è voluto molto per Kurt capire che l’argomento era piuttosto scottante per Blaine.
“Capisco siano pieni d’impegni, davvero – lo capisco. Hanno dei lavori che tengono loro lontani da casa, ma…per quel poco che vengono qui, non sembra nemmeno che gli importi.”
“Hai provato a parlargliene?”
“E dire cosa? Che mi sembra che quando vengano qui abbiano la testa da tutt’altra parte? No grazie, Kurt, tanto non cambierebbe nulla.”
Kurt allunga istintivamente una mano per posarla sopra il letto di Blaine, a pochissima distanza dalla sua, ma non le fa sfiorare. “Come fai a sapere che non cambia nulla se nemmeno ci provi?”
“Pensi di sapere tutto, Kurt? Guarda che non sai niente della mia famiglia. Non sai niente di quello che doveva sopportare ogni giorno.”
“Beh, prova a dirmelo.”, Kurt deve mordersi il labbro con tutta la forza che ha in corpo per evitare che si senta tutta la rabbia che ha in corpo in quel momento. “Okay, so che i tuoi genitori non hanno amato il tuo coming out. Ma non so nient’altro. Come posso aiutarti se non mi dici niente?”
“Non c’è niente da sapere, Kurt!”, sbotta Blaine, allargando gli occhi impercettibilmente. “Filava tutto liscio finchè non ho detto loro che sono gay, tutto qui. Da quel giorno ho l’impressione che stare più di cinque minuti nella stessa stanza con me – li faccia stare male. Forse perché non sanno come prendermi. Che cosa dirmi.”
Kurt a quel punto si lecca appena le labbra, cercando le parole giuste. “Il giorno in cui ho fatto coming out con mio padre ero spaventato a morte.”, mormora, e sa di avere gli occhi di Blaine puntati addosso, anche se preferisce guardare un punto impreciso delle lenzuola azzurre. “Era sempre stato così severo – certo, ci teneva a me, ma non lo dimostrava con abbracci e parole di conforto; preferiva le sgridate, forse perché pensava che così avrei capito meglio. Ero terrorizzato, perché pensavo che non mi accettasse, ma con calma lo ha fatto.”
“Beh, sei stato fortunato.”
“Non direi così. No, non è stata fortuna.”, questa volta Kurt alza gli occhi e li punta in quelli di Blaine. “Ci è voluto impegno, Blaine, tanto di quell’impegno; nessuno dei due amava parlarne all’inizio, ma ci siamo sforzati di venirci incontro, e piano piano è diventato più semplice. Anche se non lo è mai del tutto. Ancora adesso ci sono tante crepe che dobbiamo ancora sistemare, ma mi rendo conto che se non mi fossi mai impegnato, se non ci avessi mai provato fino in fondo, probabilmente sarei finito col perdere mio padre.”
C’è qualcosa di terribilmente fragile che attanaglia la gola di Kurt in una morsa quando Blaine poi muove le dita contro le sue; è un gesto così nuovo e inaspettato eppure familiare che Kurt deve seriamente sbattere le palpebre e ricordarsi come si fa a respirare.
“Scusami.”, sente mormorare, ed ha il bisogno di guardare Blaine negli occhi per capire che è stato reale.
“…per cosa?”
“Per aver dato per scontato che fossi fortunato. Scusami.”, soffia nuovamente, e nel farlo stringe un pochino di più le sue dita e Kurt sente il proprio cuore fare qualcosa che non dovrebbe fare. Qualcosa che nemmeno comprende fino in fondo. “Io ci ho provato. Forse non ardentemente come te, ma ci ho provato a parlare con i miei genitori. Poi un giorno – mio padre mi chiese di sistemare con lui una macchina e ci divertimmo un sacco e io pensavo che fosse passata, ma quella stessa sera prima di cena lo sentii parlare con mia madre e dirle che –”, Blaine mima delle virgolette con la mano che non sta tenendo la sua, ripetendo quelle che sono state probabilmente le parole di suo padre, “Sperava avesse funzionato”.
Kurt aggrotta la fronte, perché non è sicuro di voler capire.
“Mio padre non mi aveva chiesto di aggiustare la macchina perché voleva che avessimo qualcosa in comune, o che tutto tornasse come prima. Voleva farmi sporcare le mani nella speranza che diventassi etero.”
Questa volta è Kurt a stringere più forte la sua mano. No, nel suo percorso non è stato per nulla fortunato, lo deve ammettere; ma deve anche riconoscere che è stato sicuramente più fortunato di Blaine. “Mi dispiace tanto.”
“Non è colpa tua.”, sussurra Blaine, ruotando il capo per guardare fuori. “Non è colpa di nessuno, loro sono fatti così, è solo…vorrei poter fare qualcosa per loro cambiare idea, dimostrare loro che il fatto che mi piacciono i ragazzi non cambia ciò che sono. Forse però è impossibile.”
Kurt non ci pensa due volte, in realtà. Si alza dalla sedia e si china appena per raccogliere Blaine tra le braccia; percepisce immediatamente il corpo del ragazzo irrigidirsi, ma qualcosa, dopo, qualcosa di inspiegabile rende tutto diverso e Blaine si scioglie completamente contro di lui, diventando immensamente piccolo e probabilmente dimostrando a sé stesso che sì – forse va bene essere fragili. Non c’è niente di male nel soffrire.
“Lo so che a volte il dolore è rassicurante.”, mormora Kurt pianissimo, le parole che si infrangono appena sopra la testa di Blaine. “Che ci fa sentire bene perché è una costante, ed egoisticamente crediamo che nessuno possa capirci, così possiamo rimanere nella convinzione di essere soli. Ma voglio che tu mi prometta una cosa, Blaine.”
C’è qualche istante di silenzio. “…cosa?”
“Che non soffrirai mai più da solo.”
 
Quella stessa sera, Kurt trova suo padre rannicchiato sul divano mentre è intento a guardare una partita – fortunatamente, anche se Kurt ci capisce poco niente di football, riconosce immediatamente che tra le squadre non c’è quella per cui tifa suo padre.
“Papà?”
Forse è il tono di voce, ma Burt non aspetta un secondo di troppo a voltarsi. “Che c’è, figliolo?”
“Ho bisogno del tuo aiuto per una cosa.”, mormora appena Kurt, attraversando il salotto con passi veloci per sedersi accanto a lui. Gli porge il telefono di casa con accanto un foglio stropicciato: sopra si distingue un nome con un numero di telefono. Burt afferra le due cose con cautela, dà un’occhiata prima al foglietto, poi al volto di suo figlio.
“Hai bisogno che chiami questa persona?”
“Ho bisogno che tu parli con questa persona.”, mormora appena Kurt, avvolgendo il proprio stomaco con le braccia. La fronte di Burt è aggrottata.
“Hai bisogno che io chiami questa…Pam Bedelia Anderson.”, ripete Burt con cautela, cercando con gli occhi il suo consenso. “Chi è – un’insegnante? Ti sei cacciato nei guai?”
Kurt scuote la testa in una debole negazione. “Non è un’insegnante.”, sussurra. “E’ la madre di un mio amico.”
 
Quando Kurt va a trovare Blaine il giorno dopo, un po’ non riesce a crederci alla scena a cui assiste – anche se, al contempo, non può negare di averci sperato con tutto il cuore.
C’è un’elegante donna sui quarant’anni che siede accanto a Blaine; i due si stringono le mani e c’è un velo di lacrime nei loro occhi – quando Kurt se ne rende conto si ferma sulla soglia ad osservarli, e non crede di avere mai visto qualcosa di più autentico. È Blaine il primo ad accorgersi della sua presenza – i suoi occhi si illuminano di qualcosa che Kurt non aveva mai visto prima.
“Kurt –”
“Non vi preoccupate, torno dopo.”, mormora delicatamente, non prima di aver fatto un cenno di saluto alla donna che siede accanto a Blaine.
“Lei è mia madre.”, sussurra Blaine, e i suoi occhi dicono tutto. Non c’è bisogno che si aggiunga molto altro.
“E’ un grande piacere per me conoscerla.”
“E per me è un piacere conoscere te. So che vieni a trovare Blaine tutti i giorni. Solo…grazie.”
“Non mi ringrazi.”, si affretta a correggerla Kurt, afferrando la maniglia della porta con le dita. “Lo faccio con piacere.”
 
È quasi ora di cena quando Pam lascia Blaine dopo un lungo abbraccio; Kurt aspetta pazientemente nella saletta in cui tengono le macchinette del cibo e delle bevande, e saluta Pam con un cenno prima di percorrere il corridoio verso la stanza di Blaine. Quando si guardano, è come se il mondo attorno si mettesse d’accordo per fermarsi – come se ogni forza, centrifuga o gravitazionale, scegliesse improvvisamente di non avere più alcun valore.
“Sembri felice.”
“Lo sono.”, conferma Blaine, leccandosi appena le labbra e lasciandosi scappare un sorriso. Kurt non si siede sulla sua solita sedia; si aggrappa alla testata del letto per avere Blaine di fronte.
“So tutto.”
Kurt alza appena un sopracciglio.
“So tutto, Kurt, non devi fingere.”, mormora Blaine, le mani conficcate nelle lenzuola e gli occhi lucidi. “Che tuo padre ha chiamato mia madre per parlargli – che gli ha detto delle cose stupende, tipo…tipo che l’impegno non deve venire solo da me, ma che anche loro si devono sforzare di venirmi incontro. È…è servito, Kurt.”
Kurt annuisce appena, il cuore che gli scoppia di qualcosa di indefinibile.
“Si è scusata tanto per non essere stata presente, e ha detto che proverà a fare del suo meglio, e che cercherà di convincere anche mio padre. E questo è – tantissimo, Kurt. Tu non ne hai idea.”
Kurt si morde appena il labbro inferiore, sorridendogli senza inibizioni. “Ti sembra ancora così difficile?”
“No.”, risponde Blaine senza pensarci. “Ed è grazie a te.”
“Ho solo dato un piccolo aiuto.”
“Non azzardarti a sminuire quello che hai fatto.”, lo corregge Blaine, sbattendo le palpebre più volte per impedire probabilmente alle lacrime di scendere. “Quello che hai fatto, Kurt – nessuno aveva mai fatto qualcosa di così bello e importante per me, mai. Nessuno penso credesse ne valesse la pena.”
Per te ne vale la pena, pensa Kurt in un battito di ciglia, per te varrà sempre la pena.
 
I mesi scorrono e Kurt si stupisce di quanto possano essere veloci. Lui e Blaine continuano a vedersi mentre a piccoli passi lui si rimette, e nel frattempo, come per miracolo, riesce a costruire un bel rapporto con sua madre e per lo meno ricomincia a vedere suo padre ogni settimana. Non è tutto ma è qualcosa, qualcosa da cui si può ripartire e Blaine lo sa.
C’è qualcosa di incredibilmente forte e bello e non detto che si costruisce tra i due – Kurt e Blaine non lo sanno esprimere, non ad alta voce, ma è qualcosa di inspiegabile e che conoscono solo loro, che riescono a capire solo loro. Come le occhiate preoccupate di Kurt quando Blaine si rifiuta di mangiare, o una mano di Blaine che prontamente si muove verso la sua per sfiorarla appena, quando Kurt meno se lo aspetta.
E litigano, litigano spesso, anche per le cose più stupide. Ma farlo aiuta loro a conoscersi. Come quella volta in cui Kurt non ce l’ha proprio fatta a passare in ospedale e Blaine il giorno dopo non riusciva a fare altro che aggrapparsi a stupide frecciatine – e allora hanno urlato, finchè finalmente Blaine non ha confessato la radice del problema. Ha paura che Kurt si stanchi di venire da lui ogni giorno. Che si stanchi di lui improvvisamente, perché tutti ci stanchiamo di una situazione che non cambia. E allora Kurt lo ha guardato negli occhi una volta per tutte.
“Non mi stancherei mai di te.”
Arrossisce ancora quando pensa a quella frase prima di addormentarsi. A Blaine sembra essere piaciuta, perché la ripete spesso per stuzzicarlo, diventa un po’ il loro mantra.
Kurt si sforza di guardar la tavolozza sempre più spesso, mentre le pennellate diventano sempre più vivide dentro il suo cuore. Sono calde, sempre più calde, e probabilmente Kurt sarebbe uno sciocco a non riuscire ad ammetterlo a sé stesso: si sta innamorando di Blaine, o forse è innamorato di lui dal primo momento ed era così sciocco da non volerlo neanche vedere.
 
***
 
“Devi venire alla festa di venerdì sera.”, esordisce un mattino Rachel, mentre Kurt sta sistemando i libri accuratamente nel suo armadietto. Si volta appena verso di lei, sorpreso, perché a conti fatti ultimamente si parlano poco: non si sono del tutto allontanati, solo che adesso Kurt preferisce dedicare più tempo possibile a Blaine, quando può. Non ha comunque rinunciato ai loro caffè al pomeriggio o ai loro rituali di bellezza della terza domenica del mese, quello mai. Quindi – perché c’è quel broncio sul volto di Rachel?
“A che ora è?”
“Dalle sei in poi a casa di Sugar. Ti ricordo che ha una piscina.”
Kurt si lecca appena le labbra, mentre le sue spalle si abbassano di colpo. “Rach, lo sai che verso sera vado a trovare Blaine.”
Gli occhi della sua migliore amica si incupiscono. “Okay, va bene. Vai a trovare Blaine fino a ora di cena, poi porti le tue chiappe in piscina.”
A quel punto chiude l’armadietto per avere Rachel completamente di fronte a sé. “Sai anche che il venerdì sera l’orario di visite è prolungato, e che posso rimanere fino alle dieci.”
A questo punto Rachel incrocia le braccia. “Va bene, le ho davvero provate tutte. Ora perché non affrontiamo la questione una volta per tutte e ci diciamo le cose come stanno? Stai trascurando i tuoi amici, Kurt. Per una persona che conosci da quanto – qualche mese.”
“Il vulcano ha finalmente eruttato, vedo.”
“Se ti aspettavi che rimanessi zitta ancora per molto ti sbagli di grosso. Eri il mio migliore amico, Kurt, e adesso ho davanti questa persona che fa di tutto per evitarmi, cosa dovrei pensare?”
“Non ti sto evitando, Rachel.”, mormora Kurt, alzando appena gli occhi al cielo. “Ma lo sai che ho fatto una promessa. È importante per me andare a trovare Blaine.”
“E non sono importanti anche i tuoi amici?”, borbotta Rachel, stropicciandosi una ciocca di capelli tra le dita. “Metti sempre lui prima di tutto, Kurt. E okay, posso capire che lo fai per ciò che provi per lui, ma anche gli amici sono importanti. Gli amici rimangono per sempre; chi ti garantisce che Blaine non sparirà dopo che i suoi trattamenti saranno finiti in ospedale? Chi ti assicura che non ti stia usando -
Rachel si porta immediatamente una mano alla bocca dopo aver detto quelle parole, e Kurt fa un passo indietro, come se fosse stato appena pugnalato. “Non lo conosci nemmeno, Rach.”
“Ma non è una persona affidabile comunque. Girano delle strane voci su di lui, Kurt, e io non mi fido – e non dovresti fidarti nemmeno tu.”
Kurt incassa il colpo indietreggiando ancora un pochino, allargando appena le spalle. Scuote la testa in secco no, guardando il soffitto sopra di sé. “Non ti sei mai sforzata di chiedermi come stanno andando le cose tra di noi.”, sibila tra i denti. “Non sai che l’ho aiutato a riallacciare i rapporti con i suoi genitori, non sai di come abbiamo litigato per il giorno in cui non ero riuscito a passare a trovarlo perché aveva paura che me ne fossi andato. Non sai niente di noi.”
“Beh, tu non sai nemmeno che Finn ha lasciato Quinn per stare con me, ma guarda un po’, non me lo hai neanche chiesto.”, le parole di Rachel colpiscono Kurt come uno schiaffo in pieno viso, ed è nel giro di un secondo, un secondo netto che si rende conto che sì – ha fatto un passo indietro, nelle sue amicizie. Ha trascurato il glee, ma più di ogni altra cosa ha trascurato Rachel, la sua anima affine, la ragazza ambiziosa che lo capisce senza che abbia il bisogno di parlarle.
“Finn ha lasciato Quinn per…per stare con te?”
“Lascia perdere.”, soffia Rachel, probabilmente realizzando che rispondere non farà altro che peggiorare le cose. “Ci vediamo al glee. Se cambi idea per la festa ci vediamo là.”
E Kurt la vede andare via così, mentre diventa piccola tra i corridoi, scivolandogli via dalle dita come acqua piovana.
 
Venerdì sera Kurt fa come promesso, si presenta al solito orario di visita nella stanza di Blaine, e almeno in apparenza – crede di comportarsi come sempre. Sorride alle sue battute e cerca i suoi occhi ed è magico, non lo può negare, ma al contempo si sente come un pezzo di sé stesso sia costantemente da un’altra parte. Un pezzetto che gli rimbomba nella testa con domande come – Chissà come se la sta cavando Rachel senza di me o – Chissà se Finn la tratterà come merita di essere trattata. Sono domande a cui non può dare risposta.
“…e allora ci siamo detti che andava bene così.”, continua a raccontare Blaine. Si ferma un attimo, poi, inclinando la testa di lato per studiare meglio il castano. “Kurt?”, chiede in un soffio, senza però attirare la sua attenzione. “Terra chiama Kurt?”
A quel punto Kurt sbattè le palpebre alla velocità della luce, riportando l’attenzione su Blaine e leccandosi appena le labbra. “Mi – mi dispiace.”, mormora, sentendo qualcosa gonfiargli la gola, qualcosa che assomiglia molto a senso di colpa. Non era sua intenzione non ascoltarlo. “Ero distratto.”
Blaine aggrotta appena la fronte, distogliendo lo sguardo da lui. “E’ da quando sei entrato che ti vedo – non lo so, distante.”, gli dice piano, ma non è un rimprovero – è una pura e semplice costatazione. “Cosa c’è che non va?”
“Nulla.”
Un piccolo sorriso infiamma le labbra di Blaine – dio, Kurt è così un pessimo bugiardo. “Kurt, avanti. Da quanti mesi ci conosciamo?”
Tantissimi, pensa Kurt, ma riflette bene nel tenersi quel pensiero nella testa, perché a conti fatti si conoscono meglio da molto meno tempo. “Quasi quattro.”
“Ecco.”, mormora piano Blaine. “E pensi davvero che in quasi quattro mesi non abbia capito quando c’è qualcosa che ti preoccupa, o che ti fa stare male.”
“Forse, non lo so.”, borbotta Kurt in imbarazzo. “Dipende da quanto sei bravo ad osservare.”
Blaine alza gli occhi al cielo, sconfitto. “Allora, c’è?”
Kurt si stringe nelle proprie braccia, leccandosi appena le labbra mentre i suoi occhi scorrono un po’ dappertutto nella stanza. “Si tratta di Rachel, la mia migliore amica.”
Blaine annuisce.
“C’è questa festa, stasera, a casa di un nostro compagno del glee…e lei mi ha chiesto di andarci.”
Blaine comprende perfettamente ogni parola del discorso di Kurt, e non ha di certo bisogno di una grande immaginazione per capire cosa verrà dopo. “Ti ha chiesto di andarci.”
“Mmmh mmmh.”
“E tu le hai detto di sì, immagino, e non sapevi come dirmelo?”, Blaine sembra divertito dalla sua stessa frase. “Guarda che non ci sono problemi –”
“Le ho detto di no.”, lo interrompe Kurt, come se fosse la cosa più semplice del mondo. Blaine è chiaramente – preso in contropiede. Si rimangia ciò che stava per dire, parole pesanti che si affretta ad accartocciare nella gola.
“E…perché?”
Kurt si sente così immensamente stupido e piccolo mentre risponde. “Perché volevo venire qui.”, mormora, senza trovare il coraggio di guardare Blaine negli occhi. “Perché volevo stare con te.”
Un suono senza nome abbandona le labbra di Blaine – c’è stupore nei suoi occhi, ma qualcosa di molto più grande a cui Kurt non sa dare un nome, quando finalmente trova il coraggio di guardarlo.
“Non essere arrabbiato.”
“Non –”, rantola fuori Blaine, come se fosse difficile per lui persino parlare, “Non sono arrabbiato. Come potrei –”, scrolla un pochino le spalle, cerca i suoi occhi e Kurt sente il suo cuore precipitare di nuovo. “Ma non dovresti rinunciare alla tua vita per stare con me.”
“Non sto rinunciando alla mia vita per stare con te –”
“E come lo chiami questo, Kurt?”, chiese Blaine a quel punto, indicando la stanza che c’era tutto intorno a loro. “Rachel è importante per te, la tua anima affine, quella che ti capisce sempre al volo – parole uscite dalla tua bocca. No, non mi arrabbio, ma come pensi che possa andarmi bene se tu mi dici che stai rinunciando ai tuoi amici per stare con me?”
Gli occhi di Kurt si inondano di una patina di lacrime, che cerca di cacciare via prontamente. “Io volevo solo –”, soffia Kurt, le parole appena udibili e appiccicate, così vicine che sembrano cancellarsi a vicenda, “Che tu non restassi solo. E sì – mi fa male aver detto di no a Rachel, ma come potevo – lasciarti qui, da solo, e andare a divertirmi? Sbatterti in faccia che noi possiamo ballare e invece tu –”, le parole di Kurt gli muoiono nella gola e Blaine finisce per farsi infinitamente piccolo contro la testa del letto, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. Si lascia scappare uno sbuffo di risata malinconica.
“Sei così testardo.”
Kurt alza un angolino della bocca. “Già. A volte lo detesto.”
“Io credo non potrei farne a meno.”, borbotta Blaine, e vedendo l’espressione dubbiosa di Kurt, intuisce che quello ha bisogno di un’ulteriore spiegazione. “Della tua testardaggine.”
Si muove qualcosa nel petto di Kurt a livello dello stomaco, veloce e furtivo e dolce, così assolutamente dolce da fargli male.
“Voglio che tu faccia una cosa per me.”, mormora Blaine, schiacciandosi entrambe le braccia sullo stomaco, come per tenersi al caldo. “Voglio che tu vada a quella festa e che ti diverta.”
“Ma Blaine –”
“Dico sul serio.”, soffia Blaine, senza guardarlo negli occhi. “Voglio che tu non metta mai più me - o tutto quello che stai facendo per me – prima dei tuoi amici. Loro ci sono sempre stati e ci saranno sempre, Kurt. Questa stanza è diventata la mia gabbia, ma non voglio per nulla al mondo che diventi anche la tua.”
Kurt sente cieca determinazione crescergli dentro, un po’ come lava in un vulcano in eruzione. “No, Blaine. Voglio restare –”
Succede così in fretta che Kurt non ha il tempo di prevederlo – Blaine si allunga per premere il bottone delle emergenze accanto a sé, e quando un’infermiera si affaccia prontamente, nessuno dei due riesce a parlare.
“Va tutto bene, Blaine?”, chiede Clary, una delle infermiere più giovani del reparto. Blaine scrolla le spalle in modo totalmente scoordinato.
“Tutto bene. Voglio solo essere preparato per andare a dormire. Sono stanco.”, borbotta, e Kurt sente qualcosa di così enorme e pesante e orribile muoverglisi all’altezza del petto che per un attimo non riesce a muoversi. Solo dopo si concentra per trovare le parole.
“Perché lo stai facendo?”, chiede a Blaine sottovoce, e si sente così svuotato, inutile. Perché è successo tutto in fretta e non voleva che andasse così per nulla al mondo. “Blaine, solo – perché?”
“Mi scusi, ma devo chiederle di lasciare la stanza.”, insiste Clary, posandogli una mano sul braccio. Kurt si sottrae al tocco come se scottasse, e finisce per lasciare la stanza a grandi passi, percorrendo gli ultimi metri che lo separano dall’ascensore di corsa. Quando le porte automatiche si chiudono davanti a lui ha quasi voglia di gridare – ma non lo fa. Una minuscola, remota parte della sua mente gli dice che Blaine lo ha fatto per lui, ma il suo cuore è così spaventosamente arrabbiato, e non capisce.
Prende il telefono tra le dita una volta sceso al piano terra, e fa ciò che gli è rimasto da fare – avvisa Rachel che andrà alla festa.
 
Gli viene da sorridere, quando la vede in un angolo, lontana da tutti, in mano un cocktail colorato e tra i capelli una coroncina di fiori. Le si avvicina con cautela, e non appena Rachel lo vede, il suo viso si illumina fin troppo velocemente. Si abbracciano senza bisogno di parole, e Kurt intuisce che è quello ciò che intendeva Blaine: che amici come lei non se ne andranno mai davvero.
“Scusami.”, mormora contro la sua pelle, e Rachel ridacchia, come se un po’ avesse già vinto.
“Sono cose che succedono.”, controbatte lei, e in un attimo l’incredulità che Kurt aveva provato fino a quel momento svanisce come una bolla che scoppia. Perché Blaine aveva ragione – ha sbagliato nell’allontanare Rachel, i suoi amici del glee, un po’ tutta la sua vita in generale. Blaine è importante, fa parte di lui, ma non può e non deve sostituire i suoi amici.
Kurt vive quella serata con la consapevolezza che dovrà ringraziare Blaine al più presto per quello che ha fatto per lui.
 
Il giorno dopo Kurt quasi corre per raggiungere la stanza di Blaine – si sente il cuore nella gola perché ha così tante cose da dirgli, così tanto da raccontargli anche se non credeva, e vuole fargli sapere che aveva ragione, che non avrebbe dovuto comportarsi così il giorno prima.
Sembra tutto uguale nel corridoio – è sempre lasciato al buio, estremamente silenzioso fatta eccezione per i suoi passi. L’unica cosa estremamente diversa – l’unico particolare che davvero importa a Kurt – è il fatto che Blaine non ci sia. Nella sua stanza ci sono ancora i chiari segni della sua presenza, come i medicinali ben disposti e uniti sopra un tavolino e il letto leggermente sfatto in un angolo – ma Blaine non c’è.
“Non troverai Blaine se è lui che stai cercando.”, interviene una voce femminile piuttosto rauca; appartiene a Selene, una delle infermiere più anziane lì dentro e grande amica di Carole. “Mi spiace giovanotto, Blaine ha chiesto di spostare l’orario dei suoi esercizi motori.”
Kurt apre la bocca per dire qualcosa, ma esce un suono senza nome. Si guarda intorno, alla ricerca del più piccolo segno di lui – si dice che per lo meno gli deve aver lasciato un biglietto, qualsiasi cosa, ma non c’è proprio niente.
“Posso almeno salutarlo?”
“Non sono ammesse visite mentre fa gli esercizi motori, tesoro.”, gli spiega Selene desolata, guardandolo come se in cuor suo lo capisse perfettamente. “Mi dispiace tanto. Puoi provare a ripassare domani.”
Kurt annuisce appena, anche se ancora non riesce a capire. “Certo.”, si ritrova a soffiare annuendo con la testa, per poi avvicinarsi alla porta d’uscita. “Può almeno…fargli sapere che sono passato?”
“Ma certamente.”, mormora dolcemente l’infermiera, sfiorandogli la spalla in un gesto confortante. Kurt se ne va a piccoli passi, pensando che probabilmente Blaine aveva bisogno di anticipare gli esercizi motori perché non si sentiva tanto bene e non ha avuto modo di avvisarlo. Deve essere stato per forza così, non c’è motivo di sentirsi male.
Eppure – ha questa strana sensazione che gli attanaglia lo stomaco mentre scende ai piani inferiori, una sensazione che non lo lascia andare nemmeno quando torna a casa ed è ora che prepari la cena.
 
***

Ciao Kurt,
Oggi ti chiedo scusa perché dirti Ti amo è difficile.
Ma non avere il coraggio di dirtelo lo è ancora di più.

 
***
 
Kurt si è detto che poteva essere un caso, certo. Ma i casi sono per definizione avvenimenti rari, e la situazione comincia a trasformarsi in qualcosa di ridicolo quando Kurt si presenta ogni giorno alla stessa ora, ma puntualmente salta fuori qualcosa di diverso. Prima gli esercizi motori. Poi visite specialistiche. Controlli dell’ultimo minuto. E la solfa si ripete, finchè un giorno Kurt guarda Selene negli occhi e le chiede se c’è qualcosa che non va, se deve cominciare a preoccuparsi, e Selene sembra quasi tornare una bambina con le mani colte in fragrante, ricoperte di marmellata.
“Blaine ha specificato di non voler più ricevere visite nell’orario concordato con l’ospedale.”, gli mormora cautamente, mostrandogli un foglio in cui compare una traballante firma in quella che ha tutta l’aria di essere la scrittura di Blaine. “E ha discusso con il medico per spostare tutti gli appuntamenti durante l’orario di visita. Possono vederlo solo i genitori.”
Kurt si sente – pugnalato. Quel puro, cristallizzato momento in cui la lama penetra nella carne e poi viene tolta, con il sangue che sgorga copioso dalla ferita. “E si può…si può almeno sapere il perché?”
“Non sta a me dirtelo, tesoro.”, borbotta Selene, guardandolo con occhi che userebbe una madre per guardare il proprio figlio. “Io posso solo – fargli sapere che passi ancora ogni giorno –”
“No.”, soffia Kurt, sentendo le lacrime combattere per fuoriuscire e inondare i suoi occhi. “No, per favore, non le dica che sono passato.”, non sa neanche come spiegare perché quelle parole stiano uscendo dalla sua bocca, ma – forse ha bisogno di staccare. Forse ha bisogno di ferire, oltre ad essere costantemente ferito. Selene tenta di trattenerlo richiamando il suo nome, ma Kurt si volta dandole le spalle e lascia l’ospedale. Non capisce. Non vuole capire. Ha dato tutto sé stesso per stare vicino a Blaine durante quell’estate, e non può credere che di punto in bianco a Blaine questa cosa non vada più bene. Alza distrattamente una mano per richiamare un pullman che sta passando proprio in quel momento; sceglie uno degli ultimi posti e si infila la musica nelle orecchie: chiude gli occhi, e improvvisamente si chiede come sarebbe tornare indietro adesso, tornare ai primi giorni, quando Blaine non sapeva niente di lui e lui non sapeva niente di Blaine. Era tutto più facile. Faceva tutto meno male.
 
Kurt è immerso in un compito di trigonometria – sono passati esattamente sette giorni dall’ultima volta che ha provato ad andare a trovare Blaine, quasi due settimane e mezzo dall’ultima volta che lo ha visto. No, non si sente bene. Ma più che scrivergli, più che averci provato in ogni modo, non sa cosa fare. Abbandona la matita di lato quando uno dei tanti esercizi non gli viene dopo innumerevoli tentativi – si passa entrambe le mani tra i capelli, ed è proprio in quel momento che Carole si affaccia dalle scale che precedono il seminterrato.
“Brutto momento?”
Kurt alza lo sguardo su di lei, sforzandosi di sorridere e pigolando un leggero “No, entra pure”. Carole percorre lentamente le scale e finisce per sedersi sul letto di Kurt; per diverso tempo nessuno dice niente, ma è proprio lei a parlare per prima alla fine.
“Tuo padre è un po’ preoccupato.”
“Lui si preoccupa sempre.”
Carole concorda con una lieve risata. “Beh, a mia discolpa posso dire che è il mestiere di noi genitori quello di preoccuparsi. Credo che fatichi a capire cosa c’è che non va, e ha mandato me per chiedertelo.”
Kurt cerca per un attimo i suoi occhi, poi li riabbassa bruscamente – non trova nemmeno le parole. “E’ solo…”
“Kurt, so che hai smesso di andare a trovare Blaine.”, spiega con calma Carole, disegnando cerchi distratti sopra le lenzuola di Kurt. “Selene era piuttosto preoccupata e mi ha detto a grandi linee cosa è successo.”
“Beh, allora sai anche che Blaine ha spostato tutti i suoi appuntamenti proprio perché non voleva più vedermi.”, sibila Kurt, allargando appena le braccia. “Non vedo altra spiegazione. Non un messaggio, non un niente di niente. Non si è nemmeno sforzato di spiegarmi perché mi ha allontanato, e scusami, scusami se non mi sono dimostrato forte ultimamente –”
“Blaine deve essere rioperato, Kurt.”, lo interrompe Carole bruscamente. Il respiro di Kurt gli si blocca nella gola facendolo rantolare in un suono poco aggraziato; non riesce a dire nulla che abbia un senso, non riesce a formulare un pensiero che abbia un senso. “Hanno trovato delle anomalie negli ultimi risultati degli esami, per questo Blaine va rioperato. Si tratta di un’operazione molto, molto delicata, e Blaine lo sa. Si è preparato nelle ultime tre settimane.”
“Tre settimane?”, chiede in un soffio Kurt, la voce spezzata e gli occhi umidi di pianto, “Blaine lo sa da tre settimane?”
Carole annuisce appena. “Quella di non dirti niente è stata una sua scelta, Kurt, non condannarlo per questo. Sto mettendo a rischio la mia carriera venendo qui a dirti di quest’operazione: non dovrei divulgare quest’informazione a qualcuno che non è suo parente. Lo faccio solo perché sei tu.”
Le braccia di Kurt gli crollano sul grembo; sente le labbra tremare prima che la sua voce di spezzi un singhiozzo netto. “P-potrebbe morire?”, chiede così, a bruciapelo. Ci sono almeno un milione di altre domande che potrebbe fare, ma sceglie di fare quella, perché è l’unica di cui gli interessa la risposta.
Carole abbassa il capo e solo per quello Kurt capisce che è una conferma. Non ha bisogno della sua voce. Si porta entrambe le mani sugli occhi, soffocando un altro singhiozzo. “E cosa – cosa possiamo fare?”
Carole scrolla le spalle appena, mordicchiandosi accuratamente le labbra. “Sperare che vada tutto bene.”, si limita a dire, perché in quel momento non ha altro da offrirgli. “Blaine è – in ottime mani, Kurt, questo te lo posso promettere.”
Kurt a quel punto si stringe nelle spalle, guarda un punto impreciso della propria stanza. “Nelle ultime settimane lui stava combattendo tra la vita e la morte e io gli ho mandato degli stupidi messaggi in cui gli imploravo di rispondermi.”, sbuffa, passandosi il palmo di una mano appena sotto le palpebre, per raccogliere i residui delle lacrime. Si alza di scatto, poi, facendo qualche passo verso Carole per lasciargli un bacio sulla guancia. “Devo andare.”, borbotta velocemente, correndo su per le scale.
“Kurt –”, lo chiama Carole, ma è già troppo tardi: Kurt si è chiuso la porta alle spalle.
 
Kurt lo trova fuori, nel giardino dell’ospedale, rannicchiato come una conchiglia su una panchina, e i riccioli che gli ricadono sulla fronte con delicatezza, pizzicandola quasi. Si rende conto che ha i capelli troppo cresciuti. Forse dovrebbe proporgli di tagliargli un po’.
Gli si siede a fianco e Blaine sussulta – Kurt si sente i suoi occhi addosso per lunghi, interi minuti, ma non sa cosa dire. Trova che il silenzio sia più confortante in certe situazioni, perché le parole sono scomode e si portano dietro significati che a volte non vogliamo dare loro.
Ma alla fine cede – lo fa perché sa che deve essere forte.
 “Ti ho cercato ovunque.”, soffia Kurt, giocherellando con la vernice secca della panchina sotto di lui. Un verde scuro che non gli piace proprio per niente. “Sei stato bravissimo a non farti trovare.”
Di nuovo silenzio. Puro, assordante, cupo silenzio.
“Non so…”, soffia Kurt, scrollando appena le spalle. “A malapena so da dove cominciare.”
“Questo era esattamente ciò che volevo evitare.”, mormora Blaine, la voce appesa a un filo ed appena udibile. “Non volevo costringerti ad affrontare tutto questo.”
“Beh – al diavolo, Blaine!”, sbotta Kurt, alzandosi in piedi e facendo qualche passo in avanti, calciando una foglia caduta a qualche centimetro dalla sua scarpa destra. “Fino a prova contraria sono ancora io a decidere della mia vita!”, non vorrebbe urlare, ma è più forte di lui. Guarda Blaine negli occhi, una mano schiacciata contro il proprio stomaco. “Tu non puoi decidere della mia vita, decidere se posso soffrire o non posso soffrire, non funziona così.”
Kurt si rende conto con una fitta allo stomaco che – è forse la prima volta da quando conosce Blaine che lo vede così. Completamente fragile, così tanto da sembrare distrutto. “Non volevo –”, sussurra, lottando nel cercare di trovare le parole giuste e farsi capire, “Non volevo farti male.”
Kurt aggrotta la fronte, lasciando andare uno sbuffo di fiato. “Blaine, ma non lo capisci che così di male me ne hai fatto ancora di più?”, mormora piano, scandendo le parole come se ognuna fosse di vitale importanza. “Tagliandomi fuori dalla tua vita da un momento all’altro mi hai fatto ancora più male, Blaine. E venire a sapere così di una cosa così importante, venire a saperlo da Carole –”
“Kurt –”
“Tre settimane, Blaine.”, ringhia Kurt, puntando i piedi proprio come un bambino, perché a volte è così che è giusto che ci comportiamo. Come dei bambini. “Tre settimane che sapevi che dovevi operarti e io non sapevo nulla, pensavo – pensavo stessi bene.”, solo a quel punto la voce di Kurt si incrina; finisce per guardare per terra, sbattendo veloce le palpebre e tentando di scacciare via le lacrime. Non è ancora tempo di piangere – adesso deve combattere ed essere forte.
“Volevo dirtelo.”, mormora Blaine un po’ dopo, facendosi spazio in quel silenzio denso di rabbia. “La sera in cui sei venuto e mi hai parlato della festa, te lo avrei detto. Poi – non lo so cosa è successo. Hai cominciato a parlarmi della festa e del fatto che avresti preferito rimanere con me, e mi sono sentito – così egoista, Kurt. Stavo rendendo quest’ospedale la tua trappola e non ero nemmeno in grado di accorgermene –”
“Non mi hai mai costretto, Blaine.”, lo interrompe Kurt con le labbra tremanti. “Io venivo ogni giorno, ma non perché mi costringevi. Perché lo volevo.”
“Ed era proprio questo il problema Kurt, lo volevi!”, sbotta Blaine allargando le braccia, gli occhi finalmente lucidi e un ricciolo che gli ricade sul sopracciglio destro. “Là fuori la vita scorreva e tu preferivi rimanere qui, intrappolato con me. E la parte peggiore sai qual è? Realizzare che ho – così dannatamente bisogno di te. Bisogno di vederti. Anche per poco, non importa. Ma il mio era un bisogno – e non potevo permettere lo diventasse.”
Kurt lo guarda negli occhi, senza alcun tipo di paura. “Perchè?”
Blaine si lecca appena le labbra, e sembra privato di ogni forza quando poi risponde con un filo di voce. “Quest’operazione – non lo sanno come andrà, Kurt. Non possono promettermi niente. Non mi hanno promesso niente. Ecco perché.”
Kurt a quel punto incrocia le braccia, testardo fino all’ultimo secondo. “Carole è positiva.”
“Sì, tutti i medici che mi hanno parlato sono positivi, ma la verità è che nessuno sa come andrà a finire.”, spiega Blaine, e c’è una calma lacerante nella sua voce, che le dà una sfumatura quasi spaventosa. “E Kurt – tu…tu –”, un rantolo, e Kurt percepisce il proprio cuore precipitargli nello stomaco, “Credi davvero che avrei potuto chiederti di rimanere? Nonostante sapessi come potrebbe finire? Che potrebbe finire? Mai. Tu meriti le feste, e i sorrisi dei tuoi amici, di divertirti fino all’alba e di ubriacarti e…non meriti certo di stare in corridoi di ospedale a sperare che io riesca a vincere questa battaglia.”
Kurt serra le dita delle mani in piccoli pugni; cerca di infondersi coraggio e sicurezza, e finisce col risedersi accanto a Blaine sulla panchina. Questa volta però annulla la loro distanza e raccoglie il viso di Blaine tra le mani con la delicatezza che userebbe per raccogliere un fiore di campo. “Io – credo di capire perché lo hai fatto. Allontanarmi.”, soffia, e non riesce a guardarlo negli occhi. Ha paura che dentro Blaine potrebbe leggerci chiaramente tutto quello che prova per lui. “Ti sto solo chiedendo di smetterla di combattere da solo e – di lasciarmi combattere un po’ per te.”, mormora, finendo per afferrargli un ricciolo e sistemandoglielo dietro l’orecchio. “Non allontanarmi.”, soffia pianissimo, e in tutta la sua vita non crede di aver mai percepito il proprio cuore pulsare con più forza. E paura. E determinazione. “Non farlo.”
Blaine chiude gli occhi per un secondo buono – finisce poi col coprire le mani di Kurt con le proprie, aggrappandosi ai suoi polsi. “Io ho solo paura che –”, soffia pianissimo, sbattendo velocemente le palpebre, “Che combattere per me finirà per toglierti ogni forza.”
Kurt annuisce. “Forse lo farà.”, soffia piano, appoggiando le loro fronti insieme e finendo per alzare un angolino della bocca in un minuscolo sorriso. “Ma lascia che sia io a deciderlo.”
 
Blaine viene operato un lunedì pomeriggio, in un giorno d’estate in cui fuori il sole non ha voglia di combattere per farsi vedere. Hanno dato loro venti minuti, e poi porteranno Blaine in sala operatoria. Non hanno avuto bisogno di dirsi qualcosa, semplicemente – Blaine ha allungato una mano e Kurt l’ha stretta fortissimo, si è arrampicato sul letto ed è sparito tra le sue braccia. Ed ha pianto. Avrebbe tanto, tanto voluto non farlo, ma non ce l’ha fatta; non vuole credere a quello che stanno per fare a Blaine, non vuole credere che la sua vita sia letteralmente nelle mani di medici.
“Ho così tanta paura.”, mormora Blaine sulla stoffa della maglietta di Kurt, al livello della spalla, lì dove ha incastrato il suo volto. Kurt cerca di stringerlo più forte, ma non sa come dare senso a tutto quello visto che si sente così debole da spezzarsi. E così chiude gli occhi. Spera che il buio li inghiotta.
“Va bene avere paura, Blaine.”, soffia di rimando Kurt. Si separano per un po’, e Blaine fa qualcosa di così inaspettato; posa una mano sulla guancia di Kurt e rimane a fissarlo per un tempo che sembra infinito; Kurt sa che non dovrebbe fare domande, che non dovrebbe rovinarlo.
“Cosa c’è?”, chiede in un soffio, il cuore nella gola e le guance inondate di rosso. Blaine intensifica la carezza con il pollice, alza semplicemente un angolino della bocca.
“Nulla.”, dice di rimando. “Voglio solo imprimermi il tuo viso nella retina, così sarà l’ultima cosa che avrò in mente prima di addormentarmi.”
Kurt separa le labbra appena, non riuscendo a formulare un pensiero che abbia senso. Sa che vuole baciarlo. Lo vuole così tanto che gli fa male, ma sa anche che non è quello il momento giusto, così finisce – per osservare Blaine di rimando. Perché anche lui vuole avere quel momento impresso nella retina per tanto, tanto tempo.
 
A passargli una mano tra i capelli e chiedergli di andare a casa è Carole, dopo esattamente quattro ore da quando l’operazione è cominciata. Kurt ha fatto in tempo ad appisolarsi sulle sedie dell’ospedale; si passa una mano sugli occhi, e di riflesso controlla l’orario sul cellulare. È passata ora di cena da un pezzo. Con un debole sorriso congeda Carole e si fa promettere di ricevere informazioni. A casa si sforza di mangiare qualcosa di caldo e si rannicchia tra le coperte con il cellulare tra le dita, con il suo subconscio che combatte costantemente tra il sonno e la veglia, tra incubi e sogni inconsistenti.
È poco prima delle cinque che riceve una telefonata da Carole. Le sue parole sono concise ma sbrigative, e Kurt non fa in tempo a svegliarsi completamente che i suoi occhi sono inondanti di lacrime – Qualcosa è andato storto e ha perso molto sangue, lo stanno riportando d’urgenza in sala operatoria – e Kurt inciampa fuori dal letto e recupera le sue scarpe da tennis ormai logore, infila tra i capelli una bandana per non far notare che non ci ha messo nemmeno la lacca – lascia in fretta e furia un biglietto a Finn e a suo padre per dire loro cosa è successo, e si precipita sul suo navigator.
 
Non gli fanno sapere molto una volta che arriva in ospedale. Passa la maggior parte del tempo a camminare avanti e indietro nella saletta dove tengono le macchinette per le bevande calde, accanto al corridoio che porta in sala operatoria. Non fa parte della famiglia, quindi sa che non gli diranno niente comunque. Una ventina di minuti dopo arriva Pam, che lo stringe un po’ come se fosse suo figlio, che fino a quel momento è rimasta ad aspettare proprio fuori la sala. C’è solo silenzio, per un bel po’ di tempo. Kurt comincia a ricevere i messaggi del Buongiorno con estrema calma, segno che anche il mondo intorno a lui si sta svegliando; riesce a malapena a scrivere un messaggio a Rachel in cui l’avvisa che quel mattino non riuscirà ad essere a lezione.
Piano piano, gli sembra di sgretolarsi e poter diventare sempre più piccolo. Si aggrappa al proprio cellulare – non ha nient’altro da stringere, nient’altro da tenere tra le mani – e spera solo che Blaine sia forte abbastanza, Ti prego fa che Blaine sia forte abbastanza –
Carole li raggiunge in quel momento, un sorriso stanco sul volto di una persona che ha appena visto una battaglia vinta con i suoi stessi occhi. “Sta bene.”, mormora semplicemente, “Sta bene, è fuori pericolo.”, e Kurt semplicemente l’abbraccia schiacciando le dita contro la sua schiena e inalando il suo profumo perché dio, Blaine ce l’ha fatta. E solo quello è importante. Tutto il resto non conta.
“E’ molto, molto debole, ma potrebbe fargli bene vederti.”, gli sussurra appena, e Kurt non ha bisogno di sentire altro. Con la coda dell’occhio vede Pam avvicinarsi a Carole e abbracciarla stretta, e solo dopo Kurt comincia a correre; corre come non ha mai fatto prima in vita sua lungo il corridoio e spalanca la porta della cameretta in cui tengono Blaine: da lontano, attraverso il vetro, ha notato i suoi riccioli. Quando entra – francamente pensava di sapere cosa dire. Vede solo il volto di Blaine, percepisce la stanchezza dal suo sguardo, ma non riesce a dire niente – qualcosa gli si blocca nella gola e fa quasi male perché ha avuto così tanta paura, non riesce nemmeno ad esprimerlo a parole, così tanta paura di perderlo –
“Kurt.”, soffia appena Blaine. Solleva appena una mano dalle lenzuola, il palmo rivolto verso l’alto. Sembra così piccolo – il volto fasciato in parte e un occhio nero per via dell’emorragia, come gli ha spiegato Carole una volta che era arrivato lì all’alba. Si avvicina con cautela, posando la propria mano su quella di Blaine e formando un inevitabile e speculare groviglio di dita. Si lascia cadere una lacrima che proprio non riesce a trattenere.
“Non piangere.”
“Sono solo felice.”, confessa Kurt in un soffio, cercando i suoi occhi. “Non ne hai idea –”, odia il fatto che un singhiozzo lo prenda alla sprovvista. Blaine si sforza di stringere più forte la sua mano, gli sorride appena.
“Vieni qui.”, chiede in mormorio, e Kurt si avvicina a lui con cautela e finisce per sedersi sul letto, adagiando il proprio corpo in parte su quello di Blaine, stando attento a fargli male. Incastra la fronte appena sotto il suo petto, sospirando felicemente, e poi un braccio di Blaine è attorno alla sua schiena. Due pezzi di puzzle. Contorni che si cercano e creano la giusta angolazione. “Non c’era altro che potessi volere.”, soffia appena Blaine, accarezzandogli appena la schiena. “Trovare te appena sveglio. Non volevo altro.”
Kurt chiude gli occhi, stringe il camice di Blaine tra le dita. Ad un tratto gli sembra come di poter esplodere, ma si rende conto che forse tutto quello che sta provando è sempre stato lì, in un certo senso, solo che non era in grado di dargli un nome, di prenderlo tra le dita e quantificarlo, perché non è possibile. Ma Kurt lo ama. Chi vuole prendere in giro – lo ama. Lo ama disperatamente, così tanto che a volte non riesce nemmeno a ricordarsi cosa fosse senza di lui, senza le loro litigate, senza quella pennellata di vita e colore puro.
Kurt Hummel è innamorato di Blaine Anderson e lo realizza mentre sorride e sta piangendo. Perché l’amore è questo che fa – arriva strappandoci un sorriso, ma a volte lo si accetta con le lacrime e non perché faccia male – ma perché è con le lacrime che si vedono chiaramente le cose belle.
 
Blaine torna in sé piano piano. Ci vuole comunque tempo, perché la ferita è comunque importante e il dolore si fa sentire a volte più del dovuto – ma come promesso, Kurt rimane. Che sia da lontano o da vicino, sceglie di osservare la sua guarigione e fa tesoro di ogni momento. Si sente vicino alla sua famiglia come non gli è mai successo con la famiglia di nessun altro, ed è sempre il primo a proporsi di portare a Blaine un caffè, un DVD diverso ogni sera che possono guardare insieme.
Kurt ammette che aver guardato Blaine negli occhi e aver capito di essere innamorato di lui non è stato semplice – pensava che le cose tra di loro cambiassero radicalmente, ma non è stato così. Certo, non può fare a meno di distogliere lo sguardo adesso se sente gli occhi di Blaine addosso per troppo tempo e si ritrova ad avere il cuore nella gola ogni volta che Blaine gli sfiora la mano delicatamente, ma – c’è un senso di quiete indescrivibile nell’essere consapevoli dell’amare qualcuno. Un senso di potere, anche. Kurt si sente così forte da esserne fisicamente spossato.
Una sera di fine estate, quando finalmente Blaine comincia a sentirsi meglio, lo costringe a lasciare la stanza d’ospedale dopo averlo aiutato a fare i compiti e lo porta fuori, sotto le stelle; posa per terra una coperta e ce lo fa distendere sopra con cautela e gli si mette accanto, mentre sente il cuore palpitargli nella gola.
C’è qualcosa di tacitamente diverso quella sera – qualcosa di pesante e non detto e bellissimo, che sfiora Kurt a fior di pelle come una carezza lenta. Punta gli occhi nel cielo notturno scuro come l’inchiostro e, anche se solo con la coda dell’occhio, vede Blaine che sta osservando lui. Per un momento, per un assurdo e fugace momento, ha la sensazione di essere il cielo di qualcuno, e si sente così bene da averne paura.
“E’ magnifico.”, soffia Kurt a un certo punto, il respiro corto incastrato nella gola. “Il cielo, le stelle, stare qui ad impararle a memoria.”
“Magnifico.”, conferma Blaine, ma con una sbirciatina Kurt si accorge subito che non sta ancora osservando il cielo: sta ancora guardando lui. Si costringe a voltarsi per poterlo guardare negli occhi, le loro fronti sono appena a contatto e i riccioli di Blaine toccano di sfioro i capelli acconciati di Kurt. “Ti fa capire quanto esattamente tu sia fortunato a poterne essere testimone ogni giorno. Soprattutto, sai – dopo quello che è successo.”
Kurt deglutisce appena. “Ho avuto così tanta paura –”, non riesce nemmeno a finire la frase. Chiude gli occhi per qualche secondo, si lecca le labbra. “Non riuscivo neanche a respirare il momento in cui Carole è uscita dalla sala operatoria. Quando mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che stavi bene il mondo è ricominciato a girare.”
“Anche io ne ho avuta tanta di paura.”, ammette Blaine. Le loro dita si trovano a metà tra i loro corpi. In quel momento francamente Kurt non saprebbe dire se appartiene più a sè stesso o al ragazzo che gli è disteso accanto, ed è spaventoso. “Non so se era un sogno o se mi sono svegliato per una manciata di secondi, ma credo di aver sentito qualcuno dire ad alta voce che mi stavano perdendo.”
“Sì, Carole mi ha spiegato che la prima operazione non è andata bene.”
Blaine si lecca appena le labbra, e non lascia mai andare i suoi occhi. “Che fosse un sogno e realtà, ho stretto forte le palpebre e mi sono detto che dovevo combattere. Non poteva finire così. E non è finita.”
“Grazie al cielo.”, ammette Kurt in un sospiro. “Ci sono ancora così tante cose che devi fare, Blaine – finire il liceo, realizzare tutti i tuoi sogni, visitare un sacco di posti…”
“Non ho pensato a nulla di tutto questo quando mi sono detto che dovevo combattere.”, dice piano Blaine, e Kurt serra le labbra, preso in contropiede. Blaine non l’ha mai guardato così prima; c’è qualcosa nei suoi occhi che fa contorcere lo stomaco di Kurt in una morsa piacevole. Blaine gli si avvicina lentamente, e Kurt è tradito da sé stesso quando i suoi occhi cominciano a vagare su tutto il suo volto, concentrandosi prima sulle sue labbra e poi sui suoi occhi.
Si sente così dannatamente libero. E allo stesso intrappolato in quella pennellata di colore.
“E a cosa hai pensato?”, gli chiede, rimanendo ingenuo, lì con il cuore aperto e palpitante. Gli angolini della bocca di Blaine si stiracchiando verso l’alto, e i suoi occhi non sono mai stati più limpidi che in quel momento.
“A te.”, soffia. E semplicemente, poi, annulla la loro distanza e posa le labbra su quelle di Kurt, sollevando una mano per posarla delicatamente contro la sua guancia. Niente si muove attorno a loro, c’è il silenzio più assoluto spezzato solamente dal movimento appena accennato di bocche inesperte ed affamate. Il tempo scorre inesorabilmente e Kurt e Blaine lasciano che sia così, dimenticandosi per un po’ del grande spettacolo che c’è sopra le loro teste – creando loro un tipo di spettacolo completamente nuovo e diverso.
 
***
 
Blaine viene dimesso una settimana prima dell’inizio della scuola. Dopo il bacio, le cose sono un po’ cambiate – non si considerano nulla ancora, anche se ogni volta che si guardano balena a entrambi nella mente il ricordo di quella notte stellata. La loro è una tacita promessa: la promessa di quello che potrebbero essere. Kurt continua ad andare a trovarlo ogni giorno e lo aiuta con i compiti delle vacanze, lo sostiene durante la guarigione senza lasciarlo mai andare, ed è con lui quando finalmente firma i documenti che gli permetteranno di tornare a casa.
Si promettono di vedersi presto, non appena la scuola ricomincerà.
E Kurt dentro di sé è inondato di speranza perché sa – semplicemente, sa che quello sarà un anno diverso.
 
Il cuore gli scarta un battito quando non lo vede sull’autobus il primo giorno di scuola. Il primo istinto è quello di inviargli un messaggio per chiedergli se stia bene, ma lo ha sentito quasi tutti i giorni dopo le dimissioni dall’ospedale ed è certo che glielo avrebbe detto se fosse successo qualcosa. Scende dall’autobus con il telefono tra le dita nella speranza di ricevere un messaggio che si ostina a non arrivare, ma è proprio qualche istante dopo che lo scorge da lontano, in un parcheggio vicino alle scuole. Sta scendendo dalla macchina insieme ai suoi amici – i suoi soliti amici, quelli che non sono mai venuti a trovarlo, quelli che a malapena si sono interessati a lui –
Kurt si ripromettere di essere superiore e si avvicina al parcheggio con un sorriso sulle labbra. Ha voglia di parlargli, come è normale che sia; non lo vede da qualche giorno ed è così felice che adesso stia bene finalmente, e possa tornare a vivere la sua vita. Accorcia la distanza che li separa e arriva a qualche metro da lui, le dita accartocciate attorno alla sua borsa a tracolla e il cuore nella gola.
“Blaine?”
Blaine si volta con una sigaretta tra le dita; il suo viso si addolcisce immediatamente quando lo vede, ma un secondo dopo riceve una pacca forte sulla spalla da un suo amico, ed improvvisamente i suoi occhi si fanno distanti anni luce; Kurt ha la fredda sensazione di non conoscerlo nemmeno.
“E questo chi è, Anderson?”, la risatina che si scatena subito dopo quella reazione fa immediatamente indietreggiare Kurt, che però non riesce a distogliere lo sguardo da Blaine. Vuole capire cosa sta succedendo. Ma più di tutto, vuole sentir dire da lui che cosa prova.
Blaine distoglie lo sguardo, si porta la sigaretta alle labbra con un ghigno leggero. Ha le spalle curve, e un po’ per quello Kurt sa che sta soffrendo. Lo sa e basta.
“Come…”, soffia, mordicchiandosi appena il labbro inferiore. “Come stai?”
Di nuovo una risata. Kurt ha così voglia di gridare, di spaccare qualcosa con le sue stesse mani perché – lui si è preso cura di Blaine in tutti quei mesi, non loro, loro non hanno il diritto di giudicare o ridere, non c’erano, non possono sapere cos’hanno passato –
“Hummel.”, la voce di Blaine è calcolata e fredda, seppur traballante all’inizio. “Non stalkerarmi.”, borbotta, e poi si volta verso i suoi amici, facendo loro segno di andare via.
Un momento prima Kurt si sente – lacerato. Una crepa che parte dal cranio e arriva al ventre, spaccato a metà e dimenticato; un secondo dopo, tutto il dolore si tramuta in rabbia. Perché non è quella la persona che ama. Il Blaine di cui si è innamorato è dolce e gentile, e ha combattuto per lui.
Quella persona è il suo fantasma e Kurt non è sicuro di volerci avere a che fare.
 
Non si stupisce quando Blaine lo raggiunge a scuola finita, Kurt fa a malapena in tempo a voltare l’angolo per raggiungere la fermata che gli cattura un polso e lo avvicina sé. Poco male: Kurt lo spinge via immediatamente dopo con tutta la forza che ha in corpo.
“Non ti azzardare.”
“Kurt, ascoltami –”
“Non stalkerarti.”, ringhia Kurt, puntando gli occhi nei suoi. “Fai sul serio? Fai sul serio, Blaine? Perché per me può finire qui. Può benissimo finire qui, qualsiasi cosa ci sia tra di noi. Perché non mi puoi trattare così davanti ai tuoi amici e poi ricomparire come se non fosse successo niente –”
“Mi dispiace.”, mormora Blaine, afferrandogli una mano e tentando di avvicinarlo, “Io – non lo so cosa – non so perché mi sono comportato così. Avevo paura. Così tanta paura –”
“Di chi, Blaine? Degli amici che per una intera estate se ne sono fregati di te e non ti sono nemmeno venuti a salutare? Anche una volta sarebbe bastata. Gran bella amicizia la vostra.”
“Kurt –”, mormora Blaine, tentando disperatamente di tenerlo fermo. “Kurt, solo – smettila. Non me ne importa niente di loro. Mi importa di te.”
“E allora perché mi fai male?”, sbotta Kurt, gridandoglielo in faccia, senza più trattenersi tutto dentro. “Perché devi farmi male? Io pensavo – di arrivare qui oggi e viverti con tranquillità e tu – tu mi hai calpestato come se fossi qualcosa che non ha il minimo valore per te. Non ho – non ho il minimo valore per te, Blaine.”
“Sei importante per me.”
“Smettila di mentirmi!”, grida Kurt, riuscendo finalmente a divincolarsi. Sente gli occhi pizzicare di lacrime, ma sceglie comunque di ignorarli. “Tu non hai idea – dei sacrifici che ho fatto, va bene? Ho messo da parte i miei amici, a volte mio padre e Carole, Finn – per riuscire ad esserci per te quest’estate. I tuoi amici preferivano andare in piscina a divertirsi e io ogni giorno ero accanto a te e non – non perché mi sentivo costretto, ma perché volevo farlo. Perché mi faceva stare bene vederti sorridere. Ma non sono – non sono un oggetto, Blaine.”, soffia Kurt, passandosi una mano tra i capelli. “Non puoi usarmi quando ti fa comodo e gettarmi via nel momento in cui ti rendi conto che non hai più bisogno di me, non funziona così.”
“Kurt –”
“Non toccarmi!”, esclama Kurt, facendo un passo indietro e puntandogli un dito contro, un piccolo singhiozzo che gli abbandona la gola. “Stammi – stammi lontano Blaine, dico sul serio.”
Kurt non volta neanche indietro, percorre a memoria la strada che lo porta alla fermata e si infila nel bus con lo sguardo basso e gli auricolari tra le orecchie.
 
Blaine ha perso il conto di quante volte ha preso in mano il telefono per chiamare Kurt. Per scrivergli un semplice messaggio e dirgli esattamente – cosa, non lo sa nemmeno lui. Non sa da dove cominciare, sa solo che ha sbriciolato con le sue stesse mani la cosa più bella della sua vita.
Alza lo sguardo e si guarda allo specchio e pensa solo – che ha paura. Blaine non è quel tipo di ragazzo spensierato che riesce a cavarsela con dei bei sorrisi; lui è quello che si nasconde dai sentimenti, che non sa prenderli tra le dita. Per quello lo spaventa così tanto provare qualcosa per Kurt – perché è inevitabile, prova qualcosa per Kurt. Non sa quantificarlo, e in qualche modo sa che quantificarlo sarebbe sbagliato. Ha il terrore di dare un nome a tutto quello – ma come puoi chiamare un cuore che pulsa ogni volta che lo vede, il respiro che si blocca nella gola quando Kurt alza un angolino della bocca per sorridere alle sue battute, o quella voglia sotto pelle di vederlo e non stancarsi mai?
Blaine ha sempre pensato fosse più semplice fare finta di niente. Fare spallucce e fumare insieme ai suoi amici, divertirsi senza rendere conto a nessuno, senza affezionarsi a qualcuno in particolare. Con Kurt è diverso – con lui ha sentito il bisogno di essere migliore. Di combattere quel tanto che bastava per essere qualcuno da cui non venire deluso ancora e ancora.
Si distende sul letto fissando il soffitto, chiudendo forte gli occhi – e immaginandosi per un breve momento di essere più coraggioso di così, di essere forte abbastanza da andare a casa di Kurt, bussare alla sua porta e dirgli semplicemente che ha voglia di – provare. Emozionarsi. Che sta rincorrendo quelle sensazioni da tutta la vita.
Ma è quello il punto – Blaine non è mai stato così. È ciò che c’è di più lontano, è così complicato che non capisce lui stesso cosa prova, e si odia.
E una persona come lui – una crepa nel ghiaccio, una foglia caduta, un fiore appassito – non può di certo meritare un raggio di sole.
 
C’è la festa di inizio campionato a circa metà ottobre, ed è la perfetta occasione per tutti gli studenti di andarci. Kurt non ha dubbi: quella sera vuole lasciarsi tutto alle spalle e andare alla festa con i suoi amici del glee, perché ne ha bisogno. Sa perfettamente che ci sarà anche Blaine, come sa perfettamente che non ci parla da quasi un mese, ormai – che non ha risposto a nessuno dei suoi messaggi, ed ha smesso definitivamente di sperare che le cose possano cambiare. Ha smesso di ascoltare il suo cuore rotto.
Si rifugia dietro le chiacchere e sorrisi tutta la sera, e per quello che vale – si diverte. Improvvisa un balletto con le ragazze che fa scoppiare a ridere Puck e Finn, beve qualcosa di analcolico e verso fine della serata si ritrova ad ascoltare Tina che si lamenta della sua inesorabile cotta per Mike. Solo dopo qualcosa da lontano cattura la sua attenzione: sembra esserci del trambusto tra i giocatori di football delle varie squadre, così Kurt e gli altri decidono di avvicinarsi per capire cosa sta succedendo, ed è in quel momento che lo vede.
Blaine, a qualche passo dal falò. Completamente ubriaco. Kurt vorrebbe per lo meno trovare la forza di trovare la scena divertente, ma sente qualcosa al livello dello stomaco appesantirsi e contorcersi inesorabilmente; nonostante Finn cerchi di persuaderlo, Kurt decide di avvicinarsi a lui comunque. Perché ha smesso di nascondersi dietro chiacchere e sorrisi.
“Blaine.”, lo chiama a voce bassa, mentre la risata del ricciolo sfuma. Si volta, e con estrema calma sembra riuscire a metterlo a fuoco: nella mano destra tiene ancora stretta una bottiglia. Ha gli occhi arrossati e lucidi, e per un attimo Kurt sente l’urgente e bruciante bisogno di urlare.
“Oh, e-eccoti qui.”, borbotta Blaine, leccandosi appena le labbra e ridacchiando subito dopo. Si volta cercando i suoi amici, ma la verità è che nessuno di loro è abbastanza sobrio da prestargli attenzione. “Sei – bellissimo, Kurt.”
Kurt sente che il pianto potrebbe tradirlo da un momento all’altro. “Andiamo a casa, Blaine.”
“Non vado proprio da – nessuna parte. Sono venuto qui per – bere, non vedi?”, borbotta, sollevando appena la bottiglia vuota. Ci vuole qualche secondo buono prima che trovi nuovamente le parole. “E – divertirmi.”
“Non è divertente però stare soli ad autocommiserarsi, cosa che stai evidentemente facendo.”
“Ma come sei carino.”, soffia appena, scoppiando a ridere immediatamente dopo. Kurt sente l’impulso di scappare via. “Sempre a prenderti cura di me, nonostante non me lo meriti.”, borbotta Blaine, leccandosi appena il labbro inferiore. Si volta verso i suoi amici, fischiando per attirare la loro attenzione. “Lo sapete che Kurt veniva ogni singolo giorno, quest’estate? Ogni. Singolo. Giorno.”, molti dei suoi amici a quel punto ridono, e Kurt si chiude le mani attorno al petto come per proteggersi. “Come se ne avessi avuto bisogno –”
“Non sei in te, Blaine.”, soffia Kurt, una lacrima che attraversa inesorabilmente la sua guancia, “Smettila.”
“Io non ti ho mai chiesto niente, Kurt.”, continua però Blaine, allargando le braccia. “Non ti ho mai chiesto di mantenere nessuna promessa, di tornare ogni giorno – non ti ho mai chiesto di fare nulla.”
“No che non me lo hai chiesto, Blaine, e sai che ti dico? Se tornassi indietro non farei niente di quello che ho fatto per te, niente!”, grida Kurt, finalmente ribellandosi e lasciando andare le lacrime senza vergogna. Si passa una mano tra i capelli, e per un attimo se ne frega del mondo, di tutti i suoi amici che lo stanno guardando e di quelli di Blaine. “Non sei nemmeno in grado di dirmi grazie, Blaine. Sono venuto in ospedale per tutta l’estate con nient’altro che la voglia di conoscerti meglio e starti vicino, e non sei nemmeno in grado di guardarmi negli occhi e dirmi che l’unico motivo per cui sorridevi ero io.”, dice ad alta voce, passandosi un pollice sulla guancia per scacciare via una delle tante lacrime cadute. “Ma va bene così, Blaine: rimani questa persona, rimani questo codardo che non riesce nemmeno ad ammettere di provare qualcosa per me. Perché provare è da sfigati, vero Blaine? E io invece oggi ti dico che provare rende coraggiosi e te lo dimostro pure. Sono innamorato di te.”, mormora allargando appena le braccia, e gli viene da sorridere in mezzo alle lacrime perché una situazione assurda, ma non può più tenersi tutto dentro. “Sono – sono innamorato di te, probabilmente dal primo momento in cui ti ho visto su quell’autobus. Sono innamorato di te anche se in questo momento ti sto odiando così tanto, perché l’unica cosa che sai fare è sminuire tutto quello che ho fatto per te. Ma sai cosa? Io ho amato quest’estate, ogni momento. Ho amato i litigi, il sorriso che facevi dopo che ti portavo il caffè, le volte in cui giocavamo. Tutto, ogni singolo momento, e non lo rimpiango. Se tu vuoi farlo peggio per te Blaine. Rimani pure con i tuoi amici, le stesse persone che non hanno trovato neanche cinque fottuti minuti del loro tempo per venire a trovarti.”, sbotta voltandosi verso di loro, cercando i loro occhi pieni di vergogna uno per uno. “Rimani così, resta codardo. Resta solo. Non è più compito mio venire a salvarti.”
Detto quello, Kurt si volta definitivamente, cercando gli occhi di Finn, che sembra sbalordito. “Mi porti a casa?”, chiede in un soffio, e Finn annuisce immediatamente, seguendolo verso il navigator. Non dicono niente durante tutta la camminata, ma a un certo punto Finn si sfila la giacca dei Titans e gliela mette sulle spalle – e quel piccolo gesto vale molto di più di qualche parola.
 
Quando Kurt sente il campanello di casa suonare il mattino dopo, qualcosa di indefinito dentro di lui gli fa capire perfettamente chi possa essere. Ma allo stesso tempo, quando apre la porta e di fronte si trova Blaine, ha comunque l’impulso di gridare di frustrazione – e al contempo non riesce ad ignorare quella morsa che gli attanaglia la gola.
Ha bisogno di guardargli un attimo gli occhi, non di più – e poi fa per chiudere la porta, perché non crede di farcela, molto semplicemente. Blaine però fa un passo avanti e blocca la porta con una mano, il volto che sembra quasi disperato.
“Kurt, solo – aspetta –”
“Vattene.”, la voce di Kurt suona piatta persino alle sue orecchie. È così stanco. Ha dormito malissimo quella notte per via di ciò che è successo alla festa, e l’ultima cosa di cui ha bisogno è ripensare a tutto ciò che Blaine gli ha detto. “Davvero Blaine, vattene.”
Blaine lo guarda negli occhi, e sembra stanco almeno quanto lui: profonde occhiaie segnano i suoi occhi e i suoi riccioli non formano onde piacevoli come al solito. “Scusami.”
“Non me ne faccio niente delle tue scuse.”, soffia appena Kurt. Non riesce nemmeno ad essere forte abbastanza da alzare la voce. “Hai detto delle cose orribili di fronte a tutte quelle persone e hai – calpestato tutto quello che ho fatto per te in questi mesi come se non valessi niente. Non le voglio le tue scuse.”
Blaine lascia scivolare lo sguardo sui propri piedi, leccandosi appena le labbra. “Non intendevo nulla di quello che ti ho detto.”, mormora. “Non ero in me.”
“Blaine.”, quella di Kurt sembra una supplica, la sua voce ha l’aspetto di una foglia che sta per spezzarsi dal suo ramo e infrangersi a terra. “Tu mi hai spezzato il cuore.”
Blaine stringe forte le palpebre, ma non riesce a dire nulla. Kurt fa per chiudere la porta nuovamente alle sue spalle, ma il ricciolo lo blocca con un movimento fluido della mano.
“Ho solo –”, soffia in un rantolo, cercando gli occhi di Kurt nel frattempo, “Solo bisogno di sapere se quello che mi hai detto ieri sera era reale.”, mormora, e per la prima volta Kurt ha la sensazione di non essere l’unico tra i due ad essere spezzato. “Perché ho vaghi ricordi e sono offuscati ma – quello, quello in particolare, voglio avere la certezza che sia reale.”
Kurt deglutisce appena, gli occhi lucidi che minacciano di tradirlo. “E’ reale.”, soffia semplicemente, scrollando le spalle. Perché non può controllarlo. “Sono innamorato di te.”
Blaine rimane immobile, senza dire una parola.
“Sono innamorato di te, ma tu continui a spezzarmi il cuore, Blaine.”, dice piano Kurt, e questa volta finisce col chiudere la porta. Non riesce a muoversi più di tanto; appoggia la fronte al legno e scoppia a piangere in silenzio, avvolgendosi lo stomaco con le braccia e sperando che al più presto tutto quello finisca.
Dall’altra parte, incapace di muoversi a sua volta, Blaine appoggia una singola mano aperta sul legno della porta di casa Hummel. E rimane lì ad ascoltare Kurt piangere, odiandosi per non avere la forza di essere migliore.
 
***
 
Kurt e Blaine lasciano scorrere i mesi – perché da qualche parte devono aver letto che è il tempo ad aggiustare le cose. Solo che non sempre dicono che sì, il tempo aiuta a dimenticare, ma non cancella del tutto quello che si è portato via.
Kurt continua a guardare con malinconia il giorno del compleanno di Blaine – esattamente un anno prima, lo stesso giorno in cui è cominciato tutto quanto. Blaine lo vede ancora, certo che lo vede ancora, circondato dai suoi amici mentre si sente al sicuro e in una botte di ferro. Non osa avvicinarglisi, perché sa che ora come ora sarebbero in grado semplicemente di ferirsi. Si sono scritti, una volta. E Kurt si odia perché per così tanto tempo si è aggrappato a quelle semplici parole e – sa che non dovrebbe farlo
- Non lo dovrei dire e lo so, ma sei più importante di quanto credi, più importante di quanto riesca ad esprimere a parole e di quanto riesco a dimostrarti. Non ne sono capace. Ti prego, dimmi cosa posso fare per rimediare. -
- Aspettare. -
Aspettare, aveva risposto Kurt, forse un po’ perché in fondo non sapeva di cosa davvero avesse bisogno, e un po’ perché forse davvero il tempo era la chiave. Non poteva esserne sicuro.
 
***
 
Blaine crea una scatola in cui dentro mette tutti piccoli bigliettini in cui chiede scusa a Kurt. Non conosce la ragione di tutto questo, sa solo che ha il bisogno di scrivere su qualsiasi cosa che gli dispiace. La scatola si riempie sempre di più, ma non francamente non sa se avrà mai il modo di mostrarla a Kurt. In cuor suo pensa che sia stupido, che ci voglia ben altro per rimediare. In cuor suo, sa che Kurt non ha bisogno di lui, ma ha bisogno di qualcuno che riesca ad amarlo per come merita.
E Blaine non sa amare. Non ne è capace, non sa nemmeno da dove cominciare.
 
***
 
A volte aspettare alla fermata è un vero e proprio incubo, perché Kurt incontra persone che non avrebbe mai voluto vedere. Quel primo pomeriggio gli capita un amico stretto della cerchia di Blaine, che lo punta già da lontano.
“Ehy, principessa, non credo di averti mai chiesto se ti sei divertito al falò. Dev’essere stato bello sentire quelle cose su di te.”
Kurt fa quello che ha imparato a fare, lo ignora. Si mette gli auricolari nelle orecchie e soffre dentro, intimamente, dove nessuno può vederlo. Scorge finalmente il bus da lontano e fa per avvicinarsi di più alla fine del marciapiede, quando viene strattonato con forza perdendo gli auricolari –
“Ti sto parlando, frocio, è maleducazione non ascoltare, non te lo ha mai detto nessuno?”
“Lasciami –”
Kurt ha ancora il grido della gola quando vede chiaramente il corpo di Blaine entrare nella sua visuale; dà un pugno ben assestato sul viso del proprio amico che inciampa all’indietro con il naso sanguinante.
“Sta lontano da lui.”
“Che cazzo, Blaine!”, si lamenta Fred, sfiorandosi il naso con il polso. “Sto sanguinando.”
“Chiedigli scusa.”, ringhia appena Blaine, una mano posata delicatamente sulla schiena di Kurt. “Forza.”
“Tu mi colpisci e mi fai sanguinare e sarei io quello che deve chiedere scusa?!”
“Vuoi un altro pugno?”, borbotta Blaine, e Kurt sa che non dovrebbe farlo, ma finisce col sorridere. Fred si volta verso di lui con un ghigno poco piacevole.
“Scusami tanto, frocetto –”
Blaine avanza un calcio verso di lui ma Kurt gli si para davanti in un attimo, costringendolo a guardarlo negli occhi. “Fermati fermati fermati – Blaine. Basta. Non ne vale la pena. Io non ne valgo la pena.”
Blaine lancia un’ultima occhiata verso Fred, solleva entrambe le mani per incorniciare il volto di Kurt. “Tu stai bene?”, gli chiede dolcemente, e Kurt non fa altro che annuire. Riescono a prendere il bus per miracolo, lasciandosi dietro Fred dolorante e ancora disteso a terra. Prendono posti vicini, ma non Blaine non scende alla sua fermata, e Kurt non capisce.
“Non voglio andare a casa, voglio stare con te.”, dice semplicemente, e quella frase vuol dire così tanto eppure niente. Kurt gli si avvicina e incastra perfettamente il volto alla sua spalla, chiudendo appena gli occhi e lasciandosi cullare.
 
In camera di Kurt, Blaine si guarda attorno come se fosse la prima volta in tutta la sua vita che vede – e a modo di toccare con le dita – qualcosa di estraneo. Cerca continuamente gli occhi di Kurt, e finisce per sedersi ai piedi del letto, così piccolo pur essendo grande.
“Nonostante non sia un grande sostenitore della violenza –”, inizia Kurt scrollando le spalle, le parole appena udibili, “Volevo ringraziarti per quello che hai fatto.”
Blaine annuisce appena, sfiora con le dita il piumone di Kurt, e solo dopo si lascia scappare un minuscolo sorriso. Il castano si siede accanto a lui raggiungendolo a piccoli passi, intercetta la sua mano nei movimenti e le loro dita finiscono per stringersi appena – e forse è vero, era solo tempo. Altrimenti Kurt non sa spiegarsi quello che sta provando in questo momento.
“Buon compleanno, Blaine.”
Blaine aggrotta appena le sopracciglia. “Ti sei ricordato.”
“Non potevo dimenticarmi.”, soffia Kurt. “Lo scorso compleanno venni a sapere del tuo incidente. Lo so che non ti conoscevo, a malapena ci eravamo parlati, ma – sentivo qualcosa, qualcosa che spingeva inesorabilmente verso di te, dal primo momento in cui ti vidi su quell’autobus. Eri diverso. E le notti prima dell’incidente – io non lo so perché, ma ti sognavo. Ti sognavo, e sentivo che stava per succedere qualcosa di brutto.”
Blaine si lecca appena le labbra. “Te lo sai spiegare?”
“No.”, risponde piano Kurt, deglutendo subito dopo. “Suppongo ci siano delle cose che non possono essere spiegate.”
Rimangono in silenzio per molto tempo, poi. Lo spezza Kurt, nel momento in cui si alza alla ricerca di un pacchettino che aveva ben nascosto nel primo cassetto del suo comodino; Blaine lo apre con cautela, estraendone un braccialetto di pelle nera con la chiusura in acciaio. Se lo mette senza pensarci, sfiorandolo per diverso tempo con le dita, e solo dopo alza lo sguardo verso Kurt, chiudendo le mani attorno al volto di Kurt.
“Vorrei essere in grado di darti di più.”, mormora appena, mordicchiandosi il labbro inferiore febbrilmente, “Non sei tu il problema, il problema sono io, c’è qualcosa di sbagliato dentro di me che mi impedisce di – non lo so, combattere e tenerti con me, non saprei come altro spiegarlo. A volte penso che vorrei portarti via da qui e tenerti con me per sempre. Posso portarti via da qui e tenerti con me per sempre?”
Kurt sbatte le palpebre due singole volte. “Sì.”
“Allora facciamolo.”
Kurt ridacchia in mezzo alle lacrime, che prontamente Blaine si cura di scacciare via. “Il problema sta nell’ammettere che ti stai innamorando di me.”, gli spiega con calma, tirando su con il naso. “Perché tu sai che con me non sarebbe semplice. Non sarebbe quella cotta che ti porta via una settimana, a cui non sai dare una spiegazione. No, Blaine, tu sai che con me non sarebbe questo, sarebbe di più. Io voglio le parti brutte e quelle belle, io voglio i baci strappati che sanno di caffè, voglio le litigate al mattino e voglio vederti crescere e sbagliare; voglio l’infinito, Blaine, anche se l’infinito ha una spiegazione che non sempre comprendiamo, ma qualsiasi cosa sia, lo voglio con te, e lo so dal primo momento. È spaventoso, lo capisco, provare un sentimento così totalizzante alla nostra età. Ma piano piano io ci sono arrivato. E non –”, Kurt posa le labbra sulla guancia di Blaine, vicino all’angolo della bocca, troppo lontano comunque per essere considerato un bacio vero. “Non ho intenzione di tenerti con me finché non sentirai di essere pronto.”
Blaine rimane immobile, e più di ogni altra cosa, con tutto sé stesso, vorrebbe dirgli che si sente pronto. Separa le labbra, raccoglie tutto l’ossigeno che può – ma alla fine non dice niente.
E nulla cambia.
 
***
 
Kurt riempie i moduli di iscrizione per scuole di New York in cui intende andare, perché non ha la minima intenzione di passare il resto della sua vita a Lima. Ha bisogno di staccare. Gli mancherà la vita di un paese piccolo, gli mancheranno le cene del venerdì con suo padre e Carole e quelle piccole cose che solo le strade del paese in cui è nato riescono a dargli – ma ha bisogno della città. Ha bisogno di perdersi nel caos, ha bisogno che una città come New York lo plasmi, e gli permetta di cambiare.
Uno degli ultimi giorni di scuola, mentre si incammina verso la fermata – la sua costante in tutti quegli anni di liceo – da lontano vede Blaine seduto su una panchina che scherza con un altro ragazzo. Le loro mani si sfiorano un paio di volte e il sorriso di Blaine sembra così genuino che Kurt deve letteralmente aggrapparsi con ogni forza di volontà a quel poco di orgoglio che gli è rimasto per distogliere lo sguardo.
Sorride amaramente, una volta tornato a casa. Non sa nemmeno se ha la forza di arrabbiarsi.
Finisce per prendere il cellulare tra le dita.
- Spero che ti renderà felice. -
Scrive a Blaine. Spegne il telefono immediatamente dopo. È stanco di lottare, stanco di tutto, sa solo che non vede l’ora di lasciarsi quell’anno e tutto ciò che Lima comporta alle spalle. Sa che può farcela – ha affrontato la morte di sua madre e fare coming out con un padre burbero come Burt, può superare l’avere un cuore spezzato.
 
È divertente il fatto che se lo ritrovi sul portico di casa, a distanza di qualche settimana dall’ultima volta che ci ha parlato; questa volta non ci sono porte sbattute, Kurt lo guarda in faccia per qualche secondo. Ingoia il boccone amaro, cosa vuoi che sia, lui è forte, deve sempre essere forte –
“Ho ricevuto il tuo messaggio.”, soffia Blaine, la fronte aggrottata e gli occhi spenti: sono solo un’ombra di quella pennellata di colore di cui Kurt si è tanto innamorato. “Non…non credo di capire.”
“Cosa c’è da capire?”, chiede Kurt scrollando le spalle. Si guarda alle spalle – sa che Finn è in casa e non vuole farlo preoccupare.
Forse è solo in quel momento che una forte realizzazione colpisce Blaine. “Tu mi hai visto.”, mormora appena, un minuscolo sorriso triste che gioca con le sue labbra. “Mi hai visto con Sebastian.”
“Si chiama Sebastian, eh?”, chiede Kurt, il cuore che sanguina ad ogni battito. “Beh, cosa posso aggiungere. Te l’ho detto, spero ti renda felice.”
“Kurt –”
“Sul serio, Blaine.”, la voce di Kurt è piatta ma è come un vetro che sta per crollare per infrangersi in mille pezzi, “Un’altra persona. Dopo tutto quello che c’è stato – c’è un’altra persona.”, dice soltanto, la voce appena udibile. Kurt si sbagliava. Non solo il colore negli occhi di Blaine sembrano l’ombra di quella pennellata fresca: Blaine stesso sembra l’ombra di ciò che era.
“Non mi aspetto che tu capisca.”
“No, non capisco.”, si limita a mormorare Kurt, passandosi un dito sotto la palpebra sinistra. “Ho smesso di capire.”
“Lui c’è sempre stato.”, borbotta Blaine, e ci sono lacrime nei suoi occhi che convincono Kurt che non stia dicendo la verità, che stia scappando da quello che prova per lui, ancora. “Prima di te. Prima del bacio.”
Kurt lo colpisce a pieno viso, la mano ben aperta che c’entra la guancia in pieno, producendo un schiocco sonoro. No, non gli è mai piaciuta la violenza. Ma è estremamente convinto che almeno questo se lo meritasse.
“Vai pure e sii felice, Blaine. Davvero, se credi che lui possa renderti felice, resta con lui. Sai che cosa farò io? Andrò a New York. Lontano da qui, a realizzare i miei sogni. Metterò me stesso prima di tutto, cosa che non ho mai fatto. Per cui ti sarei infinitamente grato se –”, Kurt prende un leggero respiro, cerca di ricacciare indietro le lacrime. “Se mi lasciassi andare.”, soffia, leccandosi appena le labbra, poi. “Lasciami andare.”
Blaine fa un singolo passo avanti; deve mettersi sulle punte per circondare il volto di Kurt tra le mani e lasciargli un bacio di sfioro sulla fronte. E poi, solo poi, lo fa.
Lo lascia andare.
 
***
 
“Blaine?”
Sebastian lo chiama immergendo una mano tra i suoi capelli, giocando con i suoi riccioli di seta. È sempre così distratto. “Blaine?”
Si volta verso di lui, lo guarda, ma non lo vede mai davvero.
“Sul serio, perché mi tieni con me se non puoi amarmi?”
Sebastian non crede di aver visto in tutta la sua vita uno sguardo più triste e frantumato di quello che gli offre Blaine immediatamente dopo.
 
***
 
La sera prima della partenza per New York, Finn raggiunge Kurt in camera sua. Senza dire niente gli si siede accanto, nel letto, e lo osserva prepararsi le ultime cose da seduto, perché troppo stanco per alzarsi in piedi e girovagare per la stanza. È quasi mezzanotte quando annuncia di aver finito di preparare la valigia e si lascia cadere distendendosi sul letto, esausto, con Finn lì accanto che lo guarda e pensa a quanto diamine siano cresciuti.
“Non sta con Sebastian.”
Kurt aggrotta un attimo la fronte, apre un singolo occhio per osservare la figura di Finn. “Scusami?”
“Non so cosa ti abbia fatto credere, ma non sta con Sebastian.”
Kurt tenta di deglutire. “Finn, lo ha…lo ha ammesso lui stesso, quando ci siamo visti l’ultima volta. E poi l’ho visto mentre gli stringeva la mano qualche settimana fa.”
Finn scrolla appena le spalle. “Non è – quello. Anch’io stringevo le mani di Quinn, la baciavo addirittura, ma non stavo con lei. Non – non ero suo, non mi batteva il cuore quando la vedevo e sì, andavo in giro e dicevo di stare con lei perché mi faceva comodo. Ma non sentivo quella cosa, quel filo che ti lega all’altra persona, hai presente. Pensavo di essere danneggiato. Poi è arrivata Rachel.”
“Finn.”, soffia appena Kurt, il cuore pesante che gli pulsa nella gola. “Io come faccio a sapere che cosa gli passa per la testa?”
“Lo so, lo so, dicono tutti che le ragazze sono complicate, ma in realtà siamo così tanto strani anche noi ragazzi.”
Kurt scoppia a ridere. Così, di punto in bianco, inondando la stanza con la sua risata e contagiando anche Finn, e si rendo conto che non piangeva da così tanto tempo. Ride fino a farsi venire dolore allo stomaco, e piano piano lascia sfumare quella risata in quiete, e finisce per rannicchiarsi contro il cuscino, e pensare a cosa stia facendo Blaine in quel momento.
“Ti porto da lui domani prima di partire.”, mormora Finn senza pensarci. Non è una domanda, vuole farlo e lo farà. “Non può finire così, lo so e basta. Prova a dargli un’altra possibilità.”
“Gliene ho date così tante, Finn.”
“Okay, ma so anche che ti odierai se non lo rivedrai almeno una volta prima di ripartire. Se non cambierà nulla pazienza, ci avrai provato. Almeno partirai con la consapevolezza di aver chiuso quella porta per sempre, e non sentirai il bisogno di volerla aprire troppo spesso.”
Kurt annuisce appena. Finn ha ragione, ha bisogno di partire con la certezza di non volersi più voltare indietro. Alza lo sguardo su quel gigante buono, afferra un suo braccio delicatamente facendolo sorridere nella sua direzione e pensa che in tutto quel trambusto, non si è accorto né di come o quando, ma ha guadagnato un fratello. Che è molto di più di quanto potesse mai aspettarsi.
 
 Finn lo lascia proprio davanti all’edificio in cui si trova l’appartamento di Blaine; gli posa una mano sulla spalla, la valigia ben riposta nel bagagliaio. Gli offre un sorriso accennato e tenero prima che Kurt scenda e salga le scale che lo portano al quarto piano – lì dovrebbe esserci il 44c, dove spera di trovare Blaine e vederlo un’ultima volta prima di partire.
Una volta arrivato, nota immediatamente che c’è qualcosa di strano: la porta dell’appartamento è leggermente aperta; Kurt si fa strada dallo spiraglio ed entra senza annunciarsi, sperando di trovare qualcuno. Esplora l’appartamento luminoso con il cuore nella gola. Sa di star invadendo qualcosa che non gli appartiene, ma sa anche che ogni minuto che gli rimane è prezioso.
Attraversa un corridoio, sfiora con le dita il legno di ogni porta, finchè non arriva a quella che ha tutta l’aria di essere la camera da letto di Blaine. Lo deduce da alcune foto, i libri di scuola gettati in qualche modo sullo scaffale, il piumone di un blu notte che ricorda un cielo stellato. Kurt trova ci sia una sorta di equilibrio in tutto quel disordine. C’è un po’ di Blaine in tutto quello che vede, dai colori ai fogli stropicciati alla fila di luci artificiali che ha appeso appena sopra la testata del letto.
C’è una scatola, poi. Di dimensioni modeste, quadrata e di colore chiaro, accanto al letto. È senza coperchio, e Kurt non può fare a meno di sbirciarci dentro. Quello che vede lo costringe a piegarsi e mettercisi in ginocchio accanto per poter osservare meglio all’interno – sfiora con le dita quelli che hanno tutta l’aria di essere messaggi su carta, tante minuscole lettere mai consegnate. Alcune di loro sono stropicciate ai lati, altre spezzate. Alcune ancora lo colpiscono per il loro assoluto ordine. Ne raccoglie una manciata, mentre le parole si affollano davanti ai suoi occhi e lo costringono a portarsi le dita davanti alle labbra – non sono lettere qualsiasi.
Sono messaggi di scuse. Parole d’amore. Poesie. Foto di luoghi mai esplorati.
E sono tutti dedicati a Kurt.
Li osserva uno a uno, perdendosi tra le frasi e trovandosi a rileggere alcuni passaggi all’infinito – ognuno di loro racconta Blaine in modo diverso, racconta esattamente quello che sta sotto la superficie, mostrandogli il ragazzo semplice di cui si è innamorato, lo stesso ragazzo che è andato a trovare ogni giorno e che lo ha baciato sotto un manto di stelle.
Ciao, Kurt. Oggi voglio chiederti scusa per non averti mandato abbastanza messaggi della Buonanotte
E ancora,
Oggi ti chiedo scusa per non essere rimasto più tempo con te sotto un cielo ricoperto di stelle. Avrei dovuto chiederti di sceglierne una, la più bella tra tutte, di ricordarla anche nelle notti dopo, perché quella sarebbe stata la tua stella, il tuo punto di riferimento.
Non meriti una singola stella, meriti un intero cielo stellato, meriti il sole che sorge ogni mattino e le nuvole che si preparano cariche di pioggia.
E poi,
Buonanotte a te che hai sempre combattuto e non hai mai avuto paura di mostrare il tuo cuore.
Kurt sente un rumore appena accennato e alza il volto per ritrovarsi Blaine a pochi passi, un piede dentro la propria camera da letto, che lo guarda con le sopracciglia alzate e gli occhi spalancati. Il cuore pulsante tra le dita, chiaro e di una persona che non ha più niente da nascondere.
“Pensavo fossi partito.”
“Non potevo partire senza vederti almeno un’ultima volta.”
Le labbra di Blaine traballano un pochino prima di distendersi in un sbilenco sorriso. Abbassa lo sguardo, infila le mani nelle tasche dei jeans. “Ero a recuperare un po’ di zucchero dalla vicina. Devi sapere che non lascio sempre la porta aperta.”
“Sembra quasi che il mondo si metta d’accordo per metterci nella stessa direzione, ma che poi si diverta a vederci prendere strade diverse.”, soffia Kurt, leccandosi appena le labbra. Fa cadere il suo sguardo nella scatola, recupera un foglio di carta completamente diverso dagli altri.
“Un biglietto aereo per New York di sola andata, acquistato la settimana scorsa a tuo nome.”, mormora appena Kurt. Sente Blaine muoversi nella stanza, e a breve se lo ritrova seduto davanti, in ginocchio, le dita strette ai jeans all’altezza delle cosce.
“Che significa, Blaine?”
“Significa che non ce la facevo a vederti andare via.”, dice semplicemente il ricciolo, deglutendo appena e guardandolo negli occhi. “Significa che ti avrei raggiunto.”
“Sono proprio qui, Blaine.”, soffia Kurt, la voce tremolante e le guance arrossate, “Non c’è bisogno che tu mi raggiunga, puoi partire con me. Costruire un inizio. Possiamo farlo, anche se è sempre stato tutto complicato tra di noi, possiamo cambiare. A meno che non ci sia qualcun altro.”
“Non c’è nessun altro.”, soffia Blaine, piegandosi in avanti e raccogliendo il volto di Kurt tra le mani per poi baciarlo; nel farlo buona parte del suo corpo si scontra con la scatola che si rovescia insieme a tutti i biglietti che portava con sé, che si spargono sul pavimento attorno a loro come neve sull’asfalto. Il bacio continua per un tempo che non riescono a quantificare – le dita di Blaine si modellano così bene attorno alle guance di Kurt che sembrano pensate per stare lì, per racchiudere il suo volto e proteggerlo. “Non c’è mai stato nessun altro.”, soffia Blaine sulle sue labbra, gli occhi ancora rigorosamente chiusi. “Avevo solo così tanta paura – perché avevi ragione tu. Non riuscivo a spiegarmi come potessi provare già qualcosa di così – definitivo.”
“E adesso?”
“E adesso non ho più paura, Kurt.”
Blaine sposta con un braccio la scatola separandola dai loro corpi, per poter stringere Kurt appena di più e permettergli di sistemarsi sul suo grembo.
Kurt gli sorride appena. “Passi tutto il tempo a cercare di capire i tuoi sentimenti, ma una volta che li hai capiti è troppo tardi, li stai già provando, e ti travolgono come un fiume in piena.”
“E questa da dove viene?”, domanda Blaine con un sopracciglio alzato; Kurt gli sistema un ricciolo dietro un orecchio.
“La perla di saggezza di un’amica.”
Blaine ridacchia senza smettere di guardarlo, e per la prima volta gli sembra di poter guardare senza difficoltà il suo sole personale. Sbatte le palpebre una, due, tre volte, poi si fa infinitamente serio. “Era tutto confuso, senza confini e una direzione precisa, e all’improvviso cambia tutto.”, spiega Blaine, e gli sembra l’equazione più semplice del mondo. “Arrivi tu.”
 
 
Fine
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Ma ciao piccole frittelline (mi sembrava giusto visto che siamo in periodo di carnevale...? No? Okay) <3
Come ho anticipato sulla mia pagina autrice, questa storia nasce su richiesta di un'amica (Ciao Arianna se stai leggendo!), che, con mio grande stupore e gioia, mi ha chiesto di scrivere una Klaine per il regalo di compleanno alla sua migliore amica. Non mi capacito ancora di aver avuto un onore così grande. Non credo sarà mai all'altezza per essere un regalo di compleanno ma ce l'ho davvero messa tutta. La lascio qui senza alcun tipo di pretesa, spero solo possa farvi passare un po' di tempo piacevolmente.
Mi mancava da morire pubblicare, e posso promettervi che presto mi rivedrete con Be my Forever. Fino ad allora vi abbraccio stretti stretti stretti **

Je <3
   
 
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