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Autore: _Noodle    01/03/2017    1 recensioni
 
“Quando la danza diventa un’esigenza, un bisogno primario e necessario, la musica fuoriesce dalla sua tana avvolgendo i corpi degli amanti, sgorgando dagli strumenti e dai grammofoni, dalle casse e dalle console. Quando si balla è notte. Quando si ascolta, il sole è lontano”.
Raccolta di One-Shot: ad ogni decennio del Novecento corrisponde un genere musicale, ad ogni sonorità un diverso e particolare modo di danzare.
~ The Romantic Naughties: 1911 [KuroTsuki].
~ The Roaring Twenties: 1925 [DaiSuga].
~ The Dirty Thirties: 1936 [AsaNoya].
~ The Flying Forties: 1946 [YamaYachi].
~ The Stylish Fifties: 1957 [KuroKen].
~ The Revolutionary Sixties: 1964 [KageHina].
~ The Eccentric Seventies: 1973 [IwaOi].
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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1973, Glam Rock.
Hajime Iwaizumi riconosce “Starman” di David Bowie.
 
 
 
 
 
Londra, 14 agosto 1973
 
Le Stelle sono corpi celesti che brillano di luce propria, l’ho imparato a mie spese. Nascoste dietro alle comuni apparenze e alle popolari credenze, dietro alla poesia dettata dal fascino dell’ignoto, le stelle nascondono nozioni scientifiche specifiche, che soltanto grazie ad uno studio intenso ed assiduo possono essere apprese. Quando si parla di stelle, non si parla soltanto d’innamorati, di desideri e di preghiere. Non si parla soltanto di folli che innalzano lo sguardo verso il cielo con la speranza che qualcuno possa rispondere a chissà quali domande. Quando si parla di stelle, non si parla soltanto di zodiaco, di astrologia, di mistero e di speranze vane. Non si parla soltanto di linee da tracciare tra gli astri, di linee invisibili che rivelano complicatissimi disegni. Si parla anche di idrogeno e di elio, di complesse formule matematiche e di astruse reazioni chimiche. Le stelle, a parer mio, sono una grande fregatura.
Brillano, splendono, ammaliano, e sono irraggiungibili.
 
Tutto ebbe inizio ad aprile, nel momento in cui i miei voti di scienze iniziarono a precipitare drasticamente a causa dell’inserimento dell’astronomia come materia di studio. Sono sempre stato uno studente modello, l’indiscusso cervellone della classe, nonostante mi atteggiassi in tutt’altro modo. Buoni voti, poco studio, tante intuizioni. Molta attenzione, sì, ma nessun talento per quanto riguardava le questioni interstellari. Votaccio dopo votaccio e umiliazione dopo umiliazione, il mio umore peggiorò. Sebbene non mostrassi di tenere al mio rendimento scolastico, m’importava eccome, e soprattutto importava alla mia famiglia. Quella materia dall’insignificante importanza totale, ma dall’essenziale importanza individuale, mi stava rendendo la vita impossibile. Fu a ridosso degli ultimi compiti in classe che, incentivato da mia madre e da mio padre, ingegneri laureati con il massimo dei voti, accettai di prendere ripetizioni di astronomia. Non ero contento, non lo ero affatto, soprattutto perché conoscevo chi si sarebbe occupato di me: lo studente con i migliori voti di scienze della scuola. Non era mia intenzione umiliarmi alla mercè di un ragazzo della mia stessa età, ma questo sembrava essere l’unico e possibile rimedio alla mia incompetenza in materia. Ciò di cui proprio non mi capacitavo, tuttavia, non era tanto il fatto di farsi aiutare, non era tanto il fatto che avessi bisogno di essere seguito o che non capissi la materia, ma che il mio insegnante di astronomia e di scienze sarebbe stato Oikawa Tooru, l’emblema della vanità e dell’egocentrismo, il ragazzo più popolare della scuola, che dietro all’apparente schermo di superficialità, nascondeva una mente ed un cervello non comuni, da far invidia persino al sottoscritto.
 
Era il 13 aprile. Oikawa si era presentato a casa mia alle 17.10, con ben quaranta minuti di ritardo, suonando il campanello ininterrottamente per venti secondi. Una volta aperta la porta, lo sguardo accigliato a causa del rumore, trovai davanti a me un fisico statuario ed un paio di occhiali spessi ed invadenti che mai gli avevo visto indossare. Lo feci accomodare nella sala da pranzo. I libri ci aspettavano da ormai un’ora; io, ovviamente, non avevo avuto il coraggio di aprirli. Ficcare il naso tra le formule e tra le fitte righe di nozioni mi nauseava. Avevo atteso il mio nuovo e prestante insegnante con un’ansia non indifferente, con una malcelata paura che ciò che sarebbe successo avrebbe potuto mettermi in ridicolo agli occhi di chi mi rispettava. Avrebbero potuto esclamare “Tu, Iwaizumi, che ti fai aiutare da un ragazzo che usa i bigodini?”. Tuttavia, pensai che fosse peggio negare di avere delle debolezze, piuttosto che ammetterle ed affrontarle con coraggio. E nonostante i miei pensieri riguardo le ripetizioni si fossero placati, qualcosa ancora non mi dava pace. Durante la snervante attesa provocata dal suo imminente arrivo, la mia mente aveva vagato senza sosta, divincolandosi tra mille diverse angosce. Solo una fu quella che trattenne la presa, che non sciolse i complicatissimi nodi. Quell’angoscia che non mi concedeva riposo, che non riusciva ad abbracciarmi dolcemente, ma che mi tratteneva conficcando le sue unghie nel mio cuore, si chiamava proprio Oikawa Tooru. La prima volta in cui lo vidi, fu nei bagni della scuola, il primo anno di liceo. L’avevo sorpreso nell’intento di truccarsi la faccia (lui sosteneva che fosse per un esperimento riguardante i cosmetici, ma io non vi credetti più di tanto). Da quel giorno, l’ho sempre guardato da lontano, rivolgendogli la parola solo saltuariamente, ad esempio durante la pausa pranzo o durante le ore di educazione fisica, in cui la sua e la mia classe si allenavano contemporaneamente. Oikawa è sempre stato un tipo dalla duplice personalità. Confuso tra la folla e tra i passanti appariva sicuro di sé, sbruffone e beffardo, vanesio ed irritante, quasi impossibile da avvicinare; tuttavia, in rari momenti di solitudine, si dimostrava essere l’individuo meno appariscente del pianeta. Un giorno lo incontrai in biblioteca, occhiali pesanti appoggiati sul naso dritto e dita attorcigliate tra i capelli perfettamente acconciati. Leggeva un libro sulle comete. Lo sfogliava affascinato, come se sotto gli occhi avesse il più bel quadro che si potesse ammirare. Si mordeva le labbra concentrato, talvolta spalancava la bocca stupito per qualche nuova scoperta e rideva tra sé e sé guardandosi attorno, timoroso che qualcuno potesse vederlo in quello stato interessante. Ciò che m’incuriosì di più, fu il fatto che ad un tratto, nel silenzio della biblioteca, iniziò ad intonare un motivetto a me familiare, che però non seppi identificare con sicurezza. Canticchiando e sfogliando le pagine del libro, Oikawa si muoveva in modo dinoccolato ed impacciato, in maniera diametralmente differente rispetto al solito. Non si era mai comportato in tal modo con nessuno: tutti lo conoscevano per la sua caratteristica camminata lenta e posata e per i suoi sguardi maliziosi ed accattivanti. Dietro quegli occhiali, usati come scudo o come specchio per riflettere una nuova personalità, si nascondeva un’anima più delicata ed introversa, più sognatrice, che probabilmente non si sarebbe mai rivelata se non stimolata da qualche reazione chimica.
La canzone che canticchiava parlava di un uomo delle stelle.
 
<< Ma dimmi, Iwa-Chan >> iniziò, dunque, in quel pomeriggio di aprile << hai mai viaggiato attraverso il Sole? Hai mai raggiunto la Via Lattea per poter ammirare tutte le luci che svaniscono? Dimmi, Iwa-Chan, sei caduto per colpa di una stella cadente? Una di quelle che non ti lasciano cicatrici permanenti? Dimmi, il vento ti ha fatto perdere l'equilibrio? Sei finalmente riuscito a ballare alla luce del giorno e a ritornare verso la Via Lattea? E dimmi, Venere ti ha fatto perdere la testa? Ciò che hai visto era tutto quello che volevi trovare? E ti sono mancato mentre stavi cercando te stesso là fuori? >>
Oikawa sembrava in preda ad una delirante crisi mistica, simile ad un vate dell’antichità. Si era alzato dalla sedia, spingendola alle sue spalle con un movimento brusco, ed era salito sul tavolo di legno con un agile ed energico balzo, che aveva fatto cadere a terra tutti gli appunti di astronomia. Aveva pronunciato quelle parole senza senso con un’enfasi tale da sembrare un poeta, o un attore, o uno scienziato molto pazzo. Vederlo dal basso in alto, illuminato dall’intensa luce del lampadario che quasi gli sfiorava la testa, lo faceva apparire più slanciato, più imponente e  più interessante del solito. Quando si parlava di stelle, di pianeti e di costellazioni, il volto di Oikawa si illuminava e risplendeva di luce propria, senza che lui nemmeno se ne rendesse conto. Era bello, Tooru.
<< Quello che stai dicendo non ha alcun senso! Se non sei in grado di darmi ripetizioni di astronomia, chiudiamola qui. È già piuttosto imbarazzante così >> commentai, occhi bassi e voce leggermente incrinata dall’imbarazzo, sebbene volesse risultare autorevole.
<< Quanto sei scontroso, Iwa-Chan! >> ribatté lui, scendendo dal tavolo e sedendosi al mio fianco, una mano poggiata sulla mia spalla appuntita.
<< Non chiamarmi così! >> esclamai, pensando a quelle dita affusolate a contatto con il mio corpo. Pesavano quanto un macigno, quanto un asteroide che colpisce il suolo senza preavviso.
<< In ogni caso, ciò che ho detto non è totalmente insensato, caro il mio saputello. Lo sapevi che è possibile attraversare il Sole? O almeno, che lo è per le correnti di materiale presenti all’interno delle macchie solari. Queste correnti formano dei vortici che concentrano le linee di campo magnetico. Di conseguenza le macchie sono delle tempeste auto-sostenentesi, simili in alcuni aspetti agli uragani terrestri. E lo sapevi che nella Via Lattea si spengono almeno 275 milioni di stelle al giorno? E che le stelle cadenti non possono lasciare cicatrici perché si sgretolano in seguito ad una combustione, che avviene in atmosfera a causa dell'attrito per la velocità del meteorite? E che Venere ha  un’atmosfera composta da nuvole che riflettono circa il 60% della luce solare nello spazio ed impediscono l'osservazione diretta della superficie di Venere nello spettro visibile? Annebbierebbe a tal punto la vista da farti perdere la testa! >>
Dopo aver ascoltato le sue stupefacenti parole, pronunciate con trasposto, mi sentii perso, solo, fluttuante, immateriale. Mi sentii perso tra le lenti dei suoi occhiali dalla montatura spessa, mi sentii solo ed impotente di fronte alle sue parole così consapevoli, mi sentii fluttuare in un oceano di ossitocina, mi sentii immateriale quanto tutti gli elementi della tavola periodica, che sembrano così fasulli ed invece sono così vivi.
<< Ti sono mancato mentre cercavi te sesso là fuori? >> ripeté, abbassando lo sguardo. Non capii esattamente che cosa intendesse con quella frase, che cosa intendesse con quel “ti sono mancato”. Come avrebbe mai potuto mancarmi una persona come lui, un individuo che a stento conoscevo? Era la prima volta che Oikawa si decideva di parlare con me, e che io mi decidevo a parlare con lui. Nessuno avrebbe potuto sentire la mancanza dell’altro in tali circostanze.
<< Io non credo. È impossibile come cosa. >>
Oikawa sorrise, annuendo lentamente.
<< Vedo che sei riuscito a comprendere cosa è impossibile e che cosa invece non lo è. Questi esempi sono sempre così calzanti! >>
E Oikawa continuò a parlare di astri e di nebulose, annebbiando la mia mente già di per sé confusa alla velocità della luce.
 
Passarono mesi. Il terzo anno di liceo si concluse con successo per entrambi. Io riuscii a colmare le mie lacune ed Oikawa ricevette il titolo di “re del ballo”, partecipando al prom con la più bella delle cheerleaders. Dal giorno in cui cominciai a prendere ripetizioni, io e Tooru iniziammo a frequentarci ogni giorno, a parlare di perielio, di afelio e di musica, di sogni e di passioni. Iniziammo a pranzare insieme, a fare lunghe passeggiate insieme, a ridere e ad arrabbiarci, insieme. Oikawa era il mio opposto, il polo positivo, la parte sinistra del mio cervello, la stravaganza a contatto con un animo ligio e razionale. Oikawa era la carezza, io ero lo schiaffo. Oikawa era il sorriso cordiale, io il broncio diffidente. Era tutto ciò che mancava alla mia persona, tutte le stelle che non avevo mai acceso nel mio cielo.
Quando m’innamorai di lui, proprio non ci feci caso.
Quando m’innamorai di lui, i miei respiri iniziarono a dissolversi e a disperdersi nell’aria con maggior frequenza. Il cielo appariva più limpido, le nuvole si concedevano sempre più di rado, le strade sembravano più ampie, la musica più interessante.
Quando m’innamorai di lui, proprio non me ne accorsi. Non mi accorsi di quanto l’incarnazione della vanità avesse scombussolato silenziosamente la mia esistenza. Tutto fu placido, tutto fu consequenziale, spontaneo quanto lo sbadigliare quando si ha sonno.
Quando m’innamorai di lui, proprio non credetti di essermi innamorato.
Potrei affermare di essere stato vittima di un colpo di fulmine, ma sarebbe troppo riduttivo. Non ho memoria del momento preciso in cui ho percepito questo strano legame. Non me lo ricordo. So soltanto che una volta instauratosi, non sono più riuscito a spezzarlo. Tooru Oikawa si dimostrava sempre più interessante, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Senza che mai gli dicessi niente, divenne il mio migliore amico. Per il mio compleanno mi fece addirittura un regalo, un pensiero che, sicuramente, piaceva più a lui che a me: un biglietto per il concerto del 3 luglio di David Bowie. Il Duca Bianco è l’artista preferito di Tooru. Canta sempre le sue canzoni, giorno e notte, notte e giorno. La canzone che gli avevo sentito intonare in biblioteca, penso fosse proprio sua. Non riuscii a rifiutare.
 
Il giorno del concerto, trasportato da turbinosi venti cosmici, arrivò in un batter d’occhio. Il punto di ritrovo stabilito era a casa di Oikawa: avremmo dovuto trovarci davanti al cancello del condominio per le 19:30. Io, ovviamente, arrivai con mezz’ora di anticipo per assicurarmi che non fosse ancora in pigiama, conoscendo le tempistiche del mio compare. Non appena raggiunsi il pianerottolo, perché di Oikawa davanti al cancello non vi era nemmeno l’ombra, trovai la porta di casa aperta. Tooru mi attendeva in bagno.
<< Che stai facendo? >> esclamai vedendolo alle prese con colori e pennelli, il lavandino candido impiastricciato di tempere.
<< È tardi, Oikawa, dobbiamo uscire, o non riusciremo ad accaparrarci un posto in prima fila nemmeno tra cent’anni >> continuai, istigandolo e provocandolo affinché abbandonasse quell’occupazione.
<< Non vedi che mi sto truccando? >>
Una saetta rossa e blu solcava il volto di Tooru simile ad una cicatrice, una di quelle che le comete non erano in grado di lasciare. Percorreva ed attraversava il suo occhio destro come una ferita profonda. Oikawa, conciato così, assomigliava ad uno di quei personaggi dei fumetti, ad un supereroe appariscente, che, abbandonati gli occhiali sul comodino della camera da letto, diventava improvvisamente qualcun altro. Mi piaceva truccato così.
Avrei voluto scattargli tante foto.
<< Voglio riprodurre il trucco di Bowie, sai, quello della copertina di “Aladdin Sane”. È da mesi che ci lavoro >> continuò, attento a non provocare sbavature nel colore. Mi sarei perso per delle ore ad osservare il lento movimento della mano, le diverse sfumature che stava creando solamente grazie ad un piccolo pennello rovinato. Tuttavia, di questo passo, il concerto si sarebbe concluso al nostro arrivo.
<< Non potresti fare un po’ più in fretta? >> chiesi, guardando ripetutamente l’orologio.
<< E tu non potresti essere meno assillante? >>
 
Arrivammo all’Hammersmith Odeon cinque minuti prima che bloccassero l’accesso al pubblico.
 
Terrificanti grida di felicità. Applausi ed armonie a confondersi tra le urla della gente. Ansimi, attimi, luci, chitarre, fumo, colori. Una voce inconfondibile a farsi largo tra la nostra stridula convinzione di saper cantare.
David Bowie, occhi incorniciati da uno spesso strato di matita nera e guance velate da una patina di cerone bianco, salì sul palco a cosce scoperte, solo una lunga camicia bianca dal colletto alto a coprire il suo esile corpo. Oikawa era più frenetico che mai. Dalle lontane ultime file, si fece largo tra la folla, spingendo a destra e a sinistra, arrampicandosi sulle borse della gente, approfittandosi della sua altezza per scorgere quanto mancasse per raggiungere le transenne. Non vennero eseguite nemmeno due canzoni, che Oikawa ed io fummo sotto il palco.
 
Ziggy suonava la chitarra, ed io non facevo altro che ansimare. La vicinanza di Tooru era per me deleteria. Quel ragazzo, presentatomi come un insegnante, ora era diventato qualche cosa di più, un maestro, un saggio irresponsabile ed eccentrico che mi aveva insegnato ad amare l’immensità. Le ore trascorrevano ricche e pesanti, pesanti di fumo di sigaretta e di respiri ricchi di endorfina. Alla fine di ogni canzone, Tooru mi sorrideva come se volesse chiedermi “Ti è piaciuta la canzone?”. Mi ricordava che la Terra era un posto meraviglioso in cui vivere, ma che non era necessario accontentarsene, perché là fuori, nel nero dell’universo, potevano esistere altre interessanti forme di vita. Lui un po’ extraterrestre lo era.
 
Furono un sol maggiore ed un fa ad introdurre l’inizio del nostro decollo, la nostra partenza verso il mondo delle stelle e delle conquiste. David Bowie stava suonando “Starman”, la canzone che, scoprii, Oikawa aveva canticchiato quel giorno in biblioteca.
<< Questa è la mia canzone preferita! >> esclamò saltellando sul posto, gli occhi che guizzavano fuori dalla orbite per la contentezza. Io gli sorrisi, senza dire nulla. Ascoltavo lui e David cantare come se la mia intera vita fosse dipesa da quello, come se non ci fosse stato niente di meglio al mondo, come se quel suono fosse l’inno di una nuova e strepitosa vita.
 
“There’s a starman waiting in the sky!
He’d like to come and meet us, but he thinks he’d blow our minds
. There’s a starman waiting in the sky! 

He’s told us not to blow it,
cause he knows it’s all worth, while
 he told me:

let the children lose it
, let the children use it
, let all the children booogie.”
 
Era arrivato il momento di avvicinarmi ad Oikawa e che il mio cuore e il mio cervello decidessero che cosa fosse meglio per me.
 
Prima ne risentirono le mani, scosse da un tremore incontrollabile. Poi ne risentirono le gambe, che a ritmo di musica iniziarono a traballare e a sciogliersi come gelato al sole. Poi fu il turno del cuore, che dopo aver ripreso a pompare, incominciò ad agitarsi come un disperato, come uno di quei ballerini di tip tap e di swing che si vedono nei vecchi film. I nostri occhi si chiusero dolcemente, con una lentezza tale da risultare innaturale. Mentre la vista sfumava, mentre a poco a poco il volto dipinto di Tooru si mescolava con l’oscurità, un impeto stellare portò la mia lingua ad esplorare le galassie e le costellazioni nascoste nella sua bocca, in quello scrigno di risate, di pianti, si silenzi e di parole dette a sproposito. Oikawa non tremava; Oikawa, da quando l’avevo avvicinato a me e l’avevo baciato con desiderio incontenibile, aveva iniziato a sussultare, a tremolare convulsamente, tentando di ricercare tranquillità nella musica che lo circondava. Proprio non ce l’aveva fatta, proprio non era stato in grado di dare un taglio a quel ritmo psichedelico che le sue ossa avevano preso ad imitare. Si sentiva scricchiolare, si sentiva svenire, probabilmente. Io, sicuramente, avevo compreso molte cose. La sua lingua morbida e dispettosa, esperta e tremendamente loquace, accarezzava la mia con irriverenza. La voce di David Bowie, così ipnotica e maledetta, incorniciava il nostro amore, nato chissà per quale congiunzione astrale. Avevo incominciato ad apprezzare le stelle grazie a lui, avevo iniziato a vederci tutto ciò che normalmente la gente vede, avevo iniziato a capire che tutto poteva muoversi a causa di qualche particolare rivoluzione. Tooru, il mio uomo delle stelle, la mia musa ispiratrice, il mio inganno preferito, il mio sogno nel cassetto, la mia saetta colorata, era tutto ciò che potesse far risplendere la mia esistenza. Era l’uomo che valeva la pena smarrire e ritrovare, con cui valeva la pena ballare un lento e con cui sarebbe stato entusiasmante saltare sul letto per tutta la notte.
<< Perché l’hai fatto, Iwa-Chan? >> mi chiese, allontanandosi dalle mie labbra colpevoli e non smettendo nemmeno per un secondo di sussultare. Capì solo in quel momento, che Oikawa Tooru, per mascherare l’imbarazzo, aveva incominciato a ballare.
<< E’ tutta colpa di David Bowie e delle sue canzoni sulla vita su Marte, sulla polvere di stelle e sugli uomini d’altri mondi. >>
Oikawa ridacchiò. Mi scostò un ciuffo di capelli dagli occhi e poi, avvicinandosi lentamente verso le transenne, tenendomi per mano, urlò qualcosa a David Bowie.
<< David! Non smettere mai di scrivere nulla del genere! >>
E mangiò la mia bocca. Avevo raggiunto le stelle.
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice: CHIEDO PERDONO. Vi prego, non picchiatemi perché giuro che non era mia intenzione pubblicare con così tanto ritardo T.T Queste settimane sono state infernali e piene di belle cose da fare, ma di tempo per scrivere ne ho avuto davvero poco. Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo * ansia a livelli stellari, per restare in tema *. In ogni caso, che ne dite? Mi sono un sacco lasciata trasportare dalla poesia per scrivere questo capitolo, e mi sono permessa di lasciare un po’ di spazio alla mia più grande fonte di ispirazione: le stelle. Non so dire se Oikawa e Iwaizumi siano IC, perché ho cercato di mantenere, come al solito, i loro tratti, ma mi sono concessa di conferire loro qualche sfumatura in più. Inoltre, questo è il primo capitolo scritto interamente al passato, perché boh, mi è venuto così (un’autrice dovrebbe avere delle motivazioni e invece no, yay). Cosa più importante: questo capitolo è dedicato alla mia saetta speciale di nome Ems, che si merita tanto bene, tanta felicità e tanto IwaOi. <3 Spero ti sia piaciuta! <3
Cose da sapere su questo capitolo:
- Le musiche a cui mi sono ispirata sono “Starman” di David Bowie, “Drops of Jupiter” dei Train, “Another Day of Sun” di La La Land (sebbene abbia odiato il film, amo questa canzone a livelli disumani).
- Il concerto del 3 luglio è realmente esistito, ed è l’ultimo concerto in cui David Bowie vestì i panni di Ziggy Stardust.
Al prossimo capitolo dolcezze, e grazie per la pazienza <3
_Noodle 
  
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