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Autore: Kosoala    01/03/2017    0 recensioni
Uno sfogo dopo la visione del film di cui sopra, niente di troppo strano o trascendentale, semplicemente la pubblicazione di fatti realmente accaduti che spero possano dare una specie di speranza finale, regalare un minimo sorriso.
Riguarda me, non è stato riletto o corretto, è una specie di flusso di coscienza perché ogni tanto serve scrivere senza preoccuparsi tanto, solo per buttare giù qualche frase o pensiero che magari ci viene in mente troppo spesso.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Mera Me'
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« Danilo… se n’è andato. » Mio padre aveva un sorriso forzato, triste e contagioso. Talmente contagioso che mi ritrovai a sorridere nervosamente, seguendo lui.

« Ah sì? » Non sapevo cos’altro dire mentre una risata scappava dalle mie labbra. Mi ritrovai abbracciata da lui, in quel modo tipicamente goffo perché non è mai stata una persona abituata a regalare gesti d’affetto, le volte in cui ci siamo abbracciati si possono contare sulle dita, almeno da quando ho memoria.

Mia madre mi regalava sguardi lucidi, la matita viola che usava come eyeliner interrotta e sbavata sugli occhi, dato che non vedeva bene le finiva sempre nell’angolo interno, anche se non era questo il suo obbiettivo e ogni volta che potevo le passavo il pollice là sotto per toglierla mentre lei sbuffava perché era in ritardo per il lavoro.

Non quella volta.

Mi ricordo che avevo lo zaino, probabilmente ero appena tornata da scuola. Non ricordo se mangiai o no, forse era una delle giornate in cui avevo avuto la lezione di scienze di recupero il pomeriggio perché eravamo tutti asini. Non so nemmeno se ero al quarto o al quinto anno, non sono mai stata brava a ricordarmi le date. Lo chiederei ai miei se ne avessi il coraggio e se sapessi come mettere la domanda.

Ricordo che mi rifugiai in camera, non stavo male. Mi misi al computer aprendo le mie solite cose mentre prendevo il cellulare scrivendo un messaggio al mio ragazzo.

“Zio Danilo è morto”.

“Stai scherzando? o.o”. Me lo scrisse circa cinque minuti dopo, di solito potevo anche aspettare un’ora per la sua risposta, se l’argomento non era importante. Me lo aveva chiesto perché appena tre mesi prima era morta mia nonna paterna, uno o due anni prima mio nonno paterno e un altro anno prima mia nonna materna. Solo vivendo ho capito perché non era ancora finita.

“No…”.

“Come stai?”.

“Bene credo”.

Sì, stavo bene, non stavo piangendo. Lasciai perdere i messaggi iniziando a cercare le solite cazzate, a guardare i video su youtube eccetera ma la mia mente vagava, pensando a quelle volte in cui mi prendeva in giro, in cui mi diceva « Chi è lo zio più cattivo del mondo? », mi faceva il solletico mentre mangiavo. Poi pensai a come se n’era andato: in ospedale, da solo. Sonia, sua moglie, mia zia acquisita che col tempo avrei imparato ad odiare per le sue frasi, per le sue scelte e per la merda in cui ci avrebbe gettato ma di cui in quel momento avevo gran compassione, era in Germania perché non riusciva a trovare lavoro. Anzi, un lavoro ce l’aveva, lavorava nella ditta di viti di mio zio fino a che lui non è riuscito più a pagarla, così aveva dovuto e voluto trasferirsi. Mia cugina faceva l’università a Glasgow, qualcosa a che vedere con la biologia. Non volevo nemmeno pensare a come si sentisse lei in quel momento.

Viveva solo. Veniva a casa nostra la sera, dopo cena, vivevamo a circa duecento metri di distanza quindi non era difficile che accadesse ma, dopo tutti quei trasferimenti, veniva quasi ogni sera a parlare con mio padre, suo fratello minore, del più e del meno, della musica scadente e della Coppa Rimetti che davano su non ricordo quale stazione radio, erano canzoni orribili ma che facevano morire dal ridere e lui si era fissato in quel periodo. Mio zio era sempre stato grasso ma, in quei giorni, aveva il volto scavato e la pancia gonfia così gli consigliavamo di farsi vedere ancora e ancora e, quando lo fece, lo fecero ricoverare non ricordo nemmeno per quale problema. Non era una cosa che portava alla morte, l’avrebbero operato il giorno dopo o due giorni dopo e tutto si sarebbe risolto per il meglio, nessuno era preoccupato.

Fatto sta che si alzò per andare in bagno e cadde a terra, emorragia interna.

Così se n’era andato. Per uno stupido, stupidissimo errore appena oltre i cinquant’anni.

Quando riuscii a realizzarlo chiamai il mio ragazzo, non stavo ancora piangendo, gli dissi che avevo iniziato a pensare a mio zio e a cosa era successo e lui decise di venire a casa mia, cosa che avrebbe fatto praticamente tutti i giorni almeno per una settimana, portandomi fuori con gli amici. Mio padre ci rimaneva male ogni volta che li abbandonavo, anche mia cugina ci rimaneva male che era venuta giù dall’Inghilterra ma io non riuscivo fisicamente a rimanere in casa.

Venne a casa mia, lo abbracciai, iniziai a raccontargli dell’accaduto lasciandomi piano piano andare alle lacrime mentre venivano fuori tutti i lutti precedenti, accumulatisi in quel poco tempo, era come se non avessi mai pianto in vita mia e stessi sfogando tutto in quel momento.

Mi sentivo anche male per non aver pianto da subito mentre gli inzuppavo la felpa, credo che indossasse quella celeste. Non capivo perché non avevo pianto subito, mi chiedevo se mio padre stesse piangendo dato che era un tipo molto introverso. Mia madre stava sicuramente piangendo invece.

Lui no, lui mi stringeva e mi accarezzava dicendo che sarebbe andato tutto bene, che sarebbe passato, che ormai era finita, il brutto periodo se n’era andato. Io pensavo se ne fosse andato con l’ultima nonna, perché nessuno poteva aspettarsi qualcosa di simile, non mio zio.

Tutti gli altri avevano l’età, avevano le malattie, la nonna materna l’infarto iniziale che poi l’aveva portata, dopo tempo in ospedale, alla morte, mio nonno il fegato corroso da anni di vino rosso e sigarette, l’altra mia nonna il tumore. Lo sapevamo. L’ultima nonna, addirittura, prendeva medicine da quando ricordo. Ne prendeva tante diverse, tante pilloline colorate di forme e dimensioni differenti. Ce n’era una giallognola e ovale che doveva spezzare a metà, e anche un’altra bianca e piatta doveva spezzarla.

Ma zio no.

Piansi per giorni, piansi anche per quello che successe dopo, per i soldi che mancavano per il funerale, per i debiti dell’azienda, per la casa dove ormai non viveva nessuno, per mia zia che non ci dava soldi perché diceva di non averne invece ce li aveva, per me che non avrei potuto fare l’università e che era assurdo dato che mia cugina stava addirittura a Glasgow.

Per mia zia che, quando le avevamo detto che avevamo anticipato i soldi per metterlo nella camera mortuaria e che doveva ridarceli perché non potevamo andare avanti, disse « Non potevate lasciarlo lì? ».

Passai mesi a piangere per tutti i problemi che venivano fuori uno dietro l’altro, con gli altri funerali ancora da finire di pagare, con le eredità che non si sbloccavano perché mia zia si era rifugiata di nuovo in Germania e non veniva a fare una misera firma, per i soldi da pagare per la mia bisnonna paterna che, qualche mese prima della morte di mia nonna, aveva avuto un’ischemia ed era stata in ospedale talmente tanto che non riusciva quasi più a camminare e che era definitivamente uscita di testa e che stava in una casa di riposo perché non avevamo il tempo materiale per tenerla con noi. Di quando abbiamo provato a tenerla con noi, prima della morte di mio zio, le due settimane dove nessuno aveva dormito. Niente soldi. Mia madre aveva dovuto prosciugare il misero guadagno che avevo fatto io l’estate dando volantini, o almeno cercando di darli per poi buttare i rimanenti nei bidoni della spazzatura. Abbiamo dovuto prendere un prestito al 10% di interesse perché, semplicemente, avevamo bisogno di soldi e non per comprare una casa o una macchina, in quel caso sarebbe stato al 6%.

Tempo dopo mia madre aveva per caso scoperto una chat di mio padre con una tipa su internet, si scrivevano in inglese perché l’aveva conosciuta in un gioco online sconosciuto all’Italia. Mia madre non sapeva molto bene l’inglese ma “I love you” l’avrebbe capito chiunque.

Stavano per lasciarsi mentre facevo l’ultimo anno di liceo, quindi mio zio se n’è andato mentre facevo il quarto. Mia madre piangeva, dicendo che se lui aveva bisogno di spazio a lei andava bene perché lo amava talmente tanto che se lo rendeva felice potevano lasciarsi. A me andava bene, insomma, avevo chiesto che rimanesse tutto uguale almeno fino a che non avessi finito l’anno perché non potevo permettermi di pensare anche a quello con lo stress che mi premeva sulle meningi per l’esame in arrivo. Mia madre mi disse che ci avrebbe provato.

Piansi anche per quello, sempre abbracciata spasmodicamente al mio ragazzo. Sì, avevo già diciannove anni e non è che non riuscissi ad accettarlo, ma era un cambiamento molto grande.

Prima che questo succedesse, in realtà, anche la mia bisnonna ci aveva lasciati, nel sonno, senza far impensierire troppo nessuno. Avrebbe compiuto centodue anni di lì a poco, quindi andava bene. Non piansi molto, anzi, uno sfogo veloce sotto la doccia, un paio di singulti.

Il mio ragazzo venne al funerale.

Mia nonna diceva sempre « Camperà più di me. Ci seppellirà tutti lei. » e la mia bisnonna rispondeva « Èh? » perché, a quell’età, era diventata parecchio sorda, però ci vedeva benissimo.

Mia nonna aveva avuto ragione.

Ogni tanto ancora i miei mi chiedono di ripetere cosa dicesse nonna, perché loro non ricordano questo particolare e ogni volta lo ripeto, col sorriso sulle labbra perché quella donna aveva superato entrambe le guerre mondiali e cosa si poteva volere di più?

Si era sposata, aveva avuto figli e poi non ricordava più nulla dei giorni che trascorrevano, era capace di fare colazione due volte di fila perché non era sicura di averla fatta.

Era veramente bassa, ripiegata quasi su se stessa, io la superavo di una spanna abbondante e sono più bassa della media.

Dicevano che ci assomigliavamo parecchio, quando lei aveva la mia età.

C’era una foto nella sua camera, in bianco e nero, sfocata ai bordi, del giorno del suo matrimonio. Era bellissima, non sorrideva ma era felice. Non so che fine abbia fatto quella foto, io alla fine del quinto anno mi sono trasferita nella sua camera dopo aver tolto tutti i mobili perché la mia era troppo fredda e si stava formando la muffa, giusto per aggiungere altro stress. Anche lì ora si sta formando un po’ di muffa, perché la casa è vecchia. Ha talmente tanti problemi che è ora di andarsene ma ogni volta che i miei ne parlano si mettono a litigare.

Non si sono lasciati alla fine, perché mio padre, da sobrio, le aveva detto che lui andava bene lasciarsi ma poi, da ubriaco, aveva detto che amava solo lei e che era solo un periodo orribile e che era solamente un modo per evadere dalla realtà, che non provava nulla per quella donna se non simpatia. Non ne riparlarono praticamente più, perché quando mio padre dice una cosa da ubriaco quella rimane.

Avevamo litigato di brutto una volta, avevo appena finito il quarto anno, il mio ragazzo stava preparando l’esame del quinto, anzi, il giorno dopo avrebbe avuto l’orale. Talmente di brutto che ruppi un piatto, ad un certo punto mi sembrava stesse per darmi uno schiaffo ma non lo fece, uscii di casa di corsa, con il cellulare e le infradito, con i vestiti che usavo come pigiama estivo.

Non mi allontanai quasi per nulla, perché andai semplicemente nel balconcino di fronte all’entrata superiore di casa, chiamai il mio ragazzo, gli chiesi piangendo di venirmi a prendere. Lo fece anche se stava studiando, era il momento meno opportuno in assoluto.

Quando mi disse dove aveva parcheggiato me ne andai di lì, mi disse che mia madre lo aveva visto e gli aveva chiesto se era lì per venirmi a prendere. Suonai alla nostra vicina di casa, dove mamma mi stava aspettando, mi abbracciò tranquillizzandomi mentre le piangevo addosso tutte le mie paure per quello scatto di violenza mai avvenuto. Lei mi disse che era meglio che stessi un po’ dal mio ragazzo, se potevo. Entrò in casa e mi prese dei vestiti, dicendo che mi avrebbe telefonato.

Lo fece, nei due giorni successivi, per dirmi che mio padre non aveva mai nemmeno pensato di alzare le mani su di me e che mi ero sbagliata. Chiedevamo l’uno dell’altro ma non avevamo il coraggio di parlarci, nascosto sotto un’incazzatura che era già passata.

Quando tornai a casa lui mi dava le spalle, seduto di fronte al computer, mi disse stentatamente che mi voleva bene mentre io già iniziavo a piangere e gli rispondevo che anch’io gli volevo bene. Si alzò e mi abbracciò forte, non con le solite pacchette sulle spalle, mentre i suoi occhi si facevano lucidi e la voce tremolante.

Qualche sera dopo, dopo aver fatto bisboccia ed essere abbastanza ubriaco, mi ripeté più volte che mi voleva un bene dell’anima, che gli dispiaceva, che anche se magari non gli credevo lui non poteva vivere senza sapere che io stessi bene.

Mia madre iniziò a piangere, io insieme a lei, ci abbracciammo ancora.

Ogni volta che ci penso mi commuovo, mi beo di quelle sensazioni perché, comunque, anche se non lo sa dimostrare so che mi vuole bene, che vuole bene a tutti. Anche se non ci chiamiamo spesso perché abbiamo ancora tutti i nostri problemi di comunicazione so che siamo vicini.

È già passato qualche anno da questi avvenimenti e mi ricordo le sensazioni, più che i fatti. Quello che so è che, alla fine, tutto è andato per il meglio.

Mia cugina, nonostante tutto, sta per laurearsi, io frequento l’università a Bologna e va tutto per il meglio.

Sono andata a vedere un film oggi, Manchester by the Sea, mi ha ricordato mio zio e da lì tutti gli eventi a lui concatenati. Sono felice di averlo scritto anche se non ha una vero logica, anche se sono solo un mucchio di parole che hanno senso solamente per me, che voglio condividere solo come azione catartica.

Nonostante questo, sarò contenta se qualcuno lo leggerà, se lo farà stare meglio.

Ogni brutto periodo finisce, è solo questione di tempo.

   
 
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