Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |      
Autore: Poetessia    04/03/2017    1 recensioni
«Bene, non è mai facile dirlo, ma credo proprio che sia giunta la tua ora, ecco.»
Ok, la mia mente è sempre più attorcigliata!
«La... mia... ora?» scandisco. Lui scrolla le spalle.
«In effetti è un po' presto, ammetto che non ti aspettavo. Ma sai com'è, succede.»
[...]
«Ho visto quello che mi sta succedendo» spiego con le farfalle nello stomaco, come se stessi confessando il mio segreto più intimo «Quello che sta succedendo al mio corpo, dico. Com'è possibile? Avevo letto qualcosa sui viaggi astrali, ma non ci ho mai creduto...»
Spalanca quell'eterno sorriso rassicurante, quasi con tenerezza.
«Te l'ho detto che non ti aspettavo.» Conclude sereno, voltandosi senza congedarsi.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Fate qualcosa!»

Nonostante l'urlo sia a una distanza ridicola da me, lo sento vago e quasi indistinto: mi sembra di essere in un film, e quasi vedo l'inquadratura allargarsi, le immagini rallentare e le voci ovattarsi mentre i rumori di fondo aumentano di volume.

Anzi, niente "quasi": mi vedo.

Il mio corpo è steso sul marciapiede a faccia in su: ho gli occhi chiusi, le braccia abbandonate lungo il corpo e la rivista che ho appena comprato è vicino a me ancora intonsa; se il luogo non fosse un marciapiede e su di me non fosse inginocchiata una ragazza che urla come un'ossessa direi che sto dormendo, e pure bene.

A differenza delle mie previsioni, la situazione sembra accelerare in modo brusco e l'urlo della ragazza si fa più acuto di volta in volta, mentre tento di ignorarla fino a riuscirci quasi del tutto.

Rifletto, mentre un'orda di gente agitata inizia a circondarmi, cercando di capire cosa mi sia accaduto poco prima: come al solito ho fatto un salto in edicola, ho comprato la mia copia di "Rolling Stone" e ho ripreso a camminare, sudando di brutto.

Sudando di brutto...

"Oh oh."

«Qualcuno è un dottore, un infermiere, uno studente di medicina?» bercia un vecchio, mentre gira la testa all'impazzata e il panico si fa strada sul suo viso: un ragazzino è al telefono e un altro mi sta facendo una foto, ridacchiando.

«Razza di...» borbotto, mentre un senso di fastidio si impadronisce della mia testa: sento il cervello pulsare come un dannato, sempre più rapido, e la vista annebbiarsi.

Poi, il buio.

***

Una jeep, una strada isolata e un prato. Per di più è pure notte, mentre sul marciapiede era prima mattina: ok, è ufficiale, non ci sto capendo più niente di tutta questa storia.

Attraverso la strada e aguzzo la vista con la speranza di vedere qualcosa che mi faccia comprendere la situazione, scovando quella che sembra una fattoria circondata da uno steccato di dimensioni ragguardevoli. Non che ciò non mi incasini ancora di più le idee, sia chiaro, ma almeno ho una direzione.

Ci arrivo in meno tempo del previsto, trovandomi davanti un viso noto.

È un bel ragazzo intorno alla quarantina: i capelli biondo scuro sono leggermente lunghi, il viso non è ancora solcato da rughe e il sorriso è candido, accogliente, quasi luminoso.

«Ti aspettavo» mi saluta.

«Sei...» oso, alzando un sopracciglio senza convinzione «Sei Jon Bon Jovi o sbaglio? Sei giovane» mi sfugge quasi. Lui ride cristallino.

«Ho questo aspetto, sì» annuncia, senza darmi un'effettiva risposta «Bene, non è mai facile dirlo, ma credo proprio che sia giunta la tua ora, ecco.»

Ok, la mia mente è sempre più attorcigliata!

«La... mia... ora?» scandisco. Lui scrolla le spalle.

«In effetti è un po' presto, ammetto che non ti aspettavo. Ma sai com'è, succede.»

«Fammi capire bene» porto le mani in avanti, cercando il bandolo della matassa «Ero in edicola che compravo una rivista, ho iniziato a sudare e...»

«Aneurisma» minimizza lui con aria semplice «Mi dispiace» aggiunge, col volto di uno che però il dispiacere non sa manco cosa sia se non, forse, per sentito dire.

Da parte mia non so cosa pensare.

Capisco che dovrei provare paura, spaesamento, orrore, ma non riesco a percepire nulla di tutto questo, neanche quando mi focalizzo sul fatto che quello sul marciapiede che ha attirato tutta quella gente è il mio cadavere.

«Sei l'angelo della morte?» azzardo infine.

«Te l'ho detto, non ti aspettavo.»

Secco, diretto, come se tale affermazione per me fosse una spiegazione sufficiente. Sbuffo.

«Senti, non sto capendo niente. Non so perché non sto urlando di orrore, non so perché sono in un prato con Jon Bon Jovi, non so nulla a parte, più o meno, l'ora di quello che sembrerebbe il mio decesso. Puoi spiegarmi qualcosa o devi fare il mistico?»

Ride di nuovo, incrociando le braccia: «Che ostinazione!» mi pizzica «Detesto quando arrivate così giovani, siete sempre pieni di domande. Perlomeno a te non è venuta una crisi di nervi.»

«Come può venirmi una crisi di nervi se ho ancora tutta questa confusione in testa?» gli faccio presente con fastidio «Magari mi verrà dopo, quando mi avrai spiegato chi sei, perché, secondo le tue parole, hai l'aspetto di Jon Bon Jovi ai tempi di "Crush" e perché siamo in un maledettissimo prato!»

Mi sto esasperando, me ne rendo conto.

Lui prende fiato, sospira e riprende fiato un'altra volta, guardando in basso, sempre a braccia conserte.

«Sono quello che trasporta le anime da una parte all'altra» si arrende «Caronte, Ade, San Pietro, chiamami come vuoi. Assumo una forma diversa per ognuno, nel tuo caso a quanto pare Jon Bon Jovi. Ti piacciono i Bon Jovi?»

«Non più di tanto» confesso: lui scioglie le braccia per gesticolare con aria distratta.

«Va be', non facciamoci domande e chiamami pure Jon.»

«Come mai siamo qui?» incalzo.

«È una specie di anticamera: stiamo qui fino a che...»

«Io non credo in Dio» annuncio all'improvviso «Io non dovrei essere qui, dovrei...»

«Qui non si tratta di Dio, Horus o il Mostro degli Spaghetti Volante» mi zittisce schietto «Quello che c'è oltre la morte trascende tante cose, e il concetto terreno di religione è la prima. Cosa ti aspettavi?» si informa senza sarcasmo, spiazzandomi.

«N-niente!» balbetto «Che ne so, non sono domande che ti fai di solito, a meno che non guardi qualche film intripposo!»

«"Intripposo"» salmodia con un sorriso divertito «Che parola carina. Mi piacciono da matti i neologismi. Comunque, stiamo qui fino a che non avrai il tuo Grande Oltre.»

Stavolta sono io a incrociare le braccia: «"Grande Oltre"? Il mio Grande Oltre?» ripeto senza capire.

«Aldilà, Grande Oltre, Paradiso, chiamalo come vuoi. Quello che c'è dopo il momento della morte, insomma.»

«Quindi qualcuno...» provo a rimettere insieme i pezzi «Sta creando una specie di mondo apposta per me?»

«Eh!» annuisce Jon con vigore «Hai capito!»

Mi zittisco per una manciata di secondi, mentre il puzzle mentale inizia a restituirmi i contorni di una figura.

«Jon... Hai idea di cosa mi aspetti?»

Mi guarda con aria semplice.

«Assolutamente no. Fino a che non entro in possesso della tua cartella...»

Non riesco più a seguirlo: mi porto una mano alle tempie e chiudo gli occhi, davanti a me il prato ha iniziato a vorticare e preferirei non battezzarlo con una chiazza di vomito. Credo che Jon non abbia notato nulla.

Serro con forza gli occhi avvertendo una serie di spilli conficcarsi nel mio petto con cadenza regolare prima di sprofondare di nuovo nel buio.

***

Il mio corpo è su una barella, circondato da quelli che immagino siano paramedici: un ragazzone con le spalle larghe è chino su di me che armeggia con qualcosa e, a quanto capisco, se la sta prendendo con il mio petto.

«Ti vuoi muovere?» urla l'autista, una bella ragazza riccia che ricorda Bettie Page «Ho una cazzo di sirena attaccata, imbecille!»

«Calmati, ci siamo quasi» cerca di tranquillizzarla una collega «Stai andando benissimo, non preoccuparti.»

«Avete già avvisato l'ospedale?» chiede il ragazzo sul mio corpo, ricevendo un segno di assenso.

«È giovane, può farcela» sentenzia una ragazza con i capelli di un rosso acceso e innaturale.

«State pronti, tra una curva ci siamo» annuncia l'autista.

È l'ultima cosa che riesco a percepire prima di sentire un dolore sordo all'altezza dell'ombelico che mi annebbia il cervello e lo fa precipitare nel buio.

***

«Bene, è arrivata la cartella» annuncia Jon con noncuranza, voltandosi a guardarmi per un istante: a quanto pare non si è neppure accorto della mia sparizione dal prato e del mio malessere, perciò tento di ricompormi e assumere un'espressione neutra, senza però godere della sua considerazione.

È concentrato ad aprire una busta azzurra, come se non volesse rompere il sigillo di ceralacca color oro ("Che colore strano per della ceralacca" mi ritrovo a pensare stupidamente) che la serra: appena riesce nel suo compito legge con attenzione una pergamena, anch'essa azzurra.

«Allora, qui c'è scritto che ami la letteratura, il rock'n'roll degli Anni Sessanta, in generale gli Anni Sessanta...»

«Lasciateci passare!»

"Ma che...?"

La voce sembra arrivare da lontano, eppure giurerei di averla già sentita da qualche parte.

«I colori piuttosto tenui, la montagna...» continua ad elencare Jon.

«Sbrigatevi, ogni secondo è prezioso, forza!»

«Non sopporti gli anziani?» domanda Jon, più a se stesso che a me: non potrei rispondergli comunque, con le voci che si affastellano nella testa.

Mi sento vacillare, come se avessi appena perso l'equilibrio o avessi ricevuto uno strattone, e piombo un'altra volta nel buio.

***

Il mio corpo è in un luogo asettico, dalla luce fredda e abbacinante, e tre persone si trovano vicino alla mia testa: un uomo dall'aria seriosa domanda con voce grave a chi gli sta vicino, bardato a tal punto che non capisco se sia un uomo o una donna, qualcosa che non capisco con tono preciso e tecnico.

Vedo un rasoio volare sui miei capelli, facendoli cascare in gran quantità: con un gesto istintivo mi porto la mano alla testa, sentendo ancora la mia chioma corta ma folta ancorata al proprio posto e percependo un immediato senso di sollievo.

"Non dovrei provare sollievo" comprendo, ma in quel momento non mi interessa: osservo la scena per ancora una manciata di secondi, fino a che un suono strano, come di risucchio, mi invade le orecchie del tutto.

Ancora, per l'ennesima volta, crollo nel buio.

***

Un trillo.

Possibile che abbia appena udito un trillo simile a quello dei forni a microonde quando finiscono il loro ciclo? Una specie di segnale acustico?

Devo avere un'espressione perplessa, perché Jon sta ridacchiando.

«Lo so, fa abbastanza strano 'sto "PING!"» ammette «Però è così da secoli, letteralmente.»

«E... cosa significa?» indago, senza riuscire più a pensare qualcosa di sensato.

«Che il tuo paradiso è pronto» annuncia gioioso Jon, sfregandosi le mani «Ora fino a un certo punto dovrai seguirmi, ma poi dovrai andare sulle tue gambe e io fermarmi qui.»

Senza darmi tempo di ribattere si incammina verso lo steccato della fattoria che, davanti ai miei occhi, muta forma fino a trasformarsi in un cancello in ferro battuto, alto, dalle linee pulite e privo di decorazioni.

Rinuncio a comprendere la situazione, seguendolo.

«Mi aspetta il Paradiso o l'Inferno?» mi ritrovo a domandargli: a quel punto le mie certezze, anche quelle metafisiche, sono belle che crollate.

Sorride: e nonostante io detesti chi ride troppo, quella curva di denti candidi mi infonde un senso di sicurezza e non un desiderio di prenderlo a schiaffi.

«Se vuoi metterla in questi termini, il Paradiso» spiega confortante «Se ancora vogliamo usare i termini terreni, in modo che tu possa capirmi, sappi che il Perdono è destinato alla maggior parte delle persone: la tua vita non ha macchie rilevanti, quindi è ovvio che tu abbia l'accesso al Paradiso. Bene» taglia corto, indicandomi la porta di quella che da lontano avevo scambiato per una fattoria, un capannone in legno dipinto di rosso cupo «Da qui ti devo lasciare. Devi rientrare, aspettare qualche secondo e poi ci sarai.» Mi istruisce, voltandosi per andarsene.

«Jon!»

Non so perché l'ho bloccato, l'ho fatto controvoglia: però non posso fare a meno di togliermi quel tarlo che mi assilla da quando è iniziata quell'esperienza.

Da quanto è iniziata, a proposito? Minuti, ore, giorni? Non saprei quantificarlo.

Lui si volta, con le labbra ancora piegate all'insù, camminando all'indietro.

«Ho visto quello che mi sta succedendo» spiego con le farfalle nello stomaco, come se stessi confessando il mio segreto più intimo «Quello che sta succedendo al mio corpo, dico. Com'è possibile? Avevo letto qualcosa sui viaggi astrali, ma non ci ho mai creduto...»

Spalanca quell'eterno sorriso rassicurante, quasi con tenerezza.

«Te l'ho detto che non ti aspettavo.» Conclude sereno, voltandosi senza congedarsi.

«Ma cosa vuol dire?» mi lamento, sentendo un senso di estraniazione iniziare ad opprimermi «Jon!» urlo.

«Jon!» sento le corde vocali pizzicare per il troppo sforzo.

«Jon!» prolungo quella maledetta "o" fino ad esaurire il fiato, tossisco cercando di riprendere aria, ma niente: è sparito.

Aspetto che il mio respiro si regolarizzi, mentre l'estraniazione cede il passo alla rassegnazione: devo aprire quella dannata porta in solitudine e andare incontro a un destino ignoto.

Inspiro, espiro, apro ed entro.

L'interno non è illuminato, ma distinguo comunque qualche contorno: all'apparenza è uno stanzone vuoto, disseminato da qualche mensola priva di ninnoli o ammennicoli sopra a parte, forse, un libro.

Paziento, aspettando che gli occhi si abituino a quella situazione fastidiosa e congetturando cosa possa capitarmi, senza però immaginare scenari plausibili.

Dopo un tempo per me incalcolabile avverto una vaga sensazione di prurito in testa, e agguantando il punto incriminato per grattarlo ricordo all'improvviso che si tratta dello stesso in cui il medico mi ha rasato i capelli.

Gratto con vigore, ma il prurito inizia a diffondersi lungo tutta la testa e a propagarsi con rapidità crescente, diventando martellante al punto tale da mettermi addosso il desiderio di prendere a capocciate un muro pur di non percepire più nulla: giurerei di sentirlo fino in gola a strangolarmi, nei polmoni, in tutta la parte alta del mio corpo o qualsiasi cosa ne sia rimasta.

Non credo di aver mai sofferto tanto in vita mia, fino a che non si trasforma in un bruciore atroce, soffocante, insostenibile. Se non avessi la certezza del mio decesso, se non avessi visto il mio corpo sballottato tra strada, ambulanza e tavolo operatorio, avrei la certezza di stare per morire.

D'improvviso traggo un respiro strozzato, mentre la gola si rilassa e gli alveoli tornano ad aprirsi con regolarità.

È l'ultima cosa che faccio.
 

Mi sento avvolgere nel buio.

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Poetessia