Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Esarcan    04/03/2017    1 recensioni
Una congiura minaccia l'Impero e Charles è proprio nel centro del ciclone. Terzo classificato nel contest "Steampunk Tendencies" organizzato da Ayr.
Genere: Azione, Comico, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Peggio dei Venditori Porta a Porta



Il bussare alla porta si era fatto piuttosto insistente e Charles sapeva di non poterlo più ignorare. Aveva commesso l’errore di scostare leggermente le tendine di pizzo della finestra vicino alla porta d’ingresso ed era sicuro che il molestatore delle quiete pubblica, che aveva il coraggio di tormentarlo a quell’ora della notte, avesse notato il movimento. Perciò si apprestò ad aprire la porta, già pronto ad urlare “Non compro nulla!” e sbatterla stizzito. Ma la voce gli morì in gola, poiché appena aprì la porta l’ignoto visitatore gli sventolò sotto il muso un semplice pezzo di carta con impresso un sigillo che Charles conosceva bene: una semplice rosa nera stilizzata che piangeva gocce scarlatte. Era lo stesso che il suo ultimo cliente aveva utilizzato sugli ordini per assassinare il Duca. Ma tutte quelle missive gli erano state inviate in luoghi sicuri, appositamente scelti perché nessuno potesse mai risalire a lui, né, tantomeno, al suo piccolo, amabile e deliziosamente arredato cottage di campagna, scelto per la posizione strategicamente isolata, ma non troppo lontana da un centro abitato con un decente negozio di alimentari. Un idilliaco ed elegante ritiro dalla frenetica vita di città, per farla breve. E ora tutte quelle giornate perse tra le dolci collinette del Wickedbottom alla ricerca dell’abitazione perfetta erano stati rovinati dalla semplice ed esacerbante presenza dell’essere che, al momento, se ne stava composto sotto la pioggia torrenziale sull’uscio di Charles. 

«Ceneri Ardenti!» Senza tanti complimenti l’assassino prese l’intruso per la spalla e lo tirò verso di se, per poi girarsi e spingerlo dentro la casa, chiudendosi la porta alle spalle. Il tutto accadde troppo velocemente perché l’individuo si rendesse conto di ciò che gli stava accadendo, scivolò su un tappeto e sbatté la fronte sul corrimano di legno intagliato della scala che conduceva al secondo piano. Charles non perse tempo, lo prese per la collottola, lo raddrizzò e gli tirò uno schiaffo.

«Questo è per aver sgocciolato sul mio parquet appena incerato!» lo colpì una seconda volta «E questo per esserti presentato, senza invito, ad un orario simile!»

Già che c’era avrebbe almeno fatto il tentativo d’inculcare delle buone maniere nell’idiota, anche se l’espressione confusa e timorosa sulla faccia dell’allievo gli diceva che sarebbe stato tutto tempo sprecato.

«Ora andrò a prepararti una tazza di tè. No, non m’interessa se non vuoi del tè. Sì, probabilmente ci sputerò dentro. Puoi andare a sederti in salotto mentre mi aspetti, ma prima lascia vicino alla porta l’impermeabile; se ci sarà una singola goccia d’acqua su un qualsiasi componente dell’arredamento ti taglierò ogni singolo dito.» A quelle parole l’uomo sembrò volere controbattere qualcosa, ma ad un’occhiata di Charles si zittì e cominciò a togliersi l’impermeabile, massaggiandosi con una mano la zona arrossata dov’era stato schiaffeggiato.

Mentre l’acqua nella teiera raggiungeva il bollore, Charles, ancora in camicia da notte e vestaglia, contemplava il vasto assortimento di coltelli che aveva collezionato negli anni. Ognuno di essi era affilato quanto bastava per affettare un foglio di carta semplicemente passandolo sul filo della lama e tutti erano abbastanza resistenti da tagliare ossa senza scheggiarsi, alcuni di essi erano stati forgiati proprio con quello scopo in mente. Ma per quanto gli andasse di fantasticare quante pugnalate l’ospite nell’altra stanza avrebbe potuto sostenere prima di accasciarsi al suolo, soffocando nel suo stesso sangue, non poteva ignorare la minaccia che il suo padrone poneva. Chiunque fosse questo misterioso burattinaio era riuscito in un’impresa non semplice: rintracciarlo. Charles avrebbe potuto giurare che chiunque l’avesse conosciuto prima che indossasse le vesti dei Corvi di Carbone fosse tornato alle Ceneri da molto tempo e si fossero portati dietro ogni prova della sua esistenza, era questo che comportava entrare in quella ristretta confraternita. Era impossibile che l’avessero seguito fin lì: da quando aveva accettato il contratto fino al suo adempimento aveva soggiornato a Coalport e aveva fatto ritorno a Wickedbottom dopo due giorni dall’assassinio. La zona era troppo aperta e priva di nascondigli perché lo avessero pedinato senza che se ne accorgesse, ed era sempre scrupoloso nello scrutare i dintorni proprio per evitare avvenimenti simili. L’uomo aveva anche visto il suo volto scoperto ora, il che lo metteva in una posizione difficile: da una parte il suo istinto gli urla di disfarsi di un tale punto debole, d’altro canto aveva bisogno del messaggio che sicuramente il suo ospite era lì per recapitare. Charles era pronto a scommettere che si trattasse di un nuovo incarico e nella sua linea di lavoro tristemente spesso la data di scadenza di un assassino coincideva con quella del completamento del lavoro. Però, se avesse accettato il lavoro, avrebbe potuto guadagnare una considerevole quantità di tempo per sfuggire alla spiacevole situazione. Avrebbe comunque dovuto eliminare il messaggero una volta che avesse consegnato la risposta di Charles al suo cliente, aveva decisamente visto troppo. Sarebbe dovuto sembrare un incidente, non poteva permette che il padrone del suo ospite s’insospettisse troppo, ma avrebbe pensato ai dettagli in un secondo momento. 

Il fischio della teiera riportò la sua mente in cucina, annunciando che l’acqua aveva raggiunto il bollore. La tolse immediatamente dalla piastra ardente: avrebbe dovuto concentrarsi di più, non voleva che l’acqua bollisse del tutto poiché rischiava di rovinare l’aroma delle foglie di tè. Poco male, l’ospite, per quanto tale, non meritava un gran trattamento in questa particolare istanza. Raccolse da una latta di rame una manciata di una delle miscele meno costose e la gettò nella teiera. Ponderò, nei pochi minuti che gli rimanevano prima che il galateo lo costringesse a ricongiungersi con l’uomo nel salotto, che tipo di urlo sarebbe scaturito dalla bocca dell’ospite se gli avesse versato in testa il tè caldo. Si crogiolò in quest’idea mentre ciabattava nel breve corridoio che sbucava proprio dietro la coppia di poltrone di velluto rosso, strategicamente poste di fronte al caminetto per il massimo della comodità. L’uomo era proprio in mezzo a queste, leggermente inclinato verso il fuoco scoppiettante in un tentativo di asciugarsi. Charles passò oltre e appoggiò sul tavolo rotondo, che occupava l’altra parte della stanza, il vassoio d’argento: con cui aveva trasportato due tazze di porcellana, la teiera, una zuccheriera di cristallo stracolma di zollette arcobaleno e un piccola brocca di latte. Versò l’infuso di un perfetto color rosso bruno nelle tazze, in cui due filtri d’argento finemente traforati accolsero le foglie di tè che avevano ormai esaurito il loro scopo. Poggiò i filtri nelle loro apposite ciotole e con estrema calma si girò verso il messaggero, ancora intento nell’inutile impresa di rendersi un po’ meno zuppo.

«Lei prende il tè con uno o due sputi?» 

La domanda fece sussultare l’uomo, che però sembrò riacquistare immediatamente la calma quando individuò Charles: evidentemente non l’aveva sentito entrare, erano cose che succedevano spesso con gli assassini.

«Preferirei evitare gli sputi, grazie. Sà il dottore mi ha detto che dovrei stare più attento alla linea.» Tentò di controbattere in una maniera che lui sicuramente considerava divertente.

«Sciocchezze! Vedrà che non avrà nulla da ridire se gli spiega le circostanze.» Charles sputò rumorosamente nella tazza, il suo sguardo fisso sulle impronte bagnate che l’uomo aveva lasciato dall’ingresso. Aggiunse due zollette di zucchero e porse il tutto al messaggero che, titubante, allungò una mano.

«Coraggio, beva.» Gli occhi dell’assassino non lasciarono scampo all’uomo, che si ritrovò con la tazza alla bocca prima ancora di accorgersene.

«Molto bene. Ora può dirmi per cosa ha osato disturbarmi nel mezzo della notte e, come se non fosse sufficiente, a casa mia.» Prese un sorso per dissimulare la rabbia crescente.

«C’è anche qualche biscotto?» Chiese l’uomo ignorando completamente la domanda.

«No.» Ringhiò Charles, arginando la furia assassina.

«Peccato.»

«Già.»

«Comunque...» l’uomo si schiarì la gola «sono qui per conto di un nostro comune amico, come sicuramente avrà capito dal sigillo.»

«Il fatto che io l’abbia riconosciuto è l’unica ragione per cui è ancora in vita, perciò le consiglio di soppesare le prossime parole con una certa cautela.»

«Certo, certo. Però devo avvertirla che le minacce non la porteranno molto lontano; il nostro anonimo benefattore odierebbe non ricevere un messaggio di risposta entro il tempo stabilito e pestargli i piedi avrebbe un pessimo risultato, anche per un... artista ben noto come lei.»

«Il suo errore è pensare che io tenga in così alta stima la mia vita da non metterla in pericolo per il gusto di eliminare feccia come voi, caro.» Nonostante quest’asserzione Charles era stato preso in contropiede dall’improvvisa arroganza del messaggero e si ritrovò a sperare che non si accorgesse della sua falsa boria, ma l’improvviso tremito che lo scosse quietò l’apprensione dell’assassino. 

«Veniamo subito al dunque allora, dato che non sembra amare la compagnia.»

«Lei si sbaglia: io amo la compagnia, ma non la sua.» Balle. Se Charles avesse potuto vivere ancora più isolato, senza rinunciare alle comodità della civiltà, probabilmente avrebbe trovato il modo di spostare il suo cottage sul cocuzzolo più alto dei Monti Neri.

«Beh, comunque sia sono qui per... proporle un nuovo lavoretto.» Era chiaro ad entrambi che quell’incontro era ben lungi da una proposta, bensì si approcciava molto di più alla natura di un ordine.

«E chi, di grazia, sarebbe il nuovo obbiettivo?»

In tutta risposta il messaggero gli porse una lettera sigillata, sulla ceralacca nera la stessa rosa minimalista aspettava, in bella mostra, di essere rotta. Charles gli strappò la lettera di mano e, con un pugnale fatto comparire da una delle tante tasche della vestaglia, l’aprì in un unico, fluido gesto. Ne estrasse una spessa pergamena di lunghezza considerevole, completamente ricoperta di minuscoli caratteri e, sul fondo del testo dove normalmente vi sarebbe stata la firma del cliente, l’ennesimo sigillo occhieggiava misterioso. Charles fece passare velocemente tutti i termini e clausole del contratto alla ricerca del nome della vittima, quando lo trovò fu percosso da un brivido d’eccitazione: Percival Arcturus Peppertwinkle, l’unico ed inimitabilmente corrottissimo Primo Ministro. Sarebbe stata una gioia porre fine alla sua vita, molto più soddisfacente che eliminare l’intera classe nobiliare dell’Impero, perché, al contrario di questi ultimi, quell’uomo aveva tradito la vera natura della propria carica e, con essa, tutta la gente comune che aveva contribuito alla sua elezione. Per quanto fosse una carica quasi onoraria, l’Imperatore di certo non era noto per dispensare poteri decisionali, l’influenza che Percival possedeva all’interno del governo era a dir poco invidiabile e con certezza avrebbe potuto usarla per rendere la vita del popolo molto più godibile. Ma egli aveva scelto la strada dell’avidità, riempiendo l’assassino di disgusto. Era una strana contraddizione quella che Charles sperimentava ogni volta che la sua mente si volgeva alla politica: da una parte anelava alla totale solitudine e al disinteresse assoluto nelle vite della gente, dall’altra provava il viscerale desiderio d’innalzare la loro situazione al di fuori della fogna in cui l’attuale governo li aveva schiacciati.

Senza dubbio era quello il motivo che aveva spinto il suo cliente a rivolgersi a lui già per l’omicidio precedente; per quanto la maggior parte dei Corvi di Carbone fosse di origini imperiali e fossero fortemente patriottici, Charles poteva essere considerato un’eccezione: rifiutava sempre contratti i cui bersagli fossero personaggi di spicco dei moti rivoluzionari che di tanto in tanto scuotevano il paese, era un noto assassino di agenti governativi, politici e nobili influenti, e sicuramente la recente uccisione del figlio dell’Imperatore stesso aveva solo fortificato questa sua nomea.

«Nel nome dei Corvi di Carbone accetto questo contratto.» Annunciò Charles solenne. Sfilò il famigliare cilindro di metallo dalla vestaglia e una sinistra luce rossa inondò la stanza. Lo appose delicatamente al foglio, vicino al sigillo del cliente e sussurrò dolcemente al suo Tizzone: «Marchia.»                                                  Un sottile filo di fumo si alzò dal contratto e quando rimosse il piccolo contenitore rimase un convoluto marchio che raffigurava un corvo banchettante sui resti di un cadavere. Restituì la pergamena al messaggero.                                «Molto bene. Riceverete ulteriori istruzioni nei prossimi giorni, nei soliti posti.» Disse dopo un attimo di pausa che tradiva qualche rimasuglio d’insicurezza, probabilmente causata dall’inquietante bagliore del Tizzone. Quella pietra sembrava saper sempre come incutere timore quando ve n’era bisogno e rendersi quasi invisibile all’evenienza, quasi fosse viva e in effetti ciò non era molto lontano dalla verità.    «Lasciate che vi accompagni alla porta, allora. Non vorrei mai vi perdeste nella mia vasta magione.» Posandogli una mano sulla spalla cominciò a guidarlo, o meglio trascinarlo, verso l’ingresso.

Quando furono sulla soglia l’uomo si girò a fronteggiare lo sguardo di Charles un’ultima volta.                                                            «Devo avvertirvi che se proverete a seguirmi sono stato autorizzato a ritenere il contratto violato e ne soffrirete le conseguenze.» Deglutì rumorosamente.            «Non temete, le tigri non danno la caccia ai gatti.» E gli sbatté la porta in faccia.

Quando fu sicuro che l’uomo se ne fosse andato, Charles estrasse ancora una volta il suo Tizzone e comandò: «Trova.» La luce della pietra di concentrò in un unico raggio sottile, che andava affievolendosi fino a scomparire completamente a venti centimetri dal cilindro. L’eterea lancia rossa pulsava debolmente, ma Charles sapeva che la sua luminosità sarebbe aumentata più si fosse avvicinato al messaggero. Ovunque muovesse il Tizzone il raggio avrebbe sempre puntato nella stessa direzione, quella dell’uomo, come l’ago di bussola. Era un incantesimo estremamente utile che aveva sottratto ad uno dei Tizzoni delle sue vittime: questo in particolare apparteneva ad un capitano d’aeronave, che lo usava per sapere dove fosse la sua amata quando partiva per lunghe spedizioni. Purtroppo la preparazione necessaria al suo utilizzo lo rendeva poco pratico nella professione di Charles, poiché la persona che si voleva tracciare doveva ingerire la saliva dell’utilizzatore volontariamente, non molto difficile tra amanti, ma non esattamente comune tra assassino e vittima. Charles si sedette su una delle poltrone davanti al fuoco osservando la sottile linea rossa che andava spegnendosi, ponderando ancora una volta quale tra le miriadi di dolorosi metodi d’assassinio avrebbe scelto.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Esarcan