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Autore: Caramell_    04/03/2017    1 recensioni
[...] Baciare Camus è tipo un’esperienza mistica. Milo gli circonda la vita con le braccia e, in silenzio, si meraviglia di quanto sia sottile. Gli stringe una guancia con la mano libera e prova a tirarselo più vicino. Va specificato però; non è come se avessero una relazione, non è che stanno insieme o cose così, è solo che si baciano, ogni tanto e dormono insieme. Niente sesso, solo, ecco, dormire.
[Parent!MiloxCamus/Child!Hyoga/Child!Shun]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile.
E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.
Francesco d’Assisi

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Prima
 
 
 
 
Quella sera trasmettono solo cartoni animati. Hyoga gli saltella intorno per una cosa come dieci minuti buoni fino a che, preso per sfinimento, non lo accontenta. Gli sorride pacato e corre a prendere il PC. Almeno, si dice, ha il tempo per riprendere a lavorare. Capitolo venti. Ce la può fare, è sicuro. Allora, bello ringalluzzito, si posiziona elegantemente sulla poltrona del salotto, il computer sulle gambe e rilegge. Hyoga rimane stravaccato sul divano, una gamba magrissima che penzola dai cuscini. È piuttosto tranquillo, come bambino. Almeno in questo Camus è stato fortunato. Non è mai andato d’accordo con la confusione.
Il suo protagonista ha in mano un pennarello, ma Camus non ricorda esattamente cos’è che, posizionato a quel modo, aveva intenzione di fargli fare. Sospira e lancia un’occhiata distratta ai fogli spillati sul tavolo. Ha finito un lavoro appena quella mattina. Nulla di troppo impegnativo, s’intende, un saggio breve per una rivista di letteratura che Shura gli ha consigliato di scrivere così, per distrarsi. Gli ci sono voluti tre giorni.
Quando ci si è trasferito per, si, per Hyoga, Camus ha creduto che quella fosse la città perfetta per scrivere in tranquillità. Ben collegata, niente traffico perenne o vicini impiccioni. Un toccasana per la sua psiche. Alla fine, però, non era stato proprio così. O, almeno, lo era stato all’inizio. Poi erano arrivati Milo e Shun e niente, era finita la pace.
E la cosa terribile è che, a quando pare, non ne è affatto scontento. Si ritrova a sorridere come uno stupido.
Hyoga ha il faccino girato verso la televisione, il naso adorabilmente arricciato. È incredibile quanto ci si possa affezionare a qualcuno, e in quanto poco tempo, oltretutto. Forse, si dice, è perché è un bambino e i bambini piacciono a tutti. Un punto a suo favore, decisamente.
È solo dopo un’ora che comincia a muoversi. Camus ha buttato giù una buona pagina senza errori o blocchi improvvisi e, per quella sera, non potrebbe essere più fiero di sé. Manca così poco alla fine che già si sente più leggero.
- Cam? – lo chiama ad un certo punto Hyoga, sottovoce.
- Mnh? – bisbiglia lui di rimando, ancora concentrato sullo schermo lampeggiante del computer.
- Ti piace Milo – e non sembra proprio una domanda, dopotutto. Il suo cuore ha un mezzo sussulto e una vampata di calore gli circonda il collo, le orecchie.
 I piccoli hanno un modo di parlare affascinante. Camus li ha sempre, molto segretamente, invidiati. Niente fronzoli o frasi di circostanza, dritti al punto. Non è una cosa che si può fare, tra adulti, nemmeno con gli amici. Un peccato, davvero.
Solleva gli occhi un attimo e – Tu che dici? – Hyoga apre e chiude gli occhi un paio di volte, ci pensa un poco su, assorto.
- Piace anche a me – sentenzia poi, soddisfatto e Camus rilascia il respiro che, non se n’è nemmeno accorto, ha trattenuto fino a quel momento. Ridacchia – Allora va bene
Oh si, va più che bene.
 
 
 
 
Dopo
 
 
 
 
Camus porta i bambini al parco. Nevica di nuovo e l’aria fredda taglia in due la faccia, ma Hyoga ha insistito tanto che alla fine non è riuscito a dirgli di no. E poi, scrolla le spalle, la neve piace anche a lui. Shun ha le guance tutte rosse, caldissime. Affonda il nasino nella sua sciarpa azzurra e riprende a contare. Hyoga è nascosto poco più in là, dietro un albero bello spesso.
Camus non li molla un attimo. Seduto composto sulla sua panchina di ferro, le mani infilate nel cappotto, segue con la testa i movimenti di uno e poi di un altro e li vede ridere, rincorrersi in mezzo ai passanti.
Milo questa volta è a scuola. L’ha salutato quella mattina – Shun al seguito – prestissimo, con un bacio a fior di labbra e poi, tutto pimpante, s’è messo a correre, già in ritardo, gridando per la strada un mezzo saluto incomprensibile. Un casinista nato, non c’è che dire.
Stupido lui che c’è cascato, anche dopo che Aiolos l’aveva avvertito. Camus sorride, stringe le cosce. Si chiede se sia normale, a trent’anni, sentire ancora le farfalle nello stomaco.
 
 
Sa dell’orfanotrofio perché Milo gliene ha parlato. Certo che l’ha fatto. È, dopotutto, da lì che è partito tutto quello. Loro. Camus non se n’è mai interessato, non fino ad ora. A lui bastava che Hyoga andasse a scuola e che fosse contento, il resto pareva più un enorme spreco di tempo ed energia. Questo fino a Milo. E anche solo ammetterlo assesta un enorme colpo al suo orgoglio.
Che l’orfanotrofio venga chiuso, in realtà, non è questa gran cosa. Non per loro almeno. Ma Milo, beh, lì dentro praticamente ci è cresciuto e li adora, quei bambini. Tutti, dal primo all’ultimo. Camus solleva un sopracciglio.
E poi, si, c’è la questione di Shun. Ikki ha dato loro un tempo e Milo ha già cominciato il conto alla rovescia. Spiegarlo ad Hyoga, riflette, non sarà affatto facile.
Non è la prima volta che ci pensa, a fare qualcosa. Non ne parla con Milo perché non ha idea di come reagirebbe. Ha accennato qualcosa ad Aiolos, però. Il denaro non gli manca e la spesa sarebbe più che sopportabile. Ne hanno discusso a scuola un paio di settimane prima. Camus aspettava Milo e Aiolos, a quanto pare, s’era ritrovato un’ora di buco.
- Hanno raggiunto un accordo – ha sospirato, bevendo caffè – Finalmente
Camus ha annuito, la faccia voltata verso di lui – E i bambini?
- Saranno affidati ad un altro orfanotrofio – ha stretto gli occhi, come se ne soffrisse – Cambieranno scuola, e città – Camus non gli ha dato nemmeno il tempo di sospirare di nuovo – Mettimi in contatto con loro – ha sussurrato e Aiolos ha spalancato la bocca.
- Con chi?
- Lo sai
Aiolos a quel punto ha sorriso, indulgente – Non puoi, Camus
- Perché no?
- Non torneranno indietro – ha detto e gli ha poggiato la mano libera su una spalla – Anche se salvassimo l’orfanotrofio, la metà dei bambini è già stata riassegnata e sembra che una decina di loro abbia una famiglia – s’è fermato un attimo, ridacchiando – Marin si è quasi uccisa per contattarli. L’edificio, da solo, non vale niente. Che se lo prendano!
Camus si è leccato le labbra, assorto – E, per Milo?
- Milo se ne farà una ragione – e con affetto – È molto più forte di quello che sembra – poi Aiolos si è girato verso di lui, le sopracciglia un poco sollevate e le labbra dischiuse.
- Voi due- ha cominciato, ma Camus non l’ha lasciato finire – Sì – ha pigolato, le punte delle orecchie già rosse, e Aiolos ha annuito, in silenzio.
- Volevo solo renderlo felice
Aiolos gli ha fatto l’occhiolino, ha trangugiato il suo caffè tutto d’un sorso – Perché – ha detto – credi davvero che non lo sia?
Allora Camus non ha saputo rispondergli. Suppone che non saprebbe farlo nemmeno adesso.
 
 
Camus fa questa cosa, quando Milo lo bacia. Arrossisce. Ma davvero. Le sue guance si fanno d’un prepotente rosso pomodoro, come se fosse sempre la prima volta, come se non fosse mai stato baciato prima. Il che, a pensarci, è semplicemente ridicolo. Camus è, beh, Camus e ogni volta che lo guarda Milo si chiede come sia possibile che tutti, in quella città, non siano ancora innamorati di lui. Tipo lui, che è innamorato perso.
Comunque. Sotto il cielo plumbeo, con l’inverno, le sue lentiggini sono ancora più visibili. Ha le mani infilate nelle tasche, il naso seppellito in una sciarpa stretta e lo guarda, immobile, raggiungerlo dall’altra parte del cancello, mentre i bambini si sbracciano, contenti, e Shun gli corre incontro velocissimo.
- Ciao, tesoro – lo saluta Milo e gli accarezza la testa, intenerito. Non pensava che sarebbero passati a prenderlo. È una cosa dolce, a parer suo, una di quelle cose che fanno le famiglie. Forse, da fuori, anche loro lo sembrano. E quel pensiero gli spezza il cuore.
Camminano stretti stretti, sul marciapiede. Hyoga, davanti ai piedi di Camus, prende a raccontargli di quella mattina – Siamo stati al parco – dice e risponde a tutte le sue domande. Non sorride, non un vero e proprio sorriso, come quelli di Shun, ad esempio, tutti denti. Sembra essersi divertito, però e, alla fine del racconto, Milo gli lascia un bacio sulla testa, tra quella miriade di capelli biondissimi.
Poi gira la faccia e – Cam? – chiama e gira il collo, prova ad incatenarsi ai suoi occhi – È successo qualcosa?
Solo allora Camus sembra riscuotersi e dischiude le labbra, incerto – Cosa?
Milo scrolla le spalle – Sembri, non lo so, da tutta un’altra parte
- Non è niente
- Davvero?
E finalmente Camus gli concede un sorriso – Davvero
In verità, e spieghiamolo bene, c’è una cosa che- Camus pensa spesso, ecco – e, c’è da dirlo,  altrettante volte si maledice – a come appaiano loro quattro, insieme e, oltre a questo, alle cose che, in pubblico, può e non può fare. È parecchio imbarazzante, lo ammette, ma non riesce proprio a smettere. Adesso, per esempio, la mano di Milo gli oscilla lenta su un fianco e Camus sente crescergli in petto una terribile voglia di stringerla, ma il punto è proprio questo: dovrebbe? Tutta quella situazione lo coglie inaspettatamente impreparato.
Non rimuginava tanto, prima. Certo, è sempre stato un tipo riflessivo, fin da piccolo. Non sarebbe bravo nel suo lavoro se non lo fosse dopotutto. Ma con Milo è diverso. Ha, costantemente, la paura terribile di rovinare tutto, di fare la mossa sbagliata e sembrare appiccicoso o, nel caso peggiore, disperato. Quindi, la faccia affondata nella lana, lancia, ad intervalli, occhiate velenosissime a quella specie di appendice tremolante e Milo che si ritiene un imbecille, ma di certo non fino a questo punto, se ne accorge. Ovvio che si.
Incontra gli occhi di Camus quando il suo braccio è già a metà strada e lo vede arrossire, tremare e corrugare le sopracciglia. Tutto insieme. E niente, gli viene da pensare solo che è adorabile.
- Che c’è? – lo sente borbottare, sulla difensiva. Milo sorride e gli infila una mano nella tasca del cappotto. Camus ha le dita gelide, come sempre e Milo stringe, forte.
- Va meglio? – domanda e Camus annuisce, il naso arrossato. Adorabile, decisamente. Poco ci manca che non si metta a squittire. Decide che ha più autocontrollo di così. Più o meno.
- Milo? – Camus adesso ha le ciglia sgocciolanti e il suo cuore prende a battere come un forsennato – Sei felice?
Milo gli carezza il palmo col pollice, lancia uno sguardo ai piccoli, poco più avanti, alla posizione scomoda dei loro gomiti e – Sì – sussurra – Certo che sì – e lo bacia così, in mezzo alla strada, mentre Shun e Hyoga si appiccicano alle loro gambe, ridono.
 
 
 
 
Adesso
 
 
 
 
Il petto di Milo gli pesa addosso. Camus sorride, fra i baci, e si sente intrappolato. Ha i suoi capelli biondi in mezzo alle dita, tra le gambe. Milo gli schiaccia il bacino con le anche e lo chiama tesoro. Camus non crede di essersi mai sentito più amato di così.
A dirla tutta, sono anni che qualcuno non lo tocca. Colpa sua – ancora – non l’ha mai permesso. Tendeva, già a Parigi, ad allontanarli tutti. Non che lo facesse apposta, s’intende, ma quel suo tipico atteggiamento distaccato, timido quasi, ne ha allontanati parecchi, di spasimanti. Lo fa sembrare impegnativo, e pretenzioso. La serietà, seppur sottovalutata, può rivelarsi un fardello enorme.
E con Milo è lo stesso. Questa volta non ha funzionato però, perché forse, al contrario delle sue vecchie fiamme, lui è terribilmente tenace, e caotico. Camus l’adora anche per questo.
Milo gli affonda il naso nelle creste iliache, gli accarezza l’interno delle cosce coi pollici e Camus pensa che non è affatto come nei romanzi. Niente scoppi incontrollati di passione e scempiaggini varie. È quasi tutta testa. Milo si prende cura di lui e Camus prova a fare lo stesso, anche se in queste cose, come già detto, è sempre stato un mezzo disastro.
Lo bacia piano, continuamente e Camus gli respira in bocca, stringe le gambe, pudico, e, quando comincia a tremare, Milo sfiora la sua mascella con le dita – Va tutto bene – sussurra – Sei meraviglioso – anche se Camus è un fascio di nervi, imbarazzatissimo.
Lo lecca di piatto, come si fa con i cuccioli e Camus schiude la bocca e sente fastidiosi ciuffi di capelli che gli si appiccicano alla fronte. Ha il cuore che corre come un pazzo e non sembra voglia più fermarsi e gli occhi enormi, le ciglia bagnate. E poi, ore dopo, quando Milo si è appisolato, accanto a lui e le loro gambe formano una massa informe al centro del letto, Camus si meraviglia, eccitato, di avercelo ancora un cuore, un respiro.
Accarezza le spalle di Milo con la punta delle dita, gli soffia baci umidi tra le scapole. Ha il corpo che è tutto un fremito e la voglia, opprimente, di ricominciare tutto daccapo. Si morde le labbra, combattuto.
Shura gli ha sempre detto che le idee migliori non bisogna cercarle, che vengono da sé e sul più bello, in contesti emotivi impossibili da prevedere ed ecco, infatti. Camus si sente un miracolato. Solleva la schiena delle lenzuola sgualcite e si morde un’unghia, restio ad abbandonare tutto quel calore. Ma sì, si dice, potrebbe funzionare.
Bacia Milo una, due volte sul viso, nella conca morbida del collo e raggiunge la sua scrivania, il computer ancora acceso, poco più in là. È nudo, esaltato come non si sentiva da un po’ e, in questo stato d’eccitazione acuta, con le orecchie in fiamme e il respiro tremolante, apre, sul desktop, la cartella dedicata al lavoro. Flette il polso, quasi come se giocasse, e cancella tutto. Sorride.
Può raccontare di loro, ha pensato. Perché no? Sarà divertente.
Capitolo uno, scrive, lo stomaco in fiamme, Milo.
 
 
 
 
 
 


 

  
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