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Autore: Rooosteerr    05/03/2017    0 recensioni
SECONDO POSTO categoria "PROSA GIOVANI" del PREMIO LETTERARIO INTERNAZIONALE "DONNA"
❝ «Salvo vite.» Quando qualcuno me lo chiede, rispondo così: salvo vite. Sul viso di molti compare stupore, su altri l'incredulità, su altri ancora invece incertezza; fa strano, lo so, sentire una risposta simile, sembra quasi un vanto, le parole di chi si gonfia il petto di superbia e vuole elevarsi a un dio onnipotente, unica entità a poter compiere un gesto simile; oppure ci si innalza alla stregua di un medico, che se gli va male la morte la vede davvero davanti agli occhi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Pronto?»

 

Respiri affannosi si avvertono dall’altra parte della cornetta, talmente pesanti e vivi che sembra quasi di avere una bocca vicino all’orecchio. Nulla di nuovo, dopo un po' si fa l'abitudine a tutto questo.

«Salvo vite.» Quando qualcuno me lo chiede, rispondo così: salvo vite. Sul viso di molti compare stupore, su altri l'incredulità, su altri ancora invece incertezza; fa strano, lo so, sentire una risposta simile, sembra quasi un vanto, le parole di chi si gonfia il petto di superbia e vuole elevarsi a un dio onnipotente, unica entità a poter compiere un gesto simile; oppure ci si innalza alla stregua di un medico, che se gli va male la morte la vede davvero davanti agli occhi.

Io non la vedo. La sento. Afferro la sofferenza, respiro il loro dolore, mi riempio il ventre delle lacrime soffocate inutilmente. E non riesco a rimanere indifferente, non posso alzare le spalle e, guardando pupille dilatate e sclere arrossate, rispondere alla famiglia "Mi dispiace" e tacere, facendo intendere con un lungo silenzio cosa c'è da intendere. Non avrei mai un coraggio tale, né tantomeno riesco a comprendere dove loro lo trovino. Oppure rimanere totalmente indifferente, come fa l'essere onnipotente amato da quasi tutti noi mortali; anzi, lui che ha creato così come la gioia, anche la sofferenza, viene ringraziato solo nel primo caso, ma ne secondo nessuno lo nomina, preferendo incolpare un pover’uomo che ha fatto solamente tutto ciò che era in suo potere.

Ritrovarsi un'anima sulla coscienza, pur sapendo di aver fatto il proprio meglio, ti uccide; giorno dopo giorno il rimorso si insinua tra la pelle come il più orrido e viscido degli insetti, scorre lungo i fasci nervosi e giunge al controllo della ragione umana. Lì morde, lì rosicchia, lì tesse la sua tela e ti fa impazzire.

Qui tutti proviamo a combattere il senso di colpa: tracciamo il numero telefonico, diamo assistenza fino a quando il Pronto Soccorso non giunge sul luogo e dopo, nel giro di poco —può essere un'ora come dieci minuti— sappiamo se ritornare a casa con una coscienza macchiata di sangue innocente oppure immacolata.

Ho l'abitudine di scrivere i loro nomi appena mi vengono comunicati... appena ci viene comunicato il fallimento.

Ryan, Amanda, Christie, Jared, Ben, Stefanie...

Li ripeto ogni mattina, sono diventati la mia preghiera laica e, chiedo scusa ad Hegel, ma l'ho sostituito al giornale... Li ripeto la sera, prima di andare a dormire, andando a rimpiazzare la vera preghiera religiosa. Ormai non sono più semplici nomi, non sono vocali e consonanti messe una dietro l'altra per creare musicalità: sono persone reali, come lo erano prima di decidere di perdere la loro corporeità; sono vivi, nella mia mente; mi sembra di conoscerli davvero, da una vita. Se chiudo gli occhi vedo nitidamente Jared che ride spensierato, Ryan che fa il pagliaccio con degli amici, Amanda che disegna sull'angolino di un quaderno immersa nei suoi sogni.

Vedo Ben strattonato dai bulli, Stefanie che si china e prontamente allontana le dita dalla gola, Christie picchiata da chi giurava di amarla per sempre.

Li vedo, tutti, uno per uno, e nella testa riecheggiano i loro sospiri disperati, le loro urla soffocate dalla paura, dalla vergogna di essere scoperti deboli.

 

«...Pronto?»

Ancora niente. Solo respiri. Ma come si fa tra questi sospiri, tra questi singhiozzi, non tremare per le grida di dolore che implorano solo un semplice aiuto? Aiutare non costa niente, non richiede troppa fatica. Un aiuto può anche essere una semplice parola. No, anche il silenzio va bene: sapere che qualcuno ti è accanto, può fare la differenza. Il più delle volte fa la differenza.

Non importa mai chi ci sia dall'altra parte: può questo cambiare le cose? "Una vita è pur sempre una vita"... Ma... No, non si può rimanere freddi, risoluti, con i nervi saldi quando dall'altra parte vi è una piccola, delicata, fanciullesca voce.

Ragazzini.

Ragazzini che si spediscono da soli al macello, oppure vengono spediti.

Ragazzini che non ce la fanno, nonostante siano giovani non riescono ad affrontare la vita di petto, ma aspettano che essa passi passivamente, non ne vogliono sapere nulla.

Agire per loro non serve a niente. Rivoltarsi contro i bulli farà aumentare la loro violenza; smettere di vomitare significa cominciare ad ingrassare ed essere insultata ancora di più; reagire a chi non ha cuore di fronte a rivoli copiosi di sangue o lividi che non guariranno prima di un mese, ti farà rischiare ancora di più. E allora aspettano che tutto passi, perché prima o poi passa, no? Eppure per loro non sembra così: quel prima o poi non arriva mai, aspettano ma non viene a bussare alla porticina del loro animo, quella felicità che sembrano tutti gli altri uomini possedere, a loro pare non spettare. E allora saltano ad un'unica conclusione: Dio o chi per lui è stato troppo malvagio a metterlo al mondo.

Un barlume di speranza però brilla ancora nel cuore di alcuni, buio già da un po': è la stessa speranza che li porta ad alzare la cornetta, digitare un semplice numero e chiedere aiuto. L'ultima richiesta. L'ultimo porto avvistato in lontananza prima del naufragio: c'è chi giunge al molo e attracca, chi invece si lascia trascinare dalla corrente.

 

«Pronto...?», la scena di prima si ripete, nulla è cambiato, chi è dall'altra parte non riesce a parlare. Che le parole le si siano fermate in gola? Che la sua vergogna le impedisca di pronunciare anche la sillaba più elementare? La piccolezza, l'incapacità di agire, di cambiare le cose mi stringe lo stomaco come una morsa, le stesse che utilizzano i cacciatori per intrappolare gli orsi o i loro cuccioli.

Dopo un po' il panico diventa il nostro pane quotidiano, impauriti da ciò che può accadere dall'altra parte; e allora ci sentiamo male, perché se quell'anima si perde nell'Infinito, è colpa nostra. Soprattutto colpa nostra. Ci dicono di essere distaccati, professionali, di non portarci "il lavoro" a casa, ma di essere il più leggeri possibili. Avevo un'amica qui: era simpatica, ogni tanto cercava di alleggerirci la giornata portando qualche dolce da lei stessa preparato; qualcosa da niente, si capisce, ma che ci alleviava più di qualsiasi altra cosa. Lo chiamano Burnt Out: Quando non ce la fai più, quando la pressione è troppa, il tuo cervello si rifiuta di rispondere ai tuoi ordini, il corpo collassa, tu collassi e tutto finisce.

 

«Sono qui… Non riattaccherò. Parlami.» Frasi brevi e concise.

Il silenzio fa male. Il silenzio dall'altra parte ti disarma. Non sai qual è realmente il problema, non sai come agire: le parole aiutano, sì, ma bisogna sapere quali parole utilizzare, cosa pronunciare; le frasi di circostanza non bastano, anzi peggiorano la situazione: si innesca nella mente dall'altra parte un meccanismo malato che ti fa dubitare di tutto e di tutti e allora, se si pronuncia una di quelle frasi che utilizzano tutti, si perde la fiducia dall'altro lato e tutto è finito. Noi abbiamo fallito.

«...Ehi...?» La voce è un sussurro, come nel gesto di voler entrare nei problemi dell'altra persona in punta di piedi: un ospite silenzioso, che non sarà fastidio, un osservatore che starà lì a fissare l'opera d'arte complicata dell'ingegno umano.

Ancora niente.

Silenzio.

Sospiro.

Sospiro.

Silenzio.

Tutto tace.

 

Click.

Tuuuuuuuuuum.

 

 

 

 

 

 

«Dimmi pure». Penna in mano. Dei lacrimoni si impossessano dei miei occhi, appannano la vista resa già sfuocata dalla stanchezza.

 

Inchiostro su carta.

Sangue nell'acqua.

 

Annie, 15 anni.

  
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