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Autore: The son of rage and love    05/03/2017    1 recensioni
Kurt Gallagher è un ragazzo buono, intelligente, suona la chitarra da quando era piccolo e ha una band.
Ma il destino gli ha fornito delle pessime carte, portandolo su cattive strade e rendendo la sua esistenza un totale fallimento. La musica è l'unica a non averlo mai abbandonato, e con lei è riuscito a rialzarsi e a riprendere in mano la sua vita.
I problemi ci sono ancora, sempre, ma tutto sommato la sua vita ha preso una piega positiva, finché un giorno non incontrerà qualcuno: una ragazza, un esempio per molte persone, ma che in quel momento non può essere l'esempio di nessuno. Come lui, avrà perso la sua strada e Kurt cercherà di aiutarla a ritrovarla.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Hayley Williams, Jeremy Davis, Nuovo Personaggio, Taylor York
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sentivo uno strano ronzio nelle orecchie, sempre più vicino e man mano che si avvicinava si faceva anche più acuto e fastidioso.
Socchiusi gli occhi, che vennero inondati dai raggi del sole che filtravano nel salotto di casa mia. Ero sul divano e davanti a me vedevo solo un ammasso di pezzi di legno, vetri rotti e altri oggetti buttati qua e là.
Gran bel lavoro Kurt, pensai.
Sospirai, mettendomi seduto ed osservano il fastidioso motivo del mio risveglio che si trovava sul pavimento: il cellulare. Perfino da lì potevo leggere il nome di Taylor York sul display, mentre quell'arnese infernale continuava a squillare incessantemente.
Lo raccolsi e, forse per il sonno o per una strana voglia di socializzare, decisi di rispondere.
- Ehi... - Mormorai mentre mi passavo una mano sul volto, provocandomi una fitta di dolore al naso non pensando al colpo ricevuto il giorno prima.
- Ehi Kurt, sono Taylor. - Disse il riccioluto dall'altra parte, con un po' toppo entusiasmo per chi come me si era appena svegliato dopo una crisi isterica - Ti chiamavo per... Sai... Per sapere come va. - Aggiunse un po' titubante.
Io sospirai e mi alzai - Va come andava ieri. -
- Il naso? L'hai fatto vedere da qualcuno? Se vuoi conosco un... - Lo interruppi.
- No. Taylor non importa, va bene così... Passerà. - E non mi riferivo solo al naso.
Ci furono alcuni istanti di silenzio. Io intanto mi ero spostato in cucina per prepararmi un caffè, cercando di non tagliarmi con i vetri e i cocci per terra.
- E... Quella storia dello stipendio? - Chiese poi.
Scossi appena la testa - Non verrò pagato, non sarei dovuto andarmene prima di completare il mio lavoro. Me ne farò una ragione. - Dissi mentre cercavo un bicchiere o un qualsiasi altro contenitore che non fosse a pezzi sul pavimento.
- È uno schifo. - Mormorò lui.
- Si, lo è. - confermai.
- Senti, lo sai che siamo amici, se vuoi puoi lavorare da noi, ti troviamo qualcosa da fare e sistemiamo questa faccenda. - Mi propose e me lo immaginavo che sorrideva come un bambino dall'altra parte della cornetta.
- Taylor, non mi pare il caso... - Mormorai, poggiando il barattolo del caffè sul bancone della cucina, che il mio subconscio caffeinomane aveva risparmiato dalla furia della sera precedente.
- È per Hayley? - Chiese lui e la tranquillità del tono della sua voce mi spiazzò.
Restai in silenzio per alcuni istanti, con un cucchiaio di caffè fermo a mezz'aria.
- Non voglio parlare di lei. - Risposi poi, riprendendo a mettere il caffè liofilizzato in un bicchiere di plastica con dell'acqua calda, che per ovvie ragioni non si era rotto.
- Dovresti parlare con lei. - Puntualizzò lui.
- Non è così semplice. - Ribattei.
- Lo so, ma dalle una possibilità. Amico ha fatto una cazzata, ma la conosci: é Hayley, non é cattiva. -
Corrugai la fronte e abbassai la testa a quelle parole. Ripensai al suo sorriso e a quelle fossette che le si formavano agli angoli della bocca, ai suoi occhi, alle sue labbra e a quelle sue mani così piccole rispetto alle mie che... Che mi avevano spinto via.
Scossi appena la testa e stavo per rispondere, quando sentii il campanello suonare. Mi voltai verso la porta pensando a chi potesse essere.
- Taylor devo lasciarti. - Mormorai, senza staccare lo sguardo dall'ingresso mentre il chitarrista cercava di dirmi qualcosa, ma riattaccai subito.
Presi il mio caffè e andai ad aprire.
- Ve l'avevo detto che era tornato. -
- Amico che cazzo ti é successo alla faccia? -
- Ma sei entrato in un fight club? -
Alla vista di quei tre idioti mi portai una mano sul volto, massaggiandomi le tempie - Forza, entrate. - Mormorai tornando in casa, seguito da loro.
Robert, John e Jack: cantante, batterista e bassista. I miei amici, la mia band, che ovviamente doveva fare irruzione in casa mia sempre nei momenti peggiori.
- Che diavolo è successo qua dentro? - Chiese Robert scavalcando una sedia spaccata a metà sul pavimento.
- O alla tua faccia... - Aggiunse Jack, mentre mi avvicinavo al bancone della cucina.
John allora ridacchiò - Hai fatto a botte per una donna? -
I tre si sederono sul divano, mentre io preparavo altro caffè. Li guardai solo a quella domanda, giusto per un istante, ma per loro fu abbastanza.
- Oh oh, mi sa che ci hai preso. - Disse allora Robert, seguendomi con lo sguardo mentre portavo le bevande ai miei amici.
- Ragazzi é una lunga storia, non mi va di parlarne. - Mormorai, porgendogli i bicchieri.
- Oh, abbiamo tempo... -
- E potresti sempre provare a riassumere. - Dissero John e Jack, loro avevano questa cosa di finirsi le frasi a vicenda.
Mi sedetti su l'unica sedia ancora intatta, vicino ai miei compagni. Forse fu perché la sera prima mi ero sfogato a sufficienza e adesso ero più o meno rilassato, ma decisi di parlargliene.
- Lei é fidanzata. - Mormorai, fissando il bicchiere di caffè stretto nelle mie mani.
- Lei chi? - Mormorò John, ma Robert gli tirò una pacca dietro la testa, facendogli cenno di stare zitto.
- Sei finito in una tresca? - Chiese allora Jack e sul suo volto c'era un sorrisino divertito, aveva visto fin troppi porno.
- Si, cioè no... Non sono finito in un bel niente, lei... Il suo uomo ci ha visti e... - Mi bloccai, scossi la testa.
- E ti ha preso a pugni. - Concluse Robert.
Io lo guardai e la mia espressione parlò per me.
- E lui com'é ridotto? - Chiese quel coglione di John.
Lo guardai male - Non é ridotto, punto. Non sono riuscito ad alzare un dito, non l'avrei fatto comunque. - Presi un sorso di caffè, abbassando lo sguardo.
- Cioè, fammi capire: il suo ragazzo vi ha trovati insieme, ha cercato di menarti e tu sei stato lì a prenderle? - Jack mi guardò - E lei in tutto questo? Stava facendo un solitario? - Aggiunse, confuso.
Io sospirai - Lei... Mi ha respinto, ha... - Corrugai la fronte - Ha finto che mi fossi buttato su di lei, che fosse solo colpa mia... -
- Wow! - Esclamò John, stupito - Gran bella stronza. -
- No aspetta un secondo. - Robert, il cantante, lo interruppe - Pensaci un attimo: tu che avresti fatto al suo posto? - Chiese a John, guardandolo e lui fece spallucce con un'espressione che diceva ma sei scemo?
- Ehi, voi non dovreste essere miei amici e dare ragione a me? - Chiesi in un breve slancio di ironia.
- Lo sai che adoro fare l'avvocato del diavolo. - Rispose Robert in sua discolpa, sollevando le mani come in segno di resa.
Presi un altro sorso di caffè, le sue parole mi avevano fatto riflettere: cosa avrei fatto io se fossi stato sotto il controllo di Chad Gilbert? Ok, probabilmente ci saremmo picchiati fino a che uno dei due non fosse stramazzato al suolo, ma se fossi stato nei panni di Hayley? Una così piccola e minuta ragazzina in confronto ad uno come Chad. Cosa avrei fatto in quel caso?
La voce di Jack mi riportò alla realtà.
- Piuttosto... Che é successo alla casa? -
Lo guardai - Aah, ecco... Credo… Di dovervi aggiornare su un paio di cose. -
- Del tipo che uno struzzo ubriaco si é messo a correre nel tuo soggiorno, o del tipo la vita fa schifo? - Ironizzò il batterista, John.
- La seconda, direi la seconda. - Mormorai a testa bassa.
I ragazzi restarono in silenzio, nell'attesa che gli raccontassi cos'era successo.
Sospirai - Ho perso il lavoro e... E non verrò pagato per i due mesi e mezzo di tour. - Mi passai una mano dietro la nuca e tornai a guardarli - Mia madre é sparita da qualche parte con Bill e credo abbia venduto la chitarra del nonno, perciò... Suppongo che per un po' non potrò suonare con voi. - Abbozzai un sorriso giusto per sdrammatizzare, o almeno ci provai.
I miei amici si guardarono e per una volta non avevano alcuna idiozia da dire.
- Cavolo Kurt. - Mormorò Robert.
- Perché non ce l'hai detto prima? Abbiamo provato a chiamarti... - Iniziò John.
- Saremmo venuti subito. - Continuò Jack, il mio bassista.
Scossi un po' la testa - Ragazzi lo sapete, ho i miei tempi. -

Parlammo per il resto della mattinata: dissero che mi avrebbero dato una mano a trovare un nuovo lavoro e che avrebbero fatto una colletta per potermi comprare una nuova chitarra perché, a detta di Robert, una band che si rispetti doveva provare almeno tre volte a settimana.
Gli raccontai del tour ma nominai Hayley solo quando si trattava de “la cantante dei Paramore”, non feci mai il suo nome in altre situazioni, ne quello dei Chad o dei ragazzi della band. Ma mi aveva fatto bene rivederli, mi avevano tirato su di morale in un certo senso e forse il mio cervello stava ringranando la marcia giusta.
Quando se ne andarono decisi di farmi una doccia, di medicarmi ancora una volta il naso e poi di ripulire casa dal disastro che avevo combinato.
Avevo raccolto buona parte dei cocci e dei vetri dal pavimento, riponendoli in un sacco nero che stavo portando fuori, per buttarlo, quando un’auto fin troppo lussuosa per quella zona imboccò la via di casa mia. Fissai il mezzo mentre gettavo l’immondizia in un bidone e man mano che si avvicinava cominciai a scorgere una piccola figura dai capelli… Rossi? Beh, avrei comunque riconosciuto quel volto tra mille.
Continuai ad osservarla, confuso e un po’ stupito, fino a quando non parcheggiò l’auto nel mio vialetto.
Mi avvicinai velocemente, fermandola prima che potesse scendere - Che ci fai qui? -
- Fammi scendere Kurt. - Rispose, facendo forza sulla portiera che cercavo di tener chiusa.
Corrugai la fronte scuotendo la testa e osservandola per un istante, poi mi guardai intorno arrivando alla conclusione che non poteva lasciare quella macchina nel vialetto, non se voleva ritrovarla.
Sospirai - Ti apro il garage. -
Lasciai la portiera e lei si ricompose al posto di guida, seguendomi con lo sguardo.
Dopo aver sistemato l’auto la invitai ad entrare in casa nel più totale silenzio. Non volevo che vedesse il disastro che avevo combinato ma non potevamo certo rimanere nel vialetto, non in quel quartiere almeno.
- Che è successo qua dentro? - Chiese appena mise piede nell’ingresso.
Non risposi, la accompagnai in salotto e mentre passavo spostavo alcuni degli oggetti sul pavimento, per fare spazio. Poi mi fermai e mi voltai verso di lei.
- Non puoi venire qui quando ti pare. - Dissi guardandola, ed ero piuttosto agitato, preoccupato all’idea di averla lì davanti.
- Perché? - Chiese lei.
Era davvero così ingenua o semplicemente non seguiva mai il notiziario in tv?
La guardai dritto negli occhi, scuotendo appena la testa - Hai idea di cosa possono farti se vai in giro con un’auto del genere da queste parti? - Domandai nella speranza di farle capire come andavano le cose in quella zona - Ad una donna, poi… - Aggiunsi in un sussurro, a denti stretti.
Abbassò la testa - Io, non… Non mi interessa. Dovevo vederti, parlarti. - Rispose ed io continuai a guardarla.
Perché non poteva semplicemente gettare la spugna come facevano tutti gli altri con me? Ciò che aveva fatto aveva parlato per lei, eppure… Non riuscivo a togliermi la domanda di Robert dalla testa: tu che avresti fatto al suo posto?
Sospirai abbassando la testa per un istante - Ti va un caf… Un tè? - Domandai risollevando lo sguardo verso di lei e ricordandomi che odiava il caffè.
I nostri sguardi si incrociarono, nel suo vidi qualcosa come la speranza e dopo un attimo di esitazione annuì, sorridendo appena.
La feci sedere sul divano ed io mi spostai in cucina dove misi dell’acqua nel bollitore e lavai due dei bicchieri utilizzati in precedenza, reduci dal massacro.
- Hai cambiato colore. - Constatai osservandola con la coda dell’occhio, mentre preparavo due bustine di tè.
La vidi sorridere e passarsi una mano tra i capelli - Si… Mi mancava il mio vecchio rosso. -
Sorrisi appena mentre versavo l’acqua bollente nei bicchieri, aggiunsi dello zucchero e poi tornai da lei. Mi ringraziò quando le porsi il suo e ancora una volta cadde un silenzio imbarazzante.
Me ne stavo poggiato ad una parete con il mio tè, osservandola, stretta nelle spalle mentre soffiava nel bicchiere sperando di freddare la bevanda. Ad un certo punto sollevò lo sguardo verso di me ed io distolsi il mio.
- Potresti sederti? - Mormorò.
- Come? -
- Mi… Mette ansia vederti lì, immobile. - Aggiunse ed era visibilmente a disagio.
La osservai ancora restando poggiato al muro, giusto per un istante e poi mi avvicinai. Vidi la sedia di fianco al divano ma poi decisi di sedermi accanto a lei e forse, ora che in un certo senso ero più calmo, il mio subconscio era pronto per darle una possibilità.

POV Hayley

Lo sentii sospirare - Va meglio? -
Annuii.
- Adesso puoi dirmi cosa ci fai qui? - Chiese ancora.
- N-non è facile… - Sussurrai e presi un sorso di tè, quasi come per prendere tempo.
Silenzio, sentivo il peso del suo sguardo su di me. Da dove potevo iniziare?
- Ieri ho lasciato Chad, io… L’ho mandato via di casa. - Mormorai a testa bassa.
Ancora silenzio.
- L’hai lasciato o l’hai mandato via di casa? - Chiese lui e quella domanda mi fece sussultare. Lasciato, per l’ennesima volta l’avevo lasciato, l’avevo cacciato di casa e stavolta non l’avrei fatto tornare. Almeno ci speravo.
- L’ho lasciato. - Puntualizzai, guardandolo ma un attimo dopo tornai a fissare il bicchiere di tè tra le mie mani - Ho sbagliato Kurt, tu sai che influenza avesse Chad su di me e… - Presi fiato, mi tremava la voce - In quel momento non ho capito che stavo ferendo l’unica persona che mi è stata sempre accanto, malgrado… - Mi bloccai per un istante vedendolo poggiare il suo tè sul tavolino incrinato vicino a noi - Malgrado i miei sbalzi d’umore, i miei problemi… Malgrado tutto. - Solo allora lo guardai - Ma adesso l’ho capito: ho capito che sono stata una stronza, ho capito che non è Chad che voglio e… Capirò se non vorrai avere più niente a che fare con me. -
Riabbassai lo sguardo e presi un altro sorso di te, corrugando appena la fronte. Sentivo una vocina dentro di me che mi sgridava: ti ricordi che non è andata così, vero? Che gli hai detto di andarsene solo perché hai scoperto che aveva un’altra, vero??
Ed io cercavo di giustificarmi ripetendomi che era una bugia innocente, che era grazie a quell’episodio se finalmente avevo capito chi tenesse davvero a me e che dovevo darci un taglio con Chad e tutte le sue cazzate. Ma… Se non fosse mai avvenuto? Se Chad non avesse mai fatto ciò che aveva fatto?
Tornai alla realtà quando Kurt mi tolse il bicchiere dalle mani, poggiandolo sul tavolino. Lo guardai, chiedendomi cosa stesse facendo.
- Hai idea di come mi sia sentito? - Mi chiese senza guardarmi ed osservando invece il fumo emanato dal tè bollente.
Il solo ricordo del suo sguardo quando l'avevo respinto rispondeva perfettamente a quella domanda - Kurt… - Mormorai, ma venni interrotta.
Mi abbracciò. Contro ogni mia aspettativa mi abbracciò e nell’esatto momento in cui ricambiai, le lacrime cominciarono ad uscire copiose dai miei occhi.
- Mi dispiace. - Singhiozzai stringendolo e affondando il viso sulla sua spalla.

POV Kurt

Nel profondo probabilmente ero ancora arrabbiato con lei, ma in quel momento la strinsi a me con tutta la forza che avevo in corpo.
Non so se fosse giusto o sbagliato, se sarebbe andato tutto bene o se avrei finito per soffrirne di nuovo ma lei era lì per me, aveva attraversato Compton per vedermi e solo adesso mi rendevo conto di cosa significasse, solo ascoltandola. Quel calore e il suo buon profumo potevano guarire ogni mia ferita.
E ora quella ragazzina dai capelli colorati piangeva stretta a me, contro la mia spalla, e non avrei mai voluto vederla così.
- Non avrei dovuto trattarti in quel mondo... - Le accarezzai appena la testa. - Avrei dovuto capire. -
- No… - Mormorò lei riprendendo fiato. Si scostò appena da me, quanto bastava per sollevare la testa e guardarmi, prendendomi il viso tra le mani - Come potevi capire? - Corrugò appena la fronte - Tu non hai fatto niente di sbagliato, ok? Ti ho fatto del male, non avrei mai dovuto fingere che… Che tu… -
Aveva abbassato lo sguardo, stava per ricominciare a piangere, sentivo le sue mani che lentamente scivolavano via dal mio viso e decisi che avevo già sopportato abbastanza, che mi ero già controllato a sufficienza: la baciai. Mi sembrava un secolo che non sentivo il dolce sapore delle sue labbra.
Percepii dell’incertezza in lei, così mi scostai per osservarla e la vidi socchiudere gli occhi.
Il suo sguardo passò dai miei occhi alle mie labbra e senza dire una parola mi portò una mano dietro la nuca e mi tirò a se, baciandomi. Gemette appena quando le strinsi una mano dietro la schiena, avvicinandola a me, e in un attimo me la ritrovai addosso con entrambe le mani tra i miei capelli.
Si mise a cavalcioni su di me ed io ne approfittai per sfilarle la maglietta rivelando un reggiseno di pizzo nero che, per quanto le stesse bene, avrei voluto strapparle di dosso seduta stante. Le baciai la pelle all’altezza dello stomaco per poi risalire in mezzo ai seni mentre lei inarcava il collo all’indietro, ansimando, ed esponendolo alla mia bocca.
Strinsi una mano dietro la sua schiena e l’altra sullo schienale del divano, girandomi e facendola sdraiare sotto di me. Lei mi sfilò la t-shirt e strinse le gambe attorno ai miei fianchi ed io ripresi a baciarle il collo, mentre con le mani cercavo i suoi piedi per poterle sfilare quelle All Star sciupacchiate che portava sempre. Sentii le sue manine scendere lungo il mio corpo, sul mio ventre e poi cercare il bottone dei jeans.
- Hai un preservativo? - Mugolò al mio orecchio e per un istante ebbi un flash di una festa a Silver Lake di oltre tre mesi prima.
Mi fermai per un istante e la guardai. Non dissi una parola, semplicemente mi alzai dal divano e la presi in braccio, ricominciando a baciarla ed avviandomi verso camera mia. Non volevo di certo che si tagliasse un piede con uno dei vetri che erano sicuramente rimasti sul pavimento.
La feci sdraiare sul letto mentre io aprii il cassetto del comodino alla disperata ricerca di un condom. Quando lo trovai tornai da lei, su di lei, poggiando la bustina accanto alla sua testa sul materasso.
Mi fermai per un istante a guardarla. Era così dannatamente bella che non mi sembrava reale e non mi sembrava vero che fosse lì, che fosse tornata da me. Le sue forme così perfettamente minute, i suoi occhi così verdi e intensi adesso contornati da del trucco sbavato, a causa delle lacrime, e le sue morbide labbra nelle quale sarei sparito volentieri.
Mi strinse un braccio - Non guardarmi così… - Mormorò e la sua voce era flebile, quelle labbra perfette tremavano. Sentivo la presa stringersi, le unghie conficcarsi nella carne ma leggevo un desiderio diverso nei suoi occhi, un desiderio che faceva bruciare la mia pelle.
La mia testa si svuotò e c’era solo lei, il suo profumo, il suo corpo stretto al mio. L’eccitazione crebbe dentro di me come un assolo di Hendrix, volevo sentire il sapore della sua bocca, la sua pelle sulla mia.
Quello che restava dei nostri vestiti finì per terra, le coperte in fondo al letto. Arsi dallo stesso fuoco, le mie mani indugiavano sui suoi fianchi, la attirai a me e fui sopra di lei, dentro di lei che gemeva di piacere. Tremava mentre le mie labbra le sfioravano il seno e per la prima volta la senti davvero mia, la mia bocca assaporava la sua pelle chiara, le sue gambe si stringevano intorno a me.

Alla fine ci abbandonammo sulle lenzuola, ancora abbracciati, sfiniti. Le accarezzavo piano i capelli, lei sfiorava quei nomi tatuati sul mio petto e anche se per poco ero in pace con me stesso.
- Mi sei mancato. - Mormorò ed io mi lasciai scappare un sorriso.
- Anche tu, non sai quanto. - Le baciai appena la testa.
La mia vita non era mai andata per il verso giusto, era ricolma di sofferenza, fallimenti e follia ma per una volta, per la prima volta… Sentivo di essere esattamente dove dovevo stare.
  
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