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Autore: fran79    05/03/2017    3 recensioni
"E' andato tutto bene durante la notte.
Una promessa, contenuta in un bacio dato sul tavolo operatorio a un ragazzo di neanche vent’anni che sa che forse non si sveglierà più, ti lega nelle corde più profonde del tuo essere."
La dottoressa Lisandri aspetta il risveglio di Leo.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dottor Alfredi, Dottoressa Lisandri, Leo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro. I personaggi non sono di mia proprietà, ma appartengono alla Palomar Television & Film Production.



L’intervento è terminato: già da un po’, in effetti. La notte è scesa sull’ospedale, sul parco, sugli ulivi, e il mare lontano è ormai un tutt’uno con il cielo sempre più scuro.

Il tramonto visto dalla terrazza è sempre uno spettacolo, ma oggi – come molte altre volte, in realtà, solo che questo è un giorno particolare – Maria Pia Lisandri non lo ha visto per niente. Non è passato molto tempo da quando è riuscita a svincolarsi dall’abbraccio festoso e commosso di Cris, dei Braccialetti, della famiglia e degli innumerevoli amici di Leo. Ha gioito con loro, è rimasta a guardarli festeggiare, si è lasciata persino portare in trionfo e ha riso come poche altre volte le era capitato nella vita. Ma a un certo punto, senza farsene accorgere, si è defilata. Non solo perché è stanchissima, non solo perché ha bisogno di un po’ di silenzio: la verità è che non ha ancora finito, che le è rimasto qualcosa da fare. Qualcosa di importantissimo.

No, non è vero che nessuno l’ha vista andare via: se ne rende conto quando vede il dottor Alfredi entrare nel reparto post-operatorio. Andrea è incredibile, è la persona più pacata del mondo, ha una sensibilità acutissima… e soprattutto non la perde mai d’occhio. Sperare di seminarlo è un’illusione.

«Maria Pia, qualcosa non va?»
«No, Andrea, va tutto bene, non preoccuparti.»
«Cosa fai ancora qui? Dovresti andare a riposare, sei distrutta.»
«Veramente vorrei aspettare che Leo si svegli.»

Il viso di Alfredi esprime tutta la sua perplessità.

«Che si svegli? Ma ci vorranno ancora ore…»
«Lo so. Ma vorrei fermarmi.»

Lui le posa una mano sulla spalla, l’espressione improvvisamente grave.

«Dimmi la verità, temi qualche complicazione?»
«No. Hai visto anche tu che è andato tutto bene.»
«Allora ti converrebbe andare a casa, stenderti e non pensare più a niente. Leo è monitorato, lo sai. Non c’è motivo perché tu debba ancora sobbarcarti queste ore di attesa.»

Lei sorride. Andrea si dà sempre pensiero per lei.

«Sto bene, davvero. Vorrei rimanere. Non è per sfiducia, figurati. Ma preferisco così.»
«Posso fermarmi io, se pensi sia necessario. Tu hai davvero bisogno di qualche ora di sonno…»

C’è stato un tempo, neanche tanto lontano, in cui era avarissima di gesti di affetto. Ora non è più così. E l’apprensione del collega è talmente tenera che, istintivamente, gli sfiora il viso con la mano.

«Andrea, ti prego, smetti di preoccuparti… e lasciami fare come voglio. Ti prometto che, se mi sentirò crollare dalla stanchezza, andrò via.»

Sembrerebbe una risposta impaziente, ma è stata data sorridendo e Alfredi fa lo stesso, alzando le mani in un gesto di resa.

«Dovrei conoscerti ormai, dovrei sapere che quando ti metti in testa una cosa non c’è verso di smuoverti. E va bene, fermati. Ma se più tardi ti trovo addormentata sulla sedia, e succederà di sicuro, domattina mi offri il caffè. Anzi, tutta la colazione.»

Strizza l’occhio ed esce, scuotendo la testa.

La Lisandri lo segue con lo sguardo, lasciando che un lieve sorriso le resti sulle labbra. Andrea ha ragione, si sente esausta. Quando prima è andata a bagnarsi il viso con l’acqua fredda, il piccolo specchio sopra il lavabo le ha restituito un’immagine pallida e tirata. Non sono solo le otto ore e passa dell’intervento, ma anche tutta la tensione che si porta dietro fin da ieri, quando ha acconsentito a operare Leo meno di quarantotto ore dopo aver perso Nina: per non farsi sommergere dalla paura, si è buttata a capofitto sui suoi tomi di neurochirurgia per studiare ciò che la aspettava, costringendosi a relegare nell’angolo più nascosto della mente la concreta eventualità di dover affrontare, nel giro di pochissimo tempo, un’altra perdita devastante. Ora dovrebbe fare un lungo bagno rilassante, stendersi, sgombrare la mente e dormire. Ma non può. Non vuole. Non adesso.

Si sente un po’ in colpa per non aver veramente detto ad Andrea perché intende restare: avrebbe capito, anche lui vuole bene a Leo. Ma teme che non riuscirebbe a trovare proprio le parole giuste, neanche con lui: risulterebbe tutto molto… sentimentale, e non è così. Non solo, almeno. Il fatto è che una promessa, contenuta in un bacio dato sul tavolo operatorio a un ragazzo di neanche vent’anni che sa che forse non si sveglierà più, ti lega nelle corde più profonde del tuo essere. E non si riesce a spiegare nemmeno a chi ti conosce da una vita.

«Un bacio come quelli che danno le mamme ai figli, quando li mettono a letto… Per dirgli che domani, quando si sveglieranno, lei sarà lì… e che tutto andrà bene durante la notte…»

È andato tutto bene durante la notte. Una parte della promessa l’ha mantenuta, non sa neppure lei come, ma ce l’ha fatta. Resta l’altra: essere con lui quando si sveglierà. La più facile, pensando a ciò che è venuto prima; la più difficile perché mette completamente a nudo i suoi sentimenti, e lei non ci è mai stata abituata: tanto meno un tempo, prima di Leo e dei Braccialetti, ma per certi versi neanche adesso. Mentre varca la soglia della piccola stanza destinata a coloro che necessitano di un particolare monitoraggio post-operatorio, mentre si siede sulla poltroncina accanto al letto, pensa che mai come in questo momento si è sentita meno medico.

Lo guarda. È pallido, ma dorme tranquillo, e il quieto bip-bip dei macchinari di controllo segnala che tutto è nella norma. Le bende gli avvolgono la testa, quella testa che troppo poche volte, da quando lo conosce, ha avuto i capelli attaccati. E chissà se adesso potranno finalmente cominciare a ricrescere una volta per tutte…

Quasi le nove, dice il suo orologio. Se tutto va come deve, l’effetto dell’anestesia dovrebbe cominciare a esaurirsi intorno a mezzanotte: fino allora potrà solo guardarlo dormire. Che cosa le vieta di andare davvero a casa a farsi una doccia, riposare un paio d’ore e mettere qualcosa nello stomaco, visto che è digiuna da stamattina?

Preferirebbe non doverlo confessare neanche a se stessa, ma guardarlo dormire è esattamente ciò che desidera. Fatica ad ammetterlo perché le sembra una debolezza, perché ha il camice bianco talmente cucito addosso, e così a lungo lo ha usato come una corazza, che ancora adesso qualche volta non riesce a evitare di montare di guardia al proprio cuore. Ma questa è la verità: per lei l’attesa del risveglio di Leo è un tempo prezioso. Per stare con lui senza camici, scrivanie o tavoli operatori di mezzo, senza visite, diagnosi, prognosi e terapie a incombere come spade di Damocle: l’unica altra volta che è successo, che lei ricordi, è stata la sera in cui lui le ha detto che voleva andarsene, e pensarci le fa ancora male. Per lasciarsi andare a qualcuno dei gesti di tenerezza che avrebbe tanto voluto regalargli nei momenti peggiori, e non ha quasi mai potuto. Per fare davvero solo un po’ la mamma, per una volta, lei che non lo è mai stata. E al diavolo la stanchezza.

Gli stringe piano la mano destra. Ricorda quando faceva lo stesso con Rocco, mentre era in coma: la sera, prima di tornare a casa, passava sempre a fargli una carezza. Nessuno lo sa perché nessuno l’ha mai vista, o forse era proprio lei ad assicurarsi che fosse così: erano gli unici momenti in cui lasciava trapelare qualcosa di se stessa, e dovevano restare esclusivamente suoi. Per gli altri lei doveva essere solo “il grande capo”, disponibile sì, ma sempre alla dovuta distanza, dietro una linea che era vietato a chiunque superare. Pensava che così fosse più semplice: non coinvolgersi troppo aiuta a soffrire meno… No, non è vero, ora lo sa; anzi, ed è molto diverso, ora ammette di saperlo. Il dolore altrui l’ha sempre sentito marchiato a fuoco sulla pelle, anche se per anni si è detta il contrario. E se lasciarsi invadere dall’affetto per i Braccialetti ha centuplicato la percezione di questo dolore, le ha dato in cambio un’esplosione di vita, gioia e dolcezza che non aveva mai creduto possibile sperimentare.

I Braccialetti. Sono là fuori – figuriamoci se si sono mossi di lì! – eppure sono anche qui, con il loro leader. Ci sono nelle sottili strisce di plastica rossa accavallate l’una sull’altra al polso destro di Leo: non sa che cosa si siano detti prima dell’intervento, ma quando lui è entrato in sala operatoria le aveva tutte indosso. Devono avergliele lasciate per accompagnarlo, per non farlo sentire solo; e lei avrebbe dovuto fargliele togliere, perché non si può andare sotto i ferri indossando oggetti estranei, ma non se l’è sentita. Tanto è vero che quella di oggi hanno dovuto mettergliela al polso sinistro.

Le sue dita salgono a sfiorare il groviglio di braccialetti. Cris, Vale, Toni, Rocco, Flam, Chicco, Bobo. Pronuncia i nomi a fior di labbra, senza suono. Che cosa può fare il cuore dei ragazzi, quali capolavori di amicizia, amore, allegria e coraggio. L’ultimo, stamattina; e che buffo e che tenero Toni con la fascia tricolore di carta crespa… Ma come avranno fatto a organizzare tutto senza che nessuno se ne accorgesse? Uno schiaffo alla paura, alla sofferenza, alla morte. Ha faticato a trattenere le lacrime, e meno male che Leo era di spalle: ma d’altronde, e questo pensiero la coglie a dispetto di se stessa e la fa trasalire, è naturale che una madre si commuova al matrimonio di suo figlio…

Ne mancano due. Due braccialetti in meno al polso di Leo, due Braccialetti in meno oltre quella porta. Questa consapevolezza precipita su di lei come un fulmine, e per un attimo oscura la serenità del momento. Manca Davide, il ragazzino sgarbato e impertinente che ce l’aveva con il mondo intero, si faceva beffe di tutti… e alla fine si è legato tanto ai suoi amici che un anno e mezzo fa ha preferito andarsene senza salutarli piuttosto che farli preoccupare; e ora lei vorrebbe tanto essere certa, come sembrano esserlo i ragazzi, che lui è ancora con loro. Manca Nina, ed è una pugnalata. Nina che meno di una settimana fa è partita felice per l’isola, Nina che ce la stava facendo, Nina fortissima e fragile, sbocciata grazie a Leo in un bellissimo fiore. Nina a cui ha voluto un bene immenso, che ha cercato disperatamente di salvare, e che ieri ha fatto il suo ultimo viaggio dopo uno dei più grandi atti d’amore che possano scaturire da una tragedia… Ed è un tuffo al cuore, un sussulto di gioia, rendersi conto d’un tratto che sì, Nina c’è: c’è Bobo, quindi c’è Nina. Per sempre.

Ha dovuto guardare in alto, battere le palpebre e fare un profondo respiro, perché ha sentito le lacrime pungerle gli occhi. Ma, quando riabbassa lo sguardo, sta sorridendo: se c’è una cosa che ha imparato da questi ragazzi è che, in un modo o nell’altro, la vita ha sempre l’ultima parola sulla morte. La prova più grande ce l’ha davanti: un giovanissimo padre che solo ieri aveva come unica prospettiva le fiale di morfina, e che invece tra un po’ saprà che potrà conoscere suo figlio. Averla potuta dare già tempo fa a Cris, questa certezza! Ce l’ha incisa nella mente e nel cuore, quella conversazione nel parco: il peso della responsabilità che si è vista piombare addosso, la paura di non farcela e doversi arrendere… ma più di ogni altra cosa la felicità che ti mozza il respiro, che ti blocca le parole in gola. Il bambino di Cris e Leo! «Se avessi avuto un figlio mi sarebbe piaciuto che fosse Leo… Io ci sarò, e lotterò con voi…» Non crede di aver mai confessato più apertamente i suoi sentimenti. E ora capisce che quello è stato il mezzo per dire al male che non avrebbe vinto, anzi, che aveva già perso.

Stavolta la mano gliela stringe forte, con entrambe le sue, poi si protende a posargli sulla guancia una lievissima carezza. Quante discussioni, quante litigate, quante porte sbattute! Un adolescente che urla la sua sacrosanta voglia di vita e tu, medico, che a voce ancora più alta devi ricordargli che è la malattia che comanda, inutile perdere tempo a fare classifiche, tanto in cima alla lista c’è sempre lei. Sai che in quei momenti ti odia, che vorrebbe vederti sparire… e poi di punto in bianco te lo ritrovi tra le braccia, tremante e terrorizzato, che si aggrappa a te come uno che annega e ti supplica di non abbandonarlo: e tu lo stringi e lo rassicuri, e sembra niente, ma è tutto. Com’è che dice la sigla di Radio Watanka? Ti sembra poco, ma non lo è…

Senza lasciare la mano di Leo, si appoggia allo schienale della poltroncina. Sorride. Non sono un gruppo i Braccialetti, sono una macchina da guerra. Pure la radio si sono inventati! La prima sera, in costume, erano fantastici. Sembrava un ghiribizzo da ragazzi, eppure quanti pazienti ha già sentito parlarne con entusiasmo, dire che è un grande aiuto per chi sta in ospedale. E hanno tenuto compagnia anche a lei nelle notti di guardia. Chissà, pensa lasciandosi cullare per un attimo dal silenzio, se Radio Watanka va in onda anche stasera che il suo conduttore non c’è…

Una mano si posa sulla sua spalla, una voce mormora qualcosa vicino al suo orecchio, e lei riapre gli occhi di scatto, sobbalzando.

«Andrea… Poi dicevi a me, ma cosa fai tu ancora qui?»

Il dottor Alfredi è in piedi davanti a lei, con uno sguardo tra l’intenerito e il canzonatorio.

«Sono venuto a vedere se avevo vinto la scommessa… e direi proprio di sì.»

«Di che cosa stai parlando?» mormora lei, raddrizzandosi sulla sedia. La sua mano è ancora posata su quella di Leo.
«Della colazione che mi offrirai domattina.»
«Mi sono addormentata, eh?» E subito sussulta, rendendosi conto di ciò che è successo, e si volge vivacemente verso il letto.
«Tranquilla, dorme ancora.»
«Che ore sono?»
«Le undici e qualche minuto.»
«Non dovrebbe mancare molto, allora.»

Alfredi prende un’altra sedia e si siede di fronte a lei, dalla parte opposta del letto. Rimangono per qualche momento in silenzio.

«Maria Pia…»
«Sì?»
«Volevi semplicemente essere qui quando si svegliava, vero?»

Lei alza gli occhi, lo guarda, lo vede sorridere. Esita appena un istante, ma sa che lui ha capito perfettamente. Fingere non servirebbe, e non ce n’è neanche alcun motivo: se c’è una persona con cui può essere se stessa, è proprio Andrea. Ricambia il sorriso e annuisce. Sta per parlare, ma il suono delle apparecchiature che monitorano Leo cambia di colpo e catalizza immediatamente lo sguardo di entrambi.

«Comincia a svegliarsi…» sussurra Alfredi.
«Sì… ma ci vorrà ancora un po’…»

Non parlano più. Adesso Leo è il centro della loro attenzione. Dopo qualche minuto, lo vedono muovere appena le dita della mano destra e, subito dopo, sentono che mormora qualcosa. Alfredi fa un cenno interrogativo, ma la Lisandri scuote la testa: non ha capito. Leo però parla di nuovo, stavolta chiaramente. Ed è un brivido che corre lungo la schiena.

«Mamma…»

Lei ha un nodo in gola. Sa che, durante l’anestesia e ancora nelle primissime fasi del risveglio, il paziente può sperimentare qualcosa di simile al sogno: è probabile che Leo stia veramente vedendo sua madre. Ma solo un estremo sussulto di autocontrollo le ha impedito di rispondere «sono qui». Gli prende la mano, la stringe con tutta la forza che può usare senza fargli male.

«Mamma…»

Stavolta il richiamo suona implorante. Lei stringe i denti. Non può pronunciare quelle parole. Non deve.

«Ssshhh… Tranquillo, Leo. Va tutto bene. Tutto bene.» Continuando a tenergli la mano, con l’altra gli accarezza piano la spalla e il braccio, e lui sembra rilassarsi.

Alfredi non le ha mai tolto gli occhi di dosso. Quando Leo ha parlato, l’ha vista aprire la bocca e immediatamente irrigidirsi. Non sa che cosa stava per dire, ma lo immagina: di mascherare le proprie emozioni, Maria Pia è molto meno capace di quanto creda. Si alza, sorridendo.

«Vado. Aspetto fuori.»

Lei lo guarda stupita.

«Perché? Rimani, se vuoi.»
«Ti lascio sola. Se in qualche modo gli hai promesso di esserci, devi esserci tu.»

Da sorpreso che era, lo sguardo di lei si fa assolutamente sbalordito.

«Come…?»
«Dimentichi che ero fuori della sala operatoria. Non so che cosa ti abbia detto Leo, subito prima di essere addormentato, ma ho visto tutto. Sapevi benissimo che non avresti dovuto, che per nessun motivo ci si toglie la mascherina. Se lo hai fatto, c’era sicuramente un’ottima ragione: una promessa, per esempio. Sembrava il bacio della buonanotte.»

Lei non risponde. Non può. E i suoi occhi improvvisamente lucidi bastano ad Alfredi, che le stringe con affetto la spalla ed esce senza aggiungere altro.

Le ci vuole qualche momento, rimasta sola, per superare la commozione. Sa di essere un libro aperto per Andrea, ma non credeva fino a questo punto. E condividere con lui questo momento così personale, nel modo delicatissimo che lo contraddistingue, è stato importante e bello.

Tutta la sua attenzione si rivolge nuovamente a Leo. Si è alzata dalla poltroncina, sedendosi sul bordo del letto, in modo da averlo di fronte. Deve attendere ancora una decina di minuti, ma alla fine vede le sue palpebre vibrare.

«Leo…»

Vede che muove leggermente il braccio, poi la testa.

«Leo, mi senti?»

Gli ha preso di nuovo la mano, la stringe piano, e stavolta lo sente restituire appena la stretta. I suoi occhi si aprono lentamente: sono appannati, ma vigili. La guarda per qualche attimo, come per mettere a fuoco la sua immagine, e finalmente accenna un sorriso. A dirla tutta è più una smorfia, ma a lei basta per ricambiarlo.

«Bentornato.»

Lui emette un profondo sospiro. Adesso sorride davvero, anche se debolmente.

«Mi pare di capire… di essere vivo.»

Lei si permette un’espressione quasi divertita.

«Lo sei. Ed è andato tutto bene.»

«Cris… gli altri…»
«Lo sanno, tranquillo, e sono felicissimi. Sono da qualche parte qui fuori. Li vedrai presto, ora non è possibile.»
«Che ore sono? Quanto… sono stato dentro?»
«È quasi mezzanotte e l’intervento è durato un po’ più di otto ore. Ma stai facendo un po’ troppe domande, signorino.»

È incredibile, ma Leo comincia a ridere. A fatica, più come un singhiozzo, ma è una risata sincera.

«Se c’è una parola… che non può usare con me… è proprio quella. Non dopo stamattina.»

Non può che ridere anche lei, con tenerezza.

«Ho dimenticato che sto parlando a un uomo sposato, chiedo scusa.»

I suoi occhi si stanno facendo più limpidi. Torna serio e la guarda intensamente.

«Se è vero che… è tutto a posto… lei perché è qui?»

Lei esita solo un attimo.

«Per questo. Perché è andato tutto bene… durante la notte.»

Leo la guarda. Ha capito, si ricorda. Stavolta è lui a stringerle per primo la mano. Con un’energia sorprendente. E lei ricambia il gesto, ma distoglie lo sguardo, perché quegli occhi sono un trapano per la sua anima.

«Vada a dormire. Si vede che non ne può più.»

È fatto così Leo, pensa sempre agli altri. Anche dopo un’operazione impossibile. Ma come fa?

«Non sono stanca.»
«Certo, come no… Ha delle occhiaie che se capita qui uno del WWF… la scambia per un panda.»
«Sei incorreggibile, Leo. Smetti di parlare adesso, su. E non preoccuparti per me.»

Gli ha battuto piano la mano sul braccio, scherzosamente, e anche lui si è illuminato di un guizzo divertito. Ma quando parla, anzi bisbiglia, è improvvisamente serissimo.

«Non sono solo le mamme… a preoccuparsi dei figli. Succede anche il contrario.»

La Lisandri sente il respiro mozzarsi, il cuore stringersi come se una mano lo strizzasse: una mano calda, però, e gentile. Sa che non deve avere più neanche un filo di colore in volto.

«Ti ho detto di non parlare.»

Ma la voce le si spezza. Le lacrime le salgono agli occhi prima che abbia il tempo di accorgersene, e una, solo una, scende a rigarle la guancia.

Soprattutto negli ultimi mesi Leo l’ha vista spesso con gli occhi lucidi, qualche volta le ha sentito la voce rotta: ma piangere davvero, quello mai. La guarda in silenzio, sembra aver bisogno di capire ciò che sta accadendo; poi tende la mano e, come fosse la cosa più naturale del mondo, le sfiora il viso e le asciuga quella lacrima. È un istintivo Leo, la Lisandri lo sa, capace di gesti enormi con una semplicità disarmante; e in quello c’è una tale tenerezza che le lacrime diventano due, tre, quattro. Non ha mai perso il controllo così: deve chiudere gli occhi, serrare i denti, fare un profondo respiro. La sua mano sale a incontrare e stringere quella di lui, trattenendola per qualche istante prima di riaccompagnarla a posarsi sul letto. Non c’è nulla da aggiungere. Si sono detti tutto.

Trascorre circa un quarto d’ora senza che nessun suono, a parte quello dei macchinari, infranga di nuovo il silenzio. La Lisandri non si è mossa da lì. Leo ha chiuso gli occhi, sembra che riposi: è la cosa migliore che possa fare, pensa lei. Sta meditando di lasciarlo tranquillo e andarsene, quando si sente chiamare.

«Dottoressa…»

Ha riaperto gli occhi, la guarda serio.

«Cerca di riposare, Leo. Domani mattina ti riportiamo in camera.»

Le è parso di vedere nel suo sguardo una punta di inquietudine, per questo ha risposto così. D’un tratto si sente afferrare il polso: non con particolare forza, ma con decisione sì. Si protende verso di lui. Teme che ci sia qualcosa che non va… eppure le apparecchiature di controllo non segnalano nulla di anormale.

«Che succede, Leo?»
«Mi ha detto che è andato tutto bene…»
«Certo – sorride lei. – L’operazione è riuscita perfettamente. Sei un leone, lo sai.»
«Ma non mi ha detto… la cosa più importante.»
«Quale?»
«Il mio bambino…»

Ha capito. Ed è un nuovo sussulto di commozione. Non risponde subito, non può: però questa volta, di slancio, gli fa una lunga carezza.

«Il tuo bambino nascerà con il suo papà vicino.»
«E… lo vedrò crescere?»

La Lisandri sa che per il momento questa domanda non ha risposta, che ci vorrà ancora tempo per sapere se il male è stato definitivamente sconfitto. Sa anche che Leo vuole la verità e cerca di rispondergli nel modo più positivo possibile, con dolcezza.

«Hai fatto il passo più importante per riuscirci. E combatterai ancora, come hai sempre fatto.»

Leo chiude gli occhi, sospira, e lei si accorge che sta trattenendo le lacrime. Ma i tratti del viso sono distesi da un leggero sorriso.

«Sarai uno splendido papà… e Cris una mamma bellissima.»

Non ha potuto fare a meno di sussurrarglielo. E lui la guarda, con gli occhi ancora lucidi, ma sereno.

«Sono contento… che lei sia qui.»
«Anch’io» replica lei, in un soffio.

Silenzio. È di nuovo Leo a romperlo.

«Posso… chiederle un favore?»
«Dimmi. Però poi basta davvero parlare, eh.»
«Ho addosso tutti i braccialetti… domattina devo ridarli agli altri…»
«Ho visto, sì.»
«Oggi me lo avete messo, vero?»
«Sì, certo. Dall’altra parte, però, perché non sapevamo dove metterlo» sorride lei.
«Guardi… – mormora, alzando il braccio destro. – Quello più vicino alla mano… è il mio.»

Lei lo guarda con espressione interrogativa. Non capisce dove voglia andare a parare.

«Lo prenda, per favore.»
«Perché?»
«Dai, lo prenda. Io non posso usare l’altra mano, con la flebo.»

Obbedisce, ma continua a non capire. Si ritrova con il braccialetto in mano e, se ne rende conto, un’espressione vagamente sciocca sul viso.

«Ora me lo dia… e mi dia il polso.»

Adesso ha capito. E si sente tremare il cuore.

«No, Leo…»

Lui la fissa.

«Non vuole?»
«Leo, è… una cosa bellissima. I Braccialetti sono una cosa bellissima. Ed è proprio per questo che io non… – Deve riprendere fiato, non ce la fa più. – Voi siete un capolavoro. E io… no.»
«I Braccialetti non sono migliori degli altri… non sono supereroi – ribatte lui, improvvisamente duro. – Sono persone che hanno deciso di darsi forza a vicenda… e di non arrendersi mai.»
«Io ho dovuto arrendermi tante volte, Leo… e chissà quante altre lo dovrò fare ancora.»
«Con me no. Con noi no. Lei ha salvato due Braccialetti… ha provato a salvarne un terzo… ed è stata sempre vicina a tutti… è stata importante per tutti. Io la tratto male, lo sa… ma senza di lei…»

Si interrompe, non riesce a proseguire. Ma poi si volta a guardarla, quasi con allegria.

«Allora… lo vuole o no? È il mio, eh… vale almeno doppio.»

Sorride. E la Lisandri si ritrova a fare lo stesso, e gli porge il polso. Per un attimo le lacrime le appannano l’immagine di lui che cerca di allacciarle il braccialetto; poi si rende conto che con una mano sola non ce la fa, e allora lo aiuta con l’altra. Ecco, è fatta. Leo poggia il gomito sul letto, tiene il braccio sollevato con la mano aperta: lei capisce subito, quante volte ha visto i ragazzi fare quel gesto! Gli dà il cinque, e le loro mani si stringono.

«Watanka – mormora Leo. E prosegue, contento: – Domani lo diciamo agli altri, ok? – E quando la vede assentire con gli occhi lucidi, incapace di parlare, conclude: – E adesso vada a dormire. O prima di domattina… ricoverano anche lei.»

La Lisandri si china e posa le labbra sulla mano di Leo che è ancora tra le sue; poi si alza ed esce rapidamente, senza voltarsi e senza più una parola. Solo quando ha chiuso la porta dietro di sé, ed è sicura di essere sola, si appoggia al muro e lascia che le lacrime scorrano, che i singhiozzi le scuotano le spalle. Non è la prima volta che le succede, era stato così anche dopo l’intervento di Rocco. Allora era la tensione che se ne andava di colpo, il blocco che per anni l’ha tenuta lontana dalla sala operatoria che svaniva; adesso invece è una gioia traboccante, una tenerezza che riempie il cuore, così profonda da far male, ma senza la quale non riesce più a stare. Sono i Braccialetti che gliel’hanno mostrata, che gliel’hanno insegnata. Non lo sanno e non lo sapranno mai, ma è grazie a loro che quel giorno ha scelto di operare Rocco, ed è da allora che ha cominciato a cambiare. E ora sa che sì, forse è vero che si soffre di più, ma per niente al mondo farebbe il cambio con la vita di prima.

Passano molti minuti, e piano piano riprende il controllo. Quando le lacrime cessano e sente il respiro tornare regolare, si avvia verso l’uscita del reparto. Guarda l’ora: è ormai quasi l’una di notte. L’ospedale è immerso nel silenzio, i corridoi, a parte i rari infermieri di turno, sono deserti. Eppure è assolutamente sicura che oltre la doppia porta a vetri troverà Andrea, che l’amico e collega non è tornato a casa senza aspettarla.

E infatti eccolo, che le viene incontro e le mette le mani sulle spalle, sorridendo.

«Tutto bene?»

Lei annuisce, serena. Non c’è bisogno di aggiungere altro, loro due si capiscono al volo. E siccome ora tutta la fatica di quella giornata interminabile le è arrivata addosso di colpo, meccanicamente fa il gesto che le viene spontaneo quando è molto stanca: passare la mano tra i capelli per scostarli dalla fronte. Vede gli occhi di Andrea spalancarsi per lo stupore, e subito dopo il suo viso illuminarsi e commuoversi. Ci mette qualche secondo a capire che cosa abbia visto, poi si rende conto che, mentre alzava il braccio, la manica del camice è scesa e ha scoperto il polso a cui Leo ha allacciato il braccialetto rosso.

Maria Pia Lisandri sorride. Un sorriso bellissimo.

Ora si può davvero andare a riposare.




Questa è la mia prima storia, benché sia iscritta da quattro anni. Nessuno ha mai parlato del risveglio di Leo dopo l'intervento al cervello: ho voluto immaginarlo io. Il personaggio della dottoressa Lisandri è il mio preferito, e spero di aver colto l'essenza della sua personalità e dei suoi sentimenti.
Molte grazie a chi leggerà e vorrà eventualmente lasciarmi un pensiero.
   
 
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