L’equilibrio spezzato
“Dunque è il momento.” Non vi era domanda
nel tono del vecchio elfo.
“Sì.” La sillaba risuonò nell’aria
limpida del mattino e i bambini per cui l’uomo creava farfalle di luce corsero
via ridendo.
“Sei venuto di persona, come avevi promesso
tanto tempo fa.” Commentò l’elfo sedendosi su una cassa di legno posta accanto
all’essere che aveva forma d’uomo.
“Tempo…”
La parola echeggiò fin dentro le ossa dell’elfo. “Un amante che non mi ha mai
stretto tra le braccia.”
Rimasero in silenzio entrambi, persi
in contemplazioni che l’un l’altro avrebbero considerato aliene.
“Ho lottato a lungo…” Disse infine,
con un sospiro, l’elfo. “Talmente a lungo che provo sollievo.”
“Succede speso. Lottate tutta la
vita, lottate fino allo sfinimento, ma alla fine accogliete con gioia le mie
braccia.” I capelli bianchi dell’essere si mossero nella leggera brezza, chi lo
avesse guardato negli occhi in quel momento non avrebbe potuto dubitare che
quel corpo era solo un involucro che conteneva una scintilla di un entità molto
più vasta.
“Sarà lui?”
“Non è ancora il momento di parlare
di questo.” Lo ammonì l’entità con un sorriso sulle labbra.
“Giusto.” L’elfo sospirò alzando gli
occhi al cielo, ora che sapeva gli sembrava che tutto fosse più bello: il cielo
più luminoso, l’aria più profumata, il sole più caldo. “Soffrirò?” Chiese e l’essere
lo osservò per un lungo istante.
“Il primo respiro non è stato forse
accompagnato dalla sofferenza? Cos’è il dolore? Hai vissuto a lungo, persino
per un elfo, non hai forse appreso che il dolore accompagna ogni esperienza di
Vita?”
“Non esiste solo il dolore.”
“Amore…”
Di nuovo quella voce profonda, che scuoteva l’anima. L’entità assaporò il
termine poi sorrise. “L’amore è l’agonia più soave che io abbia mai osservato.
Amore: lo desiderate, lo agognate, per esso uccidete e morite… eppure esso è
sofferenza. Voi elfi vivete a lungo, più dei nani e molto più degli umani,
eppure, eppure non ne avete ancora capito l’essenza.”
“Cosa ne sai tu dell’amore?” Chiese
allora, sarcastico, l’elfo.
L’entità annuì, piano.
“Giusto.”
Un gruppo di soldati si fece largo
nella piazza e gli occhi dell’elfo si tesero.
“Loro?” Chiese.
“Lo saprai quando è il momento.”
“Immagino di sì…” Si rassegnò l’elfo
lanciando però un’occhiata alla spada che giaceva per terra al fianco
dell’essere.
“Lottare? Ancora?” Chiese l’entità,
notando il suo sguardo.
“Sempre.” Affermò il vecchio, mentre
un sorriso di scuse gli appariva sulle labbra. “Come ti ho detto provo sollievo
nel sapere che è giunto il momento, ma questo non significa che non lotterò
fino all’ultimo respiro.”
“Capisco. Anche lei non aveva smesso di lottare.” L’elfo sobbalzò a quelle parole
dimenticando la spada e dimenticando i soldati.
“Lei?” Chiese e l’essere si voltò a
fissarlo.
“So che non l’hai dimenticata, so che
pensi a lei anche adesso, so che l’hai pensata nell’istante stesso in cui mi
hai riconosciuto.”
“La rivedrò?”
“Io sono solo la porta, quello che vi
è dopo è un mistero, per me quanto per voi.” L’elfo sospirò, poi un sorriso
amaro gli bruciò sulle labbra.
“Era così giovane, così piena di
vita…”
“E tu hai fatto sì che la portassi
via. Prima che fosse giunto il suo tempo. Hai raggiunto la terra degli Dei
delle Spade Giganti, impugnato la Pergamena Maledetta e mi hai ordinato di
prendere la sua vita.” Un scintillio brillò in quegli occhi eterni e l’elfo
annaspò mentre veniva catturato da quello sguardo.
“Meglio morta che nelle sue mani!” Gemette e l’essere lo lasciò
libero di respirare di nuovo. L’elfo si aggrappò alla cassa percependo con
gioia la sensazione del legno sotto le dita e il rumore della cittadella nelle
sue orecchie, la voglia di urlare di terrore che si affievoliva lentamente.
“Non mi chiedesti di ghermire lui, sapevi che non potevo, non io, lui aveva intessuto così tanta Vita
attorno a sé da essere impossibile da prendere.”
Commentò l’essere placidamente, come se nulla non fosse successo.
Nell’aria apparve un’immagine: un
giovane elfo, il dolore negli occhi, stringeva nel pugno la Pergamena Maledetta
e si ergeva forte e orgoglioso in attesa, davanti a lui un falò il cui fumo
giungeva fino al cielo riempiendo lo spazio che la Quarta Spada aveva lasciato
vuoto. Il luogo dove gli Dei avevano infisso le Spade era una terra maledetta,
non ci si giungeva senza una forte motivazione e un grande coraggio.
“L’amore… assume così tante forme…” Mormorò
l’essere.
“Era mia sorella.” Gli ricordò
l’elfo. “ E, sì, l’amavo.”
“Era più che un legame di sangue il
vostro, era sempre al tuo fianco, pronta a lottare, vivere e morire con te.” Il
suo tono era piatto, eppure sembrò evocare ricordi che l’elfo aveva nascosto in
profondità dentro di lui. Con uno svolazzo delle mani l’essere fece comparire
un’immagine della donna, sorridente, i capelli intrecciati a mostrare con
orgoglio le orecchie a punta, gli occhi vivaci, lo sguardo fiero.
“Smettila…” L’immagine di luce blu
sparì così come erano sparite le farfalle che avevano fatto ridere i bambini e
il giovane elfo tra le Spade Giganti.
“Quel giorno ho obbedito, la
Pergamena Maledetta è stata intessuta dalla magia degli Dei, persino io devo
rispettarne il potere, ma…”
“Promettesti di venire a prendermi,
un giorno.”
“Ed eccomi qua.”
“Ed eccoti qua, tre secoli e mezzo
dopo.”
“Un battito di ciglia dopo.” Lo
corresse l’essere.
L’elfo ripensò ai lunghi anni di
avventure. Una vita intera vissuta per vendicarla, una vita intera e lui era ancora vivo.
“Ehi tu!” L’elfo voltò la testa verso
i soldati, erano quattro e lo fissavano con le mani sulle spade, tesi. “Alzati
in piedi e mostra le orecchie.”
“Non ho fatto nulla di male, signori.”
“Inganno.”
L’essere sorrise, invisibile agli occhi ciechi degli umani. “Credi davvero che
funzionerà?”
“Alzati, vecchio, e mostra le dannate
orecchie!” Quello che doveva essere il sergente fece un cenno deciso e due
uomini si fecero avanti afferrandolo e tirandolo in piedi, poi con mano brusca
scostarono i capelli grigi, esponendo le sue orecchie a punta.
“Un elfo.” Dichiarò con disgusto
l’uomo per poi sputare a terra.
Un istante dopo il sergente si
ritrovò con un pugnale nella gola, mentre il vecchio elfo si muoveva rapido.
Quegli sciocchi non ebbero nemmeno il tempo di estrarre le spade prima di
finire a terra annegando nel proprio sangue.
L’elfo si guardò attorno poi,
rassicurato, recuperò il pugnale dalla gola del sergente, lo inguainò nella
propria manica dopo averlo ripulito e nascose il secondo che gli aveva permesso
di uccidere i compagni del soldato, nella cintura.
“E non hai nemmeno dovuto estrarre
quello che tieni nascosto nello stivale.” Affermò con una punta di divertimento
l’essere, che non si era mosso dal suo posto.
“Sembra che tu abbia fatto male i
conti…” Una freccia spuntò dal suo torace e l’elfo sussultò riuscendo a
rimanere in piedi per miracolo, l’ossigeno che lasciava posto al sangue nei
suoi polmoni.
“Non sbaglio mai… mio vecchio amico.”
Mormorò l’entità. L’elfo si voltò lentamente, fronteggiando il suo nemico.
“Tu!” Sentì dire e alzò gli occhi
fissandoli su di un uomo dagli occhi neri e dal cuore ancora più nero. “Tu!”
Sputò ancora lui. Tra le braccia teneva una balestra che lasciò cadere a terra,
un sorriso amplio e spietato che si apriva sulle sue labbra.
“Io…” Riuscì a dire, poi sputò un
grumo di sangue e saliva verso l’uomo notando con soddisfazione il getto
sporcargli l’immacolata veste bianca.
“Decenni, secoli di caccie per
trovarti ed eccoti qui, in un stupido e insignificante villaggio, proprio il
giorno in cui io lo attraverso.”
“Non sei invecchiato di una grinza,
quanti elfi hai ucciso per ottenere questo risultato?”
“Molti.” Ammise lo stregone, un
sorriso ampio sulle labbra. “E, penso che sarà un piacere prendere gli ultimo
istanti di Vita che ti rimangono.”
“Tanti, ma non lei.” Lo stregone lo raggiunse rapido come un serpente e lo spinse
a cadere in ginocchio, afferrando la punta della freccia che sporgeva dal suo
corpo e muovendola.
L’elfo urlò dal dolore, ma sul suo
volto vi era anche soddisfazione e lo stregone la vide.
“Cosa ne sai tu?” Sibilò nel suo
orecchio.
“Io l’ho presa, io l’ho salvata, io
te l’ho tolta dalle mani!” Urlò di nuovo, dopo quelle parole, godendo però di
quel dolore perché significava che stava ferendo lo stregone più di quanto
costui ferisse lui.
“Non è vero!”
“Ho usato la Pergamena Maledetta.”
“Non… non è possibile!”
“Sì, invece.” Sorrise. Non vedeva più
con chiarezza, ma c’era una cosa che andava fatta e non aveva bisogno di
vedere. Il pugnale saettò nella sua mano, ma prima che potesse usarlo lo
stregone gli afferrò il polso storcendolo e facendogli perdere la presa.
“Davvero? Un pugnale? Credi davvero
che un pugnale possa uccidermi?” Lo spinse indietro facendolo cadere contro le
casse di legno. L’elfo alzò gli occhi incrociando lo sguardo dell’entità, che
immobile osservava la scena.
“Lei era mia sorella.” Affermò,
tirandosi di nuovo su, ignorando l’atroce sofferenza.
“Io la amavo!” Ruggì lo stregone afferrandolo
per il collo e stringendo.
“Tu non ami e di certo, lei non ti
amava.”
“Lei sarebbe stata mia, che lo
volesse o no!” Sbraitò l’uomo stringendo con più forza. L’elfo spostò le mani
nella vana ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo. Ed eccola
lì, l’elsa della spada lasciata con noncuranza per terra. Sorrise. Sorrise
perché le sue mani fremettero nel toccare l’elsa e percepirono il potere che
scaturiva da essa.
“Lei non è mai stata tua e non lo
sarebbe stata mai.” Le sue parole uscirono roche e strozzate, ma lo stregone le
comprese e nei suoi occhi brillò la follia di una vita troppo lunga per un
umano, vissuta nella corruzione bevendo vite altrui, uccidendo e trucidando.
Quando la spada penetrò nel suo corpo l’uomo non smise di stringere, come se
non sentisse più il suo corpo.
I tre bambini si avvicinarono
all’entità, sulle labbra il sorriso spensierato di chi gioca felice.
“Dunque ha funzionato.” Affermò
l’entità osservando i due viventi stretti in una presa che li portava
dolcemente a lui. I bambini alzarono gli occhi e in essi vi era l’infinito.
“Sì, ne dubitavi?”
“No.” Rispose l’entità. I soldati
accorsero, spingendo via il corpo dell’elfo e cercando di sollevare quello del
loro signore, ma le loro mani si sporcarono di sangue. Era troppo tardi. “Sono
miei ora.” Mormorò l’entità soffiando le parole nel vento e vedendo i visi
degli uomini fremere di paura davanti alla mortalità di colui che credevano
imbattibile.
I bambini sorrisero, divertiti da
quella manifestazione di potere.
“Teatrale come sempre.” Le voci dei
fanciulli erano un coro perfetto.
“Vita,
dai a me del teatrale?” Il sopracciglio alzato dell’entità fece ridere i
bambini. “Tu che hai creato Amore e Dolore?”
“Io non ho creato nulla, essi fanno
parte di me…”
“Non temi la Spada? Essa appartiene
al mondo dei viventi ora che è stata brandita.” Un sorriso pieno di oscura
saggezza balenò sulle labbra dei bambini.
“La Pergamena Maledetta è stata
distrutta, la Spada è stata donata ai viventi… l’equilibrio tra me e te
è stabile nella sua nuova instabilità. Cosa saremmo noi, senza il gioco dei
viventi?” I tre fanciulli si voltarono a guardare le guardie che cercavano
attonite qualcuno capace di dire loro cosa fare, un soldato piegò il ginocchio
a terra ed estrasse l’arma dal petto del suo signore. Gli occhi dei bambini
brillarono poi i tre sparirono in un refolo di vento che lasciò piccoli fiori
nel selciato di pietra.
L’entità sospirò, poi si alzò, per
l’ultima volta osservò il corpo mortale dell’elfo e scomparve, avvolto nel suo
mantello azzurro.
Gli occhi dell’elfo sbatterono, era nel buio,
ma non era solo.
“Questo
è il momento.”
“Sono…?”
“Sì.”
“E lui?”
“Sì.”
“La spada…?”
“Spada? Quale spada?” Negli occhi
dell’entità brillò il divertimento e l’elfo sorrise.
“Era la Quarta Spada?”
“L’unica arma capace di uccidere Vita
è l’arma che spillando la goccia del Dio l’ha creata.”
“Sapevi che lui sarebbe stato lì? Sapevi che avrei potuto ucciderlo, se avessi
avuto l’arma giusta? Lo avevi visto?”
“Io vedo tutto.”
“Ma non puoi intervenire…”
“L’equilibrio tra Vita e me era alterato, l’ago della bilancia
andava risistemato. Ho pensato che ti sarebbe piaciuta quella spada: un dono.”
“Un dono… tu non offri doni…”
“Hai distrutto la Pergamena
Maledetta, malgrado il suo immenso potere ti appartenesse.” Gli ricordò
l’entità. “Sei pronto?” Chiese, poi.
L’elfo sospirò mentre la tensione del
mondo svaniva dai suoi pensieri, che importanza aveva dopo tutto? Era finita,
ora poteva riposare o ricominciare. Sentiva che ogni cosa era possibile in quel
luogo.
“Non qui, dopo…” Affermò l’entità leggendo nella sua mente. L’elfo vide un
chiarore e sorrise, nelle sue orecchie risuonava la risata cristallina di sua
sorella.
“Sono pronto.” Disse.
“Vai allora.”
“Ti rivedrò?” Chiese in un ultimo
sussulto di curiosità.
“Io sono Morte, mi rivedrai sempre, non importa quale forma Vita prenderà in
te. Io verrò sempre a prenderti.” L’elfo annuì.
La luce lo avvolse: davanti a lui si
apriva un nuovo inizio.