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Autore: Najara    05/03/2017    1 recensioni
“Dunque è il momento.” Non vi era domanda nel tono del vecchio elfo.
“Sì.” La sillaba risuonò nell’aria limpida del mattino e i bambini per cui l’uomo creava farfalle di luce corsero via ridendo.
“Sei venuto di persona, come avevi promesso tanto tempo fa.” Commentò l’elfo sedendosi su una cassa di legno posta accanto all’essere che aveva forma d’uomo.
“Tempo…” La parola echeggiò fin dentro le ossa dell’elfo. “Un amante che non mi ha mai stretto tra le braccia.”
Storia partecipante al Contest "L'Aquila e il Falco" indetto da Jadis_ sul forum di efp.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’equilibrio spezzato

 

 

“Dunque è il momento.” Non vi era domanda nel tono del vecchio elfo.

“Sì.” La sillaba risuonò nell’aria limpida del mattino e i bambini per cui l’uomo creava farfalle di luce corsero via ridendo.

“Sei venuto di persona, come avevi promesso tanto tempo fa.” Commentò l’elfo sedendosi su una cassa di legno posta accanto all’essere che aveva forma d’uomo.

Tempo…” La parola echeggiò fin dentro le ossa dell’elfo. “Un amante che non mi ha mai stretto tra le braccia.”

Rimasero in silenzio entrambi, persi in contemplazioni che l’un l’altro avrebbero considerato aliene.

“Ho lottato a lungo…” Disse infine, con un sospiro, l’elfo. “Talmente a lungo che provo sollievo.”

“Succede speso. Lottate tutta la vita, lottate fino allo sfinimento, ma alla fine accogliete con gioia le mie braccia.” I capelli bianchi dell’essere si mossero nella leggera brezza, chi lo avesse guardato negli occhi in quel momento non avrebbe potuto dubitare che quel corpo era solo un involucro che conteneva una scintilla di un entità molto più vasta.

“Sarà lui?”

“Non è ancora il momento di parlare di questo.” Lo ammonì l’entità con un sorriso sulle labbra.

“Giusto.” L’elfo sospirò alzando gli occhi al cielo, ora che sapeva gli sembrava che tutto fosse più bello: il cielo più luminoso, l’aria più profumata, il sole più caldo. “Soffrirò?” Chiese e l’essere lo osservò per un lungo istante.

“Il primo respiro non è stato forse accompagnato dalla sofferenza? Cos’è il dolore? Hai vissuto a lungo, persino per un elfo, non hai forse appreso che il dolore accompagna ogni esperienza di Vita?”

“Non esiste solo il dolore.”

Amore…” Di nuovo quella voce profonda, che scuoteva l’anima. L’entità assaporò il termine poi sorrise. “L’amore è l’agonia più soave che io abbia mai osservato. Amore: lo desiderate, lo agognate, per esso uccidete e morite… eppure esso è sofferenza. Voi elfi vivete a lungo, più dei nani e molto più degli umani, eppure, eppure non ne avete ancora capito l’essenza.”

“Cosa ne sai tu dell’amore?” Chiese allora, sarcastico, l’elfo.

L’entità annuì, piano.

“Giusto.”

Un gruppo di soldati si fece largo nella piazza e gli occhi dell’elfo si tesero.

“Loro?” Chiese.

“Lo saprai quando è il momento.”

“Immagino di sì…” Si rassegnò l’elfo lanciando però un’occhiata alla spada che giaceva per terra al fianco dell’essere.

“Lottare? Ancora?” Chiese l’entità, notando il suo sguardo.

“Sempre.” Affermò il vecchio, mentre un sorriso di scuse gli appariva sulle labbra. “Come ti ho detto provo sollievo nel sapere che è giunto il momento, ma questo non significa che non lotterò fino all’ultimo respiro.”

“Capisco. Anche lei non aveva smesso di lottare.” L’elfo sobbalzò a quelle parole dimenticando la spada e dimenticando i soldati.

“Lei?” Chiese e l’essere si voltò a fissarlo.

“So che non l’hai dimenticata, so che pensi a lei anche adesso, so che l’hai pensata nell’istante stesso in cui mi hai riconosciuto.”

“La rivedrò?”

“Io sono solo la porta, quello che vi è dopo è un mistero, per me quanto per voi.” L’elfo sospirò, poi un sorriso amaro gli bruciò sulle labbra.

“Era così giovane, così piena di vita…”

“E tu hai fatto sì che la portassi via. Prima che fosse giunto il suo tempo. Hai raggiunto la terra degli Dei delle Spade Giganti, impugnato la Pergamena Maledetta e mi hai ordinato di prendere la sua vita.” Un scintillio brillò in quegli occhi eterni e l’elfo annaspò mentre veniva catturato da quello sguardo.

“Meglio morta che nelle sue mani!” Gemette e l’essere lo lasciò libero di respirare di nuovo. L’elfo si aggrappò alla cassa percependo con gioia la sensazione del legno sotto le dita e il rumore della cittadella nelle sue orecchie, la voglia di urlare di terrore che si affievoliva lentamente.

“Non mi chiedesti di ghermire lui, sapevi che non potevo, non io, lui aveva intessuto così tanta Vita attorno a sé da essere impossibile da prendere.” Commentò l’essere placidamente, come se nulla non fosse successo.

Nell’aria apparve un’immagine: un giovane elfo, il dolore negli occhi, stringeva nel pugno la Pergamena Maledetta e si ergeva forte e orgoglioso in attesa, davanti a lui un falò il cui fumo giungeva fino al cielo riempiendo lo spazio che la Quarta Spada aveva lasciato vuoto. Il luogo dove gli Dei avevano infisso le Spade era una terra maledetta, non ci si giungeva senza una forte motivazione e un grande coraggio.

“L’amore… assume così tante forme…” Mormorò l’essere.

“Era mia sorella.” Gli ricordò l’elfo. “ E, sì, l’amavo.”

“Era più che un legame di sangue il vostro, era sempre al tuo fianco, pronta a lottare, vivere e morire con te.” Il suo tono era piatto, eppure sembrò evocare ricordi che l’elfo aveva nascosto in profondità dentro di lui. Con uno svolazzo delle mani l’essere fece comparire un’immagine della donna, sorridente, i capelli intrecciati a mostrare con orgoglio le orecchie a punta, gli occhi vivaci, lo sguardo fiero.

“Smettila…” L’immagine di luce blu sparì così come erano sparite le farfalle che avevano fatto ridere i bambini e il giovane elfo tra le Spade Giganti.

“Quel giorno ho obbedito, la Pergamena Maledetta è stata intessuta dalla magia degli Dei, persino io devo rispettarne il potere, ma…”

“Promettesti di venire a prendermi, un giorno.”

“Ed eccomi qua.”

“Ed eccoti qua, tre secoli e mezzo dopo.”

“Un battito di ciglia dopo.” Lo corresse l’essere.

L’elfo ripensò ai lunghi anni di avventure. Una vita intera vissuta per vendicarla, una vita intera e lui era ancora vivo.

“Ehi tu!” L’elfo voltò la testa verso i soldati, erano quattro e lo fissavano con le mani sulle spade, tesi. “Alzati in piedi e mostra le orecchie.”

“Non ho fatto nulla di male, signori.”

Inganno.” L’essere sorrise, invisibile agli occhi ciechi degli umani. “Credi davvero che funzionerà?”

“Alzati, vecchio, e mostra le dannate orecchie!” Quello che doveva essere il sergente fece un cenno deciso e due uomini si fecero avanti afferrandolo e tirandolo in piedi, poi con mano brusca scostarono i capelli grigi, esponendo le sue orecchie a punta.

“Un elfo.” Dichiarò con disgusto l’uomo per poi sputare a terra.

Un istante dopo il sergente si ritrovò con un pugnale nella gola, mentre il vecchio elfo si muoveva rapido. Quegli sciocchi non ebbero nemmeno il tempo di estrarre le spade prima di finire a terra annegando nel proprio sangue.

L’elfo si guardò attorno poi, rassicurato, recuperò il pugnale dalla gola del sergente, lo inguainò nella propria manica dopo averlo ripulito e nascose il secondo che gli aveva permesso di uccidere i compagni del soldato, nella cintura.

“E non hai nemmeno dovuto estrarre quello che tieni nascosto nello stivale.” Affermò con una punta di divertimento l’essere, che non si era mosso dal suo posto.

“Sembra che tu abbia fatto male i conti…” Una freccia spuntò dal suo torace e l’elfo sussultò riuscendo a rimanere in piedi per miracolo, l’ossigeno che lasciava posto al sangue nei suoi polmoni.

“Non sbaglio mai… mio vecchio amico.” Mormorò l’entità. L’elfo si voltò lentamente, fronteggiando il suo nemico.

“Tu!” Sentì dire e alzò gli occhi fissandoli su di un uomo dagli occhi neri e dal cuore ancora più nero. “Tu!” Sputò ancora lui. Tra le braccia teneva una balestra che lasciò cadere a terra, un sorriso amplio e spietato che si apriva sulle sue labbra.

“Io…” Riuscì a dire, poi sputò un grumo di sangue e saliva verso l’uomo notando con soddisfazione il getto sporcargli l’immacolata veste bianca.

“Decenni, secoli di caccie per trovarti ed eccoti qui, in un stupido e insignificante villaggio, proprio il giorno in cui io lo attraverso.”

“Non sei invecchiato di una grinza, quanti elfi hai ucciso per ottenere questo risultato?”

“Molti.” Ammise lo stregone, un sorriso ampio sulle labbra. “E, penso che sarà un piacere prendere gli ultimo istanti di Vita che ti rimangono.”

“Tanti, ma non lei.” Lo stregone lo raggiunse rapido come un serpente e lo spinse a cadere in ginocchio, afferrando la punta della freccia che sporgeva dal suo corpo e muovendola.

L’elfo urlò dal dolore, ma sul suo volto vi era anche soddisfazione e lo stregone la vide.

“Cosa ne sai tu?” Sibilò nel suo orecchio.

“Io l’ho presa, io l’ho salvata, io te l’ho tolta dalle mani!” Urlò di nuovo, dopo quelle parole, godendo però di quel dolore perché significava che stava ferendo lo stregone più di quanto costui ferisse lui.

“Non è vero!”

“Ho usato la Pergamena Maledetta.”

“Non… non è possibile!”

“Sì, invece.” Sorrise. Non vedeva più con chiarezza, ma c’era una cosa che andava fatta e non aveva bisogno di vedere. Il pugnale saettò nella sua mano, ma prima che potesse usarlo lo stregone gli afferrò il polso storcendolo e facendogli perdere la presa.

“Davvero? Un pugnale? Credi davvero che un pugnale possa uccidermi?” Lo spinse indietro facendolo cadere contro le casse di legno. L’elfo alzò gli occhi incrociando lo sguardo dell’entità, che immobile osservava la scena.

“Lei era mia sorella.” Affermò, tirandosi di nuovo su, ignorando l’atroce sofferenza.

“Io la amavo!” Ruggì lo stregone afferrandolo per il collo e stringendo.

“Tu non ami e di certo, lei non ti amava.”

“Lei sarebbe stata mia, che lo volesse o no!” Sbraitò l’uomo stringendo con più forza. L’elfo spostò le mani nella vana ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo. Ed eccola lì, l’elsa della spada lasciata con noncuranza per terra. Sorrise. Sorrise perché le sue mani fremettero nel toccare l’elsa e percepirono il potere che scaturiva da essa.

“Lei non è mai stata tua e non lo sarebbe stata mai.” Le sue parole uscirono roche e strozzate, ma lo stregone le comprese e nei suoi occhi brillò la follia di una vita troppo lunga per un umano, vissuta nella corruzione bevendo vite altrui, uccidendo e trucidando. Quando la spada penetrò nel suo corpo l’uomo non smise di stringere, come se non sentisse più il suo corpo.

 

I tre bambini si avvicinarono all’entità, sulle labbra il sorriso spensierato di chi gioca felice.

“Dunque ha funzionato.” Affermò l’entità osservando i due viventi stretti in una presa che li portava dolcemente a lui. I bambini alzarono gli occhi e in essi vi era l’infinito.

“Sì, ne dubitavi?”

“No.” Rispose l’entità. I soldati accorsero, spingendo via il corpo dell’elfo e cercando di sollevare quello del loro signore, ma le loro mani si sporcarono di sangue. Era troppo tardi. “Sono miei ora.” Mormorò l’entità soffiando le parole nel vento e vedendo i visi degli uomini fremere di paura davanti alla mortalità di colui che credevano imbattibile.

I bambini sorrisero, divertiti da quella manifestazione di potere.

“Teatrale come sempre.” Le voci dei fanciulli erano un coro perfetto.

Vita, dai a me del teatrale?” Il sopracciglio alzato dell’entità fece ridere i bambini. “Tu che hai creato Amore e Dolore?”

“Io non ho creato nulla, essi fanno parte di me…”

“Non temi la Spada? Essa appartiene al mondo dei viventi ora che è stata brandita.” Un sorriso pieno di oscura saggezza balenò sulle labbra dei bambini.

“La Pergamena Maledetta è stata distrutta, la Spada è stata donata ai viventi… l’equilibrio tra me e te è stabile nella sua nuova instabilità. Cosa saremmo noi, senza il gioco dei viventi?” I tre fanciulli si voltarono a guardare le guardie che cercavano attonite qualcuno capace di dire loro cosa fare, un soldato piegò il ginocchio a terra ed estrasse l’arma dal petto del suo signore. Gli occhi dei bambini brillarono poi i tre sparirono in un refolo di vento che lasciò piccoli fiori nel selciato di pietra.

L’entità sospirò, poi si alzò, per l’ultima volta osservò il corpo mortale dell’elfo e scomparve, avvolto nel suo mantello azzurro.

 

 Gli occhi dell’elfo sbatterono, era nel buio, ma non era solo.

Questo è il momento.”

“Sono…?”

“Sì.”

“E lui?”

“Sì.”

“La spada…?”

“Spada? Quale spada?” Negli occhi dell’entità brillò il divertimento e l’elfo sorrise.

“Era la Quarta Spada?”

“L’unica arma capace di uccidere Vita è l’arma che spillando la goccia del Dio l’ha creata.”

“Sapevi che lui sarebbe stato lì? Sapevi che avrei potuto ucciderlo, se avessi avuto l’arma giusta? Lo avevi visto?”

“Io vedo tutto.”

“Ma non puoi intervenire…”

“L’equilibrio tra Vita e me era alterato, l’ago della bilancia andava risistemato. Ho pensato che ti sarebbe piaciuta quella spada: un dono.”

“Un dono… tu non offri doni…”

“Hai distrutto la Pergamena Maledetta, malgrado il suo immenso potere ti appartenesse.” Gli ricordò l’entità. “Sei pronto?” Chiese, poi.

L’elfo sospirò mentre la tensione del mondo svaniva dai suoi pensieri, che importanza aveva dopo tutto? Era finita, ora poteva riposare o ricominciare. Sentiva che ogni cosa era possibile in quel luogo.

“Non qui, dopo…” Affermò l’entità leggendo nella sua mente. L’elfo vide un chiarore e sorrise, nelle sue orecchie risuonava la risata cristallina di sua sorella.

“Sono pronto.” Disse.

“Vai allora.”

“Ti rivedrò?” Chiese in un ultimo sussulto di curiosità.

“Io sono Morte, mi rivedrai sempre, non importa quale forma Vita prenderà in te. Io verrò sempre a prenderti.” L’elfo annuì.

La luce lo avvolse: davanti a lui si apriva un nuovo inizio.

  
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