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Autore: BloodyRoad    05/03/2017    1 recensioni
Nonostante i dissensi dell'opinione pubblica, la Shinra è decisa più che mai a riaprire i battenti. Certo, ora serve un'enorme campagna propagandistica per guadagnarsi la fiducia di tutti. E che fare se il passato ritorna? Affidare tutto nelle mani di Reno potrebbe non essere la decisione giusta, ma ormai la storia è destinata a ripetersi in una serie di enormi, banali cliché.
[Reno x Kadaj, post Advent Children. Fanfiction inizialmente scritta per qualcuno, ma che ora vada al diavolo. Me la gioco con le mie regole.]
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kadaj, Reno, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Più contesti
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Prima di iniziare.

Le Renaj non sono particolarmente popolari nel fandom italiano, ma purtroppo investo anima e cuore in missioni impossibili. I know.

Il rating successivamente diventerà rosso, perché dopotutto questa resta una storia molto cliché, e le scene sexy dovrò pur metterle da qualche parte.

Uh, post Advent Children by the way.

 

Ps: Ho paura di scrivere per questo fandom. Non odiatemi per la mia incompetenza, pls.

 

 

 

 

 

1)      Not my style.

 

Era svenuto, o almeno sembrava fosse svenuto. Quando aprì gli occhi, debolmente, sbattendo un paio di volte le palpebre per meglio mettere a fuoco il mondo dinnanzi a sé, desiderò vivamente perdere i sensi ancora una volta. Quello che gli si presentava davanti non era esattamente un luogo accogliente. Era il genere di scenario che si poteva vedere in un incubo, o in un film dell’orrore. Uno di quei torture porn pieni di psicopatici che si divertono –letteralmente- sulla pelle degli altri, autorizzandosi in virtù di una giustizia divina fai-da-te. Invece era una tremenda, claustrofobica, buia realtà.

Il ragazzo aprì gli occhi azzurri a quell’ambiente terrificante, talmente sporco da sembrare il girone infernale di qualche maniaco del pulito. Ragnatele adornavano pilastri in legno come se fossero decorazioni di Halloween, il parquet marcio quasi sembrava cadere sotto ai suoi piedi, e lo scarso mobilio che riempiva la stanza serviva solo a dare un’atmosfera ancor più decadente e malata: un tavolo pieno di mozziconi di sigaretta e siringhe, una sedia con su brandelli di stoffa e qualche goccia di sangue, e altro che non era lecito sapere. La finestra c’era, ma non serviva a molto: dal vetro sporco entrava una luce fiacca, timida, come se nemmeno i raggi del sole volessero avere a che fare con quella situazione. Constatato lo squallore attorno a sé, il malcapitato potette ricapitolare su come ci era arrivato: il tempo di guardarsi intorno che si ricordò di essere legato e trascinato da un gruppo di brutti ceffi, il genere che non si vorrebbe incontrare di notte in un vicolo. Analizzandoli uno ad uno, se ne potevano contare cinque. Il primo, un ammasso di muscoli e probabilmente metanfetamine, dalla testa liscia come un uovo e l’abbigliamento ed il fisico di chi passa troppo tempo in palestra, lo stava tirando con una corda, strattonandolo senza alcuna cura qualora qualche parte del pavimento troppo ruvida non gli rendesse il compito facile, quasi stesse trasportando un fastidioso sacco di farina con sé. Altri due, che a malapena riusciva a vedere, gli stavano ai lati come una scorta poco principesca. Sembravano due scimmie troppo alte, dal muso pronunciato e con qualche pelo di troppo sulle braccia, uno con dei capelli a spazzola color ruggine, l’altro con un codino nero e dei baffi che lo avrebbero reso con prepotenza il sospettato numero uno in un caso di violenza minorile. Gli altri due erano fuori dal suo campo visivo, così dovette accontentarsi di giudicarli dalle voci: due idioti sgrammaticati, che non facevano altro che commentare cosa avrebbero fatto di quel loro nuovo prigioniero. Apparentemente, non erano cose da poter dire in pieno giorno senza doversi sentire come un peccatore in chiesa.

-È un tipino niente male,- diceva uno dei due, con una goffa risata gutturale, quasi fosse uscito da un cartone animato. –Di sicuro un malato che lo compra a caro prezzo lo troviamo.

-Sangue reale, mi sembra…- continuava il secondo, accompagnando ogni singola parola da un fastidiosissimo aspirare col naso, come se fosse perennemente raffreddato. –O così mi è parso di capire quando lo abbiamo acciuffato. Quanti guil ricaviamo da questa puttanella?

Come diavolo mi ha chiamato? Sembrò pensare il diretto interessato, che provò a girare il viso nonostante la scomoda posizione in cui si ritrovava. Ma nel momento in cui accennò il tentativo, una pistola alla tempia gli ricordò che forse non era il caso di agire con leggerezza. Mister Baffo non sembrava averlo preso in simpatia. O meglio…non in quella giusta.

-Buono, signorino. Stiamo solo decidendo cosa fare con te. Però prima dobbiamo conoscerci meglio, ti pare?

A quelle parole, il ragazzo venne slegato, ma solo ai piedi, mentre i polsi rimanevano stretti in una morsa, ma ne approfittò per accasciarsi un po’ a terra, mentre gli altri tizi continuavano ad analizzare quella figura vestita solo di una camicia piuttosto larga, ormai non più bianca a causa del sudiciume del pavimento, e da pantaloni neri a sigaretta, di ottima fattura. Gli sguardi affamati su di lui, quasi fosse una bambolina in vetrina.

-Capelli rossi…saranno veri? Dopo conviene controllare sotto…-

-Quegli occhioni sono di un colore raro. Faranno sicuramente salire il prezzo.

-Che saranno mai quei segni sul viso? Sarà un cazzo di indù o cose simili?

-Sembra anche ben piazzato…avanti dolcezza, perché non ti spogli e non fai vedere agli zietti quanto sei carino?

C’era così tanto…viscidume in quelle parole, che il ragazzo sentì l’impellente bisogno di bloccare un fremito di disgusto. Si sentiva sporco anche solo ad essere guardato da quegli scarafaggi in corazza umana.

Forse, ma non era certo, fu proprio per quello che rimase semplicemente sul pavimento, in ginocchio…iniziando a singhiozzare disperato. Una visione quasi patetica per una persona della sua età –poteva avere ventotto anni al massimo, nonostante conservasse ancora un’aria di fresca gioventù, …- ma non accennava a smettere, mentre si stringeva in sé stesso, il viso basso e gli atteggiamenti timorosi di una preda che tenta disperatamente di sottrarsi al suo triste destino.

-Vi prego…- sussurrava tra un singhiozzo e l’altro, le lacrime che sgorgavano copiose sulle guance candide, se non per due archi rossi all’altezza degli zigomi. –Vi prego, lasciatemi andare…la mia famiglia sarà in pensiero…-

Quella vocina tremante da un ragazzo così cresciuto fece scoppiare a ridere i cinque, i quali adesso, senza alcuna preoccupazione, si stavano dirigendo verso un frigobar -che funzionava probabilmente a volontà divina per quanto era vecchio- per tirare fuori qualche bottiglia di Whiskey.

-Oh, ma non possiamo…- ghignò il tipo tutto muscoli e niente capelli, versandosi un copioso bicchiere di Jack proprio davanti ai suoi occhi, in maniera quasi canzonatoria. –Sei una vera miniera d’oro, dolcezza. Scommetto che se non riuscissimo a venderti intero, i tuoi organi varrebbero comunque una fortuna.

Questa è una cazzata vera e propria. Non sai come sono messi i miei reni.

Gli occhi del ragazzo sembravano perplessi a quella affermazione; tuttavia non fece altro che abbassare il viso, asciugandosi le lacrime come poteva col palmo delle mani, seppur legate.

-Ma sono ancora…- sembrava piuttosto restio a pronunciare quanto seguiva. Quasi si vergognasse di dirlo, o stesse trovando le parole giuste…ma poi prese un grosso respiro, continuando a mantenere quell’espressione addolorata. –Sono ancora…-nascose di nuovo lo sguardo, come una scolaretta timida, lasciandosi sfuggire un altro singhiozzo, nascondendosi agli occhi famelici dei suoi aguzzini -…sono ancora vergine. Non procuratemi questo dolore. Lasciatemi andare…!

La notizia, invece che impietosire quel tetro quintetto, sembrò interessare più del dovuto: qualcuno scoppiò a ridere fragorosamente, qualcun altro invece, come l’inquietante tipo coi baffi ed il codino, iniziò a massaggiarsi il mento, riflettendo per quanto quei poveri operai sottopagati dei loro cervelli potevano permettersi.

-Ma sai che questa è proprio una bella notizia…- Camminando verso la fonte di interesse, a passi lenti, l’uomo decise di avvicinarsi di più.-…invece che venderti, potremmo tenerti tutto per noi. Il nostro caro animaletto.- Subito dopo si abbassò verso la figura piangente a terra, sollevandogli il viso e constatando la rigidezza di quel corpo, quasi pietrificato alla sua presenza. –Eh sì…non sei niente male. Voglio tenerti tutto per me, bambolina.

Il ragazzo sembrò inorridire a quelle parole, tradendo per qualche secondo l’espressione di pura innocenza assunta finora ed indietreggiando per sfuggire al tocco di quelle dita sporche, con un velo di disgustato panico nei suoi occhi.

-Cosa caz…- per un secondo sembrò piuttosto rude. Sembrò accorgersene, perché subito dopo, ritornò al solito piagnisteo. –Cosa… dite…io non potrei mai…

Insistendo, l’uomo gli afferrò la mascella, avvicinandolo di più ed impedendogli di sfuggire. Il suo tono di voce diveniva sempre più sottile, fino a ridursi ad un sussurro puzzolente di whiskey e scarsa igiene.

-Coraggio…che cosa ne dici? Guarda che ce l’ho grosso. All’inizio fa male, ma poi strillerai come una troietta in calore.

-I…io…io non…-

-Andiamo, non è che hai molto da scegliere…sarà più piacevole se ti concedi…

-…cristo, non ne posso più…- si sentì il prigioniero sussurrare, a volto basso, sempre più teso…

Ma l’uomo non smetteva. Anzi, sembrava trovarci godimento in tutto quel disagio.

-Su dolcezza, adesso ci divertiamo e…e dimmi, come ti chiami?

-RUDE, CHE CAZZO, TI SENTO RIDERE, MI DISTRAI!

Di tutta il risposta, il ragazzo sbottò nervoso, strillando improvvisamente al…nulla, lasciando perplessi i presenti in sala.

Non si capiva effettivamente con chi ce l’avesse: nessuno di loro si chiamava Rude. Che razza di nome era Rude, poi? Il principino che avevano catturato era forse un lunatico?

Il tipo inquietante coi baffi sembrò a sua volta parecchio spaventato da quella reazione così insolita, al punto da rialzarsi lentamente, non senza cercare di agguantare la propria pistola. Il ragazzo coi capelli rossi si rialzò a sua volta, come se improvvisamente non ci fosse più terrore o dolore a fermarlo, anzi. Sembrava piuttosto tonico, ed in salute. Cos’era quel cambiamento da un momento all’altro? Come se non bastasse, stava continuando a parlare al vuoto, fregandosene altamente di essere circondato da una banda di cinque carogne armate ed alcolizzate. Ciarlava ininterrottamente.

-Sì, OK, IMMAGINAVO. Mai più farò la donzella in pericolo. Il primo che me lo propone si becca uno sparo in gola…che significa, che ero credibile? Per forza, sono un fottuto genio dell’arte drammatica. Togliete quell’Oscar a Di Caprio, è mio di diritto. Scusate un secondo…- con un movimento fluido, si liberò tranquillamente i polsi, davanti agli occhi sbalorditi del resto del gruppo, ancora incapace di realizzare quanto stesse accadendo. Lo stavano trascinando inerme fino a qualche minuto fa, e ora si ergeva in mezzo a loro come una sorta di dio della ribalta, completamente inconsapevole del pericolo che correva. Quando il ragazzo si portò una mano all’orecchio, come se stesse cercando di aggiustarsi una sorta di auricolare, tutto fu chiaro: avevano decisamente catturato la persona sbagliata. No, peggio: avevano abboccato ad una pericolosissima esca.

Un’esca che non esitò a mostrarsi spavalda e trionfante ai loro occhi, lanciando loro sguardi di pura perfidia e, c’era da dirlo, di assetata vendetta.

-…chi è che avreste chiamato puttanella, voi?

-FATELO FUORI, IDIOTI, COSA ASPETTATE?

Ad un unico segnale, tutta la banda puntò una pistola contro il logorroico intruso, che non sembrava particolarmente turbato da ciò. Se pure avessero voluto capirne la ragione, non ne ebbero il tempo. Il ragazzo li fissò ghignante, con le mani sui fianchi, squadrandoli da capo a piedi come se li stesse giudicando dall’alto di un potere ancora non rivelato; subito dopo, continuò il secondo atto di quella che finora era stata una recita dannatamente strana. Imitò con le dita il gesto di una pistola, e sussurrando dei giocosi “bang, bang” puntava di volta in volta ognuno dei membri della squadra…facendoli cadere, esanimi, a terra, sotto agli occhi atterriti dei superstiti.

L’ultimo rimasto in vita, proprio quello che aveva intenzione di fare cose indicibili al ragazzo, si accasciò a terra, tremante e confuso. Questo comportò al pistolero magico di avvicinarsi a passi lenti verso di lui, con una risatina sinistra. Si piegò davanti alla sua figura impaurita, con sguardo quasi maniacale.

-Cos’è che volevi farmi, tu?

-CHI…CHI DIAMINE SEI…? – fu la risposta urlata e quasi supplicante del poveraccio a terra, che indietreggiava ancora, finché un muro lercio non bloccò la sua patetica fuga.

L’uomo dai capelli rossi continuò a seguirlo, facendo risuonare volontariamente i propri passi in quella stanza fetida ora anche di morte, come se fossero lancette di un’inevitabile condanna a morte.

-Non l’hai ancora capito? Sono il demonio.

Allungò nuovamente la mano, allungando solo l’indice, il medio e l’anulare della mano sinistra, per imitare nuovamente il gesto di poco prima, godendosi l’estremo impallidire della sua povera vittima, ormai conscia del suo destino.

-Bang, bang.

 

Il ragazzo dai capelli rossi si guardò intorno, con aria piuttosto soddisfatta. La schiera di cadaveri ai suoi piedi aveva avuto ciò che si meritava, e ora poteva tranquillamente riprendere ad essere sé stesso.

Gettò uno sguardo alle finestre, notando con piacere quei piccolissimi buchi ai vetri. I cecchini erano stati fantastici. Non solo erano stati silenziosi e precisi, ma avevano seguito alla perfezione le sue indicazioni. La carneficina più teatrale e scenica che avesse mai organizzato.

Riallungò la mano verso l’orecchio, ricominciando a parlare con tono estremamente soddisfatto.

-Qui Reno, la via è libera. Mi addentro nel seminterrato e vi dico cosa trovo.

Fece scricchiolare un po’ le dita, prima di procedere. Giusto un paio di passi verso quella che presumibilmente doveva essere la porta che conduceva al misterioso seminterrato, oggetto della sua missione. Prima di aprire il pomello, si diede una veloce sistemata, sollevandosi i pantaloni e scuotendo via la polvere e riabbottonandosi la camicia, che stava rivelando un po’ troppa della sua merce preziosa. La giacca era sparita nella finta colluttazione che aveva preceduto quella violenta parentesi, ma Reno era sicuro che la Shinra gliene doveva almeno altre dieci nuove di Armani dopo quell’umiliante messinscena. Finalmente, si decise a mettere in atto la seconda parte di quel piano non esattamente accurato, ma comunque d’effetto, com’era nello stile dei Turks. Anzi, come era nel suo stile. Per quanto i Turks –Nome per esteso: Dipartimento di Ricerca Amministrativa- fossero un gruppo omologato e dalle regole ben precise, Reno era capace di rivoluzionarle tutte col suo modus operandi talvolta eccentrico, talvolta sfacciato. L’importante era sempre distinguersi, qualcosa che gli riusciva dannatamente bene.

…ma quando abbassò la maniglia della porta, l’entrata scenica non gli riuscì come avrebbe voluto.

Un corridoio lungo, nero e buio lo accolse. Non c’era nemmeno una finestra, non uno spiraglio di luce naturale. C’erano delle lampadine che sembravano quasi essersi impiccate, per quanto penzolavano male dal soffitto, che emettevano a malapena l’illuminazione sufficiente a rendersi conto della situazione catastrofica. La cosa che colpì Reno fu soprattutto l’odore pungente di sudore e sangue, e l’irreale silenzio che dominava quel luogo. Ai lati del corridoio si ergevano sbarre arrugginite, dietro alle quali stavano inermi dei corpi vestiti a malapena, giovanissimi, macchiati dalla stanchezza e dal degrado di quel posto. Alcuni di loro erano così scheletrici ed immobili da maturare in Reno il dubbio che fossero davvero morti. Mentre percorreva con lentezza esasperante quella specie di Inferno artificiale, riuscì a notare un dettaglio: ognuna di quelle persone era di una bellezza disarmante. Tantissime anime innocenti erano state catturate per il piacere perverso di qualcuno, senza possibilità di potersi in qualche modo ribellare. Magari lo avevano fatto, ma Reno vedeva nei loro occhi spenti un cimitero di speranze.

Poteva stare ancora lì a contemplare il tutto, a compatire quegli angeli caduti…

…ma di certo non era nel suo stile.

-SVEGLIA, BAMBINI.

Urlò con tale forza che molti di loro trasalirono agghiacciati. Ok, si rese conto che forse quello non era il modo migliore di sembrare un eroe ai loro occhi. Anzi, probabilmente lo avevano scambiato per l’ennesimo cliente pronto a scegliere il suo prossimo diletto. Quegli occhi lucidi e spaventati che lo fissavano lo fecero sentire come perforato da un milione di aghi, neanche avesse dato fastidio ad un Cactuar.

Bisognava immediatamente volgere la situazione sotto ad una luce che non fosse quella vacillante di quella cantina.

Senza troppi preamboli, ed ignorando le reazioni spaventate dei presenti, si avvicinò ad una delle sbarre, alzando appena il viso per notare una ragazzina dai capelli rossi che vacillava all’indietro, gli occhi già gonfi di lacrime, che sussurrava flebilmente qualcosa che Reno non riuscì a capire subito ma che suonava vagamente come un “Ti prego, non me, non me…”.

Reno sfilò dalla tasca quello che poteva essere un cacciavite, ma piuttosto allungato e con ben più punte del normale. Una chiave bulgara.

-Che? No, non aver paura. Vi sto liberando.

Quelle parole, dette con estrema nonchalance, si librarono in quel claustrofobico regno di disperazione…trasformandolo, dopo una manciata di eterni, esasperanti secondi di silenzio, in un giubileo di grida entusiaste.

Tutti quei ragazzi semorenti, che sembravano volersi quasi mimetizzare con le pareti pur di non incrociare il suo sguardo, ora si gettavano alle sbarre, allungando le mani ed implorando Reno di far presto, facendo sgorgare fiumi di pianto. Ohh, Reno adorava quella sensazione. Avrebbe fatto il bagno nelle loro lacrime di gratitudine. Tutto, pur di soddisfare il suo ego. Con una lieve forzatura, il cancello che teneva prigioniera la ragazza si aprì, con incredulità della suddetta. Inizialmente, come un animaletto tenuto in cattività, sembrò quasi reticente alla sua ritrovata libertà. Ma quando Reno si fece da parte e fece un cenno con la testa, l’incantesimo si spezzò. Con un urlo di gioia, la fanciulla si precipitò fuori, tra l’ammirazione e la gioia dei presenti che avevano assistito alla scena.

-Fuori troverete la nostra squadra che vi darà coperte e bevande calde e vi riporterà alle vostre famiglie, non-vi-affollaaaate…- cantilenò quasi, avvicinandosi alla gabbia successiva e ripetendo il gesto, osservando soddisfatto, di volta in volta, le persone che scappavano da quella realtà troppo orribile per essere anche solo concepita. Le gabbie si svuotarono e l’odore di prima svanì a poco a poco. Reno già pregustava i titoli dei giornali che descrivevano la Shinra, ma soprattutto lui, come la più grande cosa mai avvenuta all’umanità. Avevano decisamente bisogno di una ventata di nuova reputazione. Chi aveva seguito le varie vicissitudini in passato, poteva infatti affermare, senza ombra di dubbio, che il pianeta aveva rischiato decisamente grosso grazie alla compagnia elettrica che sfruttava l’energia della terra senza troppi scrupoli. Nessuna sorpresa se l’opinione pubblica non si era esattamente espressa a favore della loro nuova riapertura, sebbene fosse stato messo nero su bianco che la Shinra avrebbe seguito una nuova politica eco-friendly volta al benessere del popolo. Sorpresa, sorpresa: nessuno ci aveva creduto. Ecco perché era nata una sorta di campagna sociale dove al centro di opere benefiche c’erano sempre loro, e sempre “per puro caso”. Quell’operazione di salvataggio e di smascheramento di commercio sessuale altro non era che un altro passo della loro campagna propagandistica, classificata come “Missione 017”, che Reno aveva affettuosamente soprannominato “Missione Siamo meglio di Gesù Cristo”. Stava già scegliendo il miglior atteggiamento da adottare davanti ai giornalisti: come doveva apparire? Sconvolto? Traumatizzato? Desideroso di giustizia per quello che avevano dovuto patire quelle povere anime? O sprezzante del pericolo appena corso, roba da “Non è niente, gente!”? E soprattutto, quali dovevano essere le parole che avrebbe detto alla stampa, una volta uscito da lì, mentre apriva altre gabbie.?  Ho semplicemente fatto il mio dovere” sembrava piuttosto banale. E se invece avesse esordito con un “Nessuno sporco figlio di puttana la fa franca se va contro i nostri nobili ideali”? Sì, quello sembrava eroico e dannatamente badass, sebbene una vera e propria messinscena: Reno di ideali non ne aveva affatto, e di certo non li aveva maturati nel corso della loro campagna di beneficenza. Ma, come aveva potuto dimostrare in quella missione, era un attore dannatamente bravo.

Con un ulteriore “clack clack” della sua strabiliante chiave magica, Reno era convinto di aver liberato l’ultima ragazzina seminuda e di potersi dire un po’ più lontano dalla dannazione eterna. Ehi, era tutta una messinscena propagandistica, ma tecnicamente aveva compiuto un’ulteriore buona azione, no? Stava per andarsene, quando…

-…nghhh…-

… il silenzio venne interrotto da uno strano mugugno. Reno si guardò le spalle più volte, perplesso. Guardò tutte le celle: non c’era nessuno che tendeva le braccia chiedendo disperatamente la salvezza, tantomeno gli sembrò di scorgere qualche movimento umano. Dunque due erano le cose: o il commercio del sesso andava forte anche tra gli spettri, oppure lì c’era rimasto ancora qualcuno. Per quanto allenati i suoi occhi da pilota fossero, non gli sembrò di scorgere niente in quella insopportabile penombra. Guardò più e più volte, senza successo. Un altro mugugno. La cosa stava iniziando a dargli i nervi: ripercorse stizzito il corridoio, squadrando da cima a fondo. Non sembrava esserci davvero nessun-

Oh.

Nell’ultima cella, proprio quella in fondo, la più piccola e stretta, notò un corpicino che si rannicchiava in un angolo buio. Non era sicuro si trattasse di un corpo femminile, tanto era esile e delicato, anche se era difficile da dire in quella posizione, ma il mugugno aveva un qualcosa che risuonava vagamente di cromosoma XY. C’era da dire che di sicuro era rimasto sorpreso: aveva quasi volontariamente ignorato quelle sbarre, convinto stessero trattenendo il nulla. Invece, a quanto pareva, non aveva salvato proprio tutti. Per quanto stanco ed annoiato fosse, di certo non poteva lasciar morire l’ultimo idiota lì rimasto. Anche se…beh…in teoria, chi l’avrebbe mai scoperto? Sarebbe sicuramente morto di fame e stenti, già piccino e debole com’era, che minaccia poteva rappresentare?

…ma beh, ormai era lì, e c’era da dirlo: Reno aveva fin troppi morti sulla sua –piccola- coscienza. Tanto valeva tirare fuori di nuovo la chiave, seppur sbuffando.

-Che cazzo, amico, potevi farti sentire prima. Ho esaurito la mia dose di bontà, per oggi, quindi non farmi perdere la pazienza.

Fece scattare la cella con un movimento brusco, aprendola. Attese all’uscio che il ragazzo, o la ragazza, si precipitasse come tutti avevano fatto, ma niente. Restava fermo, o ferma, nel suo angolino, mugugnante. Reno stava davvero iniziando ad innervosirsi. Fece cigolare più volte le sbarre, come a volergli segnalare che ora non erano più un problema, che poteva tornare dai suoi cari ed insomma, quel posto puzzava da morire, perché perdere tempo così?

-…oh, ma ci senti?

Gli era stato vietato di toccare le vittime, reduci di contatti traumatizzanti ed umilianti, ma dio, che voglia aveva di prenderlo –o prenderla- a ceffoni. Prima di tutto, come osava ignorarlo così? E seconda cosa, che diamine aveva da starsene lì immobile quando fuori c’era il mondo ad aspettarlo?

Non era mica un vero fantasma? Se si fosse avvicinato, magari, si sarebbe voltato rivelando un volto demoniaco che lo avrebbe fatto crepare sul colpo per lo spavento.

Il pensiero quasi lo bloccò: la porta era aperta, tanto, quindi hasta la vista e buona vita, no?

Invece Reno decise che nemmeno le anime dell’oltretomba dovevano azzardarsi a farlo incavolare in quella maniera, così irritato si avvicinò al personaggino della cella, afferrandolo per una spalla.

-E CHE CAZZO, TI VUOI MUOV…-

…Reno dovette interrompersi per l’ennesima volta.

A quanto pareva, quella serata era davvero piena di sorprese.

Quello che stava scuotendo non era un ragazzino qualunque.

Lo conosceva, sebbene…in quello stato non lo avrebbe mai immaginato.

Lo riconobbe.

Sul corpo candido c’erano degli stracci che a malapena gli coprivano il bassoventre, lasciando ben in vista tutto il resto, così delicato e sottile che Reno temeva potesse spezzarsi da un momento all’altro. Riconobbe gli occhi socchiusi che rivelavano un colore incredibile, seppur spento, un misto di verde ed azzurro che ricordava profondità di oceani inesplorati, incantevoli nella loro miseria. E soprattutto riconobbe quei capelli morbidi nonostante la polvere e lo sporco, quei sottili strati di argento che rivelavano un visino aggraziato, anche se Reno lo aveva visto assumere espressioni non esattamente innocenti, per quanto lo sembrasse.

Non c’erano dubbi. O era uno scherzo ben elaborato, o era un sosia, oppure quello era…

-…Kadaj?

Lo sollevò per un braccio, divorandolo ancora con lo sguardo, troppo incredulo per poter dire altro. La reazione tardò ad arrivare, ma dopo un po’ il ragazzo sollevò piano il viso, cercando di incrociare i suoi occhi, senza davvero vederlo.

-…M-madre…?

Ok, non c’era bisogno di ulteriori conferme.

-Cazzo, Kadaj, non ricominciare.

 

 

 

 

 

Note

 

Illusi. Se avevate capito che il tipo legato era Reno, non dovevate credere nemmeno per un secondo alle sue lacrime. Mi ha divertito però immaginarmelo come una damsel in distress.

Se questo primo capitolo vi è piaciuto, yay. Grazie~

Sennò…scusate, potessi restituirvi il tempo perduto a leggere questa accozzaglia lo farei volentieri.

 

Dedico questo capitoletto, nonostante tutto, ad una persona per me ancora molto speciale.

Non che ci sia qualcosa da dedicare in questa storiella senza pretese.

Ma diciamo che mi ha aiutata a riprendermi un po’. Aggiornamento: no, tal persona non si merita manco una dedica. Vai all'inferno, lurida bugiarda.

 

   
 
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