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Autore: Amantide    06/03/2017    3 recensioni
Due buste identiche, in due appartamenti diversi, indirizzate a due persone con qualcosa in comune.
Sherlock sapeva che il suo incontro con John Watson aveva finito per cambiare in modo irreversibile la sua vita, ma non pensava che sarebbe mai arrivato a tanto. Era bastato uno sguardo, una firma, e tutto era cambiato di nuovo.
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Dal testo:
"In piedi al suo fianco, con indosso uno dei suoi maglioni più belli, c’era John Watson; tangibile e reale come il vuoto che era stato in grado di lasciare nella sua vita. Gli aveva bloccato il polso e lo fissava con sguardo languido senza dire una parola."
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[Sherlolly] [Parentlock]
Genere: Commedia, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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1- POST MORTEM

 
 
Sulla mensola sopra al caminetto in Baker Street c’era una grossa busta dalla carta giallastra a grana spessa indirizzata a Sherlock Holmes che, visto l’aspetto formale, conteneva sicuramente qualcosa d’importante.
La Signora Hudson l’aveva recuperata dalla casella della posta e l’aveva consegnata a Sherlock illudendosi che lui l’aprisse al suo cospetto rivelandole il contenuto, cosa che lui si era guardato bene dal fare, primo, perché adorava tenere la Signora Hudson sulle spine e, secondo, perché gli era bastato leggere il mittente per dedurre ogni cosa.
Nonostante la padrona di casa non avesse fatto nessuna domanda esplicita, Sherlock sapeva che il suo continuo via vai dal suo appartamento altro non era che una scusa per controllare se lui si era deciso ad aprire la busta oppure no, pertanto si limitava ad ignorare le sue intrusioni e di tanto in tanto ne approfittava per chiederle una tazza ti tè.
Con grande disappunto della signora Hudson la misteriosa missiva era rimasta esattamente dove Sherlock l’aveva lasciata: sulla mensola sopra il caminetto, in compagnia di un cospicuo numero di scartoffie e strati di polvere, rigorosamente trafitta da un pugnale.
“Non potrà ignorarla per sempre” disse la donna a tre giorni di distanza fissando Sherlock seduto sulla sua poltrona con in mano un bicchiere di whiskey, l’espressione triste e lo sguardo perso nel vuoto.
“Non ho bisogno di aprirla per sapere cosa contiene” dichiarò Sherlock asciutto. Ed era vero. Oltre a sapere nei dettagli cosa conteneva quella comunicazione, sapeva anche che a qualche isolato da casa sua, in un altro appartamento (sicuramente più ordinato del suo) c’era un’altra busta, pressappoco identica a quella che aveva ricevuto lui, ma indirizzata ad un’altra persona, una donna, una donna di nome Molly Hooper.
 
Erano passati tredici giorni da quando Sherlock si era visto costretto ad aprire quella maledetta busta e, come espressamente richiesto dalla comunicazione in essa contenuta, stava andando ad adempiere i suoi doveri.
Come Sherlock aveva intuito, anche la dottoressa Hooper aveva ricevuto quella stessa busta ma, a differenza sua, l’aveva aperta subito e dopo lo shock iniziale e qualche giorno di riflessione, si era decisa ad agire.
Era iniziato tutto con una telefonata alla quale Sherlock, intuendo cosa spingesse la patologa a chiamarlo, si era visto costretto a rispondere.
Si erano dati appuntamento al chiosco delle patatine fritte preferite da Sherlock, quello vicino a Regent’s park, e avevano parlato a lungo passeggiando nel parco nonostante la temperatura rigida e l’aria di neve.
Nonostante il detective fosse ben fermo sulle sue idee e sul da farsi concesse a Molly tanti altri incontri perché lei insisteva nel dire che il primo era bastato a malapena a tastare il terreno, non certo a prendere una decisione.
Come Sherlock aveva previsto, gli incontri successivi non erano serviti a niente, anzi, in più di un’occasione si era generato un dibattito particolarmente acceso perché l’argomento di conversazione era delicato e, come se questo non bastasse, le loro continue ed infinite discussioni li obbligavano a menzionare spesso John, il che portava Molly sull’orlo delle lacrime e Sherlock al silenzio, ponendo fine alla conversazione senza aver di fatto concluso nulla.
Fu così che arrivarono alla data della convocazione, consapevoli di non aver trovato un accordo e particolarmente tesi e preoccupati all’idea di quello che avrebbe comportato.
Quando s’incontrarono ai piedi dell’imponente scalinata in marmo che conduceva all’ingresso principale dell’edificio si salutarono cercando di mascherare l’un l’altro la tensione che li attanagliava, poi si voltarono e presero a salire le scale consci del fatto che una volta entrati lì dentro, indipendentemente da quale sarebbe stata la loro decisione definitiva, le loro vite non sarebbero più state le stesse.
Il giudice Norringthon li aspettava in fondo al primo piano, in una stanza dal soffitto alto e dal pavimento in marmo chiaro. Sherlock annusò l’aria nel vano tentativo di capire quante ore fossero trascorse dall’ultima lucidatura e quale tipo di cera fosse stata utilizzata. Aveva postato un articolo sul suo sito in merito alle cere per pavimenti più diffuse in commercio e John, ovviamente, non aveva perso l’occasione di prenderlo in giro dichiarando che nemmeno una casalinga disperata avrebbe mai letto un articolo del genere. John. Persino uno stupido pavimento riusciva a ricordarglielo.
“Sherlock!” Sibilò Molly rifilandogli una gomitata nel costato. “Dobbiamo andare, il giudice ci sta chiamando”
Sherlock guardò un’ultima volta il pavimento, niente, il suo dono delle deduzioni sembrava momentaneamente fuori uso. Maledetto John Watson.
“Prego, accomodatevi” disse l’uomo basso e tarchiato dietro alla scrivania facendogli cenno di avvicinarsi. Sherlock scostò la sedia di Molly e solo dopo che lei si fu seduta si accomodò al suo fianco.
“Bene” esordì il giudice posando le mani cicciottelle sulla scrivania ricolma di scartoffie in un modo che a Sherlock ricordò tremendamente un Bulldog. “Sapete entrambi il perché della vostra convocazione, qui leggo che la comunicazione ufficiale vi è stata consegnata in data 28 ottobre, ed essendo oggi il 29 di novembre vi stato concesso un intero mese per consultarvi e prendere una decisione… decisione che spero vi abbia visto concordi.”
Sherlock abbassò lo sguardo e Molly deglutì, tesa come una corda di violino, evitando volutamente di guardarlo; mai avrebbe pensato di trovarsi in una situazione del genere, e soprattutto non con Sherlock.
“Dunque” esordì il giudice inforcando gli occhiali, “la prassi prevede che io legga tutto e solo alla fine esprimerete, uno alla volta, le vostre volontà.”
L’uomo aprì un grosso fascicolo e cominciò a leggere con voce piatta. Sherlock smise di ascoltare dopo mezzo minuto, non aveva bisogno di sentirlo leggere quel noiosissimo atto per sapere cosa doveva fare. Doveva solo esprimere le sue volontà e mettere una stupida firma, poi tutto sarebbe finito, spazzato via come un brutto sogno al momento del risveglio.
Rimase seduto a fissare torvo l’uomo di fronte a lui, le braccia incrociate e l’espressione indecifrabile. Quell’uomo era ripugnante, somigliava più ad un pedofilo che a un giudice preposto alla tutela dei minori e doveva avere un debole per le ciambelle perché aveva dello zucchero a velo sul colletto della camicia. Il suo diabete doveva essere alle stelle. Le labbra di Sherlock s’incresparono a formare un lieve sorriso, le deduzione sembravano aver finalmente ripreso a fluire agevolmente nel suo cervello.
“I qui presenti Sherlock Holmes e Molly Hooper, sono stati convocati in data 29 novembre 2016 dall’autorità giudiziaria qui rappresentata dal giudice Robert Norringthon, in quanto a tutti gli effetti rispettivamente padrino e madrina di Rosamund Mary Watson, nata a Londra il 4 aprile 2016, figlia di John Hamish Watson e Mary Elisabeth Morstan, attualmente affidata all’istituto St. Jacob di Londra per la tutela di minori rimasti orfani in quanto i soli parenti rimasti in vita risultavano, per motivi diversi, non idonei ad allevare la bambina.”
Sherlock spostò lo sguardo su Molly, era agitata, si sforzava di apparire calma e tranquilla ma il fazzoletto spiegazzato che stringeva tra le mani e su cui sfogava tutta la sua frustrazione dimostrava il contrario.
Il giudice stava ancora leggendo e Sherlock trovò la sua voce irritante come il ronzio di una zanzara durante il sonno. Quante pagine mancavano alla fine di quella tortura?
“…è quindi da intendersi che la richiesta di adozione sarà accolta solo nel caso in cui entrambi esprimeranno il loro consenso apponendo una firma al punto A dell’appendice 7 del suddetto atto…”
Il giudice fece una lunga pausa per riprendere fiato, cosa che non gli sarebbe di certo servita se solo avesse fatto un minimo di attività fisica nel corso della sua vita e avesse dedicato meno tempo alle ciambelle.
“Bene, se non ci sono domande, procederei con la messa agli atti delle vostre volontà. Prima le signore…” disse l’uomo porgendo a Molly un foglio e una penna. “Prego, deve solo leggere ad alta voce quanto segue e indicare la sua scelta con una X, poi ponga una firma in fondo al foglio.”
Molly impugnò la penna e dedicò un’occhiata a Sherlock che sembrava completamente estraneo ai fatti ed era intento a scrivere un messaggio col cellulare. Prese un profondo respiro, conscia del fatto che, indipendentemente dalla sua scelta, Rosi sarebbe rimasta orfana. Nonostante tutta la sua buona volontà e il desiderio di garantire alla figlia di John e Mary un futuro migliore di quello che le si prospettava, Molly era consapevole del fatto che certe scelte andavano fatte in due e dal momento che l’altra metà della coppia rispondeva al nome di Sherlock Holmes c’era ben poco da fare. Dopotutto Sherlock e la paternità erano due cose che si escludevano a vicenda, e lui era stato fin troppo chiaro nel farglielo presente.
Tornò a fissare il foglio che aveva davanti e cominciò a leggere ad alta voce: “Io Molly Hooper, nata a Londra il 26 marzo 1980, nel pieno possesso delle mie facoltà e preventivamente informata dei vincoli etici e legali previsti dalla figura di genitore adottivo, dichiaro di…” Molly si fece forza e disegnò una crocetta, “accettare la custodia di Rosamund Mary Watson, nata a Londra il 4 aprile 2016, e di accudirla a tutti gli effetti come figlia biologica…”
Sherlock ripose il cellulare nella tasca interna del cappotto e spostò lo sguardo su Molly che stava ancora leggendo, quanto ci voleva ancora?
“Ora lei Signor Holmes” disse Norringthon dopo un paio di minuti. Sherlock afferrò la penna con un gesto fulmineo e andò direttamente in fondo alla pagina in cerca della zona in cui andava posta la crocetta. Fece per segnare la sua scelta ma il giudice gli sfilò il foglio da sotto il naso e lo redarguì: “Prima deve leggere. Ad alta voce.” Sherlock lo guardò con odio. “Ha già letto lei, so cosa c’è scritto” sibilò infastidito da quel gesto. “È la prassi” replicò l’uomo.
Sherlock guardò l’orologio e dichiarò beffardo: “Non è l’ora della sua insulina?” L’uomo sbiancò e Molly si fece sentire: “Sherlock!” Lo riprese alterata, “leggi quel dannato foglio!” voleva solo andare a casa e piangere, piangere per tutto quello che avrebbe potuto essere e che, per colpa di Sherlock, non sarebbe mai stato.
Sherlock fissò Molly per un lungo istante e poi si arrese sbuffando, dopotutto quella tortura era quasi giunta al termine.
“Io Sherlock Holmes, nato a Londra il 6 gennaio 1979, nel pieno possesso delle mie facoltà e preventivamente informato dei vincoli etici e legali previsti dalla figura di genitore adottivo, dichiaro di…” Sherlock saltò la prima voce, quella che iniziava con la parola accettare, e spostò la penna più in basso, dove la frase iniziava con non accettare. Avvicinò la penna al foglio e un istante prima che l’inchiostro segnasse irrevocabilmente la sua scelta sentì una pressione sul suo polso destro che lo costrinse ad esitare. Il cuore mancò un battito e le viscere presero a contorcersi, sapeva fin troppo bene cosa stava per vedere ma levò comunque lo sguardo alla sua destra. In piedi al suo fianco, con indosso uno dei suoi maglioni più belli, c’era John Watson; tangibile e reale come il vuoto che era stato in grado di lasciare nella sua vita. Gli aveva bloccato il polso e lo fissava con sguardo languido senza dire una parola.
“Deve mettere una croce in corrispondenza di una delle due opzioni” ribadì il giudice vedendolo in difficoltà. Ma Sherlock non lo degnava di uno sguardo, aveva occhi solo per John che, dal giorno della sua morte, aveva preso la brutta abitudine di apparirgli nei momenti meno opportuni. Non parlava mai. Si limitava a comparire fissandolo con quella sua tipica gamma di sguardi che Sherlock aveva imparato a leggere e interpretare perfettamente nel corso degli anni trascorsi insieme. C’era lo sguardo “non ti azzardare”, quello “adesso ti dò un pugno” e quello che Sherlock preferiva in assoluto: “spiegami”.
In questo caso lo sguardo di John celava un messaggio, o meglio, una supplica: “non abbandonarla”. A quegli occhi così espressivi fece eco il ricordo della sua voce: fallo per me. Erano le stesse parole che gli aveva sentito pronunciare davanti alla sua lapide, quando lo supplicava di non essere morto e piangeva convinto che non avrebbe mai potuto riabbracciarlo. Ora le parti si erano invertite; era John Watson ad essersene andato e lui era quello che una volta a settimana faceva visita alla sua tomba domandandosi cosa fosse andato storto.
“Signor Holmes” intervenne l’uomo-Bulldog cercando di attirare l’attenzione del detective, “si sente bene?”
Sherlock sospirò. Come poteva sentirsi bene dopo la morte di John? Niente era più andato bene da quel maledetto giorno. Dormiva a fatica, mangiava a malapena e aveva ripreso ad iniettarsi occasionalmente intrugli di varia natura, cosa che Mycroft doveva essere stato bravo a nascondere visto che una commissione di psicologi qualificati erano stati concordi nel nominarlo come possibile tutore della piccola Watson.
La verità era che a soli tre giorni dal suo funerale le conseguenze della morte del suo migliore amico avevano prepotentemente cominciato a ripercuotersi sulla sua vita. C’erano state le telefonate cui evitava volutamente di rispondere, le condoglianze degli sconosciuti che lo incrociavano per strada e le lettere dei numerosi fan del blog di John che intasavano la casella della posta di Baker Street, dando un gran da fare alla signora Hudson. E poi era arrivata quella maledetta busta, e con essa il peso di una responsabilità che non aveva mai nemmeno lontanamente pensato di assumersi e per la quale sapeva di non essere la persona più indicata. Eppure adesso John era al suo fianco che lo implorava di cambiare idea dopo che persino Molly ci aveva rinunciato. Non c’era posto per una bambina in Baker Street, di questo era sempre stato più che sicuro, e allora perché diavolo il fantasma di John insisteva nel tormentarlo?
“Signor Holmes…” ecco che il Bulldog lo invitava nuovamente a prendere una decisione.
Sherlock sentì la mano invisibile di John guidare la sua e quando si decise a segnare quella fatidica X si accorse che si trovava in corrispondenza della prima opzione. “Deve leggere ad alta voce” gli ricordò Norringthon.
“Io Sherlock Holmes, nato a Londra il 6 gennaio 1979, nel pieno possesso delle mie facoltà e preventivamente informato dei vincoli etici e legali previsti dalla figura di genitore adottivo, dichiaro di accettare la custodia di Rosamund Mary Watson, nata a Londra il 4 aprile 2016, e di accudirla a tutti gli effetti come figlia biologica…”
Sherlock proseguì la lettura sotto lo sguardo allibito di Molly che non poteva credere a quanto stava accadendo. Dopo un intero mese passato a discutere con Sherlock del futuro di Rosi aveva finito per convincersi che nessuno avrebbe mai potuto far cambiare idea a Sherlock e invece la prova tangibile che si era sbagliata era proprio davanti ai suoi occhi. Adesso Sherlock stava firmando in basso a destra, accanto a dove aveva già firmato lei, e sembrava un po’ scosso.
“Bene” Esclamò il giudice che sembrava avere una certa fretta di liberarsi di loro. “Ora dobbiamo stabilire la nuova residenza della bambina… avete già pensato a dove allevare la piccola?”
Molly spostò lo sguardo su Norringthon. No che non ci avevano pensato, e per quale motivo avrebbero dovuto farlo? Sherlock non aveva mai neanche minimamente preso in considerazione la possibilità di crescere Rosi insieme a lei e invece adesso si ritrovavano con una bambina, un trasloco da organizzare e una convivenza forzata da cominciare senza il minimo preavviso perché, nella comunicazione che era arrivata ad entrambi era espressamente specificato che, se avessero accettato la custodia di Rosi, avrebbero dovuto condividere lo stesso tetto affinché la bambina, già vittima di un doppio trauma legato alla perdita di entrambi i genitori, crescesse a tutti gli effetti all’interno di una famiglia.
“Baker Street” disse improvvisamente la voce di Sherlock prima che Molly trovasse anche solo la forza di dire qualcosa. “221B di Baker Street”.
“Molto bene” disse il giudice mettendo agli atti quanto Sherlock aveva appena dichiarato senza essersi minimamente consultato con Molly. “Mi sembra una saggia scelta, ho letto nel fascicolo che allo stesso indirizzo vive anche l’altra madrina della piccola Watson il che non guasta.”
“Già” confermò Molly con un sorriso amaro. Sapeva bene che il giudice tutelare non aveva minimamente preso in considerazione la signora Hudson per l’affido per via dell’età, ma questo non escludeva il fatto che, per loro, sarebbe stata di grande aiuto.
“Bene, per oggi è tutto. Sarete contattati direttamente dall’istituto St. Jacob per fissare il giorno in cui prelevare la bambina; nel frattempo potrete procedere con il trasloco e organizzare la vostra nuova vita insieme. Ora vogliate scusarmi, ma ho un appuntamento importante a cui non posso proprio mancare.” E così dicendo l’uomo si dileguò sotto lo sguardo attonito di Molly, che era ancora sconvolta dagli avvenimenti degli ultimi dieci minuti, e di Sherlock che borbottò tra sé e sé qualcosa che suonava come: “Sì, certo, un appuntamento con le ciambelle dello Starbucks all’angolo della via”.
 
“Baker Street?” domandò Molly a metà tra lo stupore e il disappunto mentre uscivano dall’edificio. “Sarebbe stato carino se avessi chiesto anche la mia opinione”.
“Ero convinto che il mio appartamento ti piacesse” fece Sherlock ironico mentre si annodava la sciarpa al collo.
“Sherlock! Cosa ti è passato per la testa? Questo non è un gioco, e nemmeno un esperimento!”
“Per te è indifferente cambiare abitazione perché il Bart’s è comodamente raggiungibile con la metro. Io lavoro e ricevo clienti a casa e, cosa di gran lunga più importante, non abbandonerei il mio appartamento per nessun motivo al mondo. E poi c’è la signora Hudson… l’ha detto anche il giudice, no? È la scelta più saggia”. Spiegò Sherlock scendendo le scale con aria svogliata, come se il tutto fosse particolarmente ovvio e noioso.
“Mi riferivo al fatto che hai cambiato idea…” gli gridò dietro Molly, ferma in cima alla scalinata, le braccia strette al petto nel tentativo di scaldarsi e la coda che svolazzava in balia del gelido vento londinese. Ma quella domanda era destinata a perdersi nel vento perché Sherlock era già salito su un taxi ignorando bellamente le sue parole.



Angolo dell'autrice: Ok, tanto per cominciare vi ringrazio per aver letto fino a qui. Ci tenevo a rendervi partecipi di alcuni dettagli/chiarimenti che penso possano essere interessanti per chi avrà voglia di leggere questa storia e per cercare di capire cosa mi è passato per la testa. Dunque, la storia è nata dopo la visione dell'episodio 4x01, in particolare il tutto è scaturito dalla scena in cui Sherlock va a trovare John ma ad aprire la porta è Molly con la bambina in braccio, da quel momento la mia fantasia è partita e io non sono stata più in grado di fermarla. Un'altra cosa che voglio chiarire è il discorso IC/OOC. Allora, la verità è che sono stata molto combattutta sul mettere l'avvertimento OOC oppure no e alla fine ho deciso di non metterlo. So che alcuni me lo contesteranno perchè come ho anche scritto "Sherlock e la paternità sono due cose che si escludono a vicenda" ma sono dell'idea che Sherlock non sia del tutto OOC, o meglio, è un personaggio IC che subisce una batosta non indifferente (la perdita di John) che lo porta a fare delle cose che nessuno si aspetterebbe da lui e che così su due piedi potrebbero sembrare OOC, ma visto che tutto questo non accade nella serie non possiamo sapere cosa farebbe effettivamente il personaggio. Non so se mi sono spiegata oppure no ma questo discorso nella mia testa ha un senso. Un'ultima spiegazione doverosa riguarda l'aspetto legislativo di tutta la faccenda. Allora, un po' ho cercato di documentarmi in merito al discorso adozioni, tutori, diritti/doveri legali, eccetera. Il fatto è che odio la burocrazia e tutto quello che ne deriva, quindi leggermi le varie pappardelle che ho trovato online era veramente (volendo citare Sherlock) noioso. Da quel poco che ho capito in realtà in Italia se uno viene nominato tutore non può rifiutarsi a meno che non dimostri di non essere in grado di occuparsi del bambino, mentre io ho messo Molly e Sherlock davanti alla possibilità di scegliere proprio perchè mi piaceva il loro approcciarsi in modo completamente diverso alla cosa, quindi già qui ho lavorato di fantasia e mi sono distaccata dalla realtà ma, cosa ancora più importante, non siamo in Italia ma in Inghilterra quindi immagino che il discorso adozioni sia gestito in modo diverso e visto che non ne so nulla ho scelto di lavorare di fantasia. Chiedo scusa se c'è qualche lettore più informato di me in questo campo ma la mia è una storia e tutto l'aspetto burocratico è palesemente inventato. Scusate per l'angolo autore quasi più lungo del capitolo ma vi dovevo qualche spiegazione. Vi ringrazio per aver riposto fiducia in questa storia, ora non mi resta che aspettare di sentire il vostro parere. :-)
  
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