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Autore: Marauder Juggernaut    06/03/2017    3 recensioni
Anche chi non riesce a capire appieno una poesia - trovandosi poi nella quiete e nella situazione adatte, assieme alla persona giusta - ogni tanto può comprendere cosa vogliono dire quelle parole che vanno a capo prima che sia finita la riga.
E sotto una pioggia leggera e tiepida, Gajeel scopre il significato di una poesia d'amore tra le più belle mai scritte.
[ Gajeel x Levy ]
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[Dal testo]
La mano di Gajeel raggiunse il collo sinuoso e bianco. Sentì i suoi tendini tesi sotto i polpastrelli e non poté fare a meno di chinarsi a baciare quella pelle candida come già tante altre volte aveva fatto. Sotto le labbra del Dragon Slayer il sangue della donna pulsava nella giugulare e poteva così intuire come i battiti del suo cuore correvano spediti, eccitati da quelle sensazioni.
Genere: Introspettivo, Poesia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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ANGOLO AUTRICE: prima fanfiction nel fandom, anche se bazzico da queste parti già da qualche tempo. Una Gajeel x Levy senza pretese che mi è venuta in mente studiando a scuola appunto la poesia di D'Annunzio (il poeta vate mi perdoni per averla usata così impunemente -?-) e che sul serio considero una delle poesie d'amore -?- più belle mai scritte.
Magari non è ben chiaro quando è ambientata la storia... diciamo più o meno prima della battaglia contro i Tartaros, ecco.
Ditemi cosa ne pensate!
Marauder Juggernaut

 



As a poem - Pioggia nel pineto


La biblioteca di Magnolia era poco distante dalla cattedrale.
Un odore di legno e di stantio invadeva le narici non appena si metteva piede oltre l’imponente uscio. Scaffali e ripiani erano casa sicura per decine di migliaia di volumi. Il sapere, in quelle mura, spaziava verso ogni argomento, approfondendo la cultura di chiunque avesse la pazienza di sfogliare le innumerevoli pagine.
Storia, filosofia, narrativa, matematica … tomi e libri, rilegati di pelle, cartone, cuoio. Grossi come mattoni, piccoli come francobolli; miniati d’oro o coperti di polvere.
Il lettore appassionato avrebbe potuto spendere l’intera vita in quell’edificio, trovando la felicità a ogni pagina sfogliata, che fosse essa chimica, medicina, sociologia.
E ancora, magia, arte, alchimia, cucina…
Poesia.
Levy amava la poesia.
Gajeel no.
Il Dragon Slayer non riusciva proprio a capire il significato profondo che si celava dietro quelle parole messe una dietro l’altra apparentemente senza alcuna logica. Non comprendeva il pensiero che l’autore aveva impresso in quelle lettere, in quelle espressioni che andavano a capo senza che la riga fosse conclusa. Quasi lo infastidiva.
Ma a Levy piaceva e Gajeel voleva capire dove stesse tutto questo potere attrattivo.
Le sedie della biblioteca erano scomode e usurate, il legno verniciato si scrostava dalle lunghe tavolate illuminate appena dalle fioche luci delle lampade. Ci sarebbe stata più luce se quel pomeriggio d’estate fosse stato raggiante e limpido come i giorni precedenti: in quel momento, nuvole lattee tinte di grigio sporco davano un’aria tetra al cielo, incupendo l’atmosfera che si respirava nelle vie di Magnolia.
Gajeel si agitò nuovamente sulla sedia, cercando una posizione più comoda per la propria postura, ormai immobile da più di un’ora, mentre cercava di concentrarsi sulle parole, tentando di trovare quel significato nascosto che voleva dare il poeta, senza però riuscirci.
Sbuffò irritato, allontanando con un gesto secco il libro che aveva in mano, lasciando che cadesse pesantemente sul tavolo, come se la colpa della sua incomprensione fosse stata delle pagine.
Fissò il tomo infastidito. Si domandò il perché di tante cose: che senso aveva parlare di rane e cicale sotto la pioggia? Cosa c’entravano le mandorle e le pesche? Di cosa si illudevano quei due?
Mai più.
Non avrebbe tentato ancora di capire una poesia. Troppe domande gli arrovellavano il cervello e non portavano ad alcuna conclusione. Non sarebbe mai riuscito a farsi piacere qualcosa come la poesia, era inutile tentare di comprenderla solo per avere qualcosa di più in comune con Levy.
Picchiettò con l’indice la copertina rigida del volume, annoiato e teso per essersi arreso di fronte a qualcosa che non riusciva a tenere nelle proprie corde.
Avrebbe potuto continuare ancora per ore a leggere quella poesia di … di chi era?
Fece frusciare nuovamente le pagine tra le dita callose, così poco solite a sfogliar libri. Quel passatempo lo lasciava a Levy.
Lesse ancora una volta, immaginando gocce di pioggia simili a quelle che sarebbero cadute da lì a poco oltre le vetrate, da quel cielo grigio e smorto che copriva pigramente la città.
Pensò agli alberi, a che suono potessero avere se le loro foglie fossero state toccate dall’acqua.
Sospirò ancora, sentendosi stupido a fare quei pensieri insensati. Nulla da fare, non capiva; privo di quella sensibilità necessaria per fare propria una poesia.
Il rimbombo di un tuono vicino distolse completamente la sua attenzione dalla lettura. Era meglio che tornasse a casa, se non altro per evitare che Panther Lily desse di matto al pensiero di trovarsi da solo sotto un cielo colmo di boati.
Prima di avviarsi verso l’uscita, con un ultimo sguardo dubbioso prese tra le mani il libro di poesie: magari a casa, rileggendola ancora, avrebbe capito.
 
Non aveva ancora cominciato a piovere quando uscì dalla biblioteca. Soffici raffiche di vento smossero i suoi lunghi capelli neri, facendoli ondeggiare come una lunga criniera. Le persone ancora per strada si stavano affrettando a raggiungere le proprie case o almeno un luogo riparato per sfuggire a quella pioggia che minacciava di scendere da un momento all’altro.
Ma per il momento, l’unica cosa che preannunciava il temporale era il distante fragore dei tuoni e solo qualche lampo venava di bianco le nubi fattesi un po’ più scure.
Gajeel non si sarebbe sorpreso di vedere Laxus sui tetti, più che voglioso di gustarsi quel suo banchetto imbandito tra le nuvole.
Il dragon slayer di ferro inspirò appieno quel vento saturo di odore d’acqua. Pioggia imminente, ma anche un lontano sentore che attirò l’attenzione del guerriero.
Una flebile traccia nell’aria, una fragranza sottile di gelsomino e cannella, di agrumi e carta stampata. Un sorriso gentile e nascosto, così raro da vedere, comparve sul volto del ragazzo: aveva imparato bene a riconoscere quel profumo, complici tutte le volte che l’aveva tenuta tra le braccia, non stringendola troppo per paura di romperla con quella forza bruta che si ritrovava ad avere.
Non era distante, probabilmente in uno dei parchi di Magnolia. Non era insolito che la maga si rintanasse su qualche panchina o sotto le fronde di un albero per perdersi tra le parole dei libri per delle ore, quasi non accorgendosi di tutto ciò che le poteva capitare attorno.
 
Tranquillamente appostata sulle radici di un faggio, Levy era del tutto incurante della tempesta in arrivo. I capelli cerulei ondeggiavano con gli sbuffi di vento sempre più fresco, che propagava tutt’intorno il dolce profumo della ragazza.
Gajeel la fissò quasi intenerito, azzardando un sorriso mentre si avvicinava a lei non visto, tanto era concentrata la maga nella propria lettura.
Poesia. Di nuovo.
« Hai intenzione di stare qui fuori finché non piove? ».
Il tono duro velava la sincera preoccupazione di vederla fuori al freddo. La ragazza sobbalzò colta alla sprovvista, alzando finalmente le iridi castane dal libro solo per incontrare gli occhi cremisi del dragon slayer. Levy sorrise candidamente, chiudendo subito il libro e alzandosi per cercare di arrivare a guardare il viso del compagno di gilda. Inutilmente. Alla ragazza mancavano due spanne buone per arrivare all’altezza del guerriero.
« Certo che no. » affermò convinta « Grazie invece per aver acconsentito a riaccompagnarmi alla gilda. » e nel dire ciò, sul suo volto nacque un sorriso furbetto, mentre metteva via il libro e stringeva poi al petto il robusto braccio di Gajeel.
« Smettila di mettermi in bocca parole che non ho mai detto, piccoletta. » non era veramente irritato il Drago di ferro; anzi, la sottile presenza della ragazza non poteva che renderlo felice, anche se non lo avrebbe mai ammesso apertamente in alcun modo. Ma non serviva esternarlo: Levy lo sapeva già.
 Le fece strada al di fuori della copertura della chioma dell’albero, sotto il cielo plumbeo, che proprio in quel momento cominciò a rovesciare sul suolo di Magnolia le prime pesanti gocce di pioggia.
Una … due … tre, un’infinità di gocce che cominciarono immediatamente a inumidire i loro abiti leggeri. Gajeel fece un verso stizzito, guardando il cielo e riparandosi gli occhi dalla pioggia con la mano, mentre attirava di più a sé il piccolo corpo di Levy, come a volerlo riparare con il proprio.
Un sospirò sconsolato della maga lo distrasse dalla sua mentale ricerca di soluzioni al problema; la ragazza lo prese per mano, portandolo sotto le fronde di un’immensa quercia e sospirando infastidita: « Potevamo aspettarcelo, in effetti… » ma quelle parole sembravano destinate al vento, in quanto l’attenzione di Gajeel pareva essere stata catturata da quello scrosciare incessante, unico rumore nella quiete del boschetto.
L’espressione rapita del Dragon Slayer incantò a sua volta la stessa Levy, che lo fissò qualche istante prima di ricercare nuovamente il suo viso. Gli occhi sanguigni del suo uomo erano fermamente puntati su quelle gocce argentate che cadevano senza sosta, senza nessuna promessa di quiete.
Erano grosse come una moneta.
La maga si schiarì la voce: « Gajeel, che succ-»
« Taci. » non c’era cattiveria nella sua voce, solo una maniera un po’ brusca, ma il tono era caldo come l’acciaio rimasto sotto un sole di fine inverno.
Levy si sorprese nel vederlo avanzare ben oltre le fronde che li riparavano entrambi; si bagnò di pioggia, alzando il viso al cielo e chiudendo gli occhi, come un predatore che fiutava l’aria per cercare l’agognata preda.
« Taci... » ripeté, ma il tono era più morbido mentre schiudeva gli occhi e la guardava, tendendo la mano in sua direzione perché lo raggiungesse sotto quell’acqua non fredda, ma tiepida.

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici

umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
 
« Ascolta… ».

 
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.

[…]

« Lo senti? ».
Nemmeno lui era ben sicuro di cosa si riferisse. Sentiva quella pioggia come un pianto antico di secoli, come il ricordo di un’infanzia passata nei boschi sotto l’ala fredda ma protettiva di Metallikana. Di nuovo quasi rivedeva i suoi occhi glaciali che lo fissavano con l’affetto rude di un drago, eppure sincero e profondo come l’abisso dei loro animi.
Qualche saetta increspava le nubi, ma nessun tuono scoppiava per disturbare la quiete che quella pioggia non gelida creava come una cupola di vetro.
La mente di Gajeel pareva sospesa tra il presente e la memoria, mentre ancora tendeva la mano a Levy, àncora della realtà, che senza ritrosia posava le sottili falangi tra le sue.
Le mani di Levy erano sottili e affusolate come i rami più nuovi di un mandorlo, la pelle liscia e fresca come l’erba che si piegava sotto le loro suole.
Davvero, a volte, Gajeel temeva di spezzarla. La vedeva fatta di vetro, aveva paura si incrinasse per un tocco troppo rozzo e quindi il guerriero tirava fuori tutta la delicatezza di cui era capace, regalandole le carezze più tenere con quelle grandi mani che ai suoi occhi parevano zampe quando erano accostate al suo volto esile. Ma la ragazza inclinava sempre il viso, come a voler godere in ogni singolo istante di quei gesti.
 
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale

[…]
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
 
La piccola mano di Levy era reale nella sua; si avvicinò a lui con la grazia di una principessa che raggiungeva il proprio cavaliere, stringendosi al suo petto caldo e solido come quello di una statua antica; una colonna che si ergeva stoica e nulla sembrava minacciare di abbatterla: Gajeel avrebbe sorretto e sostenuto Levy fino alla fine. Le braccia massicce del Dragon Slayer avvolsero le piccole spalle della donna, attirandola di più a sé in quell’abbraccio, mentre chiudeva nuovamente gli occhi e inspirava a fondo la sua essenza, inebriandosi di quell’aroma fresco, dolce e sensuale; non il profumo di una ragazzina, ma neanche quello di una donna matura: una deliziosa via di mezzo che faceva correre brividi caldi sulla pelle ambrata di Gajeel. I sensi tesi del drago parvero farsi ancora più acuti mentre posava il viso tra i capelli cerulei della ragazza, morbidi come le piume di aquilotto che deve ancora spiccare il primo volo. Posò un bacio leggero tra quei setosi fili, tendendo le orecchie, cullato da suono della pioggia che ticchettava contro le foglie come un orologio che andava troppo veloce. Un tempo che correva troppo in fretta e li lasciava indietro.
Forse, il tempo per lui non aveva più nemmeno senso dopo che aveva scoperto la verità: risvegliatosi in un mondo che era andato avanti senza di lui per quattrocento anni, c’erano istanti in cui il pensiero di non appartenere veramente a quell’epoca lo facevano sentire fuori luogo.
Ma Levy si stringeva di più al suo corpo e tutto tornava al proprio posto.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,

[…]

Il viso della ragazza era striato dalle gocce di pioggia, che colavano con delicatezza lungo i suoi zigomi teneri, scendendo per la guancia. Le dita callose di Acciaio Nero catturarono con inusuale delicatezza quelle lacrime fredde; invano, poiché mille altre se ne aggiungevano, ma non portavano tristezza, solo un accordo in più in quella delicata melodia che quella giornata aveva intonato appositamente per loro.
Le labbra della maga si curvarono in un sorriso delizioso e invitante, mentre allo stesso tempo le cicale acquietavano il loro frinire che era andato di pari passo con la pioggia.
Un ruscello singhiozzava in lontananza, spruzzando altra acqua sui ciottoli levigati.
Continuò la sua carezza sul viso di Levy, scendendo con le dita lungo le sue guance morbide e sulle sue labbra sottili e increspate.
La mano di Gajeel raggiunse il collo sinuoso e bianco. Sentì i suoi tendini tesi sotto i polpastrelli e non poté fare a meno di chinarsi a baciare quella pelle candida come già tante altre volte aveva fatto. Sotto le labbra del Dragon Slayer il sangue della donna pulsava nella giugulare e poteva così intuire come i battiti del suo cuore correvano spediti, eccitati da quelle sensazioni.
La sottile camicia di Levy si faceva poco a poco sempre più trasparente, rivelando il contorno dei seni e le affusolate linee del ventre e dei fianchi: agli occhi dell’uomo era perfetta. Leggera come una canna di giunco, delicata come i cristalli eppure a volte dura e forte come il suo ferro.
E forse –forse- Gajeel cominciò a intuire qualcosa di quella poesia che ancora lui teneva nascosta nella propria sacca. Si sarebbe bagnata di pioggia, ma non gli importava molto, non in quel momento in cui stava iniziando a capire cosa intendesse dire l’autore.
Quale uomo non riusciva a comprendere il profumo che una donna poteva avere?
Sollevò appena il volto per poter guardare il viso della sua ragazza, mentre un lieve gracidare distante si univa allo scroscio della pioggia.

 
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
[…]
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere;

[…]
 
Sfiorò col pollice il suo labbro inferiore, guardandola per la prima volta negli occhi, affogando in quei pozzi di miele ambrato che lo avvolgevano e lo scaldavano come il sole attraverso un vetro.
Amava le sue iridi.
Non erano di un colore ricercato o particolare, non erano taglienti o affilate o tempestose.
Erano però profonde e magnetiche, dolci e ipnotiche, sfumavano nel dorato e diventavano più scure quando il suo sguardo era liquido per il piacere carnale.
Abbassò con uno scatto le mani, portandole entrambe attorno ai suoi fianchi. Le avvolse le braccia muscolose attorno alla vita, sollevandola alcuni centimetri da terra, quel tanto che bastava per farle raggiungere le sue labbra.
Dischiuse quella bocca sottile e fresca di pioggia, assaporando il gelsomino e la cannella, gli agrumi e la carta stampata.
Levy rispose con lo stesso ardore e la medesima intensità, allacciando le esili braccia attorno al collo taurino di Gajeel, ricambiando quel bacio appassionato come tanti gliene aveva dati prima e di cui nessuno dei due era mai sazio.
Gli occhi della maga erano socchiusi; tra le lunghe ciglia scure erano intrappolate impercettibili gocce di pioggia come perle. Lo sguardo era distante, disperso a secoli di distanza, ma Acciaio Nero magari sarebbe stato in grado di raggiungerlo se avesse allungato un poco la mano, afferrandolo con la sua stretta forte e solida e con la promessa di non lasciarla mai da sola; mai più dopo sette anni passati tra la solitudine, il silenzio e le macerie, anche se per nessuno dei due sembrava passato un solo giorno.
La lingua calda della ragazza guizzò contro la sua prima di allontanarsi e riprendere una boccata di aria umida, cercando nuovamente il respiro. Gli occhi innamorati di lei resero bollente lo spirito del Dragon Slayer che non seppe trattenersi dal darle un nuovo e irruento bacio, ma più breve.
Levy rise piano, prima di sollevare una mano, scrivendo nell’aria.
 
Solid Script: Umbrella
 
Come un velo, un manto azzurro abbastanza grande da coprire entrambi comparve al di sopra delle loro teste.
Gajeel sbuffò:  « Potevi farlo prima… »
« E perdermi lo spettacolo a cui mi hai fatto assistere? ~».
Il ragazzo sembrò arrossire, o forse era solo un’impressione. La maga non disse nulla a riguardo, si limitò a sorridere: « Torniamo alla gilda ».
 
[…]
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude…
   
 
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