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Autore: Snow Rain    08/03/2017    3 recensioni
[William e Noora]
Lui ama lei e lei ama lui.
Sono la cura l'uno dell'altro.
Ma è difficile guarire quando continuano ad aprirsi nuove ferite.
[What if... Questa fanfiction non tiene conto degli avvenimenti riguardanti William e Noora della terza stagione, quindi la loro storia viene ripresa dalla 2x12 e loro non sono mai partiti per Londra, sebbene gli eventi legati agli altri personaggi rimangano invariati].
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finalmente ce l'ho fatta. Da questo in poi, i capitoli saranno più brevi, per il semplice fatto che così posso almeno sperare di riuscire a pubblicare una volta a settimana. Questo capitolo è di passaggio, getta le basi per ciò che verrà. Stiamo per entrare nel vivo della storia. Cominceremo a vederne delle belle, quindi abbiate fede.

Grazie di essere qui a leggere. Se vi va, lasciate un segno del vostro passaggio, per me i vostri pensieri sono importanti. :)

Alla prossima.

Capitolo 6. Run [Snow Patrol]


4 Luglio 2016


Le prigioni norvegesi erano tra le più umane e confortevoli al mondo. Noora, seduta sul sedile posteriore dell'auto di Chris, continuava a ripeterselo, mentre fuori dal finestrino il mondo sfrecciava veloce e la distanza tra loro e il carcere di Ila si accorciava.

Il sole era comparso da poco, ma la sua luce le sembrava già accecante.

Erano da poco passate le sette e mezza del mattino. William avrebbe dovuto consegnarsi entro le nove, ma avevano preferito muoversi con anticipo per essere sicuri di arrivare in tempo.

Noora e William avevano trascorso il fine settimana a prepararsi per quel momento, rimanendo insieme tutto il tempo ed ignorando quasi totalmente il mondo esterno. Soltanto sabato sera si erano concessi di uscire qualche ora perché William potesse salutare i suoi amici.

Adesso se ne stava appollaiato in silenzio sul sedile del passeggero, un piede appoggiato al cruscotto e una sigaretta fumata a metà tra le dita. Non era qualcosa che faceva spesso, ma il nervosismo era troppo da sopportare e aveva bisogno di un modo per continuare a mostrare la solita impassibilità a beneficio di Noora.

Dal canto suo, lei era ben lungi dal farsi ingannare dalle dissimulazioni del suo ragazzo. Da sabato mattina non faceva che mostrarsi sereno e in pace col proprio destino, ma era capitato più volte che lei lo avesse sorpreso con lo sguardo perso nel vuoto o con le spalle curve e la testa tra le mani, preso in un vortice di pensieri angoscianti che lei poteva solo immaginare.

Il finestrino aperto per lasciar uscire il fumo permetteva ad un fiotto di aria fresca di entrare a tagliare l'atmosfera densa che aleggiava all'interno dell'abitacolo, tuttavia non era sufficiente a rendere più facile respirare.

Noora, dal suo posto dietro a Chris, vedeva la spalla sinistra di William contrarsi un po' di più ogni volta che portava la sigaretta alla bocca, le sue labbra chiudersi intorno al filtro, la mascella scolpita resa più evidente dalle guance che si incavavano. Quando soffiava fuori il fumo, il suo corpo non si rilassava, tratteneva tutta la nuova tensione incanalata, rendendo la sua posa sempre più rigida. Il suo sguardo era rivolto davanti a sé, ma era chiaro che non stesse realmente vedendo nulla.

Da un lato, lei avrebbe voluto rimanere a casa, salutarlo sulla porta come se stesse uscendo per ritornare qualche ora più tardi e fingere fino all'ora di andare a letto di non essere rimasta da sola per l'ennesima volta nella sua vita, sebbene si trattasse di una solitudine temporanea.

Anche in quel momento, provava l'istinto di spalancare la portiera e lanciarsi fuori dall'auto in corsa. Le ferite avrebbero fatto meno male dell'angoscia di William, che sentiva come se fosse la propria. Non era da lei fuggire senza affrontare i problemi, ma il peso che le gravava sul petto minacciava di schiacciarla e non sapeva più come gestirlo. Tutto ciò che desiderava era che William stesse bene.

Come se avesse percepito il suo smarrimento, William allungò il braccio sinistro verso di lei e la invitò a prendergli la mano. Noora intrecciò immediatamente le dita alle sue, ed entrambi strinsero la mano dell'altro come se non esistesse un altro modo per arrivare vivi fino in fondo a quel viaggio.

“Puoi telefonare una volta a settimana, giusto?”, chiese Chris, spezzando il silenzio.

William aspirò un'ultima boccata dalla sigaretta e poi la spense nel posacenere dell'auto.

“Sì, devo solo comunicare l'intestatario del numero che chiamo. Posso ricevere visite in giorni prestabiliti, ma dovete registrarvi e chiedere un permesso”, spiegò meccanicamente, usando quasi le stesse parole che l'avvocato gli aveva detto per telefono sabato.

Chris non disse più nulla, si limitò ad annuire continuando a guidare.

Allora William si voltò verso Noora. Per lei fu un colpo sentire di nuovo i suoi occhi addosso, quella mattina non era riuscito a trovare la forza di guardarla negli occhi neanche una volta. Il rischio, se lo avesse fatto, era di perdere il controllo, ma ora era necessario.

“Se hai bisogno di qualunque cosa, rivolgiti a Chris. Okay?”. Era cosciente che Noora non fosse incline a chiedere aiuto a nessuno, meno che mai al suo migliore amico, che aveva dimostrato più volte di non provare una profonda simpatia nei suoi confronti. Per questo usò il suo tono autoritario, quello da capo del Riot Club, che non ammetteva repliche. Aggiunse una vena di supplica al suo sguardo, sapeva che Noora non avrebbe saputo che cosa ribattere di fronte a quella piccola dimostrazione di vulnerabilità.

Infatti rimase in silenzio, così come Chris, che era impietrito, dal momento che William non aveva mai accennato al suo ruolo da babysitter in quella faccenda. Strinse i denti ed evitò qualsiasi commento. Era troppo arrabbiato con la biondina per dare corda al suo amico.

William capì l'antifona e non insisté ulteriormente, sapeva che Chris non sarebbe stato in grado di negargli nulla. Doveva solo farsi passare quell'astio del tutto irrazionale nei confronti di Noora.

“Il numero dell'amministratore del condominio e tutti i numeri che ti potrebbero servire sono segnati su un biglietto che ho lasciato sul bancone della cucina”, continuò, sempre rivolto alla sua ragazza.

Noora lo guardava di rimando, tentando di non trasmettergli la tempesta che aveva dentro.

“Okay”, si limitò a rispondere, con voce incerta.

Qualcosa si stava lentamente sgretolando all'interno della sua gabbia toracica, non avrebbe saputo dire se si trattasse del cuore o dei polmoni. Ogni metro macinato dalle ruote della station wagon teneva per sé un po' del suo coraggio.

“Noora”, la incalzò William, vedendola sull'orlo delle lacrime.

Noora non piangeva mai, lui non avrebbe permesso che cominciasse proprio ora.

Lei si morse le labbra per un istante e scosse il capo. Non sarebbe crollata, non in sua presenza.

“Posso tenere il bracciale del Tryvann?”, gli chiese, rigirandoglielo intorno al polso.

William sorrise e le lasciò la mano per poterlo sfilare. Noora allungò il braccio destro nello spazio tra i due sedili anteriori, in modo che lui potesse infilarlo al suo polso e stringerlo affinché non lo perdesse.

Quel bracciale era un ricordo del suo periodo Russ che avrebbe dovuto depositare in matricola insieme agli altri oggetti personali una volta messo piede in carcere. Per questo motivo aveva lasciato sul comodino della camera da letto il cellulare, l'orologio e il portafogli, ma di quella fascetta si era dimenticato, dal momento che non l'aveva mai tolta da quando l'aveva ottenuta all'ingresso del festival. Il pensiero che avrebbe passato i successivi tre mesi al sicuro, indossata dal polso sottile di Noora, invece che in una bustina trasparente, lo aiutò a sentire di meno il distacco da lei che aveva iniziato a patire da quando si era svegliato.

Senza curarsi della presenza di Chris, che probabilmente avrebbe alzato gli occhi al cielo, William avvicinò la mano di Noora al proprio viso e le diede un bacio leggero, prima di lasciarla andare.

Gesti come quello sarebbero stati impensabili per lui fino a qualche mese prima. Da qualche tempo aveva cambiato prospettiva su tutto.

Pochi minuti dopo raggiunsero la strada antistante l'entrata del penitenziario di Ila. Alla loro destra una fila di alberi li separava da una distesa d'erba verde, mentre alla loro sinistra un'alta recinzione correva a partire dai lati di una piccola costruzione di un beige sporco e sbiadito, con due finestre e una porta rigorosamente blindate, andando a racchiudere al suo interno tutte le strutture e i terreni che componevano il centro di detenzione.

Chris parcheggiò l'auto in un'area indicata come posteggio per i visitatori, ma quando il motore fu spento nessuno dei tre si mosse.

William si passò una mano tra i capelli, Noora lo guardò come se avesse dovuto dirgli addio.

Associare William al concetto di prigione le era ancora impossibile. Le sembrava di essere in un incubo. Ancora una volta le lacrime si affacciarono ai suoi occhi, ma le ricacciò indietro.

In quel momento il suo telefono iniziò a squillare. All'inizio pensò di ignorarlo, ma l'insistenza con cui continuò a suonare la convinse a rispondere. Inoltre, se qualcuno la chiamava alle otto del mattino, doveva essere una cosa importante. Lo estrasse dallo zainetto e rispose senza fare caso al numero sul display.

“Parlo con Noora Sætre?”, chiese la voce profonda di un uomo all'altro capo della linea.

“Sì, sono io”.

“Sono Erik Dahl, dell'Aftenposten”, si presentò l'uomo. “Come sai, l'articolo che hai scritto per il diciassette maggio ha fatto sì che venissi inserita tra i candidati per lo stage estivo. Tu ed un altro studente della tua scuola siete stati selezionati. Se accetti, inizierai la prossima settimana e fino alla fine delle vacanze estive lavorerai con noi in redazione”.

Era incredibile quanto sapesse essere crudelmente ironico il destino.

Quando il suo professore di norvegese le aveva proposto di scrivere l'articolo era emotivamente a pezzi, si sentiva colpevole e violata allo stesso tempo, sola come mai prima, nonostante avesse una schiera di persone su cui contare.

Ora, quello stage arrivava proprio nel momento in cui non pensava di poter gestire ulteriori pressioni. Tuttavia, quasi senza esitazione, dichiarò di essere disponibile e prese accordi per presentarsi in redazione il lunedì successivo.

Chiuse la telefonata in fretta, sentendosi gli occhi di William addosso.

“Mi hanno presa per lo stage all'Aftenposten”, gli spiegò. Avrebbe dovuto essere entusiasta, invece lo disse come se fosse una notizia di poca importanza, la voce incolore, gli occhi rivolti verso le mani che teneva in grembo.

William la guardò di sottecchi, un sorrisetto stampato sulle labbra. Non gli piaceva che Noora sminuisse ciò che le stava accadendo per colpa sua.

“Oh, la mia piccola giornalista”, finse di prenderla in giro, sperando di strapparle un sorriso.

Gli angoli della bocca di Noora si flessero leggermente verso l'alto e lui le sfiorò una guancia con le dita per farle alzare lo sguardo.

“Andrà tutto bene, Noora”, la rassicurò, facendosi serio.

Noora annuì poco convinta e posò la propria mano su quella di lui.

Chris, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, aprì lo sportello e scese dal veicolo. Non che si sentisse in imbarazzo – non era nella sua indole –, ma sapeva capire quando il suo amico aveva bisogno di spazio, e ultimamente era successo spesso.

Appena lo sportello si richiuse, William fece segno a Noora di raggiungerlo sul sedile anteriore. Lei si intrufolò nello spazio tra i due posti e si sistemò sulle sue gambe, passandogli le braccia intorno al collo. William prese a scorrere le mani su e giù lungo i suoi fianchi.

“Guardami”, le intimò, vedendo che lei fissava un punto oltre la sua testa.

Noora chiuse gli occhi e quando li riaprì si ritrovò immersa nel calore di quelli di William. In quell'istante lui non era l'arrogante diciannovenne che si aggirava per la Hartvig Nissens come se fosse il re del mondo, né il teppista che sarebbe divenuto un detenuto non appena avesse varcato la porta blindata a poca distanza da dove avevano parcheggiato. Era solo William, il ragazzo intelligente e sicuro di sé di cui si era innamorata, il ragazzo che l'amava tanto da preoccuparsi per lei anche adesso che era lui quello che stava per iniziare una delle esperienze più difficili della propria vita.

L'intensità del suo sguardo era più insostenibile del solito.

“Adesso scendo dalla macchina e tu rimani qui, okay?”.

Lei si riscosse, scioccata. “Non posso neanche accompagnarti alla porta?”.

“No, Noora. Questa cosa devo farla da solo, davvero. Ti chiamerò e ci vedremo non appena avrai il permesso. Ora hai bisogno di andare a casa”.

Lei fece per protestare, ma William la zittì con un bacio.

Entrambi lasciarono andare la paura, per trovare in quel gesto tutto il coraggio e la determinazione di cui avevano bisogno. Si aggrapparono l'una all'altro come se non dovessero vedersi mai più, con una dolcezza di cui avevano scoperto di essere capaci soltanto dopo essersi trovati.

In ogni carezza delle loro lingue, in ogni sfiorarsi e sfregarsi delle labbra e in ogni piccola pressione dei loro denti, era presente una promessa: niente di quello che sarebbe accaduto avrebbe potuto allontanarli. Mai.

Suggellata quella promessa, si staccarono e ripresero fiato, l'uno nella bocca dell'altro.

“Ti amo”, sussurrò lei.

“Ti amo anch'io”, ricambiò lui, perso nel verde liquido delle sue iridi.

Pochi istanti dopo, aprì lo sportello e scivolò via da sotto di lei. Quando fu in piedi, si chinò un'ultima volta per darle un altro bacio veloce, premendo forte le labbra sulle sue, poi si tirò indietro e richiuse lo sportello con forza.

Noora lo osservò allontanarsi e andare a recuperare il borsone dal bagagliaio. Lo seguì con lo sguardo mentre andava a salutare Chris con un abbraccio, per poi premere un pulsante vicino alla porta del piccolo edificio, la quale si aprì automaticamente pochi secondi più tardi.

William non si voltò indietro prima di varcare quella soglia.

Non appena lui scomparve alla vista, Noora fece ciò che non si era concessa di fare per molto tempo.

Una lacrima le solcò il viso. Lei l'asciugò e, come sempre, strinse i denti e andò avanti.

La vita correva e lei aveva intenzione di stare al suo passo.

  
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