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Autore: Wanheda_Skaikru    09/03/2017    1 recensioni
Dietro, la porta del Campo Jaha si chiuse, trascinando con sé quello che della vecchia Clarke sarebbe rimasto, ma lasciando al futuro mille nuove possibilità per essere ciò che aveva sempre desiderato essere: migliore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Niente di più fragile di una promessa.
 


Il campo si stagliava davanti a loro: appariva come un miracolo, come se non avessero mai davvero creduto di poterlo rivedere.
I feriti erano tanti e avevano impiegato parecchie ore a percorrere la strada di ritorno; c’era stato un religioso silenzio, durante il quale ognuno ringraziava gli dei per essere ancora vivo.
Quando i primi uomini avevano varcato il cancello del campo, Bellamy si era posizionato al lato di esso per controllare meglio la situazione.
La stanchezza, la fame e la sete erano nulla in confronto all’immenso sollievo che provava in quel momento. La sua gente era salva, nonostante tutto.
Vide Raven avvicinarsi a Jasper e consegnargli i suoi vecchi occhiali, anche se lui non era sembrato particolarmente felice: forse gli ricordavano un passato che non gli apparteneva più. Vide le madri stringere i figli, come se potessero tenere uniti i pezzi del loro cuore con un unico, grande abbraccio. Vide le sacche di sangue portate con urgenza per le trasfusioni che fecero sul posto perché bisognava sopravvivere a qualsiasi costo. Vide Octavia camminare accanto a Lincoln, fieri come solo i terresti sapevano essere. Vide i sorrisi, seppure accennati, sul volto della sua gente e si sentì un po’ più leggero.
Vide Clarke, fuori dall’accampamento. Abbracciò Monty, poi si girò verso di lui.
Qualcosa strinse il petto di Bellamy; non seppe dire se fosse stanchezza o paura.
 
 
Piccola anima
che fuggi come se
fossi un passero
spaventato a morte.
 
 
«Penso che ci meritiamo qualcosa da bere.»
Clarke corse con la memoria indietro, a quel primo Giorno dell’Unità passato sulla Terra.
 
«Perché non bevi un bicchiere? Ne avresti molto bisogno, sai?»
Lei aveva sorriso e lo aveva guardato.
«Forse anche più di uno.»
Anche Bellamy aveva fatto uno dei suoi rari sorrisi, ma sembrava così sincero che non poté non guardarlo.
«Allora bevine più di uno.»
A quel punto Clarke aveva detto sì. Si era allontanata per seguire quello che il ragazzo le aveva detto, poi si era fermata…
«Anche tu lo meriti.»
 
«Bevine uno anche per me.»
Era tornata alla realtà, chiara e tagliente.
Sorrise, ma non c’era nulla di tranquillizzante in quell’espressione e Bellamy se ne accorse.
«Hey, ce la possiamo fare.»
Il ragazzo ebbe un’altra stretta al petto. Sapeva, sentiva, che qualcosa si stava rompendo.
Dentro e fuori di lui.
Clarke guardava il campo come se fosse una cosa già lontana. Come se lei se ne stesse andando.
«Io non voglio entrare.» disse subito dopo, e Bellamy stavolta avvertì chiaramente una sottile lama schiacciata contro la pelle.
Ricordò quando anche lui voleva scappare, quando aveva capito che non ce la faceva più. Le decisioni che ancora andavano prese per proteggere il suo popolo gravavano sul cuore, e lui non poteva sopportare altro.
Stava per andarsene, ma poi qualcosa l’aveva trattenuto.
Clarke. Come sempre.
 
«Vuoi essere perdonato? Va bene, lo farò io… Sei perdonato, okay? Ma non puoi fuggire Bellamy, devi tornare indietro con me. Devi affrontare tutto.»
 
Lui non si era davvero sentito assolto dai suoi peccati, ma in quel momento aveva capito di non poter scappare. Doveva combattere ancora, fino alla morte se necessario. Aveva deciso di seguire Clarke, perché era giusto.
 
«… Non abbiamo scelta… Troveremo una soluzione…»
 
 
Qualcuno è qui per te,
se guardi bene ce l'hai di fronte.
Fugge anche lui per non dover scappare.
 
 
«Okay, se hai bisogno di perdono, te lo concedo... sei perdonata.»
Bellamy la guardava con occhi supplicanti, proprio come quando lei gli aveva detto le stesse parole. Clarke fissò gli occhi nei suoi, un turbine di azzurro e nero. Quando quell’azzurro si colmò di lacrime, il ragazzo sentì una piccola speranza nascere dentro al cuore.
«Ti prego, vieni dentro.»
Era la preghiera di un ragazzo che non aveva mai chiesto di restare a nessuno, ma che in quel momento non poteva far vincere l’orgoglio. Gli occhi di Bellamy si inumidirono.
Clarke sembrava combattuta, ma in fondo la scelta era stata presa. Stava fuggendo dai mostri che avrebbe dovuto affrontare, e il perdono che Bellamy le aveva appena concesso non serviva a farla sentire meglio. Non serviva a trattenerla.
«Abbi cura di loro per me.» disse lei, e si voltò ancora una volta a guardare cosa stava lasciando.
Ormai era troppo tardi, Bellamy lo sapeva. Glielo leggeva negli occhi. Non avrebbe cambiato idea, perché allontanarsi l’avrebbe fatta sentire libera dalle responsabilità, legata solo alla sua stessa vita. Legata solo al vento che le avrebbe scompigliato i capelli, a quando avrebbe deciso di fermarsi, se dormire o mangiare. Niente più vite da salvare, niente più decisioni, niente armi. Solo la sua sopravvivenza.
 
 
Se guardi bene ti sto di fronte.
Se parli piano, ti sento forte.
 
 
«Clarke…»
«No, vedere i loro volti ogni giorno mi ricorderà sempre quello che ho fatto per portarli qui.» rispose lei, e Bellamy in un attimo sentì lo stesso suo dolore, l’amarezza per la scelta di aver deciso chi doveva morire.
«Quello che abbiamo fatto! Non sei stata tu da sola.» le disse allora lui, ma Clarke non sembrò sentirlo.
 
«Insieme.»
 
Nella mente della ragazza risuonava la voce di Bellamy che la rassicurava, che le diceva che non le avrebbe permesso di rischiare da sola non una, ma infinite volte. E sempre insieme ce l’avevano fatta, erano ancora vivi. Ma era tempo di ritrovare se stessa, di riscattare le morti che avevano causato.
«Devo pagare io, così non dovranno farlo loro.»
E, tra quei “loro”, c’era anche lui. Non avrebbe permesso a nessun altro di stare male perché erano vivi.
«E dove andrai?» chiese allora Bellamy.
Clarke vide la rassegnazione nei suoi occhi, lacrime scintillare, paura per lei e per se stesso, delusione, abbandono. Qualcosa di rotto.
Ma aveva capito. Senza che lei dicesse nulla, lui sapeva.
Perché era sempre stato così tra loro: poche parole, importanti forse, ma sempre poche. Si capivano in maniera speciale, e lui sentiva bene cosa la spingesse ad andarsene. Era semplicemente ciò che aveva spinto lui, quando voleva abbandonare tutti.
«Non lo so.»
 
 
Quello che voglio io da te
non sarà facile spiegare.
Non so nemmeno dove e perché
hai perso le parole
ma se tu vai via,
porti i miei occhi con te.
 
 
 
Clarke si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, restando un momento immobile. Restando un momento così: erano semplicemente due ragazzi che si stavano salutando, che si volevano bene, che avevano condiviso tante cose e non tutte necessariamente brutte.
Poi gli mise le braccia al collo e lui la strinse.
Si dissero tante cose tutte insieme.
Quello non era un addio. Erano legati e nessuno avrebbe potuto dire il contrario, ma non sapevano bene in che modo. Erano stretti dallo stesso nodo a cui non riuscivano a dare un nome; non avrebbero saputo scioglierlo anche se avessero voluto.
Non sarebbe stato facile stare lontani. Ad entrambi sarebbe mancato il sostegno dell’altro, la spalla su cui piangere, la forza, la pazienza, i consigli, i sorrisi.
Non sarebbe cambiato niente. Forse sarebbero passati mesi prima di potersi rivedere, e forse loro non sarebbero stati più gli stessi. Ma si sarebbero ritrovati.
 
 
 
Dicono che non c'è niente
di più fragile di una promessa
e io non te ne farò
nemmeno una.
 
 
 
«Ci rincontreremo.»
Una frase che avevano usato tutti, che forse sembrava banale, stupida.
Ma Clarke l’aveva detto con forza, perché non era una promessa che avrebbe potuto anche non mantenere.
Era un semplice dato di fatto: come quando sai che non puoi fare a meno delle persone che ami, che aprirai gli occhi domani mattina e ti sentirai un po’ meno stanco di oggi, che tutto passa, ma solo le cose davvero importanti restano.
E così era quella frase; un punto fisso in mezzo a tante cose insicure.
Ci sarebbero voluti tempo e spazio per farla realizzare, ma ce l’avrebbero fatta.
 
 
Piccola anima,
tu non sei per niente piccola.
 
 
Bellamy affondò le mani nei capelli di Clarke, inspirò il suo profumo, cercò di imprimere nella mente ogni particolare di quel momento. Poi l’attimo finì e la ragazza si allontanò. Guardò Bellamy per un attimo soltanto, poi diede le spalle al campo.
«Certo, ci rivedremo!» disse lui, ma ormai Clarke era troppo lontana per sentirlo.
Un’unica lacrima brillò sulla sua guancia, mentre rivolgeva lo sguardo al campo.
Il sollievo che aveva provato vedendo tutti in salvo svanì in fretta. Clarke sarebbe stata costantemente in pericolo da quel momento in poi, e lui non sarebbe stato lì per proteggerla. “Ma di che ti preoccupi, lei è forte” pensò, e tornò dentro con tutti i suoi demoni.
Ci voleva tanto coraggio ad andare via. Ma ci voleva anche tanto coraggio per restare.
 
Clarke non si guardò indietro neanche una volta. Sapeva che se l’avesse fatto, forse non avrebbe avuto la forza di andarsene. Dietro, la porta del Campo Jaha si chiuse, trascinando con sé quello che della vecchia Clarke sarebbe rimasto, ma lasciando al futuro mille nuove possibilità per essere ciò che aveva sempre desiderato essere: migliore.
Per un attimo sfiorò Bellamy con i pensieri e sorrise.
Lui sarebbe stato ancora lì e lei, di sicuro, sarebbe tornata.
 
 
Quello che voglio io da te
non lo so spiegare,
ma se tu vai via
porti i miei sogni con te.
 
 
 
 
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Buona sera, popolo di Efp!
Aspettavo da tempo l’ispirazione per scrivere di questo momento, perché ancora oggi lo guardo e piango.
Non credo di poterlo superare.
Quindi, appena ho ascoltato questa canzone, mi son detta “Questa è la mia occasione!”, ed è uscito fuori questo. Mi rimetto sempre a voi e al vostro giudizio, fonte di grande crescita personale (filosofia portami via, era solo per impressionarvi).
Ci si sente presto, miei amati!
Un abbraccio,
 
Wanheda_Skaikru
 
Canzone: “Piccola anima”, Ermal Meta ft. Elisa
 
 
   
 
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