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Autore: Novizia_Ood    10/03/2017    7 recensioni
John, dopo una giornata intera di lavoro, torna a casa e Sherlock e Rosie hanno una piccola sorpresa per lui...
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Rosie Clef

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“Oh mia piccola Watson!” 

L’esclamazione di Sherlock riempì la cucina mentre batteva le mani per mantenere il tempo. Un sorriso gli si aprì sulle labbra quando la piccola, di soli 6 anni, aveva appena concluso la melodia per ricominciarla d’accapo immediatamente, senza nemmeno fermarsi. Era testarda e perfezionista, esattamente come suo padre e forse anche per quello il detective sentiva d’amarla più di qualsiasi altra persona al mondo. 

Era probabilmente la cinquantesima volta che provava Twinkle Twinkle Little Star con il proprio violino tra le mani ed erano riusciti ad allenarsi sempre mentre John era a lavoro. Praticamente era il primo segreto in tanti anni tra lui e John e ciò non poteva che regalargli una piccola scarica d’adrenalina. 

Rosie aveva chiesto a lui di darle lezioni di violino per fare una sorpresa a suo padre e secondo Sherlock era stata anche la scelta più logica viste tutte le volte in cui, quando era più piccola, lui aveva suonato per lei e per farla addormentare. Rosie sapeva benissimo quanto l’altro suo papà fosse bravo con il violino e per questo l’aveva scelto, ma oltre questo, Sherlock riconosceva a se stesso anche la felicità di essere stato designato per un compito così importante: aiutare una figlia a far sorridere il proprio papà. 

Rosie non l’avrebbe mai chiesto a nessun altro se non a Sherlock e lui stava cominciando a bearsi di quella consapevolezza solo adesso.

“Quando arriva papà vai a prenderlo giù, salutalo con un bacio come sempre, così non sospetta niente e poi portalo qui e chiedigli di chiudere gli occhi prima di entrare!” Cominciò a spiegare lei con una vocina piccola e squillante, mentre con le mani gesticolava quanto più poteva nonostante il violino. Sherlock le sorrise e annuì prima di aiutarla a scendere, con un salto, giù dalla sedia. “Poi entra e io mi metto di nuovo sulla sedia e comincio a suonare. Vuoi accompagnarmi?” Chiese avviandosi nel salone e avvicinandosi al violino dell’uomo. Avevano suonato solo le prime volte insieme, poi Sherlock si era fatto tranquillamente da parte dopo averle insegnato le varie scale e accordi.

“Oh no, sarai bravissima anche da sola. Ma resterò accanto a te, va bene?” La piccola annuì e poi mise il suo strumento nella custodia, con le mani che già formicolavano per la voglia di suonare ancora. 

Non vedeva l’ora che venissero le sette per far vedere a suo padre la sua performance. 

“Secondo te sarà sorpreso?” Chiese mentre si arrampicava sulla poltrona rossa prima di girarsi e poggiare le mani sui grandi braccioli e le gambe lasciate penzoloni oltre il bordo. Sherlock prese posto sulla propria di pelle nera e rimase a guardarla, mentre con una mano sistemava la propria vestaglia beige. 

“Sicuramente lo sarà! Tu pensi che ci abbia scoperti?” Domandò con una voce fintamente preoccupata. Lo sapeva troppo bene che John non si era accorto praticamente di nulla, non aveva nemmeno il minimo sospetto.

Rosie però parve pensarci un po’, mentre arricciava naso e labbra. 

Era così uguale a John che alle volte Sherlock si ritrovava a fissarla più del dovuto, con un enorme senso di protezione che gli montava nel petto. Era certo la figlia del suo compagno, ma da quando lei aveva cominciato a chiamare papà anche lui, la differenza non esisteva più. Era anche sua figlia. 

Rosie aveva cominciato ad essere sua figlia quando si addormentò per la prima volta tra le sue braccia, dopo un pianto disperato tra quelle di John; aveva cominciato ad essere sua figlia quando aveva mosso i primi passi con lui e Sherlock si era ritrovato più felice del previsto a mandare un video a John che era a lavoro; aveva continuato a sentirla sua figlia quando stava male e la notte era lui a restare sveglio per lei o a suonare per farla addormentare. Era diventata sua figlia quando, durante un caso, pensò che fosse meglio chiamare la polizia per anticipare le mosse dell’assassino, piuttosto che lanciarsi per acciuffarlo da solo. 

Sentiva una responsabilità, anche se a volte non sembrava.

I suoi occhi per gli esperimenti erano ancora liberamente lasciati nel forno a microonde e le teste nel frigo, ecco perché John preferiva che lei non si avvicinasse. 

“Penso di no, lo sai che è più stupido e non se ne accorge di queste cose,” dichiarò la piccola con una tale innocenza che a Sherlock venne quasi da ridere. 

Sì, tuo padre è un idiota, ma lascia che sia solo io a dirlo, ok?” Pensò mentre con un pugno si copriva il sorriso che aveva dipinto sul viso. 

“Almeno così siamo sicuri di fargli una sorpresa, no?” Disse per recuperare e lei sorrise in risposta, annuendo energicamente. Poi rimasero seduti sulle poltrone per un po’ finché lei non cominciò a parlare del più e del meno a raffica come suo solito e a Sherlock non dava per niente fastidio, anzi, a volte si ritrovava a chiudere gli occhi e ad ascoltarla semplicemente.
Era la prima e unica persona al mondo - nemmeno John la batteva - che Sherlock preferiva ascoltare piuttosto che zittire per parlare lui. Sarebbe rimasto ad ascoltarla davvero per ore e non avrebbe mai fatto rumore nel suo cervello; era un suono che non dava fastidio, era una melodia morbida. 


 

Passarono le ore e Rosie riuscì anche ad addormentarsi per un po’ sul divano. Le sembrò la giornata più lunga del mondo quella.

“Eccolo, eccolo!” Esclamò saltando a sedere mentre era affacciata alla finestra, con le mani schiacciate contro il vetro a seguire con gli occhi il padre sul marciapiede di fronte. “Corri, papà. Scendi!” Urlò poi rivolta verso Sherlock che si mise immediatamente in piedi aggiustandosi la vestaglia sulle spalle.

“Vado subito,” disse facendole l’occhiolino e aprendo la porta proprio quando John aprì quella al piano di sotto.

“Ricordati il bacio!” Sussurrò lei con le mani intorno alla bocca per farsi sentire da Sherlock, ma non da John giù all’ingresso. L’uomo le sorrise e poi si precipitò giù per le scale dove un dottore dall’aria stanca stava posando la propria borsa per sfilarsi il giubbotto dopo essere stato accolto dal caldo della casa. 

“Hey,” lo salutò Sherlock con un grande sorriso e John rimase ad osservarlo per qualche secondo, immobile e preoccupato.

“Hey…” 

“Com’è andata a lavoro?” Chiese sempre sorridendo, con lo sguardo di John fisso su di lui.

“È successo qualcosa? Non avrete fatto esplodere di nuovo-”

“No, no, no.” Disse velocemente mettendo le mani avanti e avanzando di qualche passo. “Non ancora almeno.” Gli si avvicinò per abbracciarlo e poi con un sorriso gli lasciò un bacio sulle labbra restando poi a guardarlo subito dopo essersi staccato.

“Ok, ora va meglio.” Annuì il medico. “È andata bene comunque, molti pazienti sono riuscito ad anticiparli ad oggi così domani posso cominciare più tardi e posso portare Rosie a scuola.”

“Oh… ma lo sai che posso andarci senza problemi, sono settimane che-”

“Sì, appunto. Un po’ mi manca,” confessò con un debole sorriso. A Sherlock bastò incrociare il suo sguardo per capirlo e gli sorrise di nuovo, accarezzandogli appena la testa. Si vedeva quanto fosse stanco dalla curvatura delle sue spalle e dalla pelle della sua fronte che non riusciva più a seguire così bene le sue espressioni, conferendogliene una leggermente afflitta seppur sostenuta. 

Era il tipico padre che tornava a casa stanco morto ed era comunque pronto a giocare per ore e ore con la figlia. Questo Sherlock lo ammirava tantissimo.

Gli baciò una tempia e poi si abbassò a prendergli la borsa, sfilandogli da mano anche il giubbotto.

“Adesso ho bisogno che tu chiuda gli occhi dalla prima rampa di scale in poi. Puoi farlo?” Domandò avviandosi verso le scale.

“Va bene,” acconsentì con un sorriso emozionato. Un po’ era terrorizzato di scoprire cosa lo avrebbe aspettato al piano di sopra e un po’ era elettrizzato. Salì con lui la prima rampa e poi chiuse gli occhi per la seconda, lasciando che Sherlock lo conducesse tenendolo per un braccio.

Entrarono e Rosie era già sulla sedia in piedi, con il violino e l’archetto in mano, sorridente e rossa in viso per l’emozione. Nonostante un po’ di vergogna iniziale, non vedeva l’ora di esibirsi.

“Siediti qui,” Sherlock fece accomodare John sulla propria poltrona e posò le sue cose di lato e sul tavolino. “Aspetta…” disse mentre si allontanava da lui per andare ad inginocchiarsi accanto alla sedia di Rosie.

“Ora puoi aprirli!” Esclamò la piccola che non vedeva l’ora di pronunciare quelle parole da quando lo aveva visto fuori sul marciapiede. 

Quando John riaprì gli occhi credette, per un attimo, di essere in uno dei suoi tanti sogni (quelli tranquilli) in cui Sherlock e Rosie erano con lui in casa. Scene di vita quotidiana che portavano tranquillità, calma, sicurezza e un risveglio meraviglioso.

“Ma-”

“Ho un violino anche io, papà ne ha comprato uno anche a me!” Esclamò alzandolo appena. John si sporse sulla poltrona, poggiando i gomiti sulle ginocchia e sorridendole.

“Ma è bellissimo,” commentò con un grandissimo sorriso mentre intrecciava le mani tra di loro, pronto a qualsiasi cosa Rosie avesse voluto fare.

“Ora ti faccio sentire quello che ho imparato.”

“Sono tutt’orecchie!” Per un attimo lo sguardo cadde su Sherlock che però non ricambiò. Era troppo preso a controllare l’impugnatura del violino della piccola e a sorridere. Il sorriso di John non sarebbe potuto essere più grande di così.

Rosie cominciò a suonare e le prime note andarono lisce, forse un po’ troppo veloci e tremolanti, ma chiaramente era il suo primo concerto ed era normale che fosse nervosa, dopotutto quello era il trampolino di lancio e aveva bisogno che i suoi papà la trovassero fantastica e lei voleva essere perfetta. Quando, alla seconda strofa, il dito le scivolò da una corda ad un’altra, stonando, si fermò all’improvviso un po’ imbarazzata.

“Non fermarti, stai andando benissimo! Fa, fa, mi…” con le note pronunciate da Sherlock, Rosie riuscì a riprendere il filo dopo un attimo di panico e smarrimento. Era meraviglioso per John vederli così attenti e impegnati in ciò che gli stavano mostrando. Quanto si erano esercitati di nascosto solo per quello? E quello spettacolo, Sherlock compreso, era tutto per lui e solo per lui. Poteva ritenersi l'uomo più fortunato del mondo. Quando la musica si fermò, John era piegato con le mani davanti la bocca sorridente, sempre con i gomiti impuntati sulle ginocchia, poi si affrettò a battere le mani. Quella era probabilmente la visione più bella che potesse mai chiedere. Sherlock aiutò Rosie a saltare giù dalla sedia e lei immediatamente corse tra le gambe di John per abbracciarlo, facendo poca attenzione all’archetto e al violino.

“Ma sei stata bravissima!” Esclamò abbracciandola forte, lei ricambiò la stretta.

“Mi ha insegnato tutto papà,” disse staccandosi appena per guardare anche l’altro che ora si stava avvicinando a loro. John allungò un braccio anche verso di lui che gli prese la mano velocemente prima di sedersi sul bracciolo della poltrona per rimanere lì accanto.

“Ma sei tu l’allieva prodigio, eh! Sei stata veramente brava ed è stata una sorpresa stupenda, grazie. L’avete pensata tutta per me?” Entrambi annuirono senza proferire una parola e John le baciò la fronte stringendola di nuovo. “Così farete a cambio per chi dovrà farmi addormentare la notte? Mi suonerai qualcosa anche tu?” Anche se sapeva benissimo che non avrebbe mai del tutto rinunciato alle melodie di Sherlock. Era qualcosa di incredibilmente intimo per lui lo stare ad ascoltarlo e il fatto che Sherlock stesso suonasse per essere ascoltato solo da lui era qualcosa che ancora lo lusingava dopo anni dallinizio della loro relazione.

“Sicuro!”

“Perfetto.” Non aveva immaginato che tornare a casa sarebbe stato così bello; che avrebbe trovato tanta accoglienza e tanto calore da quella che era ormai la sua famiglia. 

“Ora corri a mettere tutto nella custodia e ricordati di non lasciar teso l’archetto, altrimenti potrebbe rovinarsi.” Disse Sherlock mentre lei velocemente annuiva e spariva in cucina.

John sospirò. La mano ancora intrecciata a quella del compagno.

“Qualcosa non va?” Domandò Sherlock preoccupato, chinandosi leggermente per controllare che fosse tutto a posto. Lo aveva visto stanchissimo allarrivo, ma sperava che almeno un po avessero contribuito a farlo sentire meglio. Dopo tutto era sempre quella la speranza di Sherlock una volta che John rientrava a casa. Era sempre fuori a prendersi cura dei suoi pazienti, una volta a casa il minimo era che lui si prendesse cura di John.

“Nulla, amore. Nulla.” 

Amore. 

Non era assolutamente un nomignolo che John utilizzava spesso, non fuori dalla camera da letto almeno e il sentirlo fece scaldare un po’ di più il cuore. Probabilmente stava meglio di quanto Sherlock credeva, ne era contento.

“È bravissima, hai visto?”

“Deve aver preso tutto dal suo papà, infatti.” Rispose subito Sherlock con un grande sorriso, un po’ impettito.

“Ah lo spero, così magari sarete in due a suonare durante la Vigilia di Natale e a Capodanno…” John si era appoggiato allo schienale della propria poltrona e aveva chiuso gli occhi, lasciando che la sua immaginazione lo portasse alle prossime festività. Si vedeva già lì seduto a sorseggiare del vino con loro due tra regali, albero e neve fuori dalla finestra e il sottofondo musicale delle loro composizioni.

“Quando vuoi,” concluse Sherlock con un sorriso chinandosi su di lui e baciandogli la fronte prima di alzarsi mentre sentiva i passi della piccola che stava tornando.

“Ora che non dobbiamo più allenarci di nascosto, lo facciamo anche il sabato e la domenica mattina?” Chiese allargando le braccia e Sherlock la prese immediatamente in braccio, facendola sedere sul suo fianco spigoloso.

“Tutte le volte che vuoi! Papà ne sarà così contento, vedrai.” Disse con una piccola risata, sapendo che ora tutti e due avevano un’arma in più con cui tormentare John fino all’esaurimento nervoso, ma il dottore non parve spaventato all’idea. Si alzò e passò un braccio intorno alla vita dell’altro, baciando sulla tempia la figlia.

“Ne sarò contento davvero. Poi insegnerete anche a me?” Rosie a quel punto allungò una mano dietro il collo di John per stringerlo, mentre con l’altro era intorno a quello di Sherlock, con il risultato di portarseli più vicini. 

“Sì, papà ti insegnerà tutto vedrai!” Esclamò lei, poi li lasciò andare, ma loro non si allontanarono più di tanto. “Gliel’hai dato il bacio per salutarlo?” Chiese d’un tratto tutta preoccupata e Sherlock annuì.

“Certo che l’ho fatto, ho seguito le tue istruzioni alla lettera, cosa credi.” 

“Non volevamo che scoprissi la nostra sorpresa…” confessò lei guardando di nuovo John e lui l’accarezzò.

“La gentilezza di tuo padre le rovina le sorprese, si capisce troppo bene quando c’è qualcosa che non va.” Canzonò il dottore guardando Sherlock con un grandissimo sorriso. Quante volte lo aveva raggiunto giù alle scale all’entrata solo per prepararlo psicologicamente a ciò che avrebbe trovato al piano di sopra una volta salito? Una volta Rosie aveva tutto il vestito bruciato, ma loro promisero che si era bruciato mentre non era addosso alla bambina, ma prima ancora di indossarlo e visto che ormai era rovinato, tanto valeva usarlo per casa mentre dovevano pasticciare in cucina.

“Io sono sempre molto gentile, John.” L’espressione offesa di Sherlock lo fece sorridere. 

“Lo sei di più quando combini guai.”

“In effetti…” fece spallucce e accolse il bacio veloce del compagno prima di guardarlo mentre si allontanava in cucina. Lo vide stiracchiarsi e poi muovere la testa prima verso il basso e poi verso l’alto per liberare il collo…

SHERLOCK!” Esclamò. Una punta di irritazione nella voce. La testa ancora rivolta verso l’alto in un’espressione a metà tra il divertito e l’esasperato.

“Sì?!” Domandò lui, percorrendo la distanza a lunghi passi.

“Cos’è quella roba?” Indicò con un dito il soffitto al quale era attaccato della strada roba gialla che minacciava di venir giù da un momento all’altro.

“Te l’avevo detto che se ne sarebbe accorto!” Esclamò la piccola con una risata, prima di portare le mani sulla bocca, fintamente preoccupata per la ramanzina che si sarebbe beccato suo padre da un istante all’altro.

“Forse è meno scemo di quello che crediamo,” sussurrò alla fine contro il suo orecchio.

















Angolo della scrittrice:
Ecco qui una OS venuta fuori dall'ispirazione notturna che da un bel po' di tempo non mi veniva. Erano davvero settimane che aspettavo mi colpisse... oggi l'ha fatto e spero d'aver fatto un pensiero gradito a tutti! :D Sì, forse sono un po' in fissa con la parentlock, perché non sarà finita qui, però questa sentivo di doverla scrivere. Era un momento fluff domestico che non potevo lasciare muto nella mia testa. Doveva trovare sfogo! 
Spero vi sia piaciuto :))

  
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