Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: nightswimming    10/03/2017    5 recensioni
Essere soli vuol dire essere sé stessi allo stato più puro. Distillare la propria identità con la massima precisione e comportarsi in forza di questa esattezza.
Questo è vivere. E questo sarà morire.
Nient’altro.

(soulmate!AU)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La domestica più giovane di casa Holmes viene ritrovata morta nella vasca da bagno del primo piano. È quello in assoluto il suo primo caso. E non è nemmeno un due.

“Suicidio” sussurra a Mycroft, in piedi alle sue spalle con le mani in tasca, mentre il cuoco e il giardiniere la coprono con un lenzuolo. La stoffa bianca subito si inzuppa di rosso formando macchie disuguali. Sherlock ne è affascinato.

Suo fratello emette un breve suono di assenso.

“Motivo?”

“Sentimentale.”

“Elabora.”

“Il modus operandi è quello dell’amante abbandonata. Taglio delle vene. Un grido di aiuto: solo il Compagno può donare il sangue per salvarla. È stato l’estremo, inutile tentativo di richiamarlo a sé.”

Sherlock dice tutto questo con gli occhi fissi sul polso della ragazza. Chiaramente iscritto sulla pelle, leggibile pure in mezzo a tutto quel sangue, spicca la scritta MICHAEL.

È nera. Quando la ragazza era ancora in vita, brillava di un lucido scarlatto.

A quest’ora la rispettiva scritta sulla pelle di Michael avrà assunto lo stesso aspetto. Saprà che è troppo tardi.

“Dicono che è solo quando si incontra il proprio Compagno che si impara veramente a vivere” dice Mycroft, le mani sulla sue spalle. La fascia d’argento che porta al polso sinistro è fredda persino attraverso la sua camicia.

Sherlock rovescia la testa all’indietro per guardarlo. Il suo viso, ancora più paffuto visto dal basso, è indecifrabile.

“A vivere e a morire.” Gli sorride con aria beffarda. “Peccato che alcuni non imparino anche il momento giusto per farlo. O che semplicemente non ne vale la pena.”

Sherlock ha sei anni. Il suo concetto di vita e di morte è ancora molto vago: i dubbi a riguardo sono coraggiosi e articolati, ma manca l’esperienza empirica. Quella tenta sempre di assorbirla dal fratello.

Mycroft sembra rigettare il concetto di anima gemella.

(Rischioso. Irrazionale. Sentimentale).

Mycroft è la cosa più simile a lui che conosca.

Quindi, l’unica conclusione logica è che anche Sherlock non ci crederà.

 

*

 

Il nome della tua anima gemella spunta come un fiore durante la primavera della tua vita, dice la tradizione.

La notte in cui Sherlock compie diciott’anni non è successo ancora niente.

“Billy, sei diverso” gli sussurra sua madre, lasciandogli un bacio sulla fronte. “Anche in questo sarai diverso. Ma non c’è niente di male.”

Sherlock annuisce per non darle un dispiacere. Poi, più tardi, quando il cielo è così buio che camminare attraverso il giardino senza inciampare e rompere la bottiglia di whisky che tiene sottobraccio è un’impresa, raggiunge Mycroft nella serra in fondo alla loro tenuta.

Suo fratello è appoggiato alla porta con una sigaretta in mano. arrivato quel giorno stesso da Cambridge per il suo compleanno e ha ancora l’uniforme addosso.

Sherlock gli viene incontro con un nodo in gola.

“Sei sicuro?”

Sherlock annuisce.

Entrano nella serra buia. Le pareti trasparenti lasciano intravedere la loro casa con le finestre illuminate. L’aria è satura del profumo dei fiori della loro madre.

Sherlock ha la nausea.

Mycroft versa il whisky in due bicchieri e alza il suo in un brindisi.

“Sei un uomo ormai” dice con una voce la cui solennità si tinge di affetto. Il cuore di Sherlock batte fortissimo: è la cosa più simile a un complimento che suo fratello gli abbia mai rivolto. “Non sei diverso da tutti gli altri, sei migliore di tutti gli altri. Per questo non devi lasciarti definire da nessuno.”

Quando si cava dalla tasca dei pantaloni un sottile astuccio con sopra il nome di una costosissima gioielleria, Sherlock sa già cosa contiene.

Crede a tutto quello che suo fratello gli sta dicendo. E lo vuole – vuole così tanto essere come lui.

Eppure, quando si infila il bracciale che nasconderà il nome della sua anima gemella alla vista, le sue mani tremano.

Suo fratello lo premia con un piccolo sorriso.

“Buon compleanno, William.”

“Sherlock” corregge automaticamente l’altro.

Mycroft si limita ad alzare un sopracciglio. Si stringono la mano.

“Non pensarci più sarà una grande liberazione, vedrai.”

Alla luce della luna, le loro identiche fasce d’argento brillano all’unisono. Bevono entrambi in silenzioso accordo.

“Cos’è questa fissa assolutamente giovanilistica di farti chiamare Sherlock?” dice poi Mycroft, accendendosi un’altra sigaretta.

Sherlock sbuffa il fumo dalle narici con un sorriso.

“Nome nuovo, vita nuova.”

 

*

 

Sherlock non vorrebbe, perché non ci si dovrebbe interrogare su ciò che dovrebbe venire spontaneo, ma spesso si trova a riflettere sul significato della parola solitudine.

Essere soli vuol dire essere sé stessi allo stato più puro. Distillare la propria identità con la massima precisione e comportarsi in forza di questa esattezza.

Questo è vivere. E questo sarà morire.

Nient’altro.

 

*

 

Il nome della propria anima gemella è visibile a sé stessi, alla propria anima gemella e agli altri, se si vuole. Molti, prima di trovarla, per una questione di pudore non lasciano che emerga sulla pelle.

Dopotutto ci sono casi in cui uno dei due muore prima di trovarsi. L’umiliazione e il dolore sarebbero troppo forti. Ma sono eventi limite.

Nessuno si sognerebbe mai di privarsi del conforto di poter accarezzare il nome della propria anima gemella mentre si aspetta il suo arrivo. Di provare ad associare un viso a quelle lettere. Di immaginare l’attimo in cui ci si mostrerà le scritte a vicenda, chiedendo conferma di qualcosa che si avverte al primo tocco – la sensazione del sangue che comincia davvero a scorrere nelle vene.

Per questo il bracciale al polso di Sherlock viene considerato come la prova decisiva del suo essere “strano”. Quale persona sana di mente si illuderebbe di poter avere controllo su una cosa così naturale? E soprattutto, se davvero ci riuscisse, quali altre aberrazioni sarebbe in grado di compiere?

 

*

 

Quando, approdato anche lui a Cambridge, Sherlock posa lo sguardo su Victor Trevor, biondo e sorridente e pericoloso, l’impulso di strapparsi il bracciale dal polso è quasi irrefrenabile.

Per la prima volta vuole sapere. Non per fare effettivamente qualcosa, assolutamente no, ma solo per togliersi questa bruciante curiosità. La sua anima gemella è un uomo? È così bello? Davvero ha quelle mani, quella risata, quella tendenza così simile alla sua a infrangere i limiti e le regole?

Si dice che quell’idea semplicemente gli solletica l’ego; ma più e più volte, mentre lo guarda dormire, si scopre a rigirare la piccola chiave del bracciale fra le mani.

Sherlock si lascia baciare e toccare e accarezzare senza precauzioni. Ci sono cose che a ventitré anni ancora non sa, ma che è utile sapere. Victor manda il suo corpo e la sua mente fuori controllo e questo non va bene. Urge ammaestrarsi.

È solo questo. Una lezione, da cui deve imparare il più possibile.

Che sia anche piacevole è solo una fortuna.

 

*

 

Una notte, mentre tutto il loro dormitorio è già silenzioso da ore e loro sono nudi e abbracciati, Victor passa un dito curioso sul suo bracciale.

“Non te lo sei mai tolto?” sussurra.

La sua voce è roca. Sherlock pensa alla sua testa fra le proprie gambe, solo poco prima. A come Victor lo faccia sentire vivo – e spaventato.

“No” dicendo, disegnando con un pollice il profilo delle sue labbra.

“Davvero non sai cosa c’è scritto sotto?”

“Non so nemmeno se ci sia scritto qualcosa.”

Victor sorride malizioso.

“Posso guardare?”

“No.”

“Perché non lo vuoi sapere?”

“Perché non mi interessa.”

Victor sbadiglia e si accoccola meglio contro il suo petto.

“Se davvero non ti interessasse, non lo copriresti.”

Sherlock non l’aveva mai pensata in questo modo. Si sente smascherato.

Mycroft di sicuro avrebbe una risposta pronta. Che l’ignoranza lo proteggerebbe da un eventuale ricatto, ad esempio. Che non vuole avere a cuore neppure un nome. Che la biologia non si può annullare, ma solo ingannare.

Sherlock invece bacia i capelli di Victor e, ancora una volta, lo guarda dormire.

 

*

 

“Mostramelo” supplica Sherlock mentre spinge dentro di lui, la mente offuscata dalla cocaina.

Victor geme e scuote la testa, le pupille dilatate grottescamente.

Questa volta hanno esagerato entrambi e entrambi lo sanno. Victor non è nemmeno duro e Sherlock è sicuro di stargli facendo del male.

Di fronte a quello che è l’ennesimo rifiuto di quella sera, Sherlock ringhia e gli costringe i polsi in una morsa di ferro.

Mostramelo” ripete.

“Perché?” ribatte Victor, con una smorfia di sfida. “Cosa ti importa?”

Sherlock gli morde il collo e affonda il viso nei suoi capelli, confuso.

“Io-” ansima, tremando.

Victor allaccia le gambe alla sua schiena e gli prende le guance fra le mani. I suoi occhi sono scuri, invitanti.

“Non aver paura di quello che vuoi.”

Sherlock viene con un’inspirazione secca, totalmente silenziosa. Non riesce a respirare. Non si è mai sentito più terrorizzato in tutta la sua vita.

Si accascia su di lui percorso dai tremiti. Victor gli copre le spalle di baci.

“Sei tu?” mormora Sherlock, gli occhi bagnati. “Sei davvero tu?”

Per un attimo ci crede davvero. Per un attimo, ogni cosa sembra andare al proprio posto in una maniera che il suo cervello non riuscirà mai a replicare.

Poi, lentamente, un nome scarlatto compare sul polso di Victor, ancora stretto nella morsa delle sue mani.

Sherlock sbarra gli occhi.

“Sei solo uno stupido, Sherlock Holmes” ride Victor.

 

*

 

Sherlock non ha nessuna particolare memoria dei mesi successivi.

Sa solo che non è più a Cambridge, e che la droga costa troppo per riuscire a mantenere anche una casa, oltre che una dignità.

I suoi ricordi tornano quando si risveglia in un letto d’ospedale.

Suo fratello lo fissa dalla poltroncina d’ospedale sotto la finestra. Pallido. Deluso.

Anche lui, come Victor, sembra pensare che è solo uno stupido.

 

*

 

Non devi lasciarti definire da nessuno.

Per questo gli sguardi di commiserazione della gente, ora che ha trent’anni ed è ancora solo, non valgono nulla. Per questo le occhiate di riluttante ammirazione di Lestrade hanno ancora meno peso.

Sherlock ormai è convinto che, se si togliesse il bracciale, sotto troverebbe scritto proprio Nessuno.

 

*

 

“Mike, posso chiederti in prestito il cellulare?”

“Tenga, usi il mio.”

 

*

 

John Watson ha i capelli biondo cenere, l’apparenza ingannevole di una brava persona, la certezza intima di non esserlo e il polso sinistro perennemente coperto da un orologio che odia (sua sorella Harriet, Natale dei suoi diciott’anni, ha scoperto proprio in quella circostanza che i pochi soldi che sua madre era riuscita a mettere da parte finivano in fondo alla sua bottiglia).

Conclusione: anche lui nasconde qualcosa. Forse la sua anima gemella è morta in Afghanistan? Forse l’ha tradito? O forse, come lui, non la voleva?

È solo uno dei tanti particolari che lo intrigano di John.

 

*

 

Sherlock inconsciamente evita il contatto pelle a pelle per tutte le prime settimane della loro convivenza. Stupido, stupido, stupido, sussurra Mycroft nella sua testa. Hai ancora paura di essere deluso. Non devi lasciare che ti deludano.

Ma quando, dopo un caso particolarmente rocambolesco, John insiste a medicarlo personalmente una volta tornato a casa, la stanchezza e l’adrenalina gli fanno dimenticare di opporsi.

E al tocco di John il suo corpo sembra incendiarsi.

“Tutto bene?” lo sente chiedere turbato, gli occhi blu pieni di preoccupazione, una garza in una mano e una boccetta d’alcool nell’altra.

Sherlock lo guarda. Battito del cuore elevato, pelle arrossata, bocca socchiusa.

O John ha i neuroni specchio più potenti del mondo, o l’ha sentito anche lui.

Il suo bracciale scotta.

Sherlock annuisce con aria assente. John si gratta la pelle sotto l’orologio e prosegue la sua opera.

 

*

 

Sei tu?” mormora, gli occhi bagnati. “Sei davvero tu?”

Per un attimo ci crede davvero. Per un attimo, ogni cosa sembra andare al proprio posto in una maniera che il suo cervello non riuscirà mai a replicare.

Poi, lentamente, un nome scarlatto compare sul suo polso.

Sherlock sbarra gli occhi.

Sei solo uno stupido, Sherlock Holmes” ride John.

 

*

 

Ogni notte lo stesso incubo. Ogni notte, Sherlock si sveglia ansimando, tormentandosi il polso con il bracciale.

“Non stiamo insieme” conferma ogni giorno John davanti al mondo, volgendo gli occhi al cielo. “Non sono gay.”

Non sono io, sta tentando di dirgli. E Sherlock dovrebbe credergli. Dopotutto, John sa cosa c’è scritto sul proprio polso, vero? Oppure c’è semplicemente scritto il nome di un uomo e lui, dall’alto della sua incrollabile eterosessualità, non riesce ad accettarlo e perciò si nasconde?

Eppure è certo di non aver mai provato nulla di simile. Non è infatuazione. Non è qualcosa a cui tentare di resistere. È qualcosa che semplicemente esiste, e basta.

 

*

 

Dovrebbe accontentarsi. John, dopotutto, sembra non avere nessuna intenzione di andarsene; e tutte le sue inutili fidanzate sono soltanto distrazioni.

Sì, Sherlock può vivere con il dubbio. Con il dubbio e con John.

Gli sembra un compromesso accettabile.

 

*

 

A parte quella prima, goffa cena da Angelo in cui Sherlock aveva chiarito la sua posizione, non avevano più parlato del suo bracciale. Se non in un’unica occasione.

“So che comunque l’intera faccenda delle anime gemelle non ti interessa” dice John con un bicchiere di whisky in mano, dondolandosi sui talloni. “Ma… e se sul tuo polso ci fosse scritto Irene?”

Sherlock, violino in mano, si volta a guardarlo. Gli occhi di John sono mortalmente tristi ma lui sta sorridendo.

“Così” prosegue, alzando le spalle, “sarebbe interessante… toglierlo… e sapere se l’ipotesi è giusta. Tanto non cambierebbe nulla per te. No?”

Sherlock torna a fissare fuori dalla finestra striata di neve. Il campanile batte la mezzanotte.

“Buon anno nuovo, John”.

 

*

 

La parola solitudine smette di avere senso quando guarda John. La parola me stesso, pure, non ha più significato – John è parte di sé stesso.

E quando lui e John corrono insieme per Londra, Mycroft non riesce più a raggiungerlo.

Non solo perché ormai è cosi smodatamente grasso.

 

*

 

Poi, un giorno, la camicia a quadri di John assume lo stesso aspetto di quel lenzuolo zuppo di sangue che l’aveva affascinato tanti anni fa, facendogli sognare una vita di crimini enigmatici.

Sherlock non insegue nemmeno il ladruncolo di mezza tacca che gli ha sparato. Non ne sarebbe in grado: non sente più niente, non vede più niente. La faccia stravolta dal terrore – che stupido, che stupido davvero era stato credendo di provarlo in altri momenti della sua vita: questo è l’unico vero terrore – si sfila la sciarpa dal collo e la preme sulla ferita più forte che può.

“Sherlock” gorgoglia John, armeggiando a fatica con l’orologio.

Sherlock lo zittisce con dolcezza disperata e tenta di farlo stare fermo.

“John, chiamo un’ambulanza, non muoverti, non muoverti-”

John strappa con un gemito il cinturino e gli sorride con fatica.

“Un… errore…” dice chiudendo gli occhi. “Amore mio, hanno fatto un errore…”

 

*

 

Correndo verso l’ospedale in ambulanza, Sherlock bacia il suo polso dove, in un rosso nerastro, spicca a chiare lettere WILLIAM.

“No” sussurra accarezzandogli i capelli. John non si muove. “L’errore è stato solo mio.”

 

*

 

John viene trasportato nel reparto emergenze con la massima velocità. Sherlock lo segue correndo fino in sala operatoria dove viene bloccato da una dottoressa in camice e mascherina.

“Lei è il Compagno?”

“Sì” risponde Sherlock senza nessuna esitazione.

La donna tira un sospiro di sollievo.

“Grazie a Dio. Nessun altro avrebbe potuto salvarlo. Da questa parte, si sbrighi.”

 

*

 

Sherlock, fermati subito. Non ne hai la certezza. MH

 

Ce l’ho. SH

 

Ci sono dei rischi. Potresti non sopravvivere. John ha bisogno di troppo sangue. MH

 

Bla bla bla. SH

 

SHERLOCK. MH

 

Sbagliavi. Non tutti non imparano il momento giusto per farlo. SH

 

E ora, se permetti, scrivere mentre ti stanno togliendo metà dei fluidi che hai in corpo è estremamente fastidioso. SH

 

*

 

Ancora vivo. Mi spiace, ma il tuo sogno di essere figlio unico non diventerà realtà neanche stavolta. SH

 

*

 

John riesce a malapena a tenere gli occhi aperti quando Sherlock gli chiede di sposarlo e Sherlock è troppo debole per portarsi un cucchiaio di brodo alla bocca, figuriamoci per inginocchiarsi.

“Ma non sai neanche-” balbetta John, strabuzzando gli occhi.

Sherlock agita debolmente una mano per aria.

“Sciocchezze. Perché credi di essere ancora vivo?”

E siccome Sherlock trova da sempre lo scambio di anelli decisamente inflazionato, gli porge invece una piccola chiave d’argento.

John ride tra le lacrime.

“È la chiave del tuo cuore?”

Sherlock allunga il polso coperto dal bracciale con un sorriso e un bacio.

“Più o meno.”

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore: scritta millenni fa in occasione di una bellissima iniziativa di Natale. Siccome la mia ispirazione in questo periodo è arida come il deserto del Gobi, ho pensato di recuperare un po’ di vecchiume <3

Titolo preso da “Romeo and Juliet” dei Dire Straits.

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: nightswimming