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Autore: Son of Jericho    11/03/2017    3 recensioni
Le tenebre calano su Sunnydale. Una notte come tante altre, ma non per Spike.
Il colloquio con un insospettabile ascoltatore, una passeggiata liberatoria per le vie della città, e una soglia invalicabile, lo aiuteranno a scoprire un nuovo lato di sé. E a capire che, in fondo, umani e vampiri non sono così differenti.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Buffy Anne Summers, Rupert Giles, William Spike
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Anxiety





- Che cosa significa avere un’anima, signor Giles? –
Lo sguardo confuso, la fronte si aggrotta al cospetto di una richiesta tanto strana. Il bicchiere di brandy va a posarsi sul tavolino. – Non lo so. –
- Invece lo sa perfettamente, ma si rifiuta di dirmelo. Perché? – La sua voce decisa va a pungere quella dell’Osservatore. In tanti anni, non si è mai abituato a un “no” come risposta. – Per quelli come noi, intendo. –
Una leggera spolverata alle lenti, a sciogliere l’esitazione. Forse non è troppo tardi per l’ennesima lezione.
- Credo significhi soprattutto avere coscienza delle proprie azioni, e accettare le responsabilità delle conseguenze. –
 
 


Al calar del tramonto, lui sparisce nell’oscurità. Invisibile, si muove clandestinamente nel silenzio di un regno che non è mai stato veramente suo. La lunga giacca svolazza ad ogni passo che affonda sull’asfalto.
Stretti vicoli in cui incontrare suoi simili, decine di posti in cui nascondersi, un pub in cui andare a sbronzarsi. Sunnydale, la città delle prede.
La cripta inizia a stargli stretta, non gli offre più risposte. Non era nei suoi piani, dormire e rifugiarsi dal sole nell’austero sepolcro di qualche signorotto. La nuda pietra, una poltrona sgualcita, accentuano il senso di abbandono da chi gli aveva regalato e promesso una vita eterna.
Vaga nella notte senza meta, ricacciando il rimpianto dei giorni trascorsi in un vero castello, quando essere lì aveva ancora un preciso scopo.

 
 

 
- Perché mi stai facendo questa domanda, Spike? –
La sua presenza non incute alcun timore a Giles, soltanto curiosità. Nella prospettiva di una tranquilla serata tra libri e radio, finire a parlare con lui era l’ultima cosa che si aspettava. Eppure, lo conosce abbastanza da sapere che, da quella casa, sono passate creature ben peggiori.
- Pura curiosità. –
- Sul serio? – L’aria inquisitoria, a voler smascherare quella strana incertezza, indegna di una creatura della notte.
- Ecco, io… volevo sapere cosa si sente. –
Giles si lascia sfuggire una sottile risata, mentre si riempie nuovamente il bicchiere. - Credi di avere un’anima anche tu? –
Il silenzio che segue non ha bisogno di spiegazioni. L’Osservatore scuote il capo e cerca conforto nel brandy. – Sai benissimo che non è possibile. –
- A qualcuno succede. –
 


 
Un movimento furtivo spezza le sue distrazioni e lo riporta al presente. In lontananza due figuri, un tempo forse vecchi amici, si prodigano in una corsa sbilenca, e scompaiono velocemente dietro l’angolo. A pochi metri, un uomo cade al suolo privo di sensi.
Si muove come un’ombra, Spike, mentre gli va incontro con estrema cautela. Attento che nessuno lo veda, possa dargli fastidi, o dubiti della sua innocenza.
Si china, guidato da un’affascinante bramosia. La sigaretta pende svogliata dalle labbra, e brilla sopra il corpo inerme.
Umano, maschio sopra i quaranta, atletico e distinto. Capelli arruffati, carnagione pallida, respiro assente.
Rivoli di sangue sul colletto della camicia. Una coppia di segni sul collo, dalla forma ben nota, immortali.
Un brivido lo coglie lungo la schiena. Gli avanzi non danno la stessa soddisfazione della caccia, ma per un attimo sente di nuovo sete. Quella sete.
Allunga la mano. Digrigna i denti. Qualcosa lo blocca, e non è il chip nella sua testa.

 
 

 
- Stai pensando a Angel? –
- Lui ce l’ha fatta. –
- Lui è stato maledetto. – Giles non si altera, sapeva che non avrebbe capito. – E francamente, immaginare cosa debba affrontare da allora, è impossibile per tutti noi. -
- Ma siamo della stessa razza, quindi perché non potrei… –
- Assolutamente no. – Legge una certa invidia nelle parole del vampiro, ma non gli da peso. Rivali da tempo immemore, protagonisti di una faida interminabile. – Tu e Angel non siete uguali, non lo siete mai stati, in una vita o nell’altra. Angel non è più malvagio. –
- Nemmeno io! Non ho più fatto del male a nessuno di voi “buoni” da almeno… me lo dica lei da quando! –
- Non è questo il punto, Spike. Fare i conti con la propria anima tutti i giorni significa poter vedere il mondo anche con gli occhi degli altri, comprendere le loro emozioni e le loro scelte. Significa volere il bene di chi ti circonda, prima ancora del tuo. Significa arrivare a mettere in gioco la propria anima, pur di proteggerne un’altra. –
Spike ci pensa. La luce soffusa, nel soggiorno dell’Osservatore, lo porta a guardare dentro di sé. Si chiede cosa sta inseguendo, cos’è che lo spinge a rimanere appostato per ore dietro un albero, a osservare la casa della sua peggior nemica. Forse, in fondo, anche lui sta proteggendo qualcuno.
 


 
Si allontana dal corpo esanime, lascia indietro il ricordo di quell’uomo steso sull’asfalto.
Sa che la mattina seguente, ai primi raggi dell'alba, qualche quotidiano parlerà dell'omicidio avvenuto in una zona dimenticata della città. La polizia indagherà, farà sopralluoghi, proporrà mille ipotesi. Nel migliore dei casi, non troverà alcun cadavere. Come tutti, ignorerà della sua nuova esistenza, della sua nuova linfa vitale, della sua nuova razza di appartenenza.
E alla fine, il suo destino sarà diventare l'ennesimo trofeo della Cacciatrice.
La Cacciatrice... può definirsi fortunato ad essere ancora vivo.

 

 
 
La biblioteca personale di Giles cattura la sua attenzione. - Come fa ad avere  così tanti libri, e nemmeno uno che possa aiutarla a capire che cosa ho? –
- Tu non hai niente, Spike, se non bisogno di aiuto. -
- E allora si impegni! Mi sta succedendo qualcosa, ma non riesco a spiegarmelo. Sento che mi manca la libertà, il potere di assecondare i miei impulsi, il mio istinto omicida. –
L’Osservatore sorride e butta giù un altro sorso. – Non la vedo così negativa. –
- E’ terribile, invece. – e difficile da accettare. - Io sto cambiando. –
- No, tu non stai cambiando. Stai... come dire, tornando com’eri prima. –
- E cos’ero prima? –
- Questo non lo devi certo chiedere a me. -
Uno scrittore di stupide poesie.
 


 
Una stupida poesia, ecco cos'era stata la sua vita fino all'illuminazione.
Tempo ed energie sprecate a rincorrere inutili ideali, a seguire un insulso decoro, a decantare la bellezza di qualche indifferente dama di corte.
Un semplice morso, un dolore lancinante, e poi di nuovo la vita, una seconda occasione.
Non rimpiange niente di ciò che ha fatto da allora, dopo la resurrezione.
Ascoltare solo il proprio appetito, soddisfare esclusivamente i propri desideri, affondare i denti nella tenera carne, gustare le diverse sfumature del sangue. Non nega che sia stato uno spasso. Ascoltare le urla sempre più flebili delle sue vittime, e osservare il terrore nei loro occhi, mentre il piacere lo pervade fino alle ossa.
Lo sguardo famelico non lo abbandona. Quelle sensazioni sono ancora troppo vivide per essere occultate.
Ma lui non è più così.

 
 


Giles ripone la bottiglia, mezza vuota, nella credenza e il bicchiere nel lavabo. Ha sonno, ma quell’insolita visita pare non volersi ancora concludere.
- Se è una risposta che stai cercando, da me non l’avrai. –
Spike si sente a suo agio a casa dell’Osservatore. Siede in poltrona, forse non lo sta nemmeno più ascoltando. La giacca lanciata sul divano, le mani strette sui braccioli.
Fissa il vuoto, l’aria misteriosamente assorta. – Sono stato accusato di non sapere cosa siano i sentimenti. – E’ arrabbiato, deluso, ferito.
Giles lo fissa. Sa che non è così, Willow gli ha accennato qualcosa. – E allora? Solo per questo credi di possedere un’anima? –
Il vampiro è scosso dal suo tono insolente e autoritario. Gli lancia un’occhiata alla disperata ricerca di conferme. Ma l’Osservatore non si scompone.
- Ancora non ci arrivi? Quello che stai provando non è assolutamente niente di nuovo. Ci siamo passati tutti. Forse ora stenti a ricordare l’effetto che fa perché si è trattato di un’altra vita, ma vale lo stesso anche per te. Non ero sicuro, ma a quanto pare, neanche le creature della notte sfuggono a questa legge. Ecco, una cosa in cui tu e Angel vi assomigliate. –
Spike si alza di scatto, come se la seduta avesse preso improvvisamente fuoco. Rigido, sgrana gli occhi e afferra il giaccone.
- Non sta parlando di quello che penso, vero? –
Non è ciò che sperava di sentirsi dire. Perché il problema più grande, è che sa che Giles ha ragione.
- Torna a casa, Spike. La notte è ancora lunga. -
 
 

 
Forse è davvero più forte di lui. Senza accorgersene, al termine della passeggiata, si ritrova nuovamente in periferia, di fronte a una casa che non riesce ad evitare.
Si accosta all’albero, fuori dal fascio dei lampioni, e si accende un’altra sigaretta. Non ha intenzione di tornare alla cripta, bere il suo cocktail e dover sopportare l’ennesimo riposo disturbato dai sogni.
Preferisce restare lì, a fissare la porta dalla quale ha perso il diritto di entrare. Il rifugio della Cacciatrice.
Sta combattendo contro sé stesso, contro la metà che ancora chiama Principe delle Tenebre. Nessun cuore che batte, nessuna vena che pulsa di sangue puro, nessuna innocenza.
Eppure, tra i suoi desideri, c’è quello di assaporare le sue labbra, piuttosto che il suo sangue. Di stringerle i fianchi, invece che la gola. Di affondare dentro di lei, e non limitarsi al collo.
Ripensa alle parole di Giles. Ogni vampiro ha una propria essenza.
Il chip, il non poter più mordere, l’incapacità di fare del male a chi non se lo merita veramente, la proibizione verso gli umani. Tutte cose sbagliate a cui dare la colpa.
E’ la sua natura che si sta trasformando. E contro ogni teoria, la sua essenza, la sua rinnovata ragione di esistere, si trova proprio fuori da quella porta.

 
 


- Quanti sono i giorni veri di una vita, signor Giles? –
- Pochissimi, in realtà. Li potremmo contare sulle dita di una mano. –
- E come si fa a riconoscerli? –
- E’ facile. Sono quelli in cui capisci che la tua vita sta ricominciando. -


 
   
 
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