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Autore: Aireen    12/03/2017    1 recensioni
Parigi, 1851.
Streghe e Maghi fanno parte di due fazioni opposte, in quella che è, a tutti gli effetti, una guerra tra sessi.
Audrey e Lèonard, sono i rappresentanti di due mondi che corrono su due rette parallele, a cui è possibile incontrarsi solo nel contesto di uno scontro mortale. Ma, in questo caso, il destino ha in programma per loro qualcosa di diverso.
"Siamo innaturali, Audrey. Questo... questo è innaturale." Negli occhi di Lèonard, però, Audrey vedeva qualcosa di più. Se le sue parole volevano ferire come lame incandescenti, allontanarla, respingerla... i suoi occhi le chiedevano pietà, comprensione.
Audrey fece un passo verso di lui.
"E' sbagliato, Lèonard." Sussurrò. "Ma mi è sempre piaciuto sbagliare."
Genere: Fantasy, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Burning Sins nvu

Ciao a tutti!
Vorrei ringraziare sentitamente chiunque abbia aperto questa storia anche solo per una lettura veloce.
Audrey e Lèonard sono con me da lungo tempo, come lo è l'idea per questa storia... spero la apprezzerete :)
Grazie ancora!

Burning Sins

1. Lo Stregato Parigino

 Parigi. 1851.

Era notte fonda, quando una giovane imboccò uno squallido vicolo alla periferia di Parigi. Era una ragazza alta, dalla corporatura robusta, con una folta chioma di capelli ramati a cingerle la vita. Indossava abiti succinti, decisamente poco adatti a una signora, i quali avrebbero immediatamente chiarito, anche al più sbadato degli osservatori, in che modo si guadagnasse il pane. La donna procedeva rapida e sicura tra le vie deserte della città, illuminata dalla debole luce dei lampioni.
Lo scenario nel quale avanzava non era di certo tra i pi
ù felici: barboni e ubriaconi tentavano di avvicinarla, ma la donna avanzava tra di loro senza scomporsi, come se ci fosse abituata. Ne salutò addirittura qualcuno, sorridendo allegramente, come se questi fosse un vecchio amico.
Prima di svoltare nell
ennesimo vicolo buio lanciò un duro pezzo di pane ad uno degli uomini seduti sul ciglio della strada, gli fece un cenno e sparì nelloscurità: la via nella quale sbucò era illuminata dalla sola flebile luce della luna. Fu infatti obbligata a procedere lentamente e a cercare a tentoni la porta della casa. Bisbigliò qualcosa, probabilmente unimprecazione, imprecazione che rimase sospesa nella notte.
Fu un attimo.

Le sue mani trovarono finalmente la grezza superficie di legno tanto agognata quando una forza cos
ì potente da scaraventarla contro il muro della casa di fronte la colpì al petto, lasciandola semisvenuta per terra.
Due figure maschili emersero dall
oscurità, una di esse si chinò sulla ragazza, il viso irriconoscibile alla flebile luce della luna. Passarono pochi secondi che parvero dilatarsi fino a diventare ore nel silenzio impenetrabile di quell vicolo buio. Lo sconosciuto mormorò qualcosa allorecchio della ragazza; lei riaprì di scatto gli occhi, innaturalmente vitrei, mentre l uomo si rialzava, sovrastandola.
«
Non credo sia ciò che cerchiamo» Proferì laltro, alzando gli occhi al cielo e passandosi distrattamente una mano tra i capelli. Prima che il suo compagno potesse replicare, però, la donna parlò, inginocchiandosi al cospetto dei due uomini.
«
Mi chiamo Julienne, sono nata a Marsiglia ventanni fa e rimasta orfana al secondo anno di vita. Nellorfanotrofio in cui vivevo…» Le sue parole furono soffocate dallo stesso uomo che l aveva risvegliata dal precedente stato di incoscienza.
«
Tax!» Esclamò, portandole una mano dinnanzi al viso: la giovane svenne nuovamente, sbattendo con violenza la testa al suolo.
«
Dio, Lèonard! Presta un po più di attenzione, avrebbe potuto farsi male sul serio.» Si lamentò laltro, chinandosi sulla donna per assicurarsi che stesse bene.
«
Non ha nulla. Si riprenderà e se ne tornerà in casa, come se niente fosse successo. Peccato che non sia una di loro, mi diverto di più quando per vivere fanno le puttane, credo che renda ancora meglio l idea di flagello di Dio. Dopotutto, è questo che sono, vero Rafael?» Sibilò con cattiveria Lèonard, scostandosi dalla fronte i capelli neri come l ebano e lanciando uno sguardo gelido in direzione delluomo che gli stava accanto.
«
Sì, credo credo di sì.» Mormorò questi, stando ben attento a non incrociare lo sguardo dellaltro.
L
èonard non ebbe il tempo di replicare come avrebbe voluto, poiché un gemito interruppe quella conversazione dai toni ostili: la donna, Julienne, si era svegliata e li osservava con sguardo confuso e spaventato, tastandosi il taglio sulla fronte.
«
Che che è successo?» Balbettò.
«
Siete caduta, signorina. Lasciate che vi aiuti ad alzarvi: ci stavamo giusto chiedendo se non fosse necessario trasportarvi fino all ospedale più vicino. Come vi sentite?» Lèonard si era avvicinato alla ragazza e laveva aiutata a rimettersi in piedi, la furia e la crudeltà di poco prima erano scomparse.
«
No, non è necessario. Mi sento bene, credo che me ne andrò subito a letto.» Borbottò la donna, estraendo un mazzo di chiavi e raggiungendo la porta di casa, infilò la chiave nella toppa e, lanciato un ultimo sguardo di sospetto ai due uomini, si richiuse lanta alle spalle.
«Stavo dicendo: non ti fai un po schifo, Rafael? Segui ideali che non condividi e per questi hai anche ucciso e tutto ciò lo fai per pura codardia…» Lèonard aveva recuperato l intenzione di provocare il compagno e con essa anche il tono tagliente e cattivo che amava utilizzare con coloro che non avrebbero potuto ribellarsi o rispondergli per le rime.
Rafael non replic
ò, gli diede le spalle e si avviò verso il fondo del vicolo, fermandosi dinnanzi al muro di mattoni nel quale esso terminava. Mormorò una formula sconosciuta alle orecchie di Lèonard, che faticava a riconoscere la bravura di Rafael nelle arti, e, come se fosse sempre stato lì, un buco abbastanza largo da lasciarli passare entrambi prese il posto di una buona porzione di muro.
Lo oltrepassarono velocemente, guardandosi intorno furtivi, per poi scomparire nel nero abbraccio della notte.

I primi raggi di sole illuminavano il viso pallido e assonnato di una ragazza dai lineamenti delicati. Seduta sullo sgabello scomodo posizionato davanti al pianoforte lasciava scivolare le dita sopra i bianchi tasti d avorio: una melodia stonata risuonava nellampia sala, svuotata di ogni mobilio, se non per qualche strumento musicale lasciato lì a marcire. La debole luce filtrava tra le tende e il suo volto appariva e scompariva nel buio, in un continuo gioco di chiaroscuri. Audrey aveva sempre preferito l oscurità alla luce, trovava che fosse decisamente più affascinante e, in qualche modo, più sincera.
«
Termina questo lamento straziante e vieni in sala da pranzo, mamma dice che hai bisogno di mangiare qualcosa.» Una figura minuta era comparsa sulla soglia della porta, i capelli biondi imprigionati in un ordinato chignon e uno svolazzante abito di velluto rosso in perfetto contrasto con la pelle chiara.
Audrey non capiva perch
é Guinevre mettesse tanto impegno nel curare il proprio aspetto: nessuno, lì dentro, avrebbe fatto caso al suo abbigliamento. Tuttavia, la sorella insisteva nel continuare quella stramba recita, come se fingere che la vita stesse continuando a scorrere con ordinaria normalità potesse effettivamente riportarle indietro, fino a raggiungere quellesistenza spensierata che Audrey ricordava a malapena.
«
Se dessimo ascolto ai consigli di mamma sul cibo credo che saremmo entrambe grasse come balene!» Replicò Audrey, sorridendo alla sorella e abbandonando lo sgabello sul quale era seduta per raggiungerla.
 
«Per Dio, no! Non potrei mai più indossare abiti come questo, dovrei buttarli via tutti e chiudermi a chiave in camera mia.» Lespressione di Guinevre era terrorizzata: una tale prospettiva, per lei, non era nemmeno contemplabile.
Audrey affianc
ò la sorella e con un sospiro rassegnato si arrese a seguirla fino in cucina. Le due ragazze percorsero a passo spedito numerosi corridoi, superando porte che nascondevano sale eleganti e mobili di legno pregiato ormai seppelliti dalla polvere.
Quella casa, in un tempo non troppo lontano, era stata la residenza di una nobile famiglia inglese, amante dello sfarzo e delle feste. Tuttavia, da una quindicina di anni a quella parte, i nobili padroni della tenuta avevano perso interesse per quel luogo in cui in passato la loro famiglia aveva trascorso anni piacevoli e l
avevano abbandonata a se stessa.
Le due ragazze raggiunsero la cucina, ma i sussurri concitati che udirono provenire dall
interno le costrinsero a fermarsi: Guinevre si guadagnò a suon di spinte il diritto di spiare dal buco della serratura e Audrey dovette accontentarsi di premere l orecchio contro la fredda superficie della porta, nella speranza di scoprire di cosa stessero discutendo le donne.
«
Respira più piano!» Le intimò Guinevre con tono isterico, mettendo una mano davanti alla bocca della sorella che, in risposta, le morse prontamente il mignolo. La ragazza soffocò un urlo, lanciando uno sguardo furioso in direzione di Audrey la quale, nel frattempo, era tornata a concentrarsi sulla conversazione in quel momento in atto in cucina.
«
Hai sentito cosa ha detto Tuono. E stata una strage, non hanno risparmiato nemmeno le bambine…» Le due giovani si scambiarono unocchiata allarmata quando riconobbero la voce disperata della madre. Audrey abbassò quasi subito lo sguardo, mentre i pensieri si rincorrevano veloci e la domanda che era ormai abituata a porsi si faceva spazio nella sua mente: chi è morto questa volta?
Nella sua breve vita Audrey aveva dovuto affrontare pi
ù lutti del dovuto, non si stupì, quindi, quando avvertì una familiare morsa aggredirle lo stomaco e unansia ormai conosciuta opprimerle i sensi: chi piangeremo oggi?
«
Non riesco e non voglio crederci!»
«
Nove e sei anni…»
«
La pagheranno cara!»»
Le voci delle donne erano un miscuglio di rabbia, paura e dolore. Le stesse emozioni che si agitavano nel petto di Audrey e che la ragazza ritrov
ò anche negli occhi della sorella: entrambe erano rimaste immobili, il respiro affannato e il cuore che batteva veloce.
Nove e sei anni
.
Nella stanza era calato il silenzio ed Audrey e Guinevre, ancora stordite da ci
ò che avevano udito, si accorsero troppo tardi dei passi pesanti che si avvicinavano alla porta. Furono sbilanciate allindietro, quando questa si aprì, e caddero, colpendo il pavimento con la schiena. Una figura imponente le sovrastava e le due ragazze scorsero un sorrisino familiare farsi spazio fra le labbra dell uomo.
Tuono era il messaggero della trib
ù di Licantropi che occupava la foresta adiacente alla proprietà in cui Audrey abitava insieme alle altre donne della sua specie: era il genere di uomo che avrebbe intimorito chiunque con un solo sguardo, ma chi lo conosceva sapeva che era tutto il contrario di ciò che sembrava.
«
Qualcosa non va, Tuono?» Chiese una voce che Audrey associò immediatamente a Janette.
«
No, va tutto benissimo. Arrivederci signore!» Replicò lui, chiudendosi la porta alle spalle e rivolgendo uno sguardo di rimprovero alle due ragazze, che nel frattempo avevano tentato di ricomporsi e si erano alzate da terra.
«
Filate, prima che mi venga voglia di dire a vostra madre che razza di ficcanaso siano le sue figlie!» Sbottò l uomo, avviandosi verso la porta d ingresso e scoccando unultima occhiata divertita ad Audrey e a Guinevre. Poi, una volta che ebbe raggiunto lingresso, le sue spalle possenti sparirono dalla vista delle ragazze che, non più in grado di trattenersi, spalancarono la porta della cucina e si precipitarono all interno.
Lo scenario che si present
ò loro davanti non era molto diverso da quello che avevano immaginato: le donne erano sedute intorno al tavolo di legno logoro su cui, anni prima, la servitù della casa aveva consumato i pasti un numero infinito di volte, e ognuna aveva lo sguardo fisso e vitreo perso in diverse direzioni e lespressione sfinita di chi non ha dormito per più di qualche ora.
«
Cosa è successo?» Domandò Audrey, lansia che le attanagliava lo stomaco, impedendole quasi di respirare.
I nomi, vi prego, ditemi i nomi!

Margot rivolse uno sguardo carico di dolore alle figlie, desiderando ardentemente di non dover pronunciare quelle parole, cosa che, purtroppo, era costretta a fare. Avrebbe voluto proteggere Audrey e Guinevre da quella notizia terribile, avrebbe voluto impedire che piangessero le ennesime perdite
eppure, mentre guardava le sue figlie, si rese conto di essere totalmente impotente contro un destino che, se avesse voluto, avrebbe potuto strappargliele via dalle braccia in un battito di ciglia.
La donna si port
ò stancamente una mano alla fronte, chiudendo solo per un attimo gli occhi stanchi, nel tentativo di porre fine al dolore acuto che le trafiggeva la testa da quando Tuono era giunto, allalba, portando con sé quelle terribili novità.
«
Le De La Rouge. Uccise.» E il dolore colpì, atteso, ma non meno straziante.

 «Avete sentito come urlavano? Sembravano galline strozzate!» Gli uomini risero sguaiatamente, ringalluzziti dalla recente vittoria e dallampia ricompensa che speravano di ricevere in cambio delle loro eroiche gesta.
L
' autore della battuta fu raggiunto da una serie di incoraggianti pacche sulle spalle, mentre le bocche di tutti erano impegnate a sorseggiare il vino scuro offerto loro dal proprietario del locale.
Lo Stregato Parigino non aveva pi
ù oppositori. Loretta De La Rouge era stata uccisa e le ribelli superstiti sarebbero presto cadute, esattamente come la loro regina.
Un ragazzo dai capelli corvini era rimasto per
ó in disparte da tutto quel fracasso, ponendo mezza tavolata di distanza tra lui e gli uomini brilli e festanti che lui stesso aveva guidato in missione poche ore prima. Non sembrava avere alcuna voglia di unirsi ai festeggiamenti: quel giorno era stato un momento storico, certo, ma Lèonard non riusciva a godersi pienamente quel successo. Il motivo? Il motivo era la sua insulsa umanitá, quella parte di sè che cercava con tutto se stesso di nascondere... quella stessa parte che non sarebbe mai riuscito a scacciare, o sopprimere, e a cui andava attribuita la colpa dell' immagine di quei due piccoli cadaveri marchiata a fuoco nella sua mente. Un'immagine che non sarebbe svanita... Non sarebbe svanita mai.
Con uno scatto rabbioso, L
èonard si alzò, attirando su di sè gli sguardi sorpresi dei suoi commensali.
«
Ve ne andate di già, Signore?» Domandò uno degli uomini. Si trattava di Gregory Timmons, un inglese giunto a Parigi per garantire sostegno al padre di Lèonard, l' uomo a capo dello Stregato Parigino. In quanto figlio di Nicolas La Roche, spettava a Lèonard, suo secondo, guidare le missioni e i sottoposti: un compito a cui, nel profondo, avrebbe volentieri rinunciato.
«
Non è nel vostro interesse conoscere i miei movimenti o le mie intenzioni, o sbaglio, Timmons?» Replicó freddamente. «Lascio a voi l'ingrato compito di riaccompagnare gli ubriachi, sembra che fare la balia vi piaccia». Senza lasciare ad alcuno il tempo di replicare, Lèonard afferró il suo cappotto ed uscì dal locale.
Erano i primi di febbraio e la gelida aria della sera gli fece correre un brivido lungo la schiena; se non altro, il freddo gli avrebbe dato qualcos'altro a cui pensare.

Non si toccano gli innocenti, L
èon.
Ancora quella voce, ancora lei: era forse una sorta di rivalsa della sua coscienza? Un passo, due passi, tre passi... doveva concentrarsi su qualcosa, qualsiasi cosa. Doveva tenere il dolore a distanza, allontanare il rimorso, soffocare le emozioni, perch
è solo cosí si sarebbe garantito la sopravvivenza.

Quando arrivarono la porta era aperta e una pozza di sangue, perfettamente circolare, faceva bella mostra di sè nell'atrio; ma ció che lo colpí maggiormente fu il silenzio. In quella casa regnava un silenzio innaturale, gelido, asfissiante.
L
èonard mosse qualche timido passo, facendo cenno agli uomini che lo seguivano di imitarlo; sapeva che in quel luogo era accaduto qualcosa di terribile. La morte li aveva preceduti.
Plic... Plic... Plic.

Gocce vermiglie colavano dal soffitto e L
èonard capí cosa avrebbe visto ancora prima di alzare lo sguardo: una donna, penzolava, oscillando lentamente, da una vecchia trave di sostegno. I suoi polsi erano tagliati da due nette linee purpuree e il sangue ne sgorgava sempre piú lentamente, andando a creare una melodia stonata, stanca.
«
Beh, ci ha risparmiato il lavoro!» Fu il gelido commento di un uomo dall'aria delusa: non sembrava contento di aver dovuto fare a meno di sporcarsi le mani.
L
èonard non replicó, lo sguardo incatenato come da un filo invisibile a quella figura ciondolante. Ondeggiava in una maniera quasi comica: il collo spezzato innaturalmente piegato verso destra, la bocca spalancata in un grido muto e gli occhi ancora colmi del terrore che aveva preceduto la morte.
Aveva scelto il proprio destino, ma in quell'attimo, quell'istante tra la vita e la morte, si era pentita.

«
Signore, vostro padre...lui aveva parlato anche di due bambine.»
«
Trovatele.»
E le trovarono. Erano nascoste in un armadio, i corpicini tremanti, lo sguardo terrorizzato.

Accadde in un attimo.

Prima ancora che L
èonard potesse dire "ah": di loro non rimaneva nulla, se non due gusci vuoti, bagnati di sangue innocente.

Quell'immagine rimaneva lí, immobile, e per quanto cercasse di concentrarsi sul rumore che i suoi passi pesanti producevano nello scontrarsi con il suolo, la sua mente non sembrava intenzionata ad abbandonarla. Quella notte era buia e cupa tanto quanto i suoi pensieri, non si sarebbe stupito - nè dispiaciuto - di esserne semplicemente inghiottito, sparendo senza lasciare traccia.
L'eco dei suoi passi risuonava con chiarezza nella via vuota e scarsamente illuminata, scandendo il suo ritorno a casa. Sapeva cosa l'attendeva: da quando aveva preso il comando delle battute di caccia, suo padre insisteva affinch
è lo facesse. Era arrivato il momento per lui di eseguire fino in fondo i suoi doveri verso lo Stregato Parigino, dimostrando impegno e devozione.
Non era assassinio, era dovere, giustizia.
Erano queste le parole che L
èonard si ripeteva, come un mantra, dopo ogni battuta, per combattere i fantasmi che lo seguivano nella sua scia di morte.
Quando raggiunse finalmente la sua meta si fermó per qualche istante a contemplare il lussuoso edificio dall'aspetto severo, accarezzandolo con lo sguardo, rimandando il momento che lo avrebbe visto entrare. Ma ormai non c'era piú nulla da rimandare, avrebbe detto la veritá e si sarebbe impegnato per migliorare: non avrebbe permesso alla codardia di vincere.
A rapide falcate Lèonard salí i gradini che lo separavano dall'atrio e, impegnando la mente nello sforzo fisico, cominció a salire con foga le scale, due o tre alla volta, cercando di mantenere sempre lo stesso ritmo.
Quando giunse davanti alla porta di casa la trovó aperta. Nicolas La Roche lo attendeva sulla soglia, le sopracciglia sollevate e la bocca contratta in una smorfia di disapprovazione. Era un bell'uomo, suo padre, sebbene gli anni avessero messo a dura prova il suo fisico atletico, gli occhi, azzurri come quelli di Lèonard, vantavano un'espressivitá e una profonditá non comuni, mentre i capelli spruzzati d'argento gli donavano un'aria matura e autoritaria.
«Mi stavo giusto domandando se avessi avuto la malsana idea di rientrare insieme ad un cavallo. Ma suppongo che il motivo di questo baccano sia unicamente tu... E non porti neppure degli zoccoli. Sorprendente.» Gli occhi chiari brillavano di malizia. L'umorismo poteva considerarsi una delle doti di suo padre, un'arma dietro cui spesso nascondeva anche l'ira. Era in grado di punire le persone anche solo con una battuta, pungente abbastanza da far loro desiderare di non esistere, o di possedere il potere di annullarsi.
«Perdonate, padre, non avevo intenzione di arrecare disturbo. Ero sovrappensiero.» Una cosa fondamentale, se si voleva sopravvivere a Nicolas La Roche, era il saper fare buon uso della cortesia. E, naturalmente, era d'obbligo sorridere alle sue battute, ma mai rispondere a tono.
«Suvvia, Léon, me ne sono già dimenticato! Entra in casa adesso, voglio un resoconto completo della missione, direttamente dal mio comandante in seconda.» Il suo tono suggeriva buonumore e attesa: era abbastanza chiaro cosa si aspettava che Léonard gli riferisse. Sul suo volto dai lineamenti regolari spiccava un chiaro sentimento di orgoglio e, per un attimo, Léonard si sentì mancare al pensiero di ciò che stava per riferirgli. Ma era suo dovere farlo. Doveva dirgli la verità e mostrarsi profondamente pentito per la sua codardia e la sua ritrosia nel fare ciò che era più giusto.
«Padre, è mio compito informarvi immediatamente riguardo a come sono andate le cose. So che, con quanto sto per dire, vi deluderò molto, ma spero che possiate perdonarmi.» Fece una breve pausa, badando a mantenere il contatto visivo. «Oggi non ho agito, ma nemmeno ne ho avuto veramente l'occasione: quando siamo arrivati nella loro tana Loretta De LaRouge era già morta. Si é uccisa. Sapeva del nostro arrivo, padre, e ho ragione di credere che sia stato uno dei nostri a tradirci.»
«E le bambine? Perché voi avete trovato le bambine, non é forse vero?» La domanda era stata fatta con un tono incolore, che non lasciava trasparire alcuna emozione.
«Sì, le abbiamo trovate.»
«E chi è stato ad ammazzarle, Lèonard?»
«Non ho intenzione di negare le mie colpe. Ho esitato, padre. Ho esitato, ma non mi sono rifiutato, e non l'avrei mai fatto. Semplicemente, c'é stato chi ha agito con meno incertezza e... sono stata preceduto.» Per un folle attimo Léonard pensò che si sarebbe messo a ridere: nei suoi occhi comparve un luccichio beffardo che, ben presto, invece che da una risata, fu accompagnato da un sorriso, un sorriso terribilmente amaro.
«Sei stato preceduto? Il figlio del Mago più influente di Parigi é stato preceduto. Hai idea Léonard delle aspettative che pesano su di te?» Tutto questo lo disse sempre con estrema calma, dare in escandescenze non era nel suo stile.
«Lo so bene. Comprendo la gravità del danno che rischio di arrecare alla nostra immagine, ma intendo rimediare. Voglio rimediare con tutto me stesso.» Per la prima volta da quando Léonard aveva iniziato a parlare, Nicolas si mosse: si passò le mani tra i capelli e il suo viso passò dal nervoso al preoccupato nel giro di pochi secondi. Improvvisamente, agli occhi di suo figlio, apparve molto più umano, fragile come non lo vedeva da parecchio tempo.
«Léonard, sono deluso da quanto è accaduto, ma non sono deluso da te. Questo voglio che sia chiaro. Io so perchè agisci come agisci: come tua madre, sei poco incline ad assistere alla sofferenza altrui, figuriamoci ad infliggerla. Hai un grande rispetto per la vita e questo, per un padre, non può essere che un motivo di orgoglio. Devi imparare, però, a distinguere fra chi merita la vita e chi no: loro non sono come noi, Léonard. Salvarne una, una soltanto, equivale a promuovere la distruzione. Il problema non è la nostra diversità, non è la supremazia... il problema riguarda le loro anime corrotte: ogni tempesta, ogni grande disastro... tutta la sofferenza di cui è pieno il mondo può essere ricondotta a loro. È questo quello che accade quando ci si impossessa di poteri che non ci appartengono: è la Natura che dovrebbe controllare noi, Lèonard, non viceversa. Il buon Dio ha dato anche a noi dei poteri, poteri che altri uomini non possiedono, questo è vero, ma si tratta di poteri che non sono in grado di interferire con i suoi, o con ciò che ha creato. Si tratta di capacità che ci sono state assegnate per aiutare a mantenere l'ordine e per riparare, nei limiti di ciò che è umano, alle ingiustizie del mondo.
Perciò, Léonard, la prossima volta dovrà essere quella decisiva per te,  quella che sancirà da che parte desideri stare. Siamo tutti peccatori a questo mondo, ma esiste un enorme divario tra chi nel peccato ci sguazza con gioia e chi invece lo affronta, combattendolo con dedizione e coraggio. »
«Non fallirò, lo prometto.»
  
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