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Autore: tableforone    12/03/2017    0 recensioni
[Tutti insieme all\'improvviso]
Appoggiata a un pilastro, Federica sposta il peso del corpo da un piede all’altro. Le correrebbe dietro, ma Sara è... triste.
Sara/Federica
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nessun grado di separazione
Sempre un passo indietro
e l’anima in allerta,
guardavo il mondo da una porta
mai completamente aperta.
 
 
Il contorno della pancia compare dai lembi della giacca aperta.

Non se ne era mai accorta prima.

È diverso, vederla da lontano.

Sara cammina a testa bassa sotto l’arcata che porta al giardino del suo palazzo, le mani in tasca e il passo veloce. Il peso del ventre sembra premerle le spalle verso il basso, il viso è quasi incassato tra le scapole.

Non si accorge che le è vicino – molto più di quanto lo sia stata negli ultimi due mesi. Prosegue in silenzio senza notarla. Appoggiata a un pilastro, Federica sposta il peso del corpo da un piede all’altro. Le correrebbe dietro, ma Sara è... triste.

Triste nel modo di camminare, di portarsi dietro il peso del suo corpo. L’ultima volta che l’aveva vista non era così: si poteva dire che fosse riuscita a mantenere la sua vita equilibrata, tra il libro e la scuola fino a quel momento non sembrava particolarmente avvilita. Eppure ora si accorge che qualcosa di differente c’è, qualcosa di indefinito.

Era stato un errore pensare di poter fare finta di nulla.

Di poter fare a meno di lei.

La confessione non aveva davvero rovinato tutto. Semplicemente, ogni volta che le si avvicinava, ora notava le reazioni di Sara. Vedeva i suoi occhi, come la bocca si schiudeva mentre la ascoltava, tutte le attenzioni che aveva per lei, la sua esitazione. Dettagli che la sua mente aveva ignorato prima che Sara le dicesse cosa provava, non li aveva nemmeno presi in considerazione. Nemmeno il modo in cui l’aveva guardata mentre ballavano in discoteca, dopo il bacio, come se avesse finalmente trovato il suo posto nel mondo, i suoi occhi l’avevano studiata in modo diverso.

Anche Luca aveva cominciato a darle fastidio.

Il suo modo di toccarla in continuo, passare una mano sulla pancia mentre Sara dormiva, come gli scappava di chiamarla mamma di tanto in tanto.

Come le stava addosso, così fuori posto.

O forse era lei ad esserlo.

C’era stato... quel bacio. Totalmente inaspettato, frutto dell’eccitazione del momento.

Della prima volta in cui il bambino aveva scalciato.

Da quando Sara era uscita dall’ospedale, Federica aveva passato con lei praticamente tutti i giorni. Entrava e usciva da casa sua senza che nessuno le dicesse niente ormai, restava spesso fino a tardi, più di una volta si erano addormentate insieme.

E quella sera, sedute sul divano, Sara aveva improvvisamente spostato lo sguardo dallo schermo della tv a Federica, il suo sorriso era stato coperto con il palmo di una mano, mentre l’altra aveva afferrato la sua e l’aveva premuta sul ventre. Nonostante tremasse, la sua presa era forte e i suoi occhi lucidi e Federica, in balia dei dettagli che la sua mente stava registrando, non si era accorta del movimento di Sara.

Quello di sporgersi, in avanti, tirandola verso di sé con la mano libera che premeva sulla nuca. Quello di appoggiare il suo sorriso contro la bocca di Federica. Quello di ripetere il gesto più volte, anche se lei era rimasta immobile, lasciandole baci a stampo dopo aver preso fiato.

Ma Sara era radiosa e il bambino continuava a muoversi sotto la sua mano, e lei non aveva avuto il coraggio di allontanarsi.
Quella felicità le era passata sottopelle nonostante lo stupore.

Non le aveva dato fastidio, l’aveva semplicemente presa in contropiede. Baciare Sara non le aveva mai creato disagio, la sensazione era piacevole e c’era sempre stata una sorta di intimità tra di loro. Non si era posta domande, ma c’era.

Poi il comportamento di Sara era cambiato. Le sue labbra si erano fermate contro le sue, si era allontanata, allentando la presa sul suo viso, e senza sorridere l’aveva guardata. Il suo sguardo era slittato tra i suoi occhi e le sue labbra, in preda al panico.

Scusa.

Gliel’aveva ripetuto più volte.

Scusa, scusa, scusa.

E poi, Sara le aveva chiesto di andarsene.

All’inizio aveva pensato di aver sentito male, di essersi persa qualcosa. Ma Sara era seria, continuava a guardarla ma era chiaro che la sua mente stesse lavorando su altro.

“Pensavo di poter accontentarmi, Fede, ma non è così. Ho bisogno che ti allontani da me”.

E lei aveva provato prendendole le mani, dicendole che non doveva agitarsi, che non era successo niente, che aveva perfettamente capito che il gesto era stato inaspettato persino per lei, che era stato solo la gioia di un attimo.

“No. C’è molto di più. Nella mia testa, tu sei molto di più.”  Non era riuscita a capire subito cosa Sara stesse intendendo, ma aveva riconosciuto sul suo viso la stessa espressione di quando si era dichiarata e sapeva che non era pronta a sapere il resto.

“Tu cresci il bambino con me”, aveva ammesso, con gli occhi lucidi. “Nella mia testa, tu cresci il bambino con me. Mi immagino di vederti tornare di sera a casa, di prenderlo per coccolarlo mentre io crollo sfinita sul divano; immagino che ci chiami mamma”.

Mamma.

Quella parola, il modo il cui l’aveva pronunciata, la sensazione che aveva provato a sentirsi chiamare in quel modo per la prima volta – aveva risentito tutto più volte in quei due mesi. E, sempre, aveva avuto lo stesso effetto.

“Non c’è Luca nella mia testa, non c’è mia madre, non c’è nessuno se non noi tre. Per questo è successo. Perché per un attimo ho dimenticato che tutto questo non esiste, che è solo un’illusione che mi aiuta a rendere la cosa più sopportabile. Non so quanto ragionevole sia usarlo come giustificazione, ma mi rendo conto che tutto questo non è giusto. Nei tuoi confronti, che non ricambi, in quelli di Luca, che ha il diritto di far parte della vita del bambino... averti vicino peggiora la situazione”.

L’aveva guardata, mentre riprendeva fiato. Aveva cercato di trovare qualcosa da dire, ma aveva fallito. Quello che Sara aveva descritto era inaspettato, troppo.

Troppo... troppo piacevole.

Sì, era questo. L’immagine era stata troppo piacevole. Le era quasi venuto da chiederle ma che male c’è? Aveva avuto la tentazione di dirlo.

Ma che male c’è? Lo immagino anche io...

Ma era rimasta in silenzio, e Sara aveva abbassato gli occhi e sussurrato a bassa voce le ultime parole che si sarebbero scambiate in otto settimane.

“Per tutto il tempo, mentre Luca mi baciava e mi spogliava e mi toccava- io ho immaginato che ci fossi tu al suo posto. Mentre questo bambino mi nasceva dentro, io stavo facendo l’amore con te”.

La sua voce era così sottile... Federica quasi non riusciva a respirare.

“Per favore, Federica, per il bene di tutti, allontanati”.

“Questo non fa il bene di nessuno”.

È la prima cosa che le esce quando Sara apre la porta di casa.

La sua postura si raddrizza, le spalle si aprono, mentre la guarda a bocca aperta. Riconosce il profumo di Sara, i suoi lineamenti da vicino. Averla a due passi le rende palese quanto le sia mancata.

Osserva il suo viso, la sua pancia, nonostante la tristezza di fondo e la sorpresa c’è una luce che le caratterizza gli occhi. Per un attimo desiste dall’impulso di avvicinarsi. Poi rinuncia: con un passo la raggiunge, con una mano scosta i capelli dalla fronte, quanto sei bella, le sussurra prima di avvicinarla a sé.

Il gonfiore del ventre la tiene più distante rispetto a prima, rende il gesto più goffo, ma il suo nome si attutisce quando riesce a raggiungere la bocca. Sente vagamente il rumore della borsa che cade a terra, Sara le accarezza con le mani i capelli appena più lunghi e Federica si spinge sulle punte.

Le loro labbra si toccano come sempre, appena più aperte di un bacio a stampo, ma non troppo da risultare eccessivo. Scosta il labbro inferiore per riprendere fiato, e poi ripete il gesto.

Scorda il motivo per cui è tornata mentre la bacia, il discorso che avrebbe dovuto dirle, le parole che si erano fatte sempre più chiare in quei due mesi nella sua testa.

Le lascia un altro bacio, altri, sempre lì prima di continuare lungo la guancia, verso la linea dei capelli, fino a stringerle le braccia al collo, nascondendole il sorriso che non riesce a evitare.

È questo il suo bene. Il bene di tutti.

Indietreggia appena, le afferra le mani e lascia che rimangano tra di loro. Fa un respiro profondo mentre il viso spaesato di Sara la osserva.

“Avevi ragione”, ammette. “Io scappo da tutto. È nella mia natura, sono instabile. Non cerco di capire il significato inconscio di quello che faccio, non mi interessa rimuginare o riflettere. Quella sei tu, ed è probabilmente per quello che tu ti sei innamorata e io no. Perché la prima volta che ti ho baciata, anche se avevo scelto io di farlo, non mi ero fatta domande sul perché. È stato un istinto. Come per il bacio che è venuto dopo. Come tutto quello che ti riguardava: non mi sono chiesta se avesse senso, sembrava solo... giusto”.

Inspira, rivolgendo per un attimo gli occhi al pavimento, prima di tornare a guardarla.

“Me ne sono andata quando mi hai detto di farlo perché non vedevo altro. Non comprendevo quello che tu volevi per te e per questo bambino. Ma in questi due mesi non ho potuto smettere di pensarci. Continuavo ad analizzare quello che era successo tra di noi, mi chiedevo in continuazione come avessi potuto ignorare i tuoi comportamenti. E i miei”.

Vorrebbe poter accarezzare la fronte corrucciata di Sara, rendere la sua espressione meno insicura, ma sa che si dimenticherebbe quello che le dovrebbe dire e si perderebbe a osservare il suo viso.

“Sono tornata perché ora capisco. Anche se non so spiegarmelo. Anche se non so cosa mi hai fatto o cosa sia più giusto che faccia per te. Però ora lo vedo. E voglio tutto quello che hai immaginato per noi”.

Sara inspira, di colpo. Con le sue labbra schiuse e le mani che tremano tra le sue, le fa quasi venire da piangere.

“Non posso assicurarti che non andrò in crisi, che non cercherò di scappare di nuovo, ma penso tu possa capire cosa significhi dubitare di qualsiasi cosa tu abbia vissuto prima d’ora. Sto cercando di giustificarmi, lo so, ma al momento non ho neanche il coraggio di farmi certe domande, perché temo quale risposta potrei trovare. Però so che queste settimane sono state insopportabili, senza poterti vedere o chiederti come stavi. Non voglio questo. Voglio tutto. Anche se non so se ne sono all’altezza, anche se è da immaturi sperare di poterci riuscire. Anche se devo mettere in discussione tutto il resto”.

Sono ancora sul pianerottolo quando la madre di Sara apre la porta. Il viso di Sara è sempre nascosto tra il suo collo e la spalla, un braccio di Federica continua ad accarezzarle la schiena e l’altro i capelli.

La donna alla porta emette un leggero oh, le osserva incerta, con gli occhi sbarrati, ma nemmeno la sua presenza è riuscita totalmente a calmare i singhiozzi di Sara. Al contrario, le sue braccia stringono la presa e Federica quasi non riesce a respirare, l’abbraccio in cui sono strette non lascia posto ad altro.

Annamaria le guarda, indecisa, ancora per qualche secondo. Poi, lentamente, si gira e chiude la porta alle sue spalle.

“Non sarà semplice”, la sente mormorare, la voce ancora malferma dal pianto. “O fai parte della vita di questo bambino oppure no. Niente vie di mezzo adesso”.

Le si stringe il cuore al pensiero che Sara senta il bisogno di ricordarglielo. Ma non la biasima, lei stessa le ha appena confessato che sentirà l’impulso di fuggire ancora. Eppure la stretta di Sara non la soffoca e il pensiero di essere madre – in un certo senso – con Sara la terrorizza, è vero, ma non si è mai sentita tanto orgogliosa.

I suoi genitori probabilmente la manderanno fuori di casa. Sara è appena maggiorenne a pensarci bene. E nessun altro sa, nessuno sospetta. E come giustificherà la sua presenza alla famiglia di Sara dopo essere scomparsa all’improvviso?

“Te l’ho detto. Voglio tutto”.

Non le viene altro, nessuna giustificazione riesce ad attenuare quel Voglio tutto che le continua ad uscire dalla bocca.

La mano che accarezzava i capelli di Sara scende e le sfiora la pancia. È talmente immaturo e ingenuo pensare che questo possa essere normale per gli altri, che possa avere un senso persino per loro due. Non merita Sara, né il perdono, né questa sensazione che le suscita nella pancia.

Ma non riesce a lasciarla andare. Non vuole nemmeno.

Sara si allontana appena, asciuga gli occhi con il dorso di una mano mentre le sorride. Afferra le dita che le sfiorano la pancia e le preme più forte contro il ventre. Con l’altra mano le accarezza la nuca, i movimenti lenti e calmanti, volontariamente si avvicina e le bacia la bocca.

No, non vuole lasciarla andare.
  
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