Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: _Akimi    12/03/2017    0 recensioni
[accenni Asahi x Sugawara] Giappone, 1906
"Gli era mancato il Giappone, ed era inusuale ritrovare l'amor di patria nello sguardo di un uomo che non aveva mai incontrato prima di quella sera; vi era qualcosa in lui di familiare, gli ricordava i pomeriggi assolati a leggere letteratura occidentale e il frinire di cicale nelle estati passate negli uffici; eppure, era proprio la sua timidezza ad evocare in lui qualcosa che in realtà non aveva mai realmente vissuto."
III° classificata al contest ‘Di fiori, amori e passioni’ indetto da Emanuela.Emy sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Asahi Azumane, Daichi Sawamura, Koushi Sugawara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sulla via del ritorno

Giappone, 1906*


Era incredibile come tra lo schiamazzare della gente, Asahi Azumane – l'uomo più distratto dell'intero Giappone – riuscisse a concentrarsi su un misero, piccolissimo dettaglio.
Era un futile dettaglio che lo imbarazzava, percepiva la gola restringersi, la vista appannare mentre il suo viso diveniva completamente rosso.
Si sentiva uno sciocco, se ne rendeva conto, ma si trattava di uno di quei superflui particolari che lo rendevano ancora più timido, forse perché vittima delle cose belle, ed essendo così vulnerabile davanti alla bellezza, finiva sempre con abbassare lo sguardo, evitando un confronto.
Asahi Azumane era fatto così, si nascondeva dai pericoli sin da quando era bambino, aveva paura delle forti emozioni, delle situazioni che lo destabilizzavano e sopratutto, delle persone che lo rendevano insicuro, che leggevano nel suo sguardo più del dovuto.
Asahi era un uomo semplice, credeva facilmente a ciò che gli altri gli dicevano, ma non per questo si fidava senza nessuna riserva; non si apriva con spontaneità davanti a chi non conosceva, ma una parte di sè rimaneva sempre attrattata dalle novità, dalla possibilità di cambiare davvero la propria vita.
Il mondo era troppo vasto per un essere come lui, aveva a fatica visitato il nord del paese, eppure, persino i suoi brevi e noiosi viaggi gli erano serviti per portare una piccolissima parte di Giappone a casa sua.
Viveva la maggior parte del tempo chiuso nella piccola libreria di famiglia, non leggeva – mai lo aveva fatto -, ma negli ultimi anni si era convinto a sfogliare un paio di pagine solo per il piacere di farlo, per poter dire di aver superato quella pigrizia che, sin troppo spesso, gli era stata criticata dagli altri.
Aveva letto di grandi nazioni ad occidente, di abitudini che rappresentavano una società diversa dalla sua e così aveva spesso immaginato che aspetto avessero le grandi città citate nei libri della sua famiglia; Berlino, Roma, Londra – parevano solo dei nomi privi di significato, un agglomerato di caratteri che occupava ordinatamente una linea in un foglio bianco.
Eppure, quei semplici suoni rievocavano la sua parte più bambina, l'innocuo desiderio di lasciare casa per intraprendere folli avventure, conoscere nuove persone, mangiare nuovi cibi, ma tutte queste illusioni scomparivano non appena si rendeva conto di non aver né il coraggio né i mezzi per lasciare il paese.

Si riteneva fortunato, estremamente fortunato, Asahi Azumane, anche se non comprendeva ancora se si meritasse così tanta bontà da parte degli dei; non pregava molto, aveva smesso di farlo da quando in Giappone vi era un forte sentore di guerra, e credeva ancor meno nelle divinità ora che sentiva raccontare della vita lontano dall'Asia.
Per gli europei la fede era molto più semplice – o forse complicata, dipendeva dai punti di vista- poiché il loro era un unico dio, avevano la mania di indossare abiti scuri durante i periodi di lutto e un'intricata simbologia caratterizzava il loro credo, anche se Asahi era troppo pigro per scoprirne il significato.
Per questo motivo, voleva cogliere l'occasione di imparare qualcosa di più di quelle terre lontane di cui aveva sentito parlare, ma l'imbarazzo del chiedere era tale che, il suo miglior amico, Sawamura Daichi, mostrava con un'espressione dipinta sul volto il chiaro dispiacere di averlo obbligato ad uscire con lui, quella sera.
Sawamura si era presentato a casa sua solo poche ore prima, era giornata di riposo per tutti e Asahi, forse sin troppo ingenuo, aveva accettato una bevuta poiché considerava maleducato rifiutare un invito di un vecchio amico.
Tuttavia, in quell'esatto momento, pareva essere Daichi il più rammaricato dei due; conosceva Asahi sin troppo bene, erano amici d'infanzia, ma mai prima d'ora aveva visto un uomo così grande e poco aggraziato svelarsi intimorito e taciturno davanti ad un nuovo arrivato.
Un nuovo arrivato che altro non era che un loro coetaneo, un giovane all'apparenza fragile e malleabile, ma che non appena presentatosi, non si trattenne dal mostrarsi grintoso e pronto a qualsiasi confronto.
Asahi ne rimase incantato sin dal primo instante; da quando lo vide entrare nel locale il borbottare degli altri clienti parve scessare, la luce tenue che illuminava la sala sembrava schiarire i lineamenti delicati del suo volto e proprio sul suo viso, Asahi poté trovare i più piccoli e affascinanti dettagli.
Lo osservava mentre parlava: il modo in cui frugava nei propri abiti per trovare gli oggetti conservati dal suo lungo viaggio, l'enfasi e la cadenza nel raccontare della vita quotidiana di Londra o il semplice movimento dei suoi occhi che, in un breve istante di distrazione da parte di Daichi, andavano a posarsi sulla figura pensante di Asahi.
Quest'ultimo era perso nei propri pensieri, ma ogni volta vedeva le iridi dell'ospite su di sé e non poteva fare altro che trattenere l'imbarazzo; Daichi non desiderava essere testimone di quel pericoloso gioco di sguardi, forse sapeva, forse faceva finta di non vedere, e Asahi si ripeteva che doveva trattarsi di una sciocca provocazione, di un modo di osservare che l'uomo doveva aver ereditato dopo il suo soggiorno in compagnia degli inglesi.

Da parte sua, Sugawara Koushi – così si era presentato con una rigorosa stretta di mano – tratteneva per educazione una risata che, di per sé, non era destinata a schernire l'amico di Sawamura; certo, era in parte stranito dall'eccessiva timidezza di Asahi, ma il velo di curiosità mista a infelice malinconia che trovava nello sguardo dell'altro lo obbligava a non allontanare gli occhi da lui.
Gli era mancato il Giappone – era questo ciò che pensava nel vedere Azumane davanti a sé; appariva trascurato per essere un loro connazionale, questo gli ricordava la vita semplice nella campagna britannica, ma non mancava di quella fastidiosa formalità che caratterizzava tutti i giapponesi.
Asahi si preoccupava più dell'apparire – in quel momento – piuttosto che del proprio essere, e questo infastidiva non poco Sugawara poiché era certo di avere di fronte un uomo genuino, più dello stesso Daichi, forgiato dalla guerra contro i vicini russi, e più di sé stesso, ormai uomo diviso tra due realtà differenti.
Gli era mancato il Giappone, ed era inusuale ritrovare l'amor di patria nello sguardo di un uomo che non aveva mai incontrato prima di quella sera; vi era qualcosa in lui di familiare, gli ricordava i pomeriggi assolati a leggere letteratura occidentale e il frinire di cicale nelle estati passate negli uffici; eppure, era proprio la sua timidezza ad evocare in lui qualcosa che in realtà non aveva mai realmente vissuto.
Così, Sugawara scavava nella sua memoria, cercava invano un ricordo che lo aiutasse a riconoscere quel sorriso distratto, quelle ciocche di capelli scuri che gli ricadevano disordinatamente sul viso e la sua voce, il tono trascinato, quasi come se fosse stanco già prima di iniziare a conversare.
Sugawara era certo di averlo già visto, o forse lo desiderava – come quel genere di esperienze che si attendono per una vita intera – e si teneva impegnato nel raccontare del suo viaggio poiché una sola pausa poteva farlo cadere nella trappola di voler conoscere qualcosa in più di lui.

«Non so se sia il sake a farmi male, ma state diventando imbarazzanti.»
Si schiarì la voce, Daichi, e con un gesto gentile fece cenno ad entrambi di muoversi, di non accettare di stare l'uno davanti all'altro senza dirsi nulla; si era reso conto di essere divenuto di secondo piano già da un paio di minuti, conosceva entrambi e, sebbene Sugawara fosse il più sincero quando si trattava di sentimenti, era anche lo stesso che, se oggetto di attenzioni altrui, non sapeva più cosa dire o come comportarsi.
Asahi era sempre stato timoroso, ma Daichi trovava il suo carattere trasognato criticabile, in quanto molto spesso finiva con il rimproverarsi ciò che aveva, forse per ingenuità, deciso di non fare.
«Non smetti mai di essere schietto, vero Daichi?»
Le labbra di Sugawara si piegarono in un piccolo sorriso, le sue gote erano divenute di un delicato rosa e le lunghe ciglia nascondevano uno sguardo pudico, imbarazzato persino, perché Asahi manteneva ancora il silenzio, nonostante toccasse lui salvare la situazione.
«La guerra ti fa sentire la mancanza di molte cose, e so riconoscere certe espressioni quando le vedo.»
Lanciò un'occhiata di rimprovero ad Asahi che, sententosi preso in causa, non seppe più da che parte voltarsi; Sugawara pareva molto più rilassato e rassicurante di Daichi, ma non era certo che guardalo di nuovo lo avrebbe risparmiato dall'imbarazzo che gli attanagliava lo stomaco.
Provò a parlare, ma i suoni che provennero dalle sue labbra furono solo un insieme di mugolii incomprensibili agli altri due, anche se Koushi si sforzò di sorridere – sempre con gentilezza - perché apprezzò il vano tentativo di giustificare la sua timidezza.
«Daichi, non dovresti mettermi in una posizione così difficile.»
Sugawara parlò, dedicò tuttavia la sua attenzione completamente all'altro; gli sorrise, senza pretendere nulla in cambio, ma fu lieto di vedere che Asahi – seppur a modo suo - ricambiò increspando le labbra.
Non sembrava abituato a mostrare le sue emozioni, non che apparisse cupo o triste, ma Koushi comprese in poco tempo che Azumane doveva essere una persona riservata, difficile, ma che valeva essere scoperta poco alla volta.

«Preferisci vivere qui o in Gran Bretagna?»
Le sue prime parole giunsero alle orecchie di Sugawara come un lieve sibilio, una richiesta per poter conversare, più che una vera domanda, ma quest'ultima era accompagnata da una genuina quanto curiosa espressione dipinta sul volto adulto di Asahi.
«Intendo dire, so che la propria casa non si scorda mai, ma viaggiare il mondo è una fortuna di pochi, oggi giorno, e mi chiedevo se...»
«Come siamo poetici questa sera, Asahi...»
Daichi lo interruppe prima del concludersi della frase, un'inutile correzione alla domanda che, invece, Koushi considerava per nulla banale, nonostante si fosse in parte annoiato di parlare solo di sé stesso per l'intera serata.
Sapeva che sarebbe arrivato il momento giusto, non voleva apparire maleducato nei confronti di Daichi, ma era pur sempre vero che Asahi lo interessava; avrebbe voluto chiedere qualcosa di lui: che lavoro facesse, se fosse sposato – anche se dai commenti di Sawamura, era più ovvio pensare il contrario.
«Non è un male, viaggiare è poetico, in un certo senso.»
Asahi parve rassicurato dalle parole di Koushi anche se, solo poco dopo, fu costretto a distogliere lo sguardo da lui, come se accecato dall'elegante sorriso che gli illuminava il volto pallido.
Non poteva ancora crederci che Daichi avesse nascosto una persona come Sugawara per così tanto tempo; certo, la guerra li aveva allontanati per un anno intero, erano stati impegnati con le rispettive famiglie, ma Sugawara era diverso, così differente da sentire una parte di sé colmarsi dopo quelle lunghe attese.
«Non posso preferire né il Giappone né la Gran Bretagna; sono due luoghi affascinanti, le persone lo sono, i loro modi di fare e sopratutto ciò che decidono di nascondere.»
Con particolare enfasi sottolineo le sue ultime parole, voleva attirare l'attenzione del suo interlocutore, fargli comprendere che voleva discutere delle persone insieme a lui, ma in particolare della sua persona; voleva scoprirne i segreti senza apparire invadente, anche se era piuttosto chiaro che entrambi non si sarebbero spinti mai oltre, non durante il loro primo incontro.
«I britannici non sono così diversi da noi, appaiono precisi e amanti dell'ordine; dovreste vedere i palazzi e i giardini, sì, hanno dei giardini meravigliosi.»
Sugawara continuò il suo racconto distraendosi per lunghi attimi, Asahi lo poté osservare mentre alzava gli occhi al cielo, parlava, ma sembrava appartenere ad un'altra realtà; immaginava, visualizzava davanti a sé i luoghi che aveva visitato e lo stesso Asahi, nonostante fosse completamente estraneo alla vita britannica, viveva quei ricordi nelle espressioni rilassate di Koushi.
Il suo viso, si soffermò ad osservare la forma delle sue labbra, il lento battito di ciglia e quel piccolo neo che gli impreziosiva lo sguardo, come se fosse lì, sulla sua pelle, per un motivo ben preciso; Asahi lo osservava e ignorava tutto ciò che era attorno a lui, Sugawara gli ricordava un qualche personaggio dei romanzi che aveva vagamente letto, di uomini assorti in fitti pensieri, di cuori e menti impenetrabili.

«Non vorrei disturbarvi, ma io devo andare.»
Fu Daichi ad interrompere quel lungo attimo di silenzio e i due, che in un breve momento erano ritornati a guardarsi, non avevano più parole per rispondere all'amico; non lo stavano ignorando – non volevano, assolutamente -, ma era complicato allontanarsi l'uno dall'altro, dal rispecchiarsi del proprio profilo nelle iridi altrui.
Solo con un cenno del capo da parte di Asahi riuscì a ristabile l'ordine tra di loro; sembrava affaticato, come se avesse appena concluso una corsa lungo i fianchi ripidi di una montagna, ma ora era lì e si promise di concentrarsi solamente sulla figura dell'impaziente Sawamura.
«Pago io per questa sera, ma parlate pure di viaggi, sono sicuro che avete molto in comune.»
Il sarcasmo di Daichi imbarazzò entrambi, erano abituati alla schiettezza dell'amico, ma accettare apertamente l'interesse reciproco non era impresa così semplice, tuttavia, bastò un'occhiata per assicurarsi di rispettare il volere di Daichi.
Non era un favore ad una conoscienza in comune, a dire il vero, ma l'essere amici di Daichi aveva permesso ai due di conoscersi e, in rispetto di Sawamura – che aveva deciso di congedarsi per non essere di troppo -, si sentivano in dovere di non concludere la serata frettolosamente.

Quando trovarono le parole per salutarlo era ormai troppo tardi, Daichi era già scomparso, il bicchiere di sake lasciato vuoto sul tavolo e nessuna traccia dell'uomo che, prontamente, aveva abbandonato il locale per raggiungere casa.
 
* * *

Asahi osservò il volto di Sugawara per lunghi attimi e finì con il sospirare come se si fosse appena liberato da un senso di oppressione.
Avevano lasciato il locale alle spalle, le luci soffuse della città illuminavano timide le vie che avevano percorso a passo lento; qualche parola si era dispersa nella notte, Koushi nascondeva le sue breve risate dietro ai palmi delle sue mani e Asahi rimanevano semplicemente immobile, lì, di fianco a lui.
Parlavano lentamente, quasi con il timore che qualcuno potesse origliare la loro conversazione, ma in realtà non stavano discutendo di qualcosa di importante; erano chiacchiere, un modo per passare il tempo e per evitare di abbandonarsi al senso di solitudine che aleggiava nell'aria.
Ancora non comprendeva il motivo, ma gli occhi di Sugawara parevano velati di malinconia, appariva triste – in un qualche strano modo -, nonostante non avesse smesso di sorridere per l'intera serata.
Forse stava mentendo, eppure Asahi non poteva credere che una persona come lui potesse essere così brava a raccontare bugie; non lo conosceva, ma dai suoi modi appariva gentile e sincero, motivo per cui lo stesso Asahi non poteva diffidare di lui.
Non voleva, in nessun modo, diffidare di lui; Sugawara gli piaceva, anche se lo aveva conosciuto da poche ore, ed era solo l'iniziale timidezza a renderli più cauti.

«Alle volte vorrei non essere mai partito.»
I pensieri di Asahi vennero interrotti all'improvviso dalla sua voce, uno sfogo bisbigliato, più che un vero modo per spezzare il silenzio.
Sugawara aveva parlato senza neppure rendersene conto, delle parole sussurrate avevano abbandonato le sue labbra e già se ne pentiva poiché, nonostante Asahi apparisse come un uomo disponibile, non voleva annoiarlo con inutili rimorsi.
Non era solito mostrarsi pentito delle scelte prese nella propria vita, ma la situazione lo portò all'improvviso a sentire mancanza di casa, delle occasioni perse lontano dal Giappone e delle persone vicine che aveva conosciuto troppo tardi.
«Ma l'Inghilterra sembra esserti piaciuta, non è così?»
Il più grande domandò spontaneo, il tono della voce un po' infantile, ma che lasciava comprendere un interesse per nulla superficiale; era sollevato nel vedere l'altro aprirsi lentamente, anche se non era certo di essere la persona giusta.
Non era mai stato bravo a dare consigli o a consolare le persone, anzi, molto spesso finiva con il dire la cosa sbagliata nel momento meno opportuno; eppure, Sugawara sembrava fidarsi di lui e non voleva abbandonarsi a giudizi troppo frettolosi.
«Non intendevo dire che- so che può essere difficile abbandonare casa.»
Sentì la propria lingua intorpidirsi, le parole morirono lentamente lungo la sua gola e non riuscì più a muoversi, indeciso su come proseguire.
Non si sentiva nella posizione di criticare né di commentare le sue scelte, Sugawara era ormai adulto e sicuramente non se ne sarebbe fatto nulla della sua opinione; Asahi aveva fatto ben poco nella sua vita, non poteva neppure considerarsi una persona determinata, ma voleva scoprire il motivo dell'inaspettata dichiarazione da parte dell'altro.

Davvero si pentiva di essersi allontanato dal Giappone?
Gli pareva così strano sentirlo dopo quelle ore passate a raccontare della sua permanenza in Europa, ma forse poteva comprenderlo: l'Inghilterra lo aveva affascinato, ma non poteva eguagliare i familiari suoni dell'idioma che aveva parlato sin da piccolo, dei volti che riconosceva camminando per le strade e del profumo dei cibi dei famosi ristoranti della città.
«Potresti rimanere qui.»
Parlò in tono basso, quasi vergognandosi della sua sincerità; non poteva neppure giustificare la sua affermazione, Sugawara poteva avere più di un motivo per ripartire, ma voleva tentare, provare a fermarlo per farlo riflettere.
Probabilmente non era così semplice, era chiaro quanto Koushi fosse combattuto tra il restare e l'andarsene, ma Asahi voleva essere egoista a tal punto dal credere di poter essere lui a cambiare le cose; era divenuto un elemento che poteva far cambiare il corso degli eventi, sempre se lo stesso Sugawara lo avrebbe accettato in quanto tale.
«Non credi che ci sia qualcuno ad aspettarmi, lì?»
Un sorriso divertito gli illuminò di nuovo il volto, ma il suo sguardo – che incontro accidentalmente quello dell'altro – era distratto e lasciava trapelare una sensazione amara che e stava avendo la meglio su di lui.
«Daichi mi aveva detto che-»
«Lo so, ha detto la verità. Sono da solo, ma ero contento. Eppure, nelle ultime settimane ho pensato solo al mio ritorno, a quando avrei rivisto la mia famiglia.»
Sugawara lo interruppe prima che potesse concludere la frase; cominciò a parlare, il viso inclinato verso il basso e le iridi che osservavano il tremolio delle proprie mani.
Non era mai stato così: indeciso, patetico persino, e odiava mostrarsi debole davanti ad una persona che aveva appena conosciuto; si era ripromesso di voler apparire al meglio davanti ad Asahi, ma era troppo difficile poiché, non sapeva come, l'altro era capace di andare oltre all'apparenza.
Non vi era razionalità nel modo di fare di Azumane e Sugawara, seppur forte di spirito, aveva ceduto al contesto, rilassandosi davanti ad una persona che nulla sapeva della sua vita.
«E poi alle volte basta poco. Un incontro, ad esempio, e inizi a chiederti se dovrai davvero ripartire.»
Asahi notò il rossore delle sue guance, non riuscivano a guardarsi negli occhi, ma lo percepivano nell'aria; era un senso di imbarazzo piacevole, che li faceva ritornare ragazzini e che, al medesimo tempo, faceva desiderare ad entrambi di rimanere così per sempre.
Gli instanti non passavano e Asahi iniziò a domandarsi se esistesse realmente un posto adatto per loro due; Sugawara anelava a qualcosa che forse neppure esisteva, ad un luogo che non lo deludesse e che non lo privasse delle gioie del suo passato.

«Ma lo so, sono solo farneticazioni. Potrei rimanere, come dici tu, almeno per un po'. E poi se cambierò idea, se le la realtà non sarà come le mie aspettative, potrò ripartire di nuovo per l'estero.»
Asahi lo ascoltò con attenzione, ma non poteva con certezza sostenere di aver compreso a cosa si stesse riferendo; erano parole strane, le sue, eppure gli riscaldavano il cuore e concedevano lui una speranza di rivederlo il giorno o la settimana seguente.
«Siamo uomini liberi, il mondo dovrebbe essere a portata di mano di ognuno di noi.»
Sapeva che Koushi avrebbe condiviso il suo modo di pensare, in fondo, era proprio lui, tra i due, ad aver conosciuto una realtà differente.
«Daichi aveva ragione su di te, sei un romantico, Asahi Azumane.»
E con quelle parole, Sugawara ritornò a sorridergli come aveva fatto poche ore prima, il suo volto prese di nuovo colore, le sue labbra lo incantarono di nuovo e, inaspettatamente, il tempo sembrò ritornare indietro solo per loro.






 
Note storiche* - All'inizio del 1900 la Gran Bretagna firmò un'alleanza con il Giappone, che si dimostrò fondamentale per la Prima Guerra Mondiale.
Fu importante per l'Impero Britannico in quanto concluse il periodo di isolazionismo in politica estera.
Nella storia viene citata una guerra: si tratta del conflitto tra Giappone e Russia (1904-1905) che vide il Giappone vincitore, ottenendo la zona della Manciuria e della Corea.

 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: _Akimi