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Autore: Proiezioni    14/03/2017    3 recensioni
Serie oro
Nella testa di Freezer, tra i progetti di dominio assoluto, i saiyan venivano seppelliti all’alba del suo nuovo regno, sotto il suo trono, ma Vegeta era un grosso inconveniente. L’odio aveva agito su di lui come un cancro.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Freezer, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Serie ORO'
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Vorrei giusto chiarire un paio di termini ai malintenzionati  che le mie storie sono tutelate dal diritto di autore e registrate abitualmente a mio nome in quanto persona fisica nonchè tutelata giuridicamente. Dunque, avviso chi non ha di meglio da fare che copiare, prendere parti, spacciarle per proprie di pensarci due volte a provare a plagiare o a rubare la farina del mio sacco: non rischiate solo un brutto bannaggio su questo sito, ma rischiate anche in termini legislativi . Fate attenzione.


 

 

Vegeta deve morire.

 

 

Sotto l’egemonia di Frezeer, ai tempi in cui era lui che decideva dove e quando, e come... persino per morire non c’era tempo, bisognava farlo in fretta, le aspettative di vita non erano lunghe né tantomeno convenienti, per questo era meglio finirla quando ancora non si era un ammasso di carne vecchia e consunta. Freezer vantava un’età secolare, la sua razza sconosciuta agli uomini poteva vivere fino a duemila stagioni terrestri, ma il suo governo assolutista ne aveva poco più di cento.

Chi reggeva alla sua tirannia e arrivava ai quarant’anni poteva dirsi un veterano – sempre che non ci arrivava con le rotelle fuori posto, instabile come molti dei superstiti che avevano compiuto i cinquanta senza essere utili neppure alla sorveglianza.

I pochi sfortunati che superavano i sessanta erano fatti fuori prima che divenissero un peso per gli squadroni di guerra, chi era debole invece veniva lasciato alla mercè dei violenti perché soddisfacessero i loro istinti più primitivi e più perfidi.

In entrambi i casi ti mandavano all’inferno solo come un cane.

Da quelle parti, se non morivi per tempo finivi per vivere come i topi. Eri fuggito, fuggivi, venivi ammazzato o vivevi tra i reietti del mondo, dimenticato da chi avevi servito e osannato come un Dio onnipotente. Non c’era giustizia, probabilmente non c’era mai neppure stata fin da prima che Freezer salisse al potere in qualche modo vile e corrotto, grazie all’abdicazione di un padre non meno indulgente. Se non volevi rimanere, c’era una sola strada a senso unico che conduceva dritto a Caronte, dal cocchiere delle anime esauste, e in quegli ultimi tempi quella via era affollata fin troppo. Le anime rimanevano spesso ad aspettare per anni che il loro auriga le accompagnasse, perché da quando il male era asceso al potere, dal mondo dei vivi arrivavano molti migranti.

Per Vegeta era stato un viaggio sempre verso quella direzione, ce l’avevano spinto più volte e lui spesso non aveva neppure opposto resistenza. Tutto sommato – già a vent’anni - l’idea di morire iniziava a non dispiacergli più di tanto. Talvolta aveva creduto che arrivato al capolinea si sarebbe ricongiunto ai suo padri come uomo libero senza più sentirsi suddito di qualcun'altro, ma ciò che caratterizzava la sua indole fin da bambino e ciò che lo condannava al contempo, era la sua ostinazione che mieteva più vittime che la sua potenza.  

Aveva mandato giù fin troppi bocconi amari per non dare a vedere al sovrano bianco quanto lo odiasse. Lo detestava a tal punto che ormai in bocca non percepiva più alcun sapore diverso. Ma l’odio ha una forza scontata, ha un modo di sussistere bellicoso e dirompente, e non è silenzioso come l’affetto che puoi tenerti per una vita dentro senza che nessuno se ne accorga. L’odio prima o poi sale a galla, e lo fa anche abbastanza velocemente. Freezer aveva scorto un buio strano negli occhi di quel saiyan impavido e scaltro che aveva cresciuto credendolo inizialmente persino un suo adepto. Ma non c’era niente di umano in  quella lucertola dall’indole vile e bastarda, e di certo non poteva provare la sensazione di insofferenza che permeava l’ego di un saiyan che più che asservirsi si comportava come un mercenario fino in fondo, perché chinarsi al monarca sarebbe stato calpestare l’orgoglio della sua famiglia – che anche se estinta, adesso riviveva in lui con maggiore prepotenza. Vegeta si era venduto, era vero, ma per un compenso che aveva un valore molto più grande: tornare libero senza nessuno più a cui dare conto, era una brama che non conosceva alcun riflusso di cedevolezza.

I servi di Freezer non avevano personalità, erano guerrieri scialbi, non appartenevano alla specie degli uomini che serbava un animo oscuro come i labirinti di Bola dove si diceva che taluni si fossero persi per sempre. Ma il tiranno bianco aveva intuito quanto l’odio in un uomo possa mettere radici a fondo, gli era bastato studiare gli occhi di un Vegeta ormai adulto e sentirsi fissato con un’intensità devastante e furente. Quel principe senza popolo non era più sotto il suo controllo, era cresciuto e ora bramava una qualche rivalsa, perché non gli era stato insegnato a dividere il potere con altri.

Arrivava come ospite alla base a periodi alterni e quando il saiyan rientrava dalle sue conquiste con sguardo altero e superbo Freezer non gli leggeva più negli occhi il rispetto che si deve ad un monarca assoluto, ma il desiderio profondo di vederlo in ginocchio. Con atteggiamento più orgoglioso e fiero di quando aveva avuto un popolo di cui farsi vanto, come se il genocidio l’avesse reso più consapevole del valore della propria esistenza, Vegeta rientrava e gli comunicava di un nuovo trionfo. Fiero. Fiero come un Dio.

Alle spalle, Nappa e Radish se ne stavano in ombra, fieri e timorosi che il principe facesse una qualche madornale idiozia con cui si sarebbero giocati il culo tutti quanti. Freezer percepiva anche quello, oltre al disprezzo del principe, fiutava anche la loro paura che non era lui – lui, il tiranno temuto e indiscusso- ad insinuargli tra i nervi, ma il suo rivale dalla coda ondeggiante.  Vegeta riusciva a fottergli anche i sudditi, tanto era maledetto. 

Gli occhi di quel bambino un tempo scaltro diavolo che provava piacere a fare la guerra come fosse il suo gioco da infante, erano occhi che Freezer non scorgeva da ormai molto tempo, solo perché non sapeva che l’essere umano attraversa una fase chiamata adolescenza, ammesso Vegeta ne avesse mai vissuta una in un tempo in cui tutto per lui era decorso con un piattume assoluto di colori e di eventi. La vita aveva perso sapore, probabilmente neppure lo aveva mai avuto un sapore vero. Il cuore aveva battuto a vuoto per migliaia di giorni e di notti finchè nel mese dei Solstizi di Ergaron il saiyan non aveva compiuto vent’anni e aveva iniziato a bramare qualcosa che era inciso nella genetica del suo corpo: voleva riprendersi ciò che aveva perso, tutto quello che gli era stato sottratto. Aveva dovuto difendere coi denti chi era e chi rappresentava persino da se stesso quando dopo anni passati a vagare tra un pianeta e l’altro, si era accorto che qualcosa la stava dimenticando: stava accettando la sua condizione di ultimo sopravvissuto della stirpe o stava solo aspettando di vendicarsi?

Persino Freezer si era accorto di un suo sottile cambio di atteggiamento. Nelle pupille di quel giovane uomo, miscelate alle iridi nere come l’universo, bruciava una sete di vendetta e di sprezzo per colui che provava a comandarlo a bacchetta. Freezer aveva dimenticato chi erano i saiyan solo perché li aveva eliminati e ne erano rimasti tre senza neppure una femmina che gli procreasse. Succede sempre così, quando si scansa il problema si crede di averlo eliminato definitivamente. Invece l’errore era stato questo fin dal principio. Vegeta era lì, ce lo aveva davanti più fiero che mai, più forte di quando lo aveva preso sotto la sua spalla per sfruttarlo come l’arma d’assalto più efficiente.

Vegeta gli faceva ancora paura, eccome se gli faceva paura, Freezer qualche volta se l’era fatta persino addosso, ma non lo aveva mai provato ad uccidere perché gli serviva per raggiungere i suoi obiettivi intergalattici. Re Vegeta quando era collassato ai suoi piedi, non aveva neppure la metà della potenza del bambino soldato che gli aveva venduto per i suoi giochi di guerra. Nella testa di Freezer, tra i progetti di dominio assoluto, i saiyan venivano seppelliti all’alba del suo nuovo regno, sotto il suo trono: desiderava che la sedia dove avrebbe seduto per secoli si erigesse sulle carcasse putrefatte dei guerrieri che aveva temuto più nella galassia. Il loro fiero rappresentante e superstite precisamente sotto il suo culo gelato e bianco – e forse allora avrebbe temuto persino il suo spettro.

Non si fidava dei saiyan, non si era mai fidato. Radish e Nappa non erano il suo problema perché erano solo soldatini che agivano a bacchetta, come eco degli ordini del loro rappresentante, ma Vegeta invece era un grosso inconveniente: non era una testa vuota, fotterlo era quasi impossibile. Quanti popoli avrebbe dovuto conquistare, quel saiyan superbo, per appagare l’indole della lotta assecondata per puro diletto? Per Vegeta era un gioco, era evidente, ma non solo quello. Per Vegeta era ogni volta la dimostrazione che era il migliore sul campo, che era ancora vivo, che la gente ancora lo temeva, e che Freezer in fondo in fondo ancora aveva paura di quanto poteva il suo sangue. Si sentiva in qualche modo omaggiato come il Re che avrebbe dovuto essere quando si prostravano lui con timore e sofferenza. Suo padre gli aveva insegnato che i sudditi si ottengono seminando la paura, e lui ripensava a quegli insegnamenti un po’ come a una Bibbia. Ogni tanto scavava in quel poco di passato trascorso alla corte e cercava le risposte che aveva cucito nella mente come una preghiera per uomini dannati da un fato avverso.

Destinato a naufragare alla deriva nello spazio come un condannato, senza patria, senza famiglia, senza popolo. Solo con il suo fottuto nome cucito addosso, un nome così grande che quando lo pronunciava a chi aveva conosciuto i suoi fratelli faceva l’effetto della strizza sulle budella.

I saiyan non erano nati per vivere in gabbia, e Vegeta sapeva che ovunque fosse andato sarebbe stato sempre in una grandissima cella finchè il suo aguzzino non fosse morto. Freezer era un subdolo monarca, lo ricopriva di omaggi mentre tramava per eliminarlo, ma era un sentimento ricambiato totalmente. Ci sono i portatori sani di odio e i portatori malati che dall’odio si sono fatti corrodere la carne, e Vegeta era uno di questi. L’odio aveva agito su di lui come un cancro: il bambino piccolo e maligno era diventato una belva. Non c’era bisogno dell’esame del sangue, bastava guardarlo negli occhi.

Vegeta era figlio della vendetta e della rivalsa, in nome di una nemesi che prima o poi gli avrebbe fatto ritorcere contro due o tre conti lasciati in sospeso da troppo tempo. E le cose lasciate a marcire iniziano ad emanare un fetido lezzo.

Il  naso aquilino di quella cute viscida e lattea aveva iniziato a fiutare già all'inizio della sua adolescenza un qualche cambiamento, neanche Freezer avrebbe saputo spiegarlo con precisione ma l'irruenza di Vegeta nel fare la guerra spaventava un po’ tutti. Non era nato per essere secondo. Nei suoi occhi senza fondo si delineava con superbia l'altera profondità dell'universo e l'intrepida forza che non conosceva arrendevolezza.

Era successo un giorno in cui un oracolo di un popolo di stregoni aveva accolto la dittatura del sovrano bianco con atteggiamento rassegnato di sudditanza, proprio quando Radish aveva ricordato ai suoi compagni che suo fratello Kakaroth aveva più o meno vent’anni e probabilmente era ancora sulla Terra, l’oracolo aveva predetto a Freezer che il suo impero avrebbe avuto presto una fine in circostanze oscure al momento, tuttavia gli aveva rivelato che c’era ancora un saiyan sopravvissuto nell’universo e che Vegeta avrebbe avuto un figlio che un giorno lo avrebbe sconfitto.

Sarebbe morto per mano di uno di coloro odiava con tutto se stesso, ma non per mano del principe – e questo aveva costituito l’unico deterrente per non far saltare in aria quel veggente rivelatore di disgrazie.

Chi era davvero roso dalla paura era Freezer, e tra i sottoposti c’era chi lo sospettava e si era cucito tassativamente la bocca, persino quell’effemminato di Zarbon lo aveva intuito vedendosene bene anche solo dal dirlo. Chi gravitava attorno alla base Cold -1 era a conoscenza degli antichi patti e del tradimento che Freezer aveva attuato con freddezza risoluta contro la razza dei saiyan, e Vegeta aveva sempre percepito il fetore della sua paura fin da quando il tiranno lo aveva iniziato a spedire in missione da un luogo all'altro per non averlo lì intorno. Aveva fatto comodo a entrambi quella scelta, liberi di non aversi tra i piedi, o forse era stata una separazione di comodo che aveva permesso loro di complottare sotto le mentite spoglie di alleati che non bramano altro che farsi fuori a vicenda. 

L’unica cosa certa era che insinuava una spiacevole angoscia un pò in tutti, quel guerriero dalla tattica eccellente, e persino  quell'adulatore impenitente di Nappa gli era stato dietro per timore di trovarselo contro, e Vegeta alla fine era convenuto che suo padre gliel’avesse accollato perché per un bambino immaturo e smanioso di reverenze era un buon compagno di scorribande.

Quando il pianeta era imploso, per sfortuna di Nappa si era trovato con lui nella navicella. Il destino gli aveva assegnato l'arduo compito di seguire il principe fuoriclasse in lungo e in largo per assecondarne le pretese e spalleggiarlo nelle imprese compiute per compiacere un ego smisurato.  Radish era finito nella scorta come una riserva, e non che non avesse mai bramato per intraprendere la via di una qualche rivalsa agli insulti sulla sua condizione di terza classe, ma era un suddito esemplare che non sarebbe mai salito di livello, e d’altronde fare la guerra al principe non era una mossa intelligente perché lui aveva la potenza dalla sua parte, e non era cosa da niente in quelle circostanze.

Alla fine Vegeta aveva finito per inimicarsi tutti, o forse solo per mettere paura a chiunque con il suo sadismo. 

Era la guerra. Non si poteva mietere bontà dai semi mefitici del dolore e della sofferenza. Vegeta non aveva avuto un'infanzia, era cresciuto troppo presto. In lui aleggiava lo spettro di una tristezza così profonda che aveva finito per seppellirgli ogni slancio affettivo da qualche parte insieme ad ogni traccia di umanità residua nel suo corpo. Non c'era speranza nel suo mondo. Non ne vedeva. Aveva smesso di cercarla quando si era reso conto che Freezer gli stava alle calcagne come una puttana in calore, voglioso più che mai di smembrarlo. Vegeta lo sapeva che lui e Freezer stavano studiando il modo migliore per fottersi a vicenda: persino lui stava aspettando con pazienza estranea alla sua indole bellicosa il momento per vendicarsi, ma solo perché era ancora lontano il traguardo e raggiungere una maggiore potenza in quelle condizioni di privazioni e di rinunce non lo aiutava a ribellarsi. Freezer non desiderava altro che eliminare quel mozzicone che restava della stirpe di scimmie e per riuscirci doveva stargli addosso, braccarlo, farlo sentire inseguito da ogni sua sentinella, come se lo spazio non celasse altro dietro l'immensa apparenza, che le fattezze indefinite di una prigione pericolosa e incerta come il tempo, anche per un mercenario che conosceva tutte le rotte per la fuga perfettamente, come fossero strade di una metropoli notturna che cela insidie da ogni parte. 

Vegeta doveva morire. Solo il sacrificio di un grande combattente, della giovane promessa di un popolo morto, avrebbe permesso a chi gli gravitava attorno di sentirsi libero più di quanto si sentisse lui stesso: sembrava che Vegeta ingabbiasse nel ricordo dell’eccidio della sua gente chi guerreggiava al suo fianco, travolgendolo in quel vortice di tormento e di rabbia che lo rendevano tanto cruento e sadico con il resto del mondo. Freezer era convenuto troppo tardi alla grossa idiozia che aveva fatto quando si era alleato con un popolo che aveva iniziato a temere nell’istante in cui ne aveva colto l’immane potenza: i saiyan avevano mietuto più sangue di lui in passato e Freezer agli albori del suo impero aveva intuito che farseli amici gli sarebbe valso il culo per ancora un pò di tempo. Stretta l’alleanza del secolo, un giorno si era reso conto che il Re gli aveva fatto un regalo ben più grande: Vegeta era stato un buon soldatino da piccolo, lo aveva seguito e assecondato anche dopo l’eccidio della sua gente – e mai più freddezza aveva stupito Freezer stesso - ma poi come innato nella genetica della sua specie il saiyan aveva iniziato a smaniare per la rivalsa e per riprendersi lo spazio di un nome troppo grande, che aveva un peso che non poteva fingere non gli gravasse sulle spalle. Gli insegnamenti di suo padre vivevano ancora in Vegeta, il ricordo dei suoi padri e della storia della sua famiglia riecheggiavano nel suo animo cupo come l’assenza di speranza.

Vegeta finiva per essere odiato da chiunque gli si apprestasse, mente demoniaca e creatura altera e superba, un incompreso quanto i suoi occhi oscuri come un velo che cela dignitosamente l’onta della sconfitta. La sua ostinazione era scomoda un pò a tutti d’altronde, soprattutto perchè non voleva deporre le armi e non accettava la resa più conveniente. Era vero quello che aveva detto Re Vegeta a Freezer il giorno che gli aveva venduto suo figlio. Gli aveva consegnato una perfetta macchina da guerra. Ma era una macchina fallata che non aveva comandi. Era un difetto di fabbrica irreparabile, si sarebbe estinto con la sola morte.

  

 

 

  
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