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Autore: Machaira    14/03/2017    4 recensioni
Dal secondo capitolo.
Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
[…] “Che cosa volete?” chiese secco.
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
(sempre) dal secondo capitolo.
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno, uno qualunque di voi, facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. […] Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Michonne, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
 
Erano quattro fottutissime ore che Daryl si trovava su quella maledettissima sedia, nell'ufficio di chissà chi, in quella centrale di polizia di merda. Lo sapeva! Il suo istinto non si sbagliava mai! Che cazzo gli era saltato in testa di non dar retta ai suoi stessi sospetti? Ormai, dopo trentadue anni, avrebbe dovuto conoscersi. E avrebbe dovuto sapere che non si sbagliava. Mai. Ubriaco o sobrio, tranquillo o agitato. Il suo istinto non falliva; se lo sentiva nella pancia quando qualcosa non andava. E per un momento di debolezza (l'unico in tanti anni) si era ritrovato con il culo incollato a una sedia pieghevole e lo sguardo fisso verso il muro bianco di fronte a sé.
 
L'avevano fatto "accomodare" in ufficio e gli avevano messo sotto il naso circa una ventina di foto segnaletiche. A quel punto gli avevano chiesto di riconoscere chi aveva visto quella sera. Il tutto si era svolto nel giro di una decina di minuti e poi lo avevano lasciato solo. Ogni tanto qualcuno passava a controllare che andasse tutto bene, chiedendogli se desiderasse qualcosa; doveva essere passata più di mezz'ora dall'ultima volta che gli avevano parlato. Stava meditando tra sé e sé che se non fosse arrivato nessuno nel giro di cinque minuti si sarebbe alzato e avrebbe levato le tende. Ma la porta si aprì giusto pochi istanti dopo.
 
“...prendi le impronte digitali e le coordinate da inserire nel database. Ah, e comincia a verbalizzare le varie confessioni. Dì ad Abe di andarci piano, soprattutto con il tipo che gli ha dato del coglione. Qui me ne occupo io.” dopodiché la porta si richiuse con un leggero colpetto.
 
A quanto pare quel “qui” era proprio la stanza dove si trovava Daryl. In che cazzo di casino si era cacciato. Quella sera non poteva restarsene a casa? Lo diceva sempre: quando una giornata è storta rimani in giro il meno possibile. Torna a casa, beviti una birra in lattina schifosa e dormi. Infondo, se non seguiva i suoi stessi consigli la colpa era solo sua.
 
“Allora, Daryl” cominciò l'uomo sedendosi di fronte a lui. “Vuoi qualcosa da bere?”
 
La cortesia e quel sorriso gentile non lo smossero nemmeno di un millimetro. “Prima di tutto mi piacerebbe proprio sapere come cazzo ti chiami. Perché mi ci gioco le palle che Terry non è il tuo vero nome.”
 
“Rick. Mi chiamo Rick Grimes.” disse guardandolo negli occhi senza apparente timore, come invece capitava alla maggior parte delle persone che incontrava. “Vuoi sapere altro?” domandò disponibile, rilassato contro lo schienale della poltrona.
 
“Sì! Che cazzo ci faccio qui? Mi hanno rinchiuso in questo sgabuzzino senza nessuna spiegazione. Si può sapere cosa volete da me?” sbottò. “Cosa vuoi da me?” chiese infine abbassando la voce tagliente.
 
“Ti ho portato qui perché ci serviva qualcuno che potesse garantire che quei signori e compagnia bella fossero davvero dove li abbiamo trovati questa sera.” ribatté tranquillamente Rick.
 
“E perché proprio io?! Ti sei innamorato, agente? Vuoi fare coppia fissa?” lo provocò. Era sempre stato così, la sua miglior arma di difesa era l'attacco. Lo era sempre stato, ma non si biasimava del tutto. Non dopo aver vissuto nell'ambiente in cui era stato costretto a crescere. Certo, il suo carattere non aiutava.
 
Rick rise divertito e scuotendo la testa rispose: “In mezzo a tutte quelle persone mi sei sembrato il più... indicato. E poi devo ricordarti che sei stato tu a trascinarmi per strada?”
 
Daryl scoppiò in una risata amara. “Non ricordarmelo, avrei dovuto lasciarti lì schiacciato da quel tizio. Ma non potevi chiedere a qualcun altro? Chiunque altro! Persino Jesus-”
 
Fu interrotto dalla porta che si riapriva. Rick sollevò la testa e accennò un sorriso, mentre Daryl si chiedeva sempre di più che cazzo avesse da sorridere continuamente quel damerino, e si voltò osservando a sua volta l'uomo sulla porta.
 
“Li abbiamo sistemati, sono di sotto. Abe sta finendo con gli interrogatori. Comunque qui c'è il fascicolo che mi avevi chiesto, tieni.” In pochi passi l'agente raggiunse la scrivania e porse una cartellina al collega, mentre l'altro lo guardava attonito. “Oh, ciao Daryl.” aggiunse gioviale questo.
 
“Rovia?” sussurrò mentre gli occhi si liberavano dello stupore e si riempivano di rabbia. “Che cazzo ci fai qui?”
 
“Ci lavoro!” rispose quello allegro come sempre. “E a quanto ho sentito ci vedremo più spesso, in un modo o nell'altro. Vi lascio, buona fortuna capo.”
 
Rick fece un cenno con il capo e disse: “Jesus manda a casa Abraham presto, ne ha prese anche abbastanza per stasera.”
 
La porta si richiuse senza che nessuno aggiungesse nient'altro. Il silenziò calò nella stanza, come se l'agente avesse portato via con sé la più piccola forma di rumore. Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
 
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
 
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
 
“Lo vedo. Perché lo hai preso?” chiese ancora all'erta.
 
Rick non rispose immediatamente. Giunse alla fine di una delle ultime pagine e solo a quel punto risollevò lo sguardo dalle carte. “Perché uno dei miei agenti, appena ha sentito il tuo nome ha avuto un lampo di genio e ha pensato bene di procurarmi ogni informazione necessaria per questa nostra... chiacchierata.” disse enigmatico.
 
“Sputa il rospo.”
 
“Controllando, abbiamo notato che non hai riscattato tutti i tuoi precedenti crimini. Sei stato in riformatorio, hai scontato anche quattro mesi in prigione a diciannove anni, ma non si è mai parlato del tuo ultimo colpo. Anni fa, era stata prevista una pena riguardo quella rapina finita male, quella in cui tuo fratello ci è caduto dentro con tutte le scarpe. Non si sapeva nulla, sulle telecamere non c'era traccia di te, ma praticamente tutti eccetto tuo fratello ti hanno nominato in almeno un paio di occasioni. Poi si scoprì che il giudice che si era occupato del tuo caso e di altri minori era corrotto e non se ne fece più nulla. Ormai il processo era finito e così decisero di chiudere tutto senza indagare troppo.” spiegò.
 
“Adesso sono pulito, non faccio più certe cose.” rispose Daryl rimanendo sulle sue, ma tenendo gli occhi fissi su Rick.
 
“Lo sappiamo, ma se... qualcuno dovesse ficcare il naso in questo fascicolo potrebbe accorgersi che non tutto si è svolto nel modo più cristallino.” disse con un tono pieno di sottintesi.
 
“Sono passati dodici fottutissimi anni! Non potete farlo!” alzò la voce.
 
“Certo che possiamo. Non vorrei, ma posso.” lo guardò intensamente. Daryl capì esattamente dove voleva arrivare. C'era un "a meno che" grosso come una casa che aleggiava tra loro.
 
“Che cosa volete?” chiese secco.
 
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
 
Daryl quasi cadde dalla sedia. “Cosa?”
 
“Lavora per noi, aiutaci a risolvere un caso. Ci siamo dentro da quasi due anni e non sappiamo dove sbattere la testa. Riescono sempre a sfuggirci.” si giustificò.
 
“Te l'ho già detto. Non sono più nel giro.” ribatté asciutto.
 
“Non è una spia di cui abbiamo bisogno. Ci serve un consulente. Tu ci sei stato per molto tempo in quell'ambiente, sai come funziona, sai come pensano, sai come muoverti, anche Jesus me l'ha garantito.”
 
Ah, era stato Rovia a "candidarlo". Ora sì che avrebbe avuto un buon motivo per fargli fare la stessa fine dell'Altissimo. Appena gli sarebbe finito tra le mani...
 
“Lavora con noi come consulente e il tuo "debito" con la giustizia sarà completamente cancellato.” concluse Rick con voce chiara e decisa.
 
“Cosa ci guadagno?” domandò Daryl diffidente.
 
“Non ti basta non finire di nuovo in una cella o fare lo spazzino per i servizi sociali?” chiese seriamente curioso l'altro in tutta risposta.
 
“Se Jesus ha davvero indicato me come persona più adatta, saprai anche che non faccio niente per niente.”
 
“A quanto pare aveva ragione. Sono le parole esatte che ha previsto avresti detto.” mormorò con un sorrisino “Comunque percepirai lo stipendio di un collaboratore di giustizia. Formalmente, è come se noi non avessimo mai visto il tuo fascicolo. Ufficialmente sei solo un consulente e vieni retribuito come tale.”
 
Il silenzio cadde sull'ufficio. Per qualche minuto non parlarono, non si mossero. Rimasero immobili, ciascuno accomodato nella sua sedia, a fissarsi l'un l'altro.
 
Daryl trovava completamente assurda quella situazione. Per la prima parte della sua vita aveva evitato come la peste le persone della stessa pasta dell'agente di fronte a sé, e ora gli chiedevano addirittura di diventare un mezzo sbirro. Dovevano essere impazziti. D'altra parte non sarebbe mai tornato indietro. Aveva faticato per uscire da quella merda; aveva solo vent'anni quando aveva deciso che non poteva continuare così, non aveva nessuno e aveva già visto più schifo di quanto non ne avrebbe visto per tutto il resto della sua vita. Finire di nuovo in cella o lavorare per i servizi sociali avrebbe significato rendere del tutto inutile tutto quello che aveva fatto negli ultimi dodici anni. Sapeva che se avesse toccato quel mondo marcio anche solo con la punta delle dita, sarebbe stato risucchiato dentro di nuovo. E quella volta non avrebbe avuto via d'uscita. Non era uno stupido, sapeva distinguere cos'era giusto da cos'era sbagliato. E ricadere nel vortice che aveva occupato il suo passato era assolutamente sbagliato.
 
Quella sera, stranamente, si trovava al pub per sé e non per recuperare Merle. Non beveva da molto tempo. Era ancora capace di apprezzare una buona birra, ma non andava mai oltre. Quando aveva chiuso con quel mondo, aveva smesso con tutto, tranne le sigarette: quelle erano l'unico vizio che gli era rimasto. Ma aveva deciso di fare un'eccezione particolare quel giorno; dopo tanto tempo, si era detto che un bicchierino non avrebbe rovinato la sua vita. Ma a giudicare da dove si trovava doveva essersi sbagliato.
 
Era stato licenziato. Sapeva che non era colpa sua e nemmeno del suo datore di lavoro; con la crisi, la ditta aveva dovuto ricorrere a vari tagli. Il vecchio Hank aveva cercato di tenere più dipendenti possibili. Erano soltanto una decina, ma lavoravano insieme da talmente tanto tempo che erano la cosa più vicina a una famiglia che Daryl avesse mai trovato. Per quanto ci avesse provato però, alla fine Hank aveva dovuto prendere la decisione sofferta e quel giorno, dopo una birra tutti insieme tre fattorini, tra cui lui, erano usciti dalla ditta senza più un lavoro.
 
Non abitava in una reggia, il suo piccolo bilocale gli bastava, ma non poteva permettersi di non avere un'entrata e, per quanto assurdo e degradante sarebbe stato, quella che gli stavano offrendo era la proposta più allettante che avrebbe potuto ricevere nel giro di così poco tempo. Se lo avesse visto suo fratello, l'avrebbe preso per il culo fino alla morte. Dannazione.
 
“Accetto.”
 
§§§
 
Rick non poteva crederci. Dopo mesi aveva finalmente una libera uscita e dove si ritrovava? Esattamente dov'era stato nell'ultimo periodo, a causa del lavoro. Se n'era accorto solo quando aveva posato la mano sulla maniglia del pub; i suoi passi l'avevano portato automaticamente lì, senza che se ne rendesse conto. A quel punto decise che tanto valeva entrare; faceva freddo e non aveva voglia di tornare a vagare alla ricerca di un posto.
 
Negli ultimi mesi non aveva avuto molto tempo per sé; da quando era entrato in missione si concentrava sul lavoro e sui suoi figli. Più o meno, tutte le giornate si svolgevano l'una uguale all'altra; la mattina preparava la colazione per Carl e Judith, poi li portava rispettivamente a scuola e all'asilo e intorno alle nove cominciava il turno in centrale. Alle tre del pomeriggio passava a prenderli e andavano a casa. Il pomeriggio era il momento della giornata che preferiva: stavano attorno all'isola della cucina passando del tempo insieme; Carl faceva i compiti, Judith faceva i primi disegni, scarabocchiando su ogni foglio che le passasse a tiro e lui preparava la cena. Dopo aver sparecchiato, metteva Judith a letto e aspettava che arrivasse la babysitter, che sarebbe rimasta con i piccoli finché lui non fosse tornato a casa due o tre ore dopo. Tecnicamente. In realtà gli era capitato più di una volta di chiamarla e dirle di sistemarsi nella stanza degli ospiti perché lui era stato trattenuto. Per sua fortuna, Beth non aveva nessun problema: conosceva lei e la sua famiglia da tanto tempo, e i suoi figli la adoravano.
 
Anche adesso era con loro. E lui si era trovato di nuovo in quel dannato pub. Almeno non gli dispiaceva, ma si sentiva un pensionato vittima della solita routine. Si sedette al "suo" sgabello e rimase sorpreso per un momento quando non vide Jesus: davanti a lui c'era un ragazzino alto, sbarbato, con i capelli corti e scuri che lo guardava con sguardo gentile.
 
Quando si accorse di essersi imbambolato si riscosse e gli disse:” “Ehm... una birra chiara.”
 
Il ragazzo si voltò e pochi istanti dopo posò l'ordinazione di fronte al suo cliente. “Ecco a te.”
 
Rick ricambiò con un cenno, poi prese il bicchiere alto e bevve un lungo sorso che gli rinfrescò la gola. Con i gomiti sul bancone e la birra tra le mani lasciò vagare i pensieri.
 
Pensava sempre a quel giorno di tre anni prima quando Lori li aveva lasciati. Era successo tutto velocemente, ma era marchiato a fuoco nella sua mente. Ricordava le urla di paura di sua moglie, che gli aveva stretto un braccio per svegliarlo. Lui era saltato a sedere e aveva acceso la luce. Non avrebbe mai dimenticato quello che si era trovato davanti: le lenzuola leggere e candide erano inzuppate di sangue. Senza sapere nemmeno come, aveva preso Lori in braccio, l'aveva portata in garage, caricata in macchina e così com'era, in pantaloncini corti e infradito, l'aveva portata all'ospedale. Quella situazione li aveva completamente presi in contropiede; il termine era un mese dopo e la gravidanza era stata tranquilla fino a quel momento. Appena arrivati l'avevano portata subito in sala operatoria. Gli era sembrato di rimanere in quel corridoio asettico per giorni. E invece, solo cinque ore dopo un dottore gli si era avvicinato, gli aveva messo una mano sulla spalla e l'aveva fatto sedere su una delle seggioline scomode di fronte alla porta. Non si ricordava nulla di quello che gli aveva detto. Sapeva solo che i suoi occhi si erano riempiti di lacrime ed era scoppiato a piangere. Solo poi gli dissero che vi era rimasto tre ore su quella sedia. Ad un certo punto un'infermiera l'aveva portato al piano di sopra, e in quella scatola che gli sembrava davvero troppo grossa per essere un'incubatrice aveva visto la sua bambina. Era bellissima.
 
La prima settimana, tra il funerale di Lori, i continui pianti di Carl e quella piccola tutta sola all'ospedale, era stata la peggiore. Poi era successa la cosa che meno si sarebbe aspettato: la domenica sera prima di tornare a scuola Carl gli si era avvicinato cautamente.
 
“Come la chiamiamo?”
 
“Non... non lo so. Io e la mamma non avevamo ancora deciso il nome prima che... ci lasciasse.”
 
“Papà...” disse a voce bassa ma tranquilla, stringendogli una mano “Non ci ha lasciati. Mamma è morta.”
 
Rick sollevò gli occhi su suo figlio e li trovò pieni di lacrime. Gli strinse le braccia attorno alle spalle e si sentì stringere in vita. In quel momento aveva capito che il suo ometto era davvero cresciuto. Da lì nessuno dei due aveva più pianto. Avevano sofferto, certo, ma avevano cercato di andare avanti sin da subito. E lui ci era riuscito solo grazie ai suoi tesori: i suoi figli. 
 
Con uno stipendio in meno aveva dovuto rimboccarsi le maniche, ma grazie all'aiuto degli amici che gli erano rimasti vicini e ai suoi colleghi, era riuscito a incastrare tutto nella sua vita.
 
Si trovò il bicchiere vuoto tra le mani. Infilò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e prese il portafogli. Allungò cinque dollari sul bancone e fece per sollevarsi quando sentì la testa girargli pericolosamente. Di fronte a sé vide il barista che lo guardava vagamente imbarazzato.
 
“In verità... sarebbero dodici dollari.”
 
Rick si guardò intorno e solo in quel momento notò accanto a sé tre bicchieri vuoti. Non si ricordava di avere ordinato altre birra ma era abbastanza evidente che lo avesse fatto, così allungò altri dieci dollari verso il ragazzo. “Tieni il resto.”
 
Sentì a malapena i ringraziamenti del barman; prese il giubbotto e uscì nel vento gelido di inizio settembre. Quell'anno l'inverno era arrivato in anticipo, e faceva freddo come non accadeva da anni.
 
Era decisamente troppo sbronzo per risalire subito in macchina; controllò l'ora e scoprì che erano solo le undici di sera. Avrebbe potuto fare una passeggiata e poi tornare a casa con tutta calma.
 
Si avviò quindi per la via deserta. Ormai sapeva girare quella zona a memoria, ma complice l'alcool arrivò in un punto in cui non era mai stato. E per un motivo ben preciso, tra l'altro. Sapeva esattamente dove si trovava: su quella via c'era il più grande giro di prostitute della zona.
 
"E dove potevo capitare sennò?" pensò tra sé e sé.
 
Stava per fare marcia indietro quando intravide qualcuno che gli sembrava familiare. Si avvicinò barcollando leggermente; perché si muoveva tutto? Da quando era salito su una nave? Sentiva anche un buco allo stomaco e un nodo alla gola. Aveva una strana sensazione...
 
Arrivato a due passi dalla ragazza si prese un momento per osservarla: aveva le gambe lunghe e toniche, risaltate da un paio di tacchi decisamente alti. Indossava un abitino corto blu acceso che evidenziava le curve dei fianchi e la vita stretta; aveva i dreadlocks raccolti in una coda alta che le ricadeva sulla schiena. Si accorse di essere rimasto un po' troppo a fissarle il sedere così si riscosse e le toccò una spalla. Questa si girò di scatto, dandogli una gomitata che centrò in pieno il suo naso, facendolo mugugnare di dolore.
 
Anche tra i fumi dell'alcool, ora era sicuro che si trattava proprio di chi sospettava.
 
“Michonne?” chiese ondeggiando un po' e tenendosi le mani sulla zona offesa.
 
“Rick?!” sussurrò lei allarmata.
 
“Certo!” rispose lui, allargando le braccia e sorridendole. Non era decisamente un bello spettacolo quello che si presentò agli occhi della donna: il suo collega aveva la camicia per metà fuori dai pantaloni, tutta stropicciata, i capelli scompigliati, gli occhi vacui e lucidi. Ma la cosa che balzava all'occhio in quel momento era il sorriso: a causa del colpo che gli aveva appena tirato, il sangue gli scorreva sulle labbra e sui denti offrendo uno spettacolo piuttosto grottesco.
 
“Abbassa la voce! Si può sapere che ci fai qui?!” chiese lei prendendolo a braccetto e allontanandosi un po' dalle altre ragazze, dissimulando meglio che poté.
 
“Già, me lo chiedo anche io..! Cosa ci fa un posto come me in un uomo come questo?*1” rise, sbilanciandosi e quasi tirandola con sé.
 
Michonne gli prese il viso tra le mani e lo guardò negli occhi. “Rick. Devi andartene. Subito.”
 
“Ma... tu che ci fai qui?” chiese gettando un'occhiata alle ragazze qualche metro più in là. “Michonne,” assunse uno sguardo serio e genuinamente stupito “che stai facendo?”
 
“Sono sotto copertura, maledizione! Vuoi il disegno?! Devi andartene subito. Non fare casino e vattene. Tra un po' il capo passerà a controllare che ci siamo tutte e non deve vederti!” rispose velocemente.
 
“E dai, non vuoi stare un po' in mia compagnia? Finché non arriva questo tuo "grande capo"!” ed ecco che urlava di nuovo.
 
Michonne vide un auto svoltare lentamente nella via e pensò che davvero peggio di così non sarebbe potuta andare. Abbassò leggermente la testa e sussurrò: “Rinforzi. Chiedo rinforzi. L'aquila è nel nido. Ma abbiamo un problema: intruso. Intervenite.” fece una pausa mentre ascoltava attentamente quello che le comunicavano. “Non direi un estraneo, non proprio.” rispose lanciando un'occhiata all'uomo accanto a lei.
 
Intanto l'auto li aveva raggiunti; dopo aver accostato sul ciglio della strada i fanali erano rimasti accesi e il finestrino posteriore si abbassò rivelando la figura di un uomo. Un armadio di un metro e novanta, pelato e con due baffoni scuri uscì dalla vettura sovrastando le ragazze di fronte a sé con la sua ombra.
 
“Shonda! Vieni, chi è quel tipo?” la richiamò con voce forte.
 
“Niente, Boris! Se ne sta andando!” urlò in direzione del capo, cercando di addolcire la voce come sempre quando lui era nei paraggi. “Rick. Shh! Vai via!” disse poi a bassa voce.
 
Rick non sembrò prenderla molto sul serio, la guardò, si portò un dito davanti alla bocca e rispose ridendo: “Shh... Muto come una tomba.”
 
A qualche metro da loro, Boris chiese dove fossero un paio di ragazze che non c'erano, per assicurarsi che stessero lavorando, poi come se fosse dotato di un raggio laser, Michonne sentì il suo sguardo posarsi sulla sua schiena.
 
“Shonda! Che succede lì?” Lei si girò dando le spalle al collega, appena in tempo per vedere l'energumeno avvicinarsi.
 
“Chi sei?” domandò quello, guardando dall'alto in basso l'uomo di fronte a sé. Rick, da parte sua, dovette alzare il viso di parecchio per guardarlo negli occhi.
 
“Ciao, ciao.” Sul suo volto si aprì un sorriso a trentadue denti e agitò la mano come un bambino che saluta la mamma.
 
“Mi prendi per il culo? Chi è questo?!” chiese alzando il tono pericolosamente; Michonne lo conosceva e sapeva che quando serrava in quel modo la mascella stava raggiungendo il limite.
 
“Niente, lui-”
 
“Piacere!” Rick si spostò davanti all'uomo e con il sorriso ancora insanguinato gli tese la mano. “Sono l'agente Rick Grimes! Lei è?” chiese cortese e allegro.
 
“Cosa?!” una volta riscosso dallo stupore, guardò Michonne e alzò velocemente una delle sue mani grosse e pesanti per poi calarla verso di lei. Ma il colpo non arrivò mai a segno perché Rick si mise in mezzo beccandosi il manrovescio in pieno viso.
 
Boris stava per dire qualcosa, ma il suono delle sirene e le luci delle volanti invasero la via. Si guardò attorno con gli occhi spalancati e corse verso la macchina. “Vlad! Metti in moto! Andiamocene subito da qui!”
 
L'automobile si accese con un rombo basso e ingranò la prima, cominciando ad avanzare nella via, ma Rick gli corse incontro e si lanciò sul cofano. L'autista sbandò prima a sinistra e poi a destra; quando vide le luci blu e rosse dell'auto davanti che gli tagliava la strada, fu costretto ad inchiodare.
 
“Muoviti idiota!” urlò Boris tirando un pugno di frustrazione sul sedile. Scese dalla vettura ma ormai era troppo tardi: era circondato. Prima che potesse fare qualsiasi mossa, un paio di agenti gli furono addosso bloccandogli le mani dietro la schiena con le manette, mentre altri gli puntavano le armi contro, per tenerlo sotto tiro. Un agente si occupò anche dell'autista della berlina che già era uscito dall'auto con le mani alzate.
 
Michonne corse verso Rick, che a causa della frenata improvvisa era rotolato a terra sul cemento senza più rialzarsi.
 
“Rick!” lo chiamò inginocchiandosi accanto a lui. Lo girò supino e vide che aveva gli occhi socchiusi, così lo chiamò. L'uomo scosse la testa e mormorò un “No...” piuttosto sommesso, chiudendo gli occhi. La sua pazienza raggiunse il limite e senza troppe cerimonie gli diede uno schiaffetto sulla guancia sana.
 
“Sì, sono sveglio! Quanta irruenza!” si lamentò lui tirandosi seduto lentamente.
 
“Bentornato. Alzati, dai.” gli tese una mano e lo aiutò.
 
Tutto attorno a lui si svolse velocemente; non capiva più niente. Era sicuro che avrebbe dovuto ricordarsi di qualcosa, ma gli sfuggiva. Un mare di gente gli passò sotto agli occhi, andando avanti e indietro più volte come se fossero impazziti. Chissà cos'avevano per essere così di fretta. Gli sembrò di riconoscere qualcuno, ma non ci avrebbe giurato. Tutto gli sembrava così confuso... Ad un certo punto si ritrovò seduto sul sedile posteriore di un'auto che partì veloce. Appoggiò per un momento il capo contro il poggiatesta e chiuse gli occhi stanchi.
 
§§§
 
Una melodia insistente e incalzante gli martellò nelle orecchie. Socchiuse gli occhi, tentando di abituarsi al raggio di sole che gli colpiva il volto, e cercò a tentoni la fonte di rumore: a terra accanto a sé trovò il proprio cellulare.
 
“Mmm...” mugugnò accettando la chiamata.
 
“EHI! Come stai?” urlò una voce dall'altra parte.
 
“Ma chi...?” Allontanò il telefono dall'orecchio e guardò il display. Jesus. “Che c'è?” Mentre parlava si guardò attorno, studiando l'ambiente circostante. Era sdraiato su un divano marrone piuttosto scomodo, in una stanzetta che non aveva mai visto e un mal di testa martellante gliela stava spaccando in due.
 
“Eugene ti vuole, fossi in te non lo farei aspettare.” rispose con voce sempre troppo alta.
 
“Ehm... potrebbe esserci un problema.” disse sedendosi “Non so dove sono.” mormorò.
 
“Certo che lo sai! Sei nella sala relax del terzo piano. Dai, scendi o il capo ti farà il culo a strisce!” La chiamata si chiuse senza altre spiegazioni.
 
Rick si rimise in piedi, cercò di darsi una sistemata e uscì dalla stanza. Percorse tre piani di scale ed arrivò all'ingresso, dove si trovava quello del capitano. Cazzo! Ecco cosa si era dimenticato!
 
“Maggie!” chiamò la ragazza, che al momento aveva la testa china su un fascicolo, e le si avvicinò a passo di marcia.
 
Lei alzò lo sguardo e gli rispose, nonostante lui non avesse chiesto ancora nulla: “Beth è stata con Carl e Judith tutta notte e poi li ha accompagnati a scuola. Sì, hai bevuto ed è per quello che hai una faccia che fa schifo e un mal di testa terribile. Ma non è nemmeno la cosa peggiore. E fossi in te andrei davvero dal capo.” detto questo dedicò di nuovo la sua attenzione alle carte posate sul bancone.
 
Ma perché non ricordava nulla? Cos'aveva fatto la sera prima?
 
Arrivò di fronte alla porta dell'ufficio. Una targhetta lucida recitava “Capitano Porter”.
 
Bussò e si annunciò ancora prima che una voce dall'interno lo chiedesse. Il loro superiore era molto... strambo per certi aspetti e cercava di assecondarlo più che poteva per mantenere calme le acque.
 
“Permesso accordato.” borbottò una voce all'interno dell'ufficio. Rick entrò nella stanza e rimase in piedi, aspettando che l'uomo seduto alla scrivania gli desse un qualsiasi... suggerimento.
 
“Ogni azione provoca una reazione uguale e contraria. È risaputo, anche studiando la fisica più elementare, che ogni cosa ha una probabilità o meno di accadere.” lo guardò negli occhi e non lo invitò ad accomodarsi. Rick si chiese solo dove volesse andare a parare. 
 
“Prendendo in considerazione le statistiche in particolare, ci si rende conto come ogni cosa abbia più probabilità o meno  di andare a buon fine. Parlando di ieri sera; la squadra in azione era composta da nove membri, se contiamo Michonne sotto copertura. Secondo i dati, matematicamente, una persona su dieci si trova in disaccordo con le altre. Perciò credo che ieri sera tu sia stato solo una prova ulteriore che la matematica e la fisica siano scienze precise e non empiriche. Anche la statistica, nonostante in un primo momento potrebbe apparire come una sequela di ipotesi, alla fine si rivela una scienza esatta. Quindi immagino che non dovrebbe sorprendermi ciò che è accaduto stanotte. ” fece una pausa ad effetto. “È anche vero che esiste il libero arbitrio e mi sarei aspettato più giudizio dal mio vice.”
 
Il Capitano fece una pausa e lo guardò come se quello che aveva appena detto fosse una spiegazione più che esaustiva. Vedendo che però Rick rimaneva di fronte a lui in attesa, riprese.
 
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi in una postura goffa, e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno - uno qualunque di voi - facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
 
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. Non che la sbornia fosse d'aiuto. Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
 
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”




Angolo autrice:
 
*1 La Mummia, 1999. Evelyn Carnahan. (in realtà questa è più una semicit).
 
Eccoci arrivati alla fine del secondo capitolo! Più che altro è stato una sorta di "seconda parte" del primo. Abbiamo anche incontrato la prima citazione! Perché l'ho inserita? Semplicemente perché amo quel film (Jonathan <3); se lo avete visto sapete di che parlo ahahahaha altrimenti correte a porre rimedio! In ogni caso dal prossimo si inizierà ufficialmente e con il quarto si entrerà a tutti gli effetti nel vivo della storia (promesso!) :* Ringrazio chiunque abbia messo la storia tra preferite/seguite/ricordate e chi ha recensito! Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate! A settimana prossima.
·Machaira·
   
 
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