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Autore: Napee    18/03/2017    0 recensioni
Osservò il filo letale, perfettamente lucido come uno specchio.
Lo sguardo che lo stava scrutando in quel momento gridava a gran voce “disperazione”.
Sarebbe bastato un colpo, un semplice movimento del braccio e la sua sofferenza sarebbe svanita in pochi secondi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill, Budd
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Survive


Bill afferrò di malagrazia la bottiglia di scotch ormai vuota e la scrutò con un accenno di disappunto dipinto sul viso.
Quella era la ormai la terza che scolava.
Ne osservò il vetro liscio, la forma spigolosa e regolare e, quando la superficie riflettente gli restituì il suo stesso sguardo vuoto, non indugiò oltre e la lanciò contro il muro.
Una pioggia di schegge letali invase il pavimento ed alcuni frammenti andarono ad annidarsi fra le setole del costoso tappeto.
“Fanculo.” Biascicò fra i denti accomodandosi meglio sulla poltrona in pelle verde.
L’occhio gli cadde sull’elsa della sua fedele katana, le lavorazioni lucide del tessuto riflettevano la luce calda del camino.
Allungò la mano ed iniziò a giocherellarci, estraendo la lama per qualche centimetro e facendola ricadere all’interno del fodero per diverse volte.
Quante vite aveva preso con quell’arma?
Quante anime aveva intrappolato in quella lama?
Quante grida aveva soffocato con un solo fendente?
Un sorriso amaro gli increspò le labbra mentre una scomoda consapevolezza andava a dilaniagli il petto.
Uccidere non era mai stato un problema per lui.
Ammazzare centinaia di persone per soldi, non gli aveva mai turbato la psiche in alcun modo.
L’unico omicidio, l’unico massacro, compiuto per puro piacere, era anche quello che lo turbava.
Ormai erano passati giorni dall’ultima volta che aveva chiuso occhio. Il tempo scorreva piatto, sempre uguale. Senza importanza. Inconsistente.
Estrasse la katana completamente ed ammirò l’incisione che simboleggiava la firma del suo autore.
Osservò il filo letale, perfettamente lucido come uno specchio.
Lo sguardo che lo stava scrutando in quel momento gridava a gran voce “disperazione”.
Sarebbe bastato un colpo, un semplice movimento del braccio e la sua sofferenza sarebbe svanita in pochi secondi.
Girò l’arma verso il suo ventre. Niente pensieri. Niente rimorsi.
Solo il nome di Beatrix sulle labbra.
Lo squillo del cellulare interruppe il suo addio al mondo.
“Cazzo...” imprecò conficcando la lama nel parquet.
“Almeno lasciatemi suicidare in pace!”
Si alzò ed andò verso il molesto apparecchio.
Acciuffò la cornetta e la portò all’orecchio.
“Pronto?”
“Sono io.” Una voce maschile, presenza costante nella sua vita, si annunciò.
“Spero tu abbia un buon motivo per disturbarmi.”
“Non mi scuserò per aver interrotto la tua autodistruzione.”
Bill sorrise amaro. Budd lo conosceva decisamente troppo, anche quando non voleva far sapere, lui sapeva comunque.
“E vuoi che creda che questa sia una telefonata di piacere?” Ironizzò.
“Beh...” sospirò l’uomo al di là dell’apparecchio.
“Una telefonata, è una telefonata... ma non so quanto possa farti piacere quello che ho da dirti.”
Bill aggrottò le sopracciglia. Un peso al petto lo stava opprimendo  togliendogli il respiro.
“È viva, Bill. Beatrix è sopravvissuta.”
  
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