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Autore: Lechatvert    19/03/2017    6 recensioni
Dieci anni prima di Rogue One, l'Alleanza Ribelle non esisteva. Però esistevano i ribelli.
Erano guidati dalla stessa speranza, dallo stesso fervore dei loro figli e, nelle notti più fredde, si sedevano stretti gli uni agli altri per ascoltare una storia.
E c'erano uomini, c'erano bambini, donne, vecchi. C'erano persino i morti, attorno ai fuochi di Fest, e tutti ascoltavano le storie di Tylan Halos e della sua squadriglia di viaggiatori.
A chi era coraggioso, servivano a prendere sonno.
A chi combatteva da tutta la vita, servivano a far passare la paura.
Genere: Angst, Guerra, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Cassian Andor, K-2S0, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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saboteur



«Generale Draven, si è già occupato del fascicolo?»
«Sarà pronto entro sera».
«Si assicuri di non dimenticarne nemmeno uno. Sono i nostri salvatori; la storia non li dovrà dimenticare».
«Tutti segnati, ho già avvisato i familiari. Lo sa che la maggior parte dei loro cari era sollevata?»
«Sollevata?»
«Sostengono che morendo abbiano saldato il loro debito con il Capitano Andor».
«Non sono sicura di seguire il discorso».
«Yosh Calfor, Farsin Kappehl, Jav Mefran e Serchill Rostok: erano tutti nostri messaggeri con Quantificatore. Quelli che il Capitano Andor salvò da Kessel quando entrò nell’Alleanza. C’è anche qualche membro della vecchia Squadriglia Anima».
«Lo hanno seguito tutti?»
«Sì, più qualche altro pazzo che hanno recuperato su Jedha».
«Altri membri noti?»
«Bé, Jyn Erso, ovviamente e … ora che me lo fa notare, qualcosa non torna».
«Cosa?»
«Prima di decollare, hanno fatto testamento e ce lo hanno fatto trovare archiviato nel database. È firmato da tutti loro, è così che li abbiamo rintracciati».
«E quindi?»
«La nave era per venti persone al massimo, invece sono stati registrati ventuno nominativi».
«Chi manca all’appello, Generale Draven?»
«Qualcuno che si firma MS».





La morte era blu e sapeva di lana.
Quando il Capitano Andor aprì gli occhi, convinto di essersi rotto l’osso del collo dopo essere precipitato per almeno cinque metri nello strapiombo dell’archivio informatico, si stupì di sentirsi dolorante e confuso, ma non da solo.
Qualcuno, non ricordava chi, un giorno gli aveva detto che quando si moriva toccava farlo da soli. Invece c’era un respiro, accanto al suo, caldo tanto quanto un fuoco e rassicurante come quello di una madre.
Dolorante, si scostò piano da quel blu, portandosi in ginocchio sulla gelida grata di ferro mentre a poco a poco i sensi tornavano a funzionare.
«Avevo paura che non ti saresti svegliato in tempo».
Scarif era pieno di voci che non ci dovevano essere; spettri, in un certo senso, ricordi, considerazioni lontane, uomini e donne che erano rimasti indietro.
Realizzandolo, Cassian si passò la mano sul viso, pulendosi la guancia da un rivolo di sangue fresco che colava dalla tempia. Aveva battuto la testa? Nonostante fosse molto probabile, non riusciva a ricordarlo.
Però vedeva i fantasmi.
«Cassian, andiamo!»
Mariceli aveva i capelli lunghi color della ruggine, il cappotto blu con il colletto alto, il bastone di ferro poggiato in grembo. Cos’altro? Cassian pensò che fosse invecchiata parecchio, ma non riuscì ad esprimerlo a parole. Non riuscì a fare altro se non osservarla alzarsi in piedi e protendersi verso il niente che la sovrastava, pallida quanto un cadavere e con la sciarpa rossa di suo marito stretta attorno al collo come un cappio.
«Una bella caduta» constatò, piegando il capo di lato. Sul suo viso apparve un sorriso tagliente quanto una lama. «Qualcosa di rotto, Andor Cinque?»
Gli scoccò un’occhiata delle sue, una di quelle colme di furbizia che facevano tornare la speranza anche ai disperati, poi gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Coraggio. Per una volta, non sei da solo».
Per Cassian fu come precipitare di nuovo.
«Jyn» sussurrò, sgranando gli occhi e mancando un respiro.
Mariceli annuì. «Oh, sì» sussurrò. «Che meraviglia di ragazza». Batté il bastone a terra, generando un toc che risuonò dal fondo dello stanzone fino in cima al soffitto appena visibile nell’oscurità. «Sai, ti ho osservato» fece, guardandolo rialzarsi a fatica. Lo aiutò, poi, appoggiandosi piano alla sua schiena e affondando appena le dita nella stoffa della giacca in un abbraccio goffo che sapeva di rassegnazione. «Tutto questo tempo, da quando sei atterrato su Scarif».
Cassian non rispose, ma la raccolse da terra con la facilità con cui avrebbe raccolto della polvere. In un certo senso lo era, pensò. Polvere.
Se la caricò sulle spalle in un movimento così lieve che per un momento credette di immaginarlo.
«Andiamo» le disse, sbuffando. «Non ho tempo».
Mariceli era leggera, più leggera di quella volta in cui si era appoggiata a lui mentre piangeva sul cadavere di suo marito. Però era anche più fredda, più irreale.
Scalando quella torre infinita che si ritrovava a fissare dal basso, Cassian pensò di aver raccolto l’ennesimo fantasma.
In equilibrio con i piedi piantati tra i dischi rigidi dell’archivio, si stirò per raggiungere un appiglio lontano abbastanza da farlo procedere, e digrignò i denti in un’improvvisa fitta di dolore.
Senza accennare nemmeno un respiro, Mariceli gli accarezzò il capo. «Te lo avevo detto che l’Andor non ti avrebbe mai lasciato andare» rispose, poi sbuffò. «Lassù, Cassian, andiamo. A fare queste cose eri più bravo di me».
Per un istante si annullò, divenendo così leggera sulle sue spalle da sembrare svanita nel buio, poi tornò a tirargli scherzosamente i capelli. Svanì soltanto il tempo di lasciarlo muoversi con libertà.
«Lo sapevo che ce l’avresti fatta, lo sai? Lo dicevo tutto il tempo» commentò. «Tylan era scettico, credo ce l’abbia con te perché mi hai sparato, ma io insistevo: “sta’ a guardare, adesso ce la fa. Quello gliel’ho insegnato io, stupido vecchio!” Sono contenta di vederti qui».
Cassian non le rispose, deciso a proseguire. Pensava, ponderava nella sua mente che quella che aveva sulle spalle non era altro che un’allucinazione. Era lui stesso, in un certo senso, che aspettava di sentirsi dire qualcosa. Ma cos’aveva da confessare a se stesso, adesso che era sfuggito alla morte?
Sulla cima, il portellone della ventola sopra le loro teste si aprì e la luce illuminò di vita il viso di Mariceli. Sotto alle rughe leggere che le piegavano le labbra, si accesero di colpo tutti i fuochi di Fest a cui lei aveva raccontato una storia.
Forse non voleva sentirsi dire nulla, forse era lì per il magro compiacimento di qualcuno che provasse orgoglio per lui. Nell’Alleanza, di ammirazione Cassian ne aveva ricevuta parecchia; però la fiducia disinteressata di un’amica gliel’aveva data soltanto Mariceli.
Sempre più debole, si issò lentamente sopra quell’ultimo ostacolo, alzando il naso sulla botola per poi voltare il capo quel poco che il dolore gli permetteva. «Li ho fatti morire tutti» sibilò, la voce improvvisamente roca, colma di rabbia.
Mariceli lo guardò con gli occhi colmi di pazienza. «Lo so» rispose, assottigliando su di lui il suo sguardo scuro che brillava sempre come una battaglia. «Ma non è quello che hai sempre fatto? Io e Tylan siamo morti con te, e non siamo neanche stati i primi». Si addolcì di colpo, sorridendogli con semplicità. «E invece, lo sai? Potrei morire ancora cento volte per vederti fare quello che hai fatto» disse, sul viso neanche un’ombra di rimorso. «Lo hai visto come combattono gli uomini che ti hanno seguito, Cassian».
«Cunha è tra loro».
«Cunha ha dato retta a un solo capitano, nella sua vita. Ma per la miseria, non è mai stato Tylan. Va’ avanti, non hai tutto il giorno».
Assieme si tirarono oltre la botola, piegandosi sul metallo gelido della grata che la teneva ferma per riprendere fiato.
Se mai Cassian aveva dubitato di poter raggiungere la cima, ora ne era quasi del tutto certo che avrebbe riperso i sensi prima di vedere il cielo. Ammesso che li avesse mai riacquistati, naturalmente. Gli sembrava tutto così vago, attorno a lui, da sembrare quasi un sogno. Forse era ancora sul fondo in preda ai deliri dell’agonia.
«Ascolta, c’è una cosa» boccheggiò, portandosi una mano al petto. Sentiva lo sterno premere contro i polmoni, un senso di oppressione che gli rendeva difficile persino respirare. «C’era anche uno Sward, sulla navetta. Uno Sward zoppo».
Rannicchiata sul ferro, Mariceli sussultò. «Molan?» chiese, schiudendo le labbra in un’espressione atterrita.
«Doveva essere lui».
«Azzardato».
«Una volta mi disse di averti sempre seguita».
«Sì, potrebbe anche essere una cosa da Molan. E forse ha seguito anche te ed è per questo che è qui. Per rimediare».
«Avrei preferito vederlo su Wobani».
«Accontentati, io avrei preferito che non gli avessi sfondato una gamba con un estintore».
Si scambiarono un’occhiata fatta di parole, e in un istante Cassian si sentì coinvolto di nuovo in quella complicità che avevano costruito assieme dieci anni prima, quella maniera un po’ sfacciata che avevano di guardarsi e con cui decidevano la prossima mossa senza nemmeno aver bisogno di aprir bocca.
Salirono lentamente quel che mancava per raggiungere il cielo, lui sputando nodi di sangue man mano che sentiva le forze abbandonarlo, Mariceli standogli appresso, paziente, lieve come la brezza estiva su Fest. Un paio di volte lo sfiorò, e di nuovo fu come toccarla davvero, come avere addosso il suo corpo piccolo e leggero, fatto di tutti gli odori e i rumori delle sue storie. Gli tendeva la mano e lo tirava su quella scala a pioli che era l’ultimo passo per arrivare alla vetta, l’ultima fatica per rivedere la fine.
Infine, uscirono alla luce del giorno.
«C’è qualcosa di oscuro che si avvicina» gli disse lei, prendendolo per mano quando furono in piedi sulla cima della stazione. «Devi sbrigarti».
«Se fossi stata viva, a quest’ora non ci sarebbe niente».
Quasi si offese. «Se fossi stata viva, senti un po’, a quest’ora saresti morto tu» sbuffò, battendo a terra il bastone. «Guarda che hai del lavoro da fare!»
Sulla piattaforma stava bruciando anche il cielo. C’erano caccia ribelli che inseguivano bombardieri imperiali che a loro volta attaccavano altri ribelli, un girotondo fatto di spari che da terra non era mai sembrato così bello.
Era l’ennesima battaglia, quella, anzi: era l’ennesima guerra. E Cassian realizzò di essere in piedi nel cuore di una rivoluzione, una bandiera in mezzo a tante altre bandiere. Forse la sua era quella più sgualcita, ma era anche quella che si ergeva più in alto. Era la chiave, la soluzione, la risposta. Dipendevano tutti da lui e da Jyn.
«Devo andare da solo» considerò, lasciando andare la mano di Mariceli per la prima volta senza che gli venisse strappata via a forza. «È la mia guerra».
Lei gli porse il suo blaster e annuì. «Va’ a far vedere come si comporta un capitano» rispose, indicando l’aria aperta che li circondava.
«Ci rivedremo. Quando sarà finita, saremo di nuovo assieme».
Mariceli scosse il capo. «Cuore, io e Tylan abbiamo avuto gente intorno per tutta la vita. Lasciaci da soli, adesso che abbiamo l’eternità. So che sarai in buona compagnia». Gli sorrise con la stessa grazia dei raggi del sole sulla sua pelle, puntando il bastone per terra in un gesto che lasciava trapelare un po’ di imbarazzo. «Guarda che io lo dicevo, che mi avresti dato grandi soddisfazioni».
Cassian scosse il capo e chiuse gli occhi. Si sentiva spezzato. «Dicesti che avremo guardato assieme giorni migliori», sussurrò.
«Lo stiamo facendo, proprio ora» gli rispose Mariceli. «E siete stati voi a portarli».
«Ci rivedremo».
«Passerò a trovarti».
«Porta il Capitano Halos».
Mariceli lo guardò, per un istante i suoi occhi si bagnarono di lacrime, ma non pianse. Dopotutto, pensò Cassian, aveva avuto anni interi per farlo. Quello era il momento degli addii, non delle debolezze. Si drizzò semplicemente sul suo bastone da passeggio, allora, esile nel suo cappotto blu e con i capelli color ruggine rasati da un lato.
«Siamo tutti fieri di te» sussurrò, annuendo piano.
«Lo spero».
Si abbracciarono un’ultima volta, silenziosi.
«Forza, vai» gli sussurrò poi lei, sospirando contro la sua pelle. «E tagliati i baffi. Tylan dice di no, ma il permesso te lo do io».
Lui la strinse un po’ più forte, muovendo il braccio che le circondava le spalle. «Avrei voluto dirti addio».
La sentì sussultare, tremare forse.
«In gamba, Andor Cinque. Io addio non l’ho detto nemmeno a mio marito».
E di colpo non fu che fumo negli occhi e consapevolezza di aver fatto pace con i fantasmi. Sembrava polvere e lo divenne davvero, sabbia scura fatta di ricordi che ormai sbiadivano mentre il vento se li portava via assieme alla guerra.
Era sparita, stavolta per sempre.
Non gli era rimasto che il blaster tra le mani.






Poco dopo, quando lui e Jyn si sedettero sulla spiaggia ad aspettare la fine, realizzò che la morte gli faceva molta meno paura di quanto non avesse mai pensato. Stretto nell’ultimo, umano calore di un abbraccio, ricordò di quando non era nient’altro che un ragazzino che si ostinava a tenere gli occhi aperti quando si trovava davanti a un blaster.
Pensò d’un tratto a Kappa, a Bodhi, a Chirrut e a Baze, e all’improvviso non ebbe più paura.
Quella volta soltanto, allora, si concesse di morire con gli occhi chiusi.
   





note

Fine, stavolta per davvero.
Ieri sono stata proclamata dottoressa, oggi concludo anche la fanfiction (a proposito: se qualcuno di voi ieri pomeriggio a Bologna è stato fermato da un pilota ribelle ubriaco che implorava di aiutarlo a distruggere la Morte Nera, con tutta probabilità quel pilota ero io, seguita da un gruppo di amici più o meno benvolenti nei miei confronti. Scusate).

Comunque. Qui siamo tutti scrittori, perciò credo sia superfluo dire quanto una storia - per quanto breve - possa lasciare dentro, quante soddisfazioni possa dare, quante insicurezze, quanti dubbi, quante serate davanti allo schermo di un computer a buttare giù frasi che nella maggior parte dei casi finiscono cancellate dieci ore dopo. Eppure si è sempre pronti a lavorare a questi piccoli progetti con un entusiasmo che forse andrebbe applicato altrove.
Insomma, tutto questo giro di parole per dire che sebbene Saboteur sia stato un lavoro breve, un lampo, starci dietro è stato un piacere reso ancora più bello da tutte le persone che se ne sono interessate. Oltre alle recensioni, le chiacchierate via messaggio, le fanfiction che ho letto in questa sezione mentre pubblicavo che sono state delle scoperte preziosissime, le meravigliose parole di tutti voi. Insomma, sono stati due (tre?) mesi davvero piacevoli, ed è tutto merito vostro ♡
Per cui: grazie a tutti, anche a chi arriverà a lavoro concluso. Sappiate che questo fandom è sempre qualcosa di sublime in cui sbirciare.

Lemurelli,
Lechatvert




   
 
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