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Autore: MoreUmmagumma    20/03/2017    3 recensioni
Due amici in ferie decidono di spassarsela in una località di mare altolocata. L'importante è non esagerare.
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era la prima volta che i loro occhi vedevano tutta quella meraviglia.
Se ne stavano comodamente spaparanzati al tavolino di una terrazza, sotto il riparo di un ombrellone; il termometro segnava trenta gradi; il mare era bello, dell’azzurro più intenso che avessero mai visto in vita loro, e una brezza calda sfiorava leggermente i loro visi. Giovanni e Riccardo, due romani in vacanza, scrutavano attentamente il paesaggio intorno a loro, facendo attenzione di tanto in tanto se qualche vip fosse passato davanti ai loro occhi. Il tutto mentre sorseggiavano dell’ottimo champagne e degustando del pregiato caviale.
“Ma ce pensi?” Riccardo interruppe il silenzio fra di loro. “Io e te a Montecarlo!”
“’Mbè? Che ce trovi de strano?” gli domandò Giovanni con fare altezzoso.
“Beh… direi tanto strano se consideri ‘r fatto che er massimo der mare che avemo mai visto è stato quello de Freggene”.
“Io te l’ho sempre detto che dovevamo gioca’ a quer quiz a premi. Ma te gnente, mai che me dessi retta!” esclamò Giovanni togliendosi gli occhiali da sole per girarsi verso il suo amico. “A quest’ora, se non fosse stato pe’ me, staremmo ancora a Tor Bella Monaca a vende panini”.
Riccardo sospirò. In effetti Giovanni aveva ragione: era stato lui ad insistere a partecipare, così tanto che Riccardo dovette accontentarlo come si accontenta un bambino che non smette di lagnarsi.
“Guarda là!” esclamò Giovanni spalancando le braccia verso il mare. “Guarda che meraviglia!”
Ma Riccardo a quel punto non seppe più se il suo amico si riferisse al mare o alla ragazza in bikini che, proprio in quel momento, passò loro davanti.
“In ogni caso me sei debitore a vita” aggiunse Giovanni rimettendosi gli occhiali.
Riccardo scosse lievemente la testa e tornò ad osservare di fronte a sé. Dopo pochi secondi, con la coda dell’occhio, vide Giovanni scolare nel bicchiere l’ultimo goccio di champagne, agitando la bottiglia come un ossesso.
“Dannazione!” imprecò Giovanni. “È finito lo champagne! Ne ordino un altro”
“Un altro?” Riccardo sgranò gli occhi. “Ma non stamo a esagera’?”
“Mado’ che palle che sei!” lo rimbeccò Giovanni. “Già te sei dimenticato che ner pacchetto so’ inclusi tutti i pasti? Biondo?!” esclamò richiamando l’attenzione di un anziano cameriere. “Champagne!” aggiunse poi alzando il calice in bella mostra, tenendo la mano libera aperta al lato della bocca.
“Rilassati, Riccardo. Lo scopo de sto viaggio è spassarcela come non abbiamo mai fatto”
In quel momento il vecchio cameriere arrivò con una bottiglia di Moët & Chandon e lo versò con maestria nei loro bicchieri.  
I due giovani fecero un brindisi battendo i calici e presero a sorseggiare rumorosamente.
E in meno di mezz’ora i bicchieri divennero due. Poi quattro. Poi bottiglie intere. Divennero così ubriachi da non rendersi più conto di dove si trovavano.
“E allora sai che j’ho detto a quell’arabo quando m’ha chiesto come stavo?” urlò Giovanni biascicando le parole mentre Riccardo soffocava dalle risate. “ALLA-GRANDE”
A quel punto le risate di Riccardo aumentarono e quasi si sentì male, tanto era il ridere.
Non si erano nemmeno accorti che tutto il ristorante li stava fissando da qualche minuto. Una signora addirittura rimase con la forchetta a mezz’aria di fronte alla bocca, gli occhi spalancati, increduli, davanti a tanta volgarità. Qualche istante dopo un cameriere toccò la spalla di Giovanni, richiamando la sua attenzione.
“CHI È?” urlò quest’ultimo spaventato. “AH.” aggiunse quando si rese conto che era solo il cameriere, il quale aveva appena messo un foglio sul tavolino.
Lo prese e lo mise di fronte agli occhi.
In un primo momento non capì.
Riccardo era messo ormai fuori gioco dall’alcol: rideva.
Un momento di lucidità attraversò la mente di Giovanni.
Niente era più divertente ormai.
Solo allora capì che in mano non aveva altro che il conto, e per giunta più salato delle patatine delle quali si erano appena ingozzati.
“Ricca’!”
“Eh?” rispose l’altro.
“RICCA’!”, ripeté con la voce disperata, strattonandolo per il braccio.
“EEHH?!” rifece Riccardo, con la voce ancora più disperata.
“MO SO’ CAZZI NOSTRI!” esclamò agitando il conto davanti agli occhi dell’amico.
Tre zeri belli tondi danzavano sullo scontrino.
Si guardarono negli occhi, facendosi venire in mente qualche idea.
E con scatto atletico, che neanche Usain Bolt ai mondiali dei 100 metri piani, corsero fino alla porta, nella vana speranza di fuggire inosservati dal ristorante.
“La porta! LA PORTA!”
Ma due camerieri si piazzarono davanti all’entrata impedendo ai due di uscire.
Fecero dietro-front senza nemmeno fermarsi.
Nel ristorante si era creato il delirio.
Un chihuahua balzò dalle braccia della padrona e, abbaiando con una vocetta stridula, rincorse i due poveri amici, a loro volta inseguiti dai camerieri.
Riccardo si nascose sotto al tavolo, facendosi largo tra le gambe dei commensali, i quali, appena lo sentirono, si alzarono di scatto urlando.
E mentre sperava di non essere visto, avvertì d’improvviso un dolore lancinante al fondoschiena.
Gridò.
Dopodiché girò la testa.
Le fauci del chihuahua lo tennero stretto stretto mentre l’abominevole bestiola cercava di strappargli via la stoffa dei pantaloni che aveva in bocca, ringhiando.
Giovanni nel frattempo cercava di raggiungere la porta coprendosi la faccia con un menu, ma andò inavvertitamente a sbattere contro un cameriere, facendo rovesciare a terra il vassoio che portava in mano e tutto il suo contenuto.
“Pardon!” esclamò, nel panico più totale, mentre cercava di rimettere a posto il cibo sul vassoio, ormai divenuto una poltiglia.
Intanto Riccardo era impegnato in una lotta contro il chihuahua, il quale non voleva proprio saperne di ridargli il pezzo dei suoi pantaloni. Ci rinunciò e riprese a correre, senza accorgersi che Giovanni, a pochi metri da lui, stava ancora cercando di recuperare il vassoio fatto cadere pochi secondi prima.
Fu un attimo.
Giovanni senza volerlo allungò una gamba, ma Riccardo non fece in tempo a vederla.
E mentre la urtava con il piede sinistro, andò a sbattere dritto dritto contro il carrello dei dolci, il quale, a una velocità che a Riccardo sembrò di cento chilometri all’ora, si schiantò contro un tavolo sul quale troneggiava una maestosa torta a tre piani.
La torta cadde con tutta la sua pesantezza sulla testa del povero Riccardo e in un nanosecondo si ritrovò coperto di crema pasticcera fino ai piedi.
Lanciò uno sguardo al suo compare, mentre due camerieri lo fecero rialzare sollevandolo dalle ascelle, il chihuaha che ancora ringhiava. Con l’indice si levò un po’ì di crema dal braccio e se lo mise in bocca, prima che il maître fece rialzare anche lui.

***

“Beh, oh! Alla fine non ci è andata così male” disse Giovanni.
Riccardo emise un grugnito. Non aveva granché voglia di parlarne.
“In fondo non è altro che ‘na vacanza prolungata” continuò Giovanni, cercando di ricavarne qualcosa di positivo.
Riccardo non disse nulla.
Continuò a fare ciò che stava facendo, cercando di mantenere la calma per non prenderlo a pugni.
L’odore dei piatti sporchi gli impregnava il naso.
Faceva vomitare.
Pile e pile di piatti, bicchieri, padelle e pentole completamente lerci, non aspettavano altro che essere lavati.
A mano.
Si voltò verso Giovanni, con sguardo minaccioso.
“STATTE. ZITTO.”
  
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