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Autore: Hikari_Henko    22/03/2017    1 recensioni
Lovino Vargas rivela le doti di un ottimo studente,anche se si dimostra sufficiente verso la lingua spagnola. Per questo gli viene affidato un tutor, Antonio, il quale sarà pure il suo unico amico, l'unico con cui poi rivelerà le atrocità del proprio passato e, creando un forte legame con lui, proverà ad affrontarle.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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-Mi piaci, Lovino.
Il vuoto si estese, sotto i loro piedi.
La prima neve di dicembre cadeva.
-… i-io…- il giovane non distaccava i suoi occhi dall’altro, sapeva che sarebbero sprofondati entrambi.
Tonio, che sembrava sempre così tranquillo nel consolare gli altri, di essere gentile, di dire quei “ti voglio bene” a tutti, ora, come durante la messa, era una persona completamente diversa.
Gli occhi si cristallizzarono, vennero avvolti da quei candidi fiocchi.
Leggere e sottili, fredde lacrime, solcarono quel piccolo volto dopo tanto tempo.
-Lovi?! Tutto bene? Perché piangi? Ehy-
Il ragazzino si avvicinò a lui, allargando le proprie braccia, stringendolo con forza.
-Non sei idiota… Sei un grandissimo idiota!
-Eh?
Lo spagnolo non ci capiva una ceppa. Aveva solo un italiano che lo abbracciava mentre singhiozzava, sotto la neve, la Vigilia. Lo strinse a sua volta.
-Tranquillo…
-Brutto idiota!
Ecco, più o meno andarono avanti così.
Antonio guardava attorno a sé. Percorreva quel luogo ogni giorno, ma in quel momento era così diverso da quello di sempre. Era così caldo, così ampio, così… diverso. E in quel momento voleva solo scordarsi di tutto quello che era successo.
Si distaccò da lui, e Lovino fece lo stesso, anche se sorpreso, quasi scoraggiato, come se sperasse di rimanere nascosto su quel cappotto per sempre. Alzò lo sguardo verso Antonio, e si fissarono di poco. Un caldo calore li colpiva dopo ogni respiro. Occhiate profonde, che comunicavano.
“Avvicinati”
“Abbracciami di più”
“Continua a guardarmi”
“Ho paura”
“Voglio tutto di te”
Si avvicinarono, lenti, chiudendo poco gli occhi ad ogni millimetro. La mano dello spagnolo conduceva la testa dell’altro alla propria.
I nasi, freddi, vicini, si sfiorarono, inebriando il senso di desiderio.
Poi le punte delle labbra, anche quelle fredde, iniziarono a sovrastarsi, le une contro le altre, sempre di più, prendendo tutta l’alba rosata di cui erano tinte.
E il calore entrò leggero nelle loro bocche. Si scambiarono dei respiri.
Quando furono più sicuri, si riguardarono negli occhi. Era solo una la parola, che entrambi pronunciavano.
“Ancora”
I movimenti si accelerarono. Si riavvicinarono con meno esitazione, con più impeto. L’assalto era fatale. Le mani di entrambi ricadevano sui loro corpi, cercando ogni minimo strato di pelle su cui aggrapparsi, per sentire il calore dell’altro, sentire che non era per nulla un sogno.
E’ tutto vero.
Non piombarono nel vuoto, se non nel loro vuoto. Non serviva più nulla, ora tutto era stato fatto.
Dio solo sa quale fu stato il loro coraggio, di staccarsi, sorridere, raggiungere casa.
Fatto sta che appena aperta la porta il desiderio tornò. E lì nessuno li avrebbe visti.
“Di nuovo”
Si dissero con gli occhi. I loro colori si fecero più vividi.
Antonio si avvicinò a lui e Lovino fece lo stesso, più lentamente della seconda volta, ricominciarono da capo.
Dopo una decina di baci leggeri, l’italiano ridacchiò, ma Tonio non voleva sapere perché, se rideva almeno era felice.
Si avvicinò di più a lui, costringendolo ad addossarsi al muro. Il freddo e duro muro.
Il ragazzino vi appoggiò la testa e, poco dopo, costretto dalla presa dello spagnolo, sollevò pure le mani allo stesso livello, toccando quella medesima superficie gelida.
La pelle di entrambi si rizzò. Erano avvolti dal silenzio dei loro baci.
Questi divennero più intensi, entrambi aprirono poco a poco le loro bocche, sentendo il sapore dell’altro che entrava in loro. Lovino spostò le sue braccia, le sue mani, sul collo di Antonio, arrampicandosi sul suo busto. Il maggiore lo sollevò da terra, prendendolo in braccio, non staccando un secondo le loro labbra.
Mise le sue mani ovunque, gli tolse la giacca, il ragazzo la tolse a lui.
Cercava nella più completa agonia il calore del suo corpo.
E lì il destino fu segnato. Antonio si diresse alla loro stanza.
Ancora impregnata delle loro notti, passate ad abbracciarsi, desiderando l’impossibile, che ora magicamente era possibile.
Aprì furiosamente la porta, mentre l’altro lo tempestava di baci infiniti.
Lo appoggiò al letto, nel centro, e lui si mise sopra, con la schiena inarcata.
Le sue mani avrebbero voluto scivolare ovunque, comprendere il corpo dell’altro, toccarlo.
Voleva che tutto quello che si trovava davanti fosse suo.
Gli alzò pure l’ultima maglia, togliendogliela, ammirando il suo corpicino esile che ogni notte cercava riparo sul proprio. Era chiaro, molto chiaro. Senza ferite, senza nulla di apparente, se non i rimasugli delle volte in cui veniva pestato. Se non per dei segni, piccoli, ma non invisibili, sulle braccia. Non fece domande, non servivano, aveva già compreso.
Si abbandonò alla sua eccitazione, al suo desiderio di contatto sfrenato, movimenti irrequieti e ripetitivi, che li accarezzavano con dolcezza.
Le mani che tracciavano lievi percorsi sulla loro pelle scoperta, ora pure Antonio si tolse la maglia. La sua schiena inondata di cicatrici.
Un altro passato che era meglio dimenticare. Lovino poggiò lì le sue mani, accarezzandolo, sentendo il cambio di morbidezza tra i segni e la pelle intoccata. Gli piaceva toccare le cicatrici.
Era tutto così morbido, così caloroso.
Ormai si muovevano da soli e il tempo scorreva, su una ferrovia senza ritorno, senza destinazione. Nemmeno loro sapevano dove dovevano fermarsi. Più fermate superavano, più la possibilità di tornare sarebbe svanita, ma loro non volevano che svanisse. Volevano oltrepassare tutto, le montagne, il mare, l’oceano e cercare una terra tutta per loro.
Era il loro piccolo paradiso, quella stanza semibuia dove il loro piacere si sarebbe avverato dopo tempo.
Si strinsero, e il loro fulcro di piacere, ancora rinchiuso nei loro pantaloni, cercava di uscire, di avvicinarsi all’altro, in qualsiasi modo.
Antonio allora gli sciolse il nodo, lasciando che i pantaloni di lui scivolassero via dalle sue gambe, così gracili pure quelle. Si intrecciarono al suo corpo.
Lo spagnolo continuò con la propria mano nel luogo del piacere, estraendolo dall’ultimo, sottile, strato di indumenti che lo separava da ciò che bramava.
Lo accolse nella sua mano, mentre si protraeva verso di lui, ma allo stesso tempo timidamente si tirava indietro. Lovino sussultò per quel lieve piacere, per il tocco che non era lui a dare, ma era qualcun altro, colui che amava. Cercò di avvicinarsi alla sua mano, e allora l’altro decise di iniziare a muoverla.
Il ragazzino si strinse a lui, affondando le proprie dita sulla schiena dell’altro, aggrappandosi, cercando di non dare troppa evidenza al piacere, fallendo miseramente, perché venne proprio su quella mano tanto gentile.
Antonio sapeva già come usare ciò che gli era capitato tra le mani.
Andò alla ricerca del suo punto sacro, sfiorandolo delicatamente, poi infilandoci una, due dita, allargandolo mano a mano, abituandolo a qualcosa che sarebbe presto stata dentro a quel fragile corpo.
E il piacere giunse, dopo un interminabile tempo di attesa.
Fosse per quel bruciore della sua prima volta, fosse perché doveva solo liberare i suoni della sua goduria del momento, il ragazzino gemette.
I loro movimenti, la grazia con cui dondolavano sul materasso, era tutto così dannatamente magico.
Continuavano, tra sussulti, tra brevi parole sussurrate.
“Di più”
“Ancora”
“Ti amo”
E tutto divenne il nulla attorno a loro. Erano loro, in contatto, come fossero un’unica essenza, un’unica anima. E non avrebbero potuto desiderare di meglio.
Antonio si era giurato solennemente che, almeno per Natale, non avrebbe indugiato ad atti impuri, purtroppo dovette ricredersi.
Nella notte della nascita di Cristo, egli compì la prima volta di un ragazzino, desideroso quanto lui di tutto ciò che ora li circondava.
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Il mattino seguente, la neve continuava a svolazzare.
La terra intorno a loro era bianca.
Loro sonnecchiavano ancora nel loro nido d’amore, mentre i fiocchi bussavano sui vetri delle loro porte, delle loro finestre, che ancora echeggiavano i suoni della loro notte.
Antonio si svegliò, o meglio, aprì gli occhi e si rese conto che la notte magica era conclusa, ma sveglio non lo era proprio. Vedeva solo il corpicino nudo ed esile di Lovino, accanto al suo, ancora vicino alle sue labbra per gli ultimi baci. I corpi di entrambi pieni di succhiotti e graffi ovunque.
Quando il ragazzino si svegliò, rendendosi conto del tutto, si limitò ad arrossire e fare finta di nulla, mentre sprofondava nell’imbarazzo più cruento.
Passarono il Natale in maniera tranquilla, piccoli doni furono scambiati. Lovi non poteva permettersi chissà che dopo che nemmeno aveva più un soldo. Era riuscito a raccimolare un quaderno, con molte pagine, disegnando sulla prima pagina un pomodoro gigante, scrivendo “Ecco il quaderno di un idiota consumatore di pomodori”. Tonio gli comprò dei nuovi vestiti, più alla moda. Un maglione largo, che piacevano particolarmente al giovane, uno più stretto, per evidenziare le sue belle forme, e dei semplici pantaloni. Lovino quasi rifiutò il tutto, anche se dopo fu costretto ad accettare.
Il giorno passò, così come le notti, che si tinsero nuovamente dei suoni del loro nido amoroso, dove puntualmente si passava da “Ehy bastardo, stammi lontano stanotte!” a dei gemiti e sussulti continui.
Le vacanze invernali stavano per concludersi.
   
 
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