Capitolo 7
Sulla Waverider
Sara era totalmente ignara di tutto quello che stava succedendo al di fuori,
delle scioccanti verità che si stavano scoprendo in quelle ore e del peso che
avrebbero avuto. Tuttavia nel mentre era sola nel disastro che lei stessa aveva
causato, a sfregarsi le mani con ferocia sotto l’acqua per mandare via il suo
stesso sangue che si era incrostato sulla pelle dopo che lo aveva lasciato
scorrere senza muoversi dalla posizione inginocchiata a terra in cui era finita
ed era rimasta senza sapere quanto.
Quando però Laurel aprì gli occhi non aveva
saputo nulla di tutto quello che era successo perché l’unica cosa che vide fu
Sara con le mani fasciate che la fissava con un leggero sorriso sul volto.
«Pensavo che avresti continuato a farti un pisolino…» il suo conoscerla fin
troppo bene, la rendeva certa che il suo pungolarla era dovuto solo al tentar
di sviare la verità che ormai doveva aver scoperto.
Alzandosi dalla sedia su cui era stata sdraiata scoprì ben presto di
indossare ancora la lunga e larga
t-shirt di Donald che aveva usato la notte prima per andare a letto.
«Vieni ti do qualcosa…»
Sara lo disse invitandola a seguirla e così portandola nel suo alloggio, lì
dove cercò un paio di jeans e un top che era sicura le sarebbero andati.
Il silenzio era pressante, ma era molto più naturale di quel voler tentare
a tutti i costi di fingere che andasse tutto bene quando ovviamente non era
così.
Laurel era seduta sul bordo del letto e quando voltandosi verso il piccolo comò
al fianco dello stesso vide una fotografia di Sara e sua sorella non poté non
prenderla in mano e accarezzarne i due volti sorridenti, sorridendo lei a sua
volta. Aveva sentito per tutta la sua breve vita il peso di dover portare il
nome di una zia che non aveva conosciuto, ma con la quale sapeva che tutti
l’avrebbero sempre paragonata.
«Lo sai vero?» chiese improvvisamente la giovane abbassando la foto e
affrontando lo sguardo di Sara quando questa si voltò verso di lei e rimase
colpita dalla scena che si trovò di fronte. Strinse maggiormente il jeans e il
top che aveva in mano e mettendoseli sulle gambe, si sedette al fianco della
ragazza. Era chiaro che nessuna delle due era fatta per girare intorno alle
cose, preferivano andare dirette e brutalmente sempre al punto.
«E tu quando pensavi di dirlo?»
«Pensavo non sarebbe servito…»
Perché di certo Laurel non aveva messo in
programma di continuare a vivere una volta conclusasi la sua missione.
«Ho ricevuto l’esito dell’esame il giorno dopo del funerale dei miei… La
certezza già quasi c’era, ma sai la speranza è l’ultima a morire… ancor più
quando hai tanto per cui vivere…»
E ad ogni parola i suoi grandissimi occhi espressivi si riempivano di
lacrime che si sarebbe rifiutata di versare. Ormai non era nemmeno più certa di
averne.
Le sue labbra tremavano dallo sforzo di trattenerle e le sue dita
affusolate stavano stringendo così forte il porta foto che sarebbe mancato poco
che si frantumasse tra le sue mani. Sara lo notò e per questo gentilmente
glielo tolse, mettendolo da parte come i vestiti che stava custodendo in
grembo. Così facendo poté anche piegare una gamba sul proprio letto e voltarsi
completamente verso di lei. Le scostò una lunga ciocca di capelli chiari che le
era caduta davanti al voltò a nasconderla e rimase impressionata da come il suo
volto contrito dal dolore fosse così simile nell’espressione a Rip… sembrava il déjà-vu della sera in cui avevano parlato
e lui le aveva confidato tutto il suo sconforto.
«Per questo mi hai detto che ti ho tradito?» chiese la Leggenda, trovandosi
più scossa di quanto si aspettasse. Lei che credeva di avere più autocontrollo.
«Ti odio perché tu mi avevi promesso che ci saresti stata… sempre… che non
mi avresti abbandonato e mi avresti insegnato così tante cose che non avrei
avuto una vita per impararle tutte… ma poi te ne sei andata… sei morta di
fronte ai miei occhi senza darmi il tempo di dirti tutto quello che non sono
mai riuscire a dirti…»
Piccole gocce salate scesero sul viso di Laurel
che nonostante lo sforzo non era riuscita più a trattenerle, lei che non voleva
cedere. Lei che sapeva benissimo di non trovarsi di fronte a sua madre, ma che
aveva rimandato quello sfogo per troppo tempo. Ci aveva provato con la sua
tomba, ma tutte le volte finiva per inveire contro la lapide e buttare i fiori
che voleva posarvici sopra.
«Mi sono ritrovata sola senza sapere cosa fare… cosa me ne facevo dei miei
sogni da ginnasta? Dei miei premi di cheerleader o dei miei abiti firmati? Cosa,
se niente di tutto quello vi avrebbe riportato indietro?»
«Per questo sei diventata Huntress?» le chiese
Sara stringendo le sue mani e cercando il suo sguardo, lo stesso in cui avrebbe
voluto annegare… nel dolce mare salato delle lacrime che ormai entrambe stavano
versando.
«Volevo ucciderli tutti… volevo che la Corte dei Gufi pagasse, ma non sono
riuscita nemmeno in questo… la malattia è progredita in fretta e ho fallito…
Non sono stata nemmeno capace di vendicarvi…»
Sara sentì la necessità di abbracciarla forte e impedirle di portare un
peso che una ragazzina così forte non avrebbe mai dovuto portare. Men che meno
se era sua figlia e se tutto quello che le era successo era stata unicamente
colpa sua.
Non sapeva che cosa aveva fatto in vita sua o chi aveva salvato o quali
ferite e di aveva curato… perché era stata ripagata con qualcosa di fin troppo
grande e lo percepì nel momento in cui stringendola tra le braccia aveva
finalmente trovato quella pace che pensava che a lei fosse reclusa.
Non sapeva se era stata lei a incontrarla oppure se era stata Laurel a trovarla, non lo sapeva… non ne aveva minimamente
idea, ma poteva solo ringraziare il tempo per quello che era successo, per
poterla meritare…
«Non sei sola Laurel… ok? Non sei sola… Perché io
mi prenderò cura di te… perché io ti salverò e non ti permetterò di portare un
peso che è mio…»
Sara stava impazzendo dicendo quelle cose, lo sapeva benissimo, ma non
poteva fare altrimenti. Sì poteva chiamare istinto materno forse, ma di fatto
per quanto sbagliato fosse non avrebbe permesso che lei soffrisse ancora un
solo minuto in più.
Laurel le sorrise tra le lacrime e si aggrappò a lei con forza, stringendola,
abbracciandola e non riuscendo a capire se era più triste, felice, sollevata o
spaventata. Seppe solo che non voleva rinunciare a quella ritrovata pace, a
quella seconda possibilità.
Qualcosa accadde in quel breve tempo insieme e quando le porte
dell’alloggio si aprirono entrambe erano profondamente diverse e con la
consapevolezza che il loro legame andava oltre la morte e il tempo.
Laurel sembrò tornare nonostante tutto e almeno in parte la ragazzina di sedici
anni che doveva essere e Sara non la perse di vista fin quando non scomparve
dalla stessa, era decisa a seguirla se non fosse che di fronte alla porta della
sua stanza comparve Rip: le mani suoi fianchi, lo
sguardo critico e l’impressione di chi aveva ascoltato tutto.
«Cosa hai fatto Sara?» una domanda semplice che in realtà nascondeva mille
insidie.
Ci stava provando a trattenersi, ma fu impossibile, tanto che la mano
scattò a stringere fin troppo forte il suo braccio e a spingerla all’indietro e
lasciare che le porte alle sue spalle si chiusero.
«Cosa hai fatto? Sara non puoi…»
Ma per il canarino bianco non fu poi così difficile liberarsi dalla sua
presa, di poggiare le sue mani sul suo dorso e spingerlo all’indietro.
«Non posso salvare nostra figlia? Mi spiace Rip è
troppo tardi, perché non mi tirerò indietro… non lo farò…»
«Ma ti senti? Ti senti quando parli?» gli chiese lui arrivandogli così
vicino che le loro fronti si sfiorarono, mentre urlandosi addosso l’un l’altro
si stavano azzannando come probabilmente non avevano mai fatto prima.
Lei tentò di ignorarlo, di sorpassarlo e andarsene per evitare che la
situazione degenerasse, ma il Capitano non poté permetterglielo e così tentò di
fermarla finendo solo per combattere contro un’assassina decisamente più forte
di lui e che finì per scaraventarlo sul letto.
«Non osare impedirmelo Rip… non osare metterti
sulla mia strada!»
Lo minacciò lei non avendo paura di usare quel tono e quelle parole, mentre
con una mano lo puntava con il dito con fare intimidatorio. La stessa mano che Rip prese per attirarla a sé e capovolgendo le posizione
bloccarla sotto di lui tenendola con i polsi ben schiacciati contro il letto.
«Non costringermi a fermarti Sara… Non costringermi te ne prego…»
«Rip è nostra figlia…»
«Lo so…»
«Cosa?» chiese Sara in preda allo shock di fronte a quella sua confessione
tanto semplice e spontanea, quando questo lasciandola libera si tolse da sopra
il suo corpo e sedendosi accanto a lei sul letto si mise a fissare la porta
chiusa.
«Credo di averlo capito nel momento in cui Gideon
mi ha mostrato la foto…»
«E allora… allora dovresti capirmi…»
Sara si era alzata a sedere e ora era voltata verso di lui, cercando una
spiegazione del suo comportamento.
«Ho rinunciato a Miranda e Jonas, al tentativo di salvarli per fare la cosa
giusta e tu hai fatto lo stesso con tua sorella, perché questa volta dovrebbe
essere diverso?»
Chiese lui con semplicità. Le gambe piegate e le braccia poggiate sulle
ginocchia, stanco ormai del ruolo di colui che doveva prendere decisioni per il
bene degli altri… del mondo, ma mai suo.
«Non lo so… hai ragione… non dovrebbe esserlo… ma guardami negli occhi e
dimmi che quando la guardi non senti che per lei saresti disposto a qualsiasi
cosa… anche fotterti delle regole e di ciò che è giusto o ciò che non lo è…»
Rip si
trovò ad alzare gli occhi al cielo, rise con amarezza e sarcasmo. Era tremenda.
E la dimostrazione che non sapeva darle una risposta, che stava oggettivamente
facendo un errore era esattamente la prova di cui aveva bisogno. Quella che gli
dimostrava che forse non gli restava altro da fare se non seguire il suo
istinto, dimenticare le sue quisquilie e togliersi la mania che aveva di
soffrire. Di tornare a rischiare come faceva una volta, inventarsi una nuovo
modo di vivere e lasciarsi alle spalle il passato.
Sara non sapeva perché Rip non le rispondesse,
perché era lì a fissarla senza proferire parole, ma era sicura che se avesse
avuto il potere di leggergli nella mente avrebbe scoperto una ferocia battaglia
nella sua testa quanto nel suo cuore.
La stessa che ad un certo punto aveva dovuto scegliere un vincitore e che
capì quale fosse nel momento in cui la baciò con la stessa intensità e la
stessa necessità di solo poche sere prima.
Lei che questa volta lo accolse più preparata e con il desiderio di
approfondire maggiormente quel qualcosa che tra loro si stava creando, ma che
in realtà era lì che covava da moltissimo tempo, da quando l’uno per l’altra
avevano iniziato a riempire le loro esistenze vuote e danneggiate.
Ormai il fantomatico motivo per cui fossero lì stava divenendo chiaro per
tutti, seppur per ognuno in modo completamente diverso: salvare Flashpoint e il suo futuro.
Le informazioni riguardanti il Flash Nero e i suoi fatali piani contro Flashpoint non erano le uniche notizie nefaste di cui erano
venuti a conoscenza. La Checkmate non era così in fermento
da moltissimo tempo, agenti che correvano da una parte all'altra, Lyla che urlava ordini e Diggle
che con gravità stava aggiornando il Presidente attraverso una videochiamata.
«Hai detto che lo hai trovato in mano di tuo padre?»
Chiese Snart a Dawn
dopo che per l'ennesima volta avevano ascoltato la registrazione che quel
piccolo dispositivo conteneva, la stessa che parlava degli eventi apocalittici
di quel futuro in cui loro stessi vivevano e che secondo Allen erano frutto
delle macchinazioni della Corte dei Gufi alleati con un nemico se possibile
ancora più minaccioso: l'Anti-Flash. Colui che era riuscito a manipolare più
eventi contemporaneamente creando così molteplici anomalie che avevano portato
all'alterazione del futuro con l'arrivo di esseri quasi mitologici quali Aquaman e Queen Diana, ma anche riuscendo nell'intento di
far cadere gli eroi più potenti della terra.
«Sì! Te l'ho già detto! Dobbiamo fare qualcosa... non possiamo permettere
che il sacrificio di mio padre sia stato vano!»
«Mia sorella ha ragione! Lui lo ha fatto per preservare non solo le nostre
esistenze, ma anche quelle di tutti voi... del mondo interno...»
«E per darvi il tempo di arrivare preparati a questo momento…»
Osservò con tono materno Lily, ma nello stesso momento guardando suo
marito. Barry lo aveva fatto per i suoi figli, ma anche per lui. Perché adesso
aveva le competenze e la saggezza necessaria per gestire una situazione di
urgenza come quella.
Leonard lo capiva, comprendeva che se Allen aveva ceduto era solo perché il
suo fisico dopo diciott'anni non era più riuscito a sopportare quel tormento,
quel continuo fuggire, quel continuare a stare in movimento, sopravvivendo, ma
non vivendo.
«Dobbiamo riscattare l'aliena!»
Esclamò improvvisamente, mentre Mick e il Professore si guardavano confusi.
«Gonnellina?»
«La Signorina Danvers?»
«Vuoi metterti nella tana dei gufi senza la certezza che poi questa sia dal
nostro lato?»
Chiese Lyla che nonostante il gran trambusto in
cui era stata risucchiata, aveva sempre un orecchio vigile alla conversazione
che i suoi compagni stavano avendo. Lei che non sembrava particolarmente
convinta di quella scelta.
«E' l'unica abbastanza forte per aiutarci e se Allen ha creduto in lei, forse
dovremmo farlo anche noi...»
Notò Lily, portando così alla scelta definitiva che il piano di Snart si sarebbe realizzato. A lui l'organizzazione della
missione.
Il flusso di informazioni e spie della Checkmate
non aveva reso difficile per loro ottenere le coordinate del magazzino delle Luthor Corp, una delle famiglie
cardini della Corte dei Gufi, in cui molto probabilmente avrebbero potuto trovare
l’aliena. Citizien Cold che
aveva organizzato la missione era sul campo e accanto a lui il partner di una
vita Heath Wave, Cyborg,
Allen, Green Arrow e Atom. Una volta raggiunta la
zona e messo facilmente ko gli uomini che ne erano a
guardia, il difficile venne quando entrando e scendendo di pochi piani si
trovarono in un labirinto di corridoi e molteplici porte. Fu allora che Palmer scansionò
rapidamente l'area, cercando di avere un quadro quanto più preciso della
situazione all'interno di quei laboratori e capire dove avrebbero dovuto
dirigersi.
«La cosa migliore è dividerci» esclamò Snart
sincronizzando il suo orologio/comunicatore/segnalatore con gli altri. Giocattolini
alquanto utili della Checkmate.
«Mick con me. Cyborg e Green Arrow insieme e stesso per Allen e Atom. Il primo che ha novità aggiorna gli altri!»
L’entusiasmo di Queen e Diggle era a minimi
storici e così senza proferire parola preferirono di gran lunga pensare alla
missione e parlarsi il meno possibile, una cosa che non sì poté dire per Allen
e Atom che insieme erano peggio di una radio. Il loro
camminare ed esplorare però durò molto meno degli altri quando improvvisamente
entrambi vennero colpiti al capo e videro tutto nero prima di poter avvisare un
qualsivoglia dei loro compagni.
Il primo a riprendere conoscenza fu Donald che senza la sua maschera si
stava guardando intorno per capire dove si trovava. Non era certo la prima
volta che veniva tramortito e si ritrovava legato da qualche parte e quindi la
prima cosa che fece fu cercare di capire di che pasta fossero fatte le sue
manette. Lui e sua sorella non erano Velocisti del calibro di loro padre e
dunque vibrare non era un’opzione quanto non lo era riuscire sempre a sfuggire
ai pericoli. Diciamo che la loro velocità era alquanto relativa e capricciosa. Tuttavia
mentre cercava di tastare le manette che gli bloccavano i polsi, si guardò
attorno. Palmer sembrava ancora privo di conoscenza, mentre il loro carceriere
era carino… davvero carino. Non era un agente al soldo dei Luthor
e considerando quanto fosse deperita, sporca e sgraziata nemmeno uno dei medici
che lì vi lavoravano, quanto più probabilmente uno dei pazienti lì tenuti o
forse era meglio dire cavie.
Donald cercò così di liberarsi con i movimenti che Diggle
gli aveva insegnato, roteando il polso e ponendo le manette in una tensione
tale che gli permettesse di far scivolare le dita anche a costo di rinunciare
al pollice e liberarsi, ma niente.
«Non sei delle Luthor Corp,
allora chi sei? Sei una prigioniera?»
Quella era ancora di spalle, intenta ad osservare gli oggetti che quegli
intrusi avevano con loro. Gli anni di prigionia l’avevano resa sempre più simile
a una bestia e sempre meno una persona normale.
Aveva i capelli lunghi fino a metà schiena, di un biondo sporco che non
vedevano uno shampoo da fin troppo tempo. Le braccia erano piene di buchi e
cicatrici dovuti ai numerosi esperimenti a cui era stata sottoposta.
Era lì da così tanto tempo che nonostante non fosse riuscita ancora a
trovare l’uscita, aveva capito che quell'ala era attualmente inattiva e dunque
sicura.
La voce di uno di quelli attirò la sua attenzione e voltandosi lo scrutò
attentamente. Iniziò a studiarne il viso e l’espressione trovandoci qualcosa di
estremamente familiare. Ma ben presto scosse il capo decisa a non perderci
altro tempo e piuttosto a tornare a frugare tra quel poco che avevano per scoprire
se c’era qualcosa di utile che le avrebbe permesso trovare la via d’uscita da
quell’inferno.
Mentre Donald non aveva idea chi fosse quella donna, lo stesso non fu per Ray che ripresa conoscenza si ritrovò sconvolto di scoprire
a cosa fosse ridotta ormai la grande Supergirl.
«Kara sei tu?» chiese quello vedendola congelarsi
sul posto, mentre voltando appena il capo sembrò spaventata che qualcuno la
chiamasse così.
«Guardami, sono Ray. Ti ricordi?»
Mentre Palmer cercava di attirare la sua attenzione nel tentativo di
instaurare un contatto visivo, Donald sembrava essere riuscito nell’intento di
liberarsi e in un flash fece lo stesso con Atom senza
che lei se ne accorgesse.
«C-Come sai il mio nome?»
«Perché ci conosciamo… più o meno… Siamo venuti qui per te… per aiutarti…
per salvarti...»
«O almeno questa era l’idea prima che ci prendessi prigionieri...» aggiunse
ironicamente Donald, ma era un’osservazione giusta dopotutto.
Kara non
era stupida, sapeva cosa stava tentando di fare quell’uomo di fronte a lei
eppure sentiva che non era come tutte le volte che l’avevano ingannata per poi
torturarla, che quella volta poteva fidarsi per davvero.
Dopotutto lei non aveva alcun interesse a mettersi contro di loro, si passò
così una mano tra i capelli lunghi e spettinati con fare stanco e rialzando lo
sguardo lo fece incrociare con quello dell’uomo e poi del giovane che
improvvisamente si ricordò perché lo trovava così familiare.
«Allen?»
«Esatto! E’ il figlio di Barry… Ricordi?»
A quella frase parve prendere coraggio e avvicinandosi decise di liberarli
solo poi scoprire che già lo avevano fatto e per questo fece un salto indietro
nello stesso momento in cui loro si alzarono in piedi.
«Non vogliamo farti del male… te lo assicuro…»
«E’ difficile credervi quando me lo hanno ripetuto per diciott’anni» disse
quella tremante e terrorizzata.
«Kara vogliamo solo portarti fuori di qui, tu
vuoi uscire vero? Rivedere il sole… sentirti forte…»
Ad ogni parola Ray faceva un passo timido verso
di lei, come quando devi trattare con un bambino e devi farlo con estrema cura
se non vuoi che ti scoppi improvvisamente a piangere… ma quando riuscì ad
arrivarle di fronte e poggiarle una mano sulla spalla, pensava che dopotutto ci
fosse riuscito.
«Allen. Palmer. Che cosa sta succedendo?» era la quarta volta che Snart provava a mettersi in contatto con loro senza che
nessuno dei due desse risposta alcuna. A quel punto era chiaro che continuare a
provare fosse una perdita di tempo e questo significava che non avevano più
soltanto una persona da trovare il prima possibile, ma tre.
Sollevò lo sguardo verso Mick, che come sempre sembrava estremamente
rilassato dal trovarsi in una situazione tanto estrema.
Snart stava
ancora sorridendo per questo, quando ad un tratto, un movimento alla loro
destra catturò l'attenzione di entrambi e facendoli voltare nello stesso
istante con le loro armi pronte a sparare per un attimo li fece sentire il team
di un tempo, tuttavia fu un falso allarme perché a loro volta si trovarono di
fronte Queen e Diggle che puntavano contro loro
freccia e pistola. Tutti e quattro abbassarono le proprie armi. Erano in un
vicolo cieco.
Quella sensazione di inerzia però durò molto poco quando riprendendo a
camminare si incontrarono niente di meno con Allen, Palmer e l’aliena che però
appariva molto diversa da come Mick ricordava, tanto che fu costretto a
prenderla in braccio da quanto fosse debilitata e faticasse a camminare.
«Dove l’avete trovata?» chiese Snart.
«Più che altro ci ha trovato lei…» osservò Ray
con una punta di ironia, mentre stavano cercando di percorrere la strada al
contrario e uscire da lì se non fosse
che l’urlo di Allen attirò l’attenzione di tutti.
«ATTENTI!» disse mentre correva abbastanza veloce per allontanare Diggle e Connor dalla linea di
tiro di due agenti della Luthor Corp
e voltando in tempo Snart e Ray
affinché i raggi delle loro armi li colpissero.
«Fuori di qui! SUBITO!» urlò Mick, mentre l’allarme suonò nella struttura e
ben presto un’ondata di agenti fu su di loro.
Combattere non era un problema, ma lo diveniva quando seppur raggiunta l’uscita
ti trovavi ad aspettarti uno stuolo di jeep, armi e uomini che avrebbero reso
scappare via assai difficile. Purtroppo nemmeno contare sulla Danvers fu abbastanza, perché appena quella venne inondata
dai raggi del sole si librò nell’aria volando via in un baleno e lasciando i
suoi salvatori nei guai.
Non ricordavo di aver pianto così tanto
per scrivere un capitolo, ma sono quelle lacrime che ti fanno piacere perché creano
un collegamento empatico con i personaggi che stai scrivendo e forse per questo
rendono le loro emozioni ancora più forti. E a voi come pare la storia finora?
Vi piace?