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Autore: Knhigt00    23/03/2017    0 recensioni
Se stai leggendo queste righe, probabilmente sono scomparso. O peggio. Morto. Ti prego, ti supplico, chiunque tu sia, fa in modo che ciò che è accaduto venga reso noto a chiunque. Quel luogo esiste, eppure cosa è realmente?.....
A.K.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Prologo
 
 
 
Come entrai, nel silenzio di una attesa, nulla si muoveva; come se quel grido, ormai disgregato, svanito nel nulla, quasi non fosse mai esistito …
Aggirandomi tra scaffali polverosi, dove sembrava che mai nessuno vi aveva mai messo piede, tanta era la polvere depositatasi, con all’interno quei curiosi libri che sembravano ampolle contenenti occhi che scrutavano l’estraneo passante. Mi soffermai scrutandone i dorsi, nulla, sul rivestimento grigiastro non sembrava esserci alcuna scritta; quale potesse essere la motivazione di una tale scelta, mi era mistero, e benché la curiosità di scrutare il contenuto che si trovava oltre quelle tetre copertine fosse molta, tentai di domarla. Non resistetti molto a lungo, l’arcano come un mostro cresceva nella mia mente spingendomi sempre di più verso l’apertura di quelle pagine. Senza pensare afferrai il primo libro che mi capitò sott’occhio, e con mani tremanti feci scattare la fibbia metallica che lo teneva imbrigliato.
Come una porta lugubre, la copertina di cuoio si aprì, producendo un suono lento e macabro; la prima pagina mi appari vuota nella sostanza, seppur fosse gremita di polvere, la carta aveva un colore brunito ed aveva l’odore di stantio come quelle camere da lungo tempo rimaste serrate in un eterna oscurità; voltai la pagina, e facendolo mi ferii un dito, una goccia di sangue cadde sulla carta, non appena vennero a contatto, essa semplicemente svanì; non mi accorsi, dapprima, concentrato com’ero sulla mia falange ferita, compresi dopo quanto era accaduto … quando i miei occhi si puntarono nuovamente sulla pagina.
La carta, non più vuota si era gremita di disegni strani, a tratti inquietanti … scene d’orrore che mai nessuno avrebbe potuto immaginare … ad un tratto, tutto svanì, e il grido percorse quel luogo … il libro cadde con un suono secco … ed il mondo si trasformò in un incubo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La biblioteca
 
 
Ogni giorno d’un passo,
nel fetore delle tenebre,
scendiamo verso l’inferno …
Charles Baudelaire
 
Fu durante  una  strana notte, in cui una astrusa nebbia si impadronì delle cose, una bizzarra immobilità regnava e il silenzio appariva pesante ed irreale, riducendo quei luoghi ad un tetro sobborgo illuminato a tratti  dalle lampade ad olio.
Mi svegliai quasi di soprassalto, ed il mondo mi parve gremito di ombre nere, nascoste tra gli anfratti; mi misi a sedere scostando le coltri e mirando fuori dalla finestra, notando una spessa cortina bianca che sembrava essere comparsa dal nulla. Mi sentivo osservato, scrutato, benché non  ci fosse nessuno, né dentro, né fuori. Pensai fosse colpa del sonno che mi annebbiava i sensi, scossi il capo e con fatica mi alzai, accesi una candela che si trovava sul comodino dalla sera precedente e la incassai in un porta candela di coccio rosso che assomigliava vagamente ad una teiera.
Piano, uscì dal locale incontrando il corridoio che conduceva al salotto il quale fungeva anche da biblioteca; lo attraversai mentre la luce tremolava proiettando ombre cupe che sembravano muoversi per poi svanire nel buio.
Mi fermai notando che la porta che conduceva alla cantina era rimasta aperta … per un momento mi chiesi come potesse essere possibile se io stesso l’avevo chiusa a chiave  diverso tempo addietro. Benché mi fossi imbattuto in tale bizzarria, con la mente in quello stato non riuscivo a pensare lucidamente, proseguii dicendomi che l’indomani avrei controllato per sincerarmi di quella stranezza.
Mentre procedevo, ebbi l’impressione che il corridoio divenisse stranamente buio … uno strano gelo mi percorse le vertebre della spina dorsale nascosta sotto la camicia da notte. Mi voltai illuminando il percorso appena compiuto. Nulla era variato, la porta della mia camera era aperta, i candelieri sulla parete rossastra con decorazioni  dorate erano ancora al loro posto, e la porta … aspetta! La mia mente ebbe un guizzo … la porta della cantina che fino ad un momento prima credevo aperta … era chiusa … come diamine era possibile?.
Mi voltai riprendendo il cammino con quell’immagine nella mente … quando alzai gli occhi, mi accorsi, con sgomento che  il corridoio era svanito … ora mi trovavo in un luogo ampio, dove la nebbia produceva sottili rivoli di fumo grigiastro. Avanzai di qualche passo ancora, fino a trovarmi ai piedi di uno strano edificio … delle scale si aprivano su un foyer all’aperto, retto da colonne che sembravano avere l’aspetto di uomini straziati, dal volto grottesco ed orribilmente sfigurati; sul fondo di esso si trovava un pesante portone di quercia nera ogivale e strombato, quest’ultimo sembrava fissarmi con innumerevoli occhi, ebbi un brivido. Alzando lo sguardo, vidi un architrave con su scritto qualcosa in un linguaggio a me sconosciuto; salendo si incontrava un rosone dalla struttura che richiamava alla mente dei rovi intricati, di quelli che ti feriscono, e la vetrata al suo interno era del colore del sangue vivo;  ai lati di questo mi parve di scorgere delle membra devastate, scorticate, quasi mutate in …. Qualcos’altro, che sembravano dibattersi per uscire dalla pietra; il tutto terminava con una struttura triangolare al centro e due sorta di torri munite di astruse guglie ai lati.
Dove mi trovavo? Cos’era quel luogo? Nessuna risposta giunse alle mie domande, e seppur ciò, una certezza l’avevo, quel luogo mi metteva a dosso un terrore mai provato … all’improvviso sentì un sussurro congelato alle mie spalle. Mi voltai … ero  faccia a faccia con un volto …  occhi bendati …  La bocca tagliata gremita di denti aguzzi ed affilati. Un  Glasgow smile[1].

I miei occhi si aprirono di scatto. Ero seduto sul letto. Respiravo affannosamente. Il sudore mi imperlava la fronte. Era solo un sogno, un incubo orrendo che, per mia fortuna, era terminato.

 Come se non fossi convinto della veridicità della realtà, mi voltai verso il comodino, la candela spenta giaceva nel mobile, divelta  sul dorso; cercando il portacandele mi sporsi dal letto … lo trovai in frantumi per terra. Non capivo. Quando era accaduto? Perché il suono non mi aveva svegliato? Come un lampo, la mia mente collegò quell’evento alla porta della cantina, di corsa sparsi le coltri sul pavimento marmoreo, giungendo dinnanzi a quella porta bianca con intarsi geometrici, piano presi la maniglia e la girai … un suono secco fu emesso, confermandomi che essa era serrata.
Tirando un sospiro di sollievo, ed a cuor sereno tornai indietro verso le candide coltri del mio giaciglio … quando ebbi un capogiro,  mi presi la testa. Con un tonfo sordo le mie gambe batterono il terreno, mentre la realtà sembrava confondersi col sogno, con quell’orribile incubo; con fatica mi tirai su e presi ad avanzare verso la porta bianca che conduceva alla mia camera … mentre voci confuse, urla, gemiti e pianti sembravano giungermi alla mente come emesse da un luogo distante … mi parve che ad  ogni passo la loro intonazione aumentasse … tutto sembrava un turbinio immane di sensazioni mescolate,  di visioni alternate e di suoni lugubri e lontani.
Finalmente, con mio grande sollievo,  raggiunsi il letto, vi poggia il capo proprio mentre l’alba sorgeva, a tratti nascosta da un sottile strato di nebbia.
Fui svegliato dal suono di passi ed un vociare confuso, camere che venivano aperte, suono di arnesi e scalpiccii frettolosi. Riconoscevo quei rumori, era la servitù che si adoperava per pulire questa casa; sospirando, a tratti rassicurato dalla presenza d’altri, tentai di mettermi a sedere … un immediato capogiro mi fece ricadere sulle coltri. I miei occhi si fissarono, istintivamente, sul soffitto affrescato, sperando di trovarvi pace. Presi ad osservare ciò che rappresentavano: a cerchio si andavano a formare, contornati da cornici splendidamente decorate,  tanto da sembrare scolpite, quattro personaggi,  ognuno raffigurante le quattro stagioni: iniziando dall’Autunno, ivi rappresentato con le fattezze di un uomo canuto con un lungo naso e la barba ispida, voltava le spalle all’osservatore guardandolo di sottecchi mentre incedeva su di un selciato di foglie secche e funghi, dalla sua schiena usciva un bastone nodoso con sulla cima delle castagne ed  il suo corpo era interamente avvolto da uno strato di foglie ormai morenti. Il secondo era l’Inverno, intento ad attraversare un ponte congelato, l’uomo era rappresentato come un anziano col volto contornato da rughe ed il corpo ingobbito dall’età, possedeva un lunga barba bianca e si sorreggeva tramite un bastone nodoso di quercia scura; il suo fragile corpo era coperto da un vestiario candido come neve. Come di consueto viene la Primavera, un adorabile donzella poco più grande di una giovane, con una tiara di stupendi fiori colorati posta sui suoi meravigliosi capelli rossi che sembravano avvilupparsi sul corpo nudo mentre è intenta a danzare tra campi di fiori dai colori sgargianti e animali, sullo sfondo il sole risulta di un giallo vivo. Ultimo, a chiudere la fila, veniva l’Estate, una venere che camminando sull’acqua, avanzava con le braccia protese verso l’osservatore, con volto gentile lei mirava chi la osservava, mentre i suoi capelli dorati come il sole che nasceva alle sue spalle si muovevano a coprirle le nudità.
La visione paradisiaca di quelle immagini ebbe il potere di placare il mio animo.
Una nuova, dolorosa fitta mi costrinse a chiudere gli occhi, e quando li riaprì … incorniciati nel sangue vi erano quattro mostruose creature …  Sembravano spuntare dall’oscurità del fondo dell’affresco, e persino uscire da quest’ultimo …
il primo era il volto del mio sogno, seminascosto nell’ombra … sembrava che con il suo arto scheletrico ed artigliato avrebbe voluto ghermirmi … il secondo sembrava uno spettro, evanescente … mi fissava con le sue orbite vuote … due pozzi neri e tetri … la bocca era un ghigno, compiaciuto ed ostile … mi parve di poter udire quella lugubre risata … Il terzo possedeva due occhi rossi …  comparivano dalle tenebre minacciosi e sadici … ebbi l’impressione fossero … vivi. Nel quarto dipinto, non vi era nulla, solo la densa oscurità che sembrava essere gremita dei più orripilanti incubi che chiunque potesse immaginare …  Fu allora che  lo vidi, nuovamente quel luogo spettrale …  mi fissava …  Lo sentivo … Sembrava scrutarmi. Mi ritrassi a quello sguardo con terrore crescente. Immobile. Bloccato dal panico … Mentre le creature dei dipinti sgusciavano fuori strisciando nelle pareti. Incapace di urlare. Imbrigliato in un orrore senza nome … Li vedevo avanzare  verso di me. Quasi a protendere i loro artigli sulla mia persona … fu lì che dalla mia gola proruppe un suono poderoso, un terrore senza pari si manifestò attraverso essa con angoscia esplicitando ciò che provavo, nel mentre quegli incubi mi toccavano, mi scuotevano; udii una risata così profonda che sembrava provenire dai più profondi meandri degli inferi.
I miei occhi si aprirono d’improvviso.  Mi ritrovai seduto. Madido di sudore. Col fiato mozzo e la gola che mi doleva. Un uomo che sulle prime non riconobbi mi si parò dinnanzi dicendo  qualcosa, scuotendomi. All’inizio  mi sembrò parlasse una lingua incomprensibile, ma pian piano che mi calmavo, iniziavo a tornare alla realtà, trovandomi faccia a faccia con il servitore più anziano che con evidente preoccupazione mi chiedeva cosa fosse accaduto e se stavo bene. Tirai un sospiro di sollievo, l’incubo era terminato; eppure una domanda mi sorgeva, quando mi ero addormentato?.
L’uomo, il cui nome era Jason, mi chiese cosa mi fosse accaduto. Notando la preoccupazione malcelata nel suo volto, mai in vita sua mi aveva sentito urlare, gli diedi una spiegazione troppo laconica per fugare ogni possibile replica dicendo che era solo un incubo, e che ora stavo bene. Fingendo noncuranza premetti le mani sul materasso; tentai di mettermi a sedere dissimulando la fatica che mi costava operare quel movimento; l’anziano servitore tentò di intervenire, solo per vedersi venire frenato da un mio gesto, si ritrasse continuando a guardarmi. Sotto quello sforzo, alla fine, le braccia mi cedettero e senza poter replicare sprofondai nuovamente sul capezzale. Senza proferir parola il servitore chiamò due giovani ed una cameriera. Quando tornò era seguito da quest’ultimi. Facendosi aiutare dai due, mi misero a sedere, mentre la donna sbatteva il cuscino per poi posizionarlo dietro le mie spalle. Con apprensione, il vecchio Jason mi chiese se volevo convocare il dottore per accertarmi di stare bene; pacatamente risposi che se questi strani sintomi sarebbero perdurati lo avrei mandato a chiamare, detto ciò l’uomo, dopo aver fatto uscire tutti si richiuse la porta alle spalle annunciandomi che tra qualche momento avrebbe portato la colazione.
In quel lasso di tempo, mi trovai a riflettere su ciò che mi era accaduto, ripercorrendo le stranezze: prima di tutto, quella porta aperta, la cantina, lo ricordavo come se fosse accaduto ieri, l’avevo chiusa io stesso e solo io custodivo la chiave. Il movente di questa bizzarria fu un accadimento alquanto macabro: tempo addietro accadde che una cameriera doveva andare a prendere un vecchio servizio da the, appartenuto alla mia defunta madre, collocato nella cantina coperto da un panno. Nessuno conosce cosa sia accaduto nel frangente che la donna si trovava in quel luogo, poiché quando la ritrovammo rideva istericamente mentre si infilava i cocci rotti, del servizio, negli occhi. Senza avere una spiegazione plausibile su cosa le fosse accaduto, la feci prelevare per condurla in un manicomio, ora che ci penso, persino quando fu deportata continuò quel gesto come se fosse convinta di trovarsi ancora distesa a terra con i cocci in frantumi sotto di lei. Ciò che mi dissero gli altri inservienti sulla donna, mi parve non aver senso, poiché loro asserirono che la cameriera, sulla quarantina, corrispondente al nome di Hanna Stuart, non aveva mai manifestato segni di squilibri mentali, anzi, era forte, versatile ed intransigente; questa descrizione, seppur risultasse esatta per loro, non lo era per me, ciò che io avevo visto era del tutto differente. Volli indagare. Seguito da tre servitori andammo a controllare se vi fosse qualcosa al di sotto di quelle scale che potesse spiegare il mutamento della donna; chiaramente non trovammo nulla, se non uno specchio proprio dinnanzi ai cocci del servizio, io non ricordavo l’esistenza di quell’oggetto e nella mia mente mi chiesi dove fosse sbucato; a prima vista esso sembrava comune, eppure, sembrò a tutti i presenti che ci fosse qualcosa al suo interno, qualcosa di lugubre, tanto da far gelare il sangue ai presenti. Spaventati da ciò che credevamo d’aver visto, salimmo in fretta e furia le scale, e io stesso chiusi la porta a chiave, nascondendo quest’ultima in un luogo sicuro; però nel mio sogno la cantina risultava aperta. Perché? Forse ho rimembrato l’episodio di quello strano specchio che ….
 Il filo dei miei pensieri fu interrotto da un bussare alla porta, esclamai un avanti come di consueto, e il volto rugoso e smagrito di Jason fece capolino dalla porta, l’uomo si avvicinò, mi posò il vassoi con la colazione sulle gambe rimanendo poi in attesa. Sedete, lo invitai, e senza battere ciglio l’anziano si sedette sul capezzale prendendo a parlare – Signore, io vi conosco da quando eravate un adolescente, e da che ho memoria non vi ho mai sentito gridare in un modo tanto atroce; e so che siete un uomo di buona costituzione,  e non avete mai avuto malattie più blande di un comune raffreddore; e ora, vi trovo in uno stato di evidente debolezza tale da non poter fare neanche un passo. E non posso fare a meno, vedendo tutto ciò, di chiedermi cosa vi sia accaduto- il suo sguardo appariva corrugato sotto le folte sopracciglia, sapevo che la sua mente tentava di giungere ad una soluzione plausibile; sospirai, e senza indugio presi a raccontare quegli strani incubi. Man mano che la mia narrazione procedeva, vedevo agitarsi nel suo volto, paura, preoccupazione, sgomento, sollievo e raccapriccio, il tutto permeato da una nota di chi sa di cosa si sta discutendo.
Quando terminai di esplicare il mio trascorso, l’uomo si voltò verso la finestra e riprese a parlare- anche io ho fatto un sogno simile la notte precedente, e così come me,  anche altri. Oggi ascoltavo delle cameriere confabulare di uno strano incubo, e tutti confermavano  la descrizione del luogo del vostro sogno-. Preso da curiosità ed estraniamento gli chiesi di dirmi cosa avesse sognato; continuando a mirare la finestra Jason prese a narrare – mi trovavo nelle stanze comuni, gli altri inservienti erano profondamente addormentati;  girandomi verso la finestrella che dà sulla strada vidi una strana nebbia, densa,  che sembrava osservarmi, mi voltai dirigendomi verso la mensa, pensando che un po’ d’acqua mi avrebbe restituito il sonno; e benché riconoscessi il luogo in cui mi trovavo, mi parve ci fosse qualcosa di estraneo, anomalo. Mi voltai ancora trovandomi a pochi passi da quell’orribile specchio che vedemmo nella vostra cantina-  quella notizia ebbe il potere di rievocarmi alla mente l’immagine della porta aperta – mi avvicinai chiedendomi cosa ci facesse. Ero ad un passo da esso, quando udii un suono alle mie spalle, mi voltai scorgendo le mansarde con i corpi avviluppati tra le coltri, il tutto illuminato dalla flebile luce delle candele appese alle pareti. Mi parve di trovarmi, in un obitorio; mi voltai tentando di togliermi quell’immagine dalla mente. Quando guardai dinnanzi a me mi accorsi che la superficie dello specchio era completamente nera; mi avvicinai incuriosito.   Fu allora che una strana forza mi trascinò dentro lo specchio. Schermai il volto con le braccia pensando che avrei sfondato l’oggetto. Invece vi passai attraverso come se fosse una porta. Quando riaprì gli occhi mi ritrovai nel luogo che voi avete descritto attraversato da nebbia grigia.  Dinnanzi a me sorgeva quell’edificio macabro il cui portone sembrava fissarmi.
D’improvviso sentii un suono di frana sotto i miei piedi.  Il terreno si aprì sotto di me facendomi sprofondare verso un fondo illuminato da una luce rossa come il sangue. Udii urla e gemiti. Fu lì che mi svegliai, madido di sudore e con gli occhi sbarrati- sospirò proseguendo – racconti analoghi ho avuto modo di ascoltarti da ogni persona presente, confermando una strana accumunanza per quanto riguarda quel luogo spettrale- terminò così il suo racconto, che nella sostanza non sembrava possedere nulla di differente da un normale incubo, se non fosse che alcuni particolari erano ripetuti come se mi fosse penetrato nella mente; cosa stava accadendo? Cos’era quel luogo? Quale collegamento aveva con tutto ciò?.
 Volevo indagare, così chiesi di poter sentire cosa avevano sognato le altre persone presenti, Jason, dopo un  molto bene si alzò, prese il vassoio ormai vuoto ed uscì dalla stanza.
Entro la mattinata avevo ascoltato i resoconti di tutti gli inservienti, e benché alcune cose differissero, ogni racconto aveva un uguaglianza quasi esatta con il mio incubo e quello dell’anziano servitore; così, essendo io convito che ciò dovesse essere documentato, mi misi a rimuginare sui dati raccolti, mi sporsi sul comodino, aprii il primo cassetto, ne estrassi un foglio,  un calamaio ed una penna,  e presi a scrivere.
 
 
Resoconto degli incubi della servitù redatto da Mr. A. Knight  11 Dicembre 17--
Dopo essere venuto a conoscenza del curioso avvenimento secondo la quale il più anziano dei miei servitori avrebbe fatto un sogno quasi del tutto simile a quello del sottoscritto; e avendo quest’ultimo confessatomi di aver udito mormorare altri membri dello stesso ceto di bizzarri incubi; ho deciso di ascoltare i loro resoconti, e purché tale storia sia chiara, è mio dovere riportare,  in questo compendio,  i miei incubi, quello del servitore e successivamente i vari resoconti (…).
Così riportai per filo e per segno entrambe le esperienze, per poi prendere a scrivere ciò che la servitù mi aveva confessato.
(…) Il primo a narrare è stato tale Clark Augustin, un ragazzo magro ed allampanato dai capelli rossi e gli occhi verdi su cui si forma un naso a patata, assunto tre mesi fa. Il suo compito presso questa abitazione è di occuparsi del giardino. Il suo resoconto pone il suo inizio nell’alloggio del giovane, situato nel capanno sul retro dell’abitazione. Il giovane giardiniere ricorda di aver visto, fuori dalle piccole finestre, della nebbia fitta che sembrava osservarlo e d’aver notato una figura di donna proprio dinnanzi al locale, d’essere uscito per andare a vedere, quando lo ha fatto, non si è trovato più nel giardino, bensì in un luogo scuro immerso in una nebbia grigia, voltandosi per tornare all’interno dell’abitazione si è trovato dinnanzi l’edificio da me descritto, il cui portone lo fissava intensamente. Il momento dopo si è sentito sprofondare in un liquido simile all’acqua. Si è risvegliato in preda al panico. Ha asserito di credere strenuamente che la donna scorta al di fuori del locale nel proprio sogno, fosse la madre disgraziatamente morta annegata, col volto avviluppato nella camicia da notte,  dieci anni prima.
Il secondo è entrato poco dopo,  un tale di nome Jonathan Wes, un omone grasso dal volto vagamente somigliante ad un suino, indossa le tipiche  vesti sempre unte del cuoco, ed è tale  la sua occupazione presso la mia dimora. I ricordi dell’uomo risultano confusi, come se fossero annebbiati, gesticola vistosamente mentre parla spiegando che si è ritrovato all’interno della sua prima abitazione situata nei sobborghi londinesi, l’ha descritta come piccola e spartana, definendola “scarrupata”  confrontandola con la mia magione. Continuando il suo racconto questi dice che l’interno era illuminato dalla luce fioca di una candela. Sul letto la moglie dormiva profondamente, e benché l’uomo abbia cercato di svegliarla, il gesto non ha sortito alcun effetto; dopodiché si è seduto sul giaciglio mirando la finestra e qui, riportando le sue parole “ c’era sta nebbia, era stana, nsomma che un coltellaccio di quelli affilati neanche ce la tagliava, e sembrava come du occhi che m’osservassero”. Ricorda dei colpi sulla casa, uno scalpiccio e una risata definita da lui come da far rizzare i peli del deretano; codesta risata, l’ha identificata come quella di una bimba; gli sembra di intravederla dalla finestra ed esce. Uscito dalla porta, il mondo risulta nero con della nebbia grigia. Guardandosi indietro per rincasare, si accorge di trovarsi dinnanzi ad un edificio alto e lugubre, ha l’impressione che il portone lo fissi; dinnanzi a lui esso si apre e ne esce una figura alta, incappucciata con una falce tra le mani, l’uomo si volta per correre, si rende conto d’essere bloccato, e voltando lo sguardo vede la figura incappucciata intenta a vibrare il colpo, la falce emette un suono metallico e …. Il cuoco si sveglia in preda al panico. Ha asserito, ricordando la risata, di aver perso la figlia alla nascita esattamente quando aveva dimora a Londra.
Casi simili, se non analoghi ho avuto modo di appurarli tramite altri che, si trovavano nelle loro case, o in case dove avevano precedentemente abitato e lì si manifestava la figura di un defunto alla quale sono intimamente legati. Gli elementi della nebbia, prima bianca, poi grigia e dell’edificio spettrale ricorrono, varia solo il finale delle varie storie; la motivazione di ciò rimane ancora un mistero.
Dopo aver ascoltato le successive sette persone, e di aver riscontrato variazioni minime con le altre persone, entra una cameriera, di nome Guendaline de la Morgue, ella asserisce di  trovarsi sulla senna, a bordo di una nave, dove vi è un'altra persona. Esaminando il caso, la giovane non conosce l’individuo del sogno, il suo stato civico è nubile, avendo l’età di quindici anni; non ha fratelli né sorelle, ed i genitori son vivi. L’uomo, se così è possibile definirlo, la invitata  a danzare sul battello in mezzo ad una spessa coltre di nebbia  che da bianca diviene grigia; danzano prima sulla nave per poi spostarsi sull’acqua, lì l’uomo l’avrebbe trascinata sotto la superficie dell’acqua, e da quella situazione la giovane ne riemerge da sola dinnanzi all’edificio oscuro; sulla soglia di quest’ultimo si trova quell’uomo che la guarda con occhi ardenti con uno sguardo folle, scendendo attraverso le scale estrae un coltello e con uno scatto glielo punta alla gola facendolo strisciare lentamente sulla gola della cameriera fino a sgozzarla. La ragazzina si sveglia trovandosi con un segno rosso sul collo, quando me lo ha mostrato il mio sconcerto è diventato palese (…)
E’ possibile che ciò che vedemmo non fossero solo sogni? È possibile che questi incubi si possano manifestare anche sul piano reale? Se fosse così, cosa erano realmente?
(…) la giovane cameriera mi ha, inoltre, messo a parte di un evento analogo accaduto realmente; una notte, tornando a casa, proprio mentre si trovava a Parigi, vide un uomo sgozzare una prostituta dietro ad un vicolo, asserendo che quella visione fosse divenuta il proprio  incubo peggiore.
Alla luce di ciò, sorge una considerazione logica: esiste una diversificazione, e se essa fosse costituita dagli incubi delle persone che vivono tale esperienza, eppure non posso fare a meno di fare un paragone con le mie di esperienze, e di poter asserire che ciò che ho visto non era, in alcun caso e senza errore, la rappresentazione della mia paura peggiore; e ciò mi porta ad una diatriba tra l’ipotesi e la tesi di una tale esperienza, ed alla contrapposizione tra soluzione e domanda.
Interrogando gli ultimi membri della mia servitù, mi sono quasi convinto che non ci sia più nulla da comprendere a tale merito, tutti hanno dato delle versioni diverse di uno stesso incubo.
Proprio quando credevo di aver sentito tutti, ecco che verso mezzodì Jason reca con sé una donna sulla cinquantina in evidente stato di shock, corrisponde al nome di Marianne Koster, una domestica assunta presso questa abitazione circa tre mesi or sono, e benché non conosca gli avvenimenti accaduti nella cantina di questa casa, ha narrato uno strano incubo dove lo specchio è coinvolto. Dice di essersi appisolata durante la pausa che spetta di diritto ad ognuno, da ora in avanti riporto il resoconto della donna: “mi trovo in un luogo buio e a me sconosciuto, senza sapere cosa fare ho iniziato a brancolare nel buio in cerca di una candela e un acciarino, tocco qualcosa che sembra una rampa di scale e svolto l’angolo, ritrovandomi in un luogo che assomiglia alla cantina di vini dove avevo lavorato precedentemente; è tutto come allora, le botti alle pareti, alcune bottiglie di vino stipate negli angoli, ben visibili per ogni evenienza, ed il mio precedente padrone che dormiva russando di fianco ad una botte, dalla quale era stato rovesciato un po’ del suo contenuto sul pavimento unto e sporco; ho attraversato quel locale in cerca delle scale, che si trovavano in fondo sulla destra,  per salire al piano superiore, non le trovai. All’improvviso tutte le candele tranne quella che mi stava vicina si sono spente ed una strana nebbia informe si è sparsa. Ho udito una risata seguita da dei passi pesanti, che avanzano sembravano diventare sempre più leggeri, l’odore acre del vino che permea l’aria è diventato l’odore metallico del sangue, e dall’ombra è uscito un uomo pallido con occhi rossi e i canini acuminati; sono paralizzata dallo sgomento, l’uomo è su di me e con un ghigno malvagio mi ha presa e subito dopo mi ha scaraventata oltre qualcosa. Alzando gli occhi, rendendomi conto di trovarmi dinnanzi ad uno specchio ovale con una cornice argentata decorata da motivi floreali, la superficie dell’oggetto è nera. Un suono attrae la mia attenzione e quando mi sono voltata mi sono trovata in un luogo buio, attraversato da sottili venature di nebbia grigia, e dinnanzi a me troneggiava quell’orribile luogo con quelle colonne formate da volti straziati e quel portone nero, mi fissa. Mi scruta. Mi sonda. Si apre con uno scatto e una forza poderosa mi ha tirato dentro; ho visto il  buio. Mi sono ritrovata in un locale piccolo, prendo a tastare i muri, a urlare, a battere sulle pareti chiedendo aiuto, a dimenarmi tentando di uscire da quel luogo angusto. Non è accaduto nulla, nulla di ciò che provavo aveva effetto. Quindi mi sono voltata, sto per mettermi a sedere quando mi sono trovava dinnanzi quello specchio e ….
Ha preso a gridare e a piangere come se fosse matta, qualunque cosa lei abbia veduto le ha lasciato un solco profondo. Il servitore l’ha portata fuori mentre la poverina continuava a singhiozzare. Il suddetto specchio, appena citato, è lo stesso che  due anni prima fece impazzire una cameriera di nome Hanna Stuart facendole conficcare le schegge del servizio da the negli occhi.
Dunque, traendo delle conclusioni: ci sono elementi che ricorrono in maniera inalterata come le due nebbie, il senso di estraniamento,  il mondo oscuro e l’edificio spettrale, altri che risultano alterati per ogni persona, variando a seconda di parametri di cui si può avere solo una ipotesi insufficiente a trarre conclusioni; e, come se non bastasse ci sono gli elementi del tutto privi di logica, come nel mio caso, dove, durante il mio secondo incubo, non ricordo d’essermi addormentato, o come il caso della sig.ra Koster, che seppur non abbia mai visto lo specchio nascosto oltre la cantina, se lo è trovato dinnanzi.
Concludo il tutto chiedendomi se ciò che è accaduto sia casuale o meno.
 
 
Per stilare il tutto mi ci volle l’intero pomeriggio e diversi fogli. Quando mi voltai verso la finestra scoprii che il sole stava per morire tra i tetti delle case, le quali apparivano scure, quasi lugubri mentre la nebbia si alzava e nuovamente la notte assumeva un aspetto irreale.
Durante il periodo di tempo in cui fui impegnato a stilare il resoconto, le cameriere avevano preso a rammendare e a raccogliere i cocci rimasti sul pavimento da quella mattina. Le sentii entrare ,tentando di fare il minor suono possibile, all’incirca verso le quindici, si divisero i compiti: una toglieva la polvere dalle tende rosse, sistemandole poi all’interno delle fasce, di velluto del medesimo colore, che le tenevano divaricate, per poi pulire le ante della finestra. Dinnanzi al letto ve ne erano due, una cameriera sulla sinistra, ordinava e spazzava con diligenza lo scrittoio; l’altra, proprio dinnanzi al mio giaciglio, sistemava le vesti con cura all’interno dell’armadio di mogano. E infine ve ne stava un'altra che dopo aver raccattato i cocci del portacandele vicini al comodino si mise a spazzare il pavimento. Il lavoro delle quattro donne fu terminato verso le diciotto a giudicare dalla luce che filtrava a tratti dalle nubi cineree, le quali indicavano che a giorni avrebbe piovuto.
Dopo un abbondante cena, dove ebbi modo di avere una piacevole conversazione con Jason, spensi la candela e sprofondai nelle coltri sperando che il sonno mi desse pace da quei terribili incubi le cui visioni mi avevano perseguitato per l’intero giorno.
Non riuscivo a prendere sonno, e non mi allettava l’idea di ripetere l’esperienza terrificante di quella mattina rimettendomi a mirare il soffitto; così mi voltai prendendo a fissare la porta ed a contare quanti angoli avessero i motivi al suo interno.
Suono di onde. Il letto si muove. Aprii gli occhi ritrovandomi nella mia camera. Provai un senso di estraniamento. Quello non era lo stesso luogo nella quale abitualmente dormivo; mi voltai. La finestra era svanita; il rollio continuava. Mi misi a sedere poggiando i piedi sul legno e non sul marmo, mi alzai a fatica tentando di mantenere l’equilibrio; era buio, le assi del soffitto, fortunatamente per me, facevano trapelare una flebile luce che svaniva a tratti. Istintivamente cercai una candela, memore del fatto che è posta sul comodino. Non trovai il mobile. Non c’era. Mi sembrava di aver scorto la sua ombra poco prima. Disorientato e frastornato presi a cercare la porta, barcollando misi un piede in fallo e sentii qualcosa di acuminato ferirmi il lato del piede, prima giunse il dolore, poi percepii il sangue bagnare il legno. Un nuovo strattone mi fece sbattere il naso contro la porta, la riconobbi  dai motivi decorativi. Tastando la superficie cercai la maniglia, trovandola con sollievo, la girai. Con mio sconcerto essa non si aprì. Sembrava sbarrata. Un suono improvviso come un respiro sibilante mi fece voltare. Tutti i mobili erano svaniti, rimaneva solo una cosa. Lo specchio, ancora quello specchio! Sembrava osservarmi!. Producendo un cigolio i tre perni si mossero  e l’oggetto prese ad avvicinarsi. Continuando a fissarlo tentai di aprire la maniglia girandola innumerevoli volte, premetti, spinsi. Mentre la parete ovale, riflettente, si avvicinava sempre di più. La porta si spalancò proprio mentre la nera superficie stava per inglobarmi. La chiusi udendo dall’altra parte il suono di qualcosa che andava in frantumi. Il mio cuore batteva all’impazzata; il terrore era evidente nei miei occhi. Mi scostai dalla porta e guardai il corridoio di legno: ricurvo e pieno di travi pesanti sulla sinistra. Mi trovavo in una nave, ecco perché il rollio! Le onde ed il mio senso di nausea crescente, voltai lo sguardo verso la porta. Sparita. La parete risultava vuota. Cosa?! Mi voltai indietro. Un muro; non mi restava che proseguire diritto. Attraversando quel corridoio di travi, illuminato a tratti dalle lanterne che penzolavano dal soffitto giunsi dinnanzi a delle scale, le salii ritrovandomi in una piccola imbarcazione che si muoveva placida tra le onde scure, avvolta da una spessa coltre di nebbia bianca. Ancora una volta quella nebbia sembrava scrutare chiunque mettesse piede in quei luoghi, si, ma cosa erano dunque quei luoghi?. Mi guardai attorno. Non c’era nessuno, né il capitano né l’equipaggio, ero solo in mezzo al nulla.
All’improvviso un grido sembrò scuotermi dal torpore.  Sembrava provenire da lontano, diceva, come usano i marinai terra, terra in vista!; ho alzato lo sguardo cercando il luogo dove poteva provenire. Non vidi nulla.  Quelle parole sembravano essere state generate dal nulla.
Uno scossone, poco dopo,  mi fece quasi cadere.  Quando mi alzai la nave si era fermata su di un isola. Scesi ritrovandomi in una terra oscura attraversata da nebbia grigia. Oh no! Sapevo che ora sarebbe comparso quell’edificio. Aspetta, sono coscio di ciò che dovrà accadere, come è possibile?. Mi voltai cercando l’imbarcazione.  Anziché trovarmi dinnanzi essa. Mi ritrovai davanti a quella lugubre struttura. Sentii lo scatto del portone e lo vidi aprirsi con lentezza mentre i cardini emettevano un lamento grave. Oltre la grande porta ogivale c’era un grumo oscuro. Una forza, qualcosa di possente, mi trascinò verso quell’orrido grumo senza che  potessi fare nulla. Poco prima di attraversare la porta mi schermai il volto con le braccia chiudendo gli occhi aspettandomi qualcosa che non giunse.
Riaprii gli occhi ritrovandomi nel mio giaciglio, di fianco intento a fissare la  porta, ero madido di sudore, e il mio fiato era mozzo. Mi guardai attorno quasi stranito, mi misi a sedere e tentai di alzarmi, riuscii a fatica nell’intento; dovevo comunque reggermi alle pareti. Raggiunsi la porta. La aprii e presi a camminare frastornato. I miei occhi si spostarono sulle pareti. Non c’era nulla. Era come se camminassi nelle tenebre. Ero sveglio o stavo sognando? Non avrei saputo dirlo. Il mondo mi sembrava strano, come avvolto in una sorta di cortina scura, quasi  fosse irreale. Non riconoscevo nulla di quei luoghi; allora dove stavo andando? Cosa stavo facendo? Brancolavo tra le ombre come se fossi un ombra anche io.  La mia mente mi diceva che ero ancora in casa mia, ero uscito dalla porta, quale porta? Della mia stanza o dell’ingresso? I ricordi sembravano offuscati, non ricordavo bene cosa era accaduto. Era come se camminassi in un mondo a metà. Un mondo che non poteva esistere, eppure io c’ero dentro, come era possibile ciò?. Delle strane luci presero a muoversi tra le ombre.  Generando un allungamento delle tenebre che mi attorniavano facendole assomigliare sempre di più a mostri che si muovevano indisturbati; eppure non sembravano notarmi, ero morto? Non ricordavo. Ero vivo? Forse. E allora cosa ci facevo lì? Dov’era lì? Che posto era quello?. Improvviso un urlo. Era lontano. Lo sentii appena. Presi a notare dei volti che emergevano dalle ombre, sembravano volere qualcosa, ma cosa? Chi erano quelle persone? Parlavano ma non riuscivo a sentirli. Udivo solo un vociare confuso. Pieno di urla. Pianti e suoni strani, quasi gutturali. Perché ero lì? Non me lo ricordavo, da quanto tempo ero lì? Mi sembrava di stare in quel luogo da secoli; perché camminavo? Dove andavo? Il mondo prese a divenire sempre più oscuro fino ad inghiottire anche me al suo interno …
Mi svegliai il mattino seguente sulla poltrona situata all’interno del salottino del piano terra. Come c’ero arrivato lì? Cosa avevo fatto? Il sogno, che poi era l’ennesimo incubo, lo ricordavo come fosse accaduto esattamente pochi istanti prima; mentre il resto …. ricordavo d’aver aperto gli occhi e di essere uscito dalla porta; dopo, solo frammenti di sensazioni, volti, voci confuse, suoni offuscati e  buio. Solo buio; eppure, non potevo fare a meno di chiedermi se la sera precedente fossi realmente sveglio, e se lo ero, quell’incubo non poteva essere definito tale; allora, cosa avevo visto? Era reale? Un ricordo mi attraversò la mente, fu cinque anni addietro che mi trovai ad attraversare il mare per giungere in un piccolo continente chiamato Madagascar; fu una lunga traversata, durata più di nove mesi, durante i quali potei ascoltare le storie superstizione dell’equipaggio. Ricordo che amavo passeggiare sul pontile, di notte, mirando l’oceano nero, ascoltando il suo suono placido e tranquillo; eppure quelle passeggiate mi fecero scoprire la peggiore tra le mie fobie.
Come un lampo rimembrai quella voce che annunciava di stare per giungere alla destinazione prestabilita. Come avevo fatto a dimenticare quella voce appartenuta ad Yronimus Vladi, un uomo alto e ben piazzato, l’avevo incontrato quando ero adolescente e sognavo di partire per mare; dopo, gli interessi differenti ci divisero. Purtroppo Vladi era sfortunatamente deceduto circa tre anni dopo quel viaggio, annegando poiché la catena dell’ancora gli si impigliò ad un piede, portandolo a fondo verso gli oscuri abissi; quando fu tirato su si scoprì che l’uomo, dibattendosi per liberarsi si era impiccato con la catena rompendosi il collo non appena l’ancora aveva strattonato.
Senza perdere tempo presi carta e penna annotando il tutto, ripromettendomi di mandare a chiamare uno strizzacervelli.
Il sole era già alto quando la servitù entrò in casa; e il ritrovarmi al piano di sotto destò grande scalpore tra di loro, eppure, costatammo tutti che non riuscivo ancora a reggermi in piedi. Allora come ero giunto fin lì? Domanda lecita che chiunque si era posto.
Fui condotto nella mia camera al piano di sopra; durante il trasporto mi accorsi che il lato del piede sinistro mi doleva molto, notai che c’era un solco rossastro; quindi non avevo sognato, ma in che modo mi ero procurato quel solco? Nel momento in cui entrammo nel locale dove ero solito dormire, mi accorsi, o ne ebbi l’impressione, che alcune cose fossero fuori posto, come se qualcuno o qualcosa le avesse smosse. Fui collocato con delicatezza sul mio giaciglio, e senza un solo scambio di battute sull’accaduto chiesi se potevano mandare a chiamare il dottore ed uno strizzacervelli.
Dovetti attendere diverso tempo. Tempo che impiegai rileggendo tutto ciò che avevo scritto tra il giorno appena passato e quella mattina.
Dopo aver bussato Jason si presentò seguito da un uomo dai capelli bianchi, il volto largo, ed il naso altrettanto lungo, sembrava uno di quei medici che durante le epidemie del quattordicesimo  secolo adottarono le maschere col lungo naso o becco non saprei definirlo, su cui poggiavano un paio di occhiali tondi, indossava una giacca che si apriva sul petto lasciando visibile la camicia biancastra, entrambe le vesti servivano a nascondere l’ampio girovita, assieme ad una pancera che risultava visibile, tanto era in tensione, mi sembrò fosse sul punto di scoppiare; aveva la mani incrociate sul petto tenendo tra di esse una piccola borsa di pelle grigiastra. Il secondo uomo che entrò era sulla quarantina, con una bombetta posta sul capo, capelli corti, curati e pieni d’olio; aveva un viso nordico, lungo, rude e dai lineamenti marcati, vestiva con un ampio cappotto nero, il suo atteggiamento era di un osservatore distaccato.
Dopo un cenno d’intesa tra me ed il servitore, i due uomini avanzarono. Quando si misero l’uno di fianco all’altro potei notare l’immenso divario di altezza tra il secondo uomo che era molto più alto e magro del primo che  era basso e tarchiato. Il primo a proferir parola fu la prima persona ad entrare, ossia il dottore, l’altro si limitava a guardarsi intorno in silenzio. Era un attento osservatore, esaminava ogni particolare per giungere ad una conclusione rapida: - Mi descriva i sintomi che lo inducono in questo evidente stato di spossatezza- mi disse il medico guardandomi in maniera rassicurante; la sua voce era fastidiosa, aveva un suono come strozzato, un po’ nasale, benché non fosse ciò a dare fastidio, era qualcosa di finto in tutto ciò; risposi che era iniziato il tutto due giorni prima a seguito di dei bizzarri capogiri. – mi parli di questi suoi capogiri dunque- quella parola la pronunciò come chi conosce che l’uomo che ha dinnanzi è un cosiddetto falso malato; risposi educatamente, nonostante l’ira che mi assaliva, che il primo era sopraggiunto nello stesso lasso di tempo della fatica, ed entrambi i sintomi erano nati dopo uno strano sogno. Notai lo sguardo dell’uomo alto che fino a quel momento aveva prestato ascolto di sfuggita a quello scambio di battute.  Il dottore stava per aprire bocca quando fu interrotto con educazione da una voce profonda e pacata – vogliate scusare la mia interruzione collega, benché io stesso creda che la vostra diagnosi potrebbe essere esatta, devo concordare con me stesso che il quesito che verrà posto al nostro paziente sia di mia competenza- e rivolgendosi a me mi chiese di metterlo a parte del sogno; estrassi i fogli con il resoconto da me stilato e glielo consegnai. Il medico, incuriosito si accostò a lui per leggere il tutto. Durante la lettura, il volto dello strizzacervelli rimase distaccato, come chi sta leggendo una storia di fantasia, o qualcosa scritta da un folle, non vi era bisogno che lo intuissi, poiché il suo volto era chiaro, e sapevo con chiarezza lampante che, per un curioso caso, l’uomo non aveva avuto tali esperienze; al contrario, il volto dell’altro si fece cinereo al solo ricordo di quella terribile esperienza.
Terminato di leggere l’uomo si rivolse a me– capisco. Bene. Di certo il caso che mi avete sottoposto è quanto mai bizzarro, eppure non posso lasciarmi convincere da quelli che sono vaneggiamenti; seppur il vostro resoconto sia ostinatamente accurato, ritengo sia un chiaro sintomo di suggestione, ossia allucinazioni indotte, magari da qualcuno che ha narrato di una storia su questo fantomatico edificio che con tanto zelo ripetete ripresentandolo per ogni individuo del vostro scritto. Magari da uno dei marinai dei vostri numerosi viaggi per mare? E che forse, il vostro ricordo vi è tornato alla mente sottoforma di un orribile incubo, e voi, narrandolo a qualcuno avete condizionato tutti- non mi credeva! Per quanto la sua spiegazione fosse priva di ogni logica, la dava per vera non considerando che una tale spiegazione, senza ulteriori elementi, non poteva essere spiegata né scientificamente, né razionalmente. Accostai per il momento ogni mia congettura dando ragione allo strizzacervelli, asserendo che probabilmente era come diceva lui, a quelle parole nel suo volto comparve un sorriso compiaciuto, e così lo congedai.
Una volta che rimasi solo col dottore, questi non proferì parola alcuna su ciò che aveva letto su quei fogli, uscì i suoi strumenti facendo tutti gli accorgimenti del caso sempre rimanendo in silenzio, parlando solo quando doveva dirmi cosa fare; in quelle occasioni la sua voce mi appariva strozzata come chi ha un nodo in gola, tali pratiche, aimè, risultarono insufficienti per comprendere cosa provocasse la mia malattia; così il dottore disse che sarebbe tornato tra qualche giorno per controllare se tali sintomi fossero passati o meno, e se ne andò in silenzio con il suo peso.
Rimuginando sul tutto compresi che il primo caso poteva dirsi isolato, non vi era nulla che facesse presagire a una diffusione più ampia di tale avvenimento, e quel volto mostruoso, a chi o cosa apparteneva?  Durante il secondo caso io non dormivo, ero solamente intento a mirare il soffitto, ero lucido e sveglio; dopodiché c’è stato quel … il capogiro! Quale rapporto aveva il malessere con il luogo tetro? Avevo chiuso gli occhi per il dolore per poi riaprirli trovandomi dinnanzi quelle mostruose creature, per venire svegliato da Jason, non ha senso! Mi ero forse addormentato? Non mi ero appisolato … o forse si?No! non poteva essere, stavo guardando solo il soffitto!.
 Era come se la mia mente fosse annebbiata, sapevo che non dormivo, eppure qualcosa, nella mia mente, continuava a smentire ciò, poiché risultava inspiegabile che qualcuno che non avesse chiuso le palpebre verso l’oblio possa svegliarsi da quello stesso oblio. Sospirai frenando il trambusto che si agitava nella mia mente, riconducendola al perduto filo di Arianna del discorso. Il terzo episodio era il corrispettivo del mio viaggio verso il Madagascar, solo più tetro, l’alternarsi di stranezze come il ritrovarmi nella mia camera che poi diviene una cabina della nave, l’essermi ferito un piede, che, come già riscontrato si fosse esplicitato in una dimensione reale, come accaduto per la signorina de la Morgue, la presenza dello specchio, la porta svaniva come se non fosse mai esistita, etichettano l’esperienza come sogno o incubo che dir si voglia; eppure ho aperto gli occhi come se fossi sveglio, per poi prendere a camminare per casa senza che riconoscessi dove mi trovavo, intrappolato in quel vortice di sensazioni, voci, volti e tenebre, chiuso in una dimensione non reale, pur trovandomi nel mondo fenomenico e tangibile; cosa mi era accaduto? Perché non mi sono accorto di cosa avessi intorno? Perché non ho riconosciuto il luogo dove avevo sempre vissuto? Come ho fatto a giungere al piano di sotto? Domande queste, che sarebbero rimaste senza una risposta.
Riflettendo sul caso dello strizzacervelli non potei fare a meno di chiedermi perché lui non avesse compreso ciò che avevo vergato su quei fogli. Possibile non avesse visto? E se così fosse, come evidenziato da suo sguardo, perché? Esisteva, per caso, un tempo per ognuno, o un modo differente di esplicitarsi tale esperienza? E in base a cosa era dettato? Domande, solo domande; un mistero che si infittiva, sotto ai miei occhi, sempre di più, senza che avessi il tempo per comprenderne il senso.
Il primo mistero a sciogliersi fu l’arcano di cosa fosse quell’edificio; svelato il giorno seguente del Queen’s Crown, un quotidiano molto rinomato e largamente diffuso, che riportò una notizia sconvolgente, ed allo stesso tempo inquietante:
la data sul quotidiano era il 13 Dicembre  17--
L’articolo, che in seguito avrebbe fatto molto scalpore, riferisce di uno strano edificio apparso sulla Sendrask street, la cosiddetta strada degli orrori, definita così per i brutali ed impuniti assassinii che erano stati compiuti, oltre ad impiccagioni e torture efferate, nel mese di Dicembre, esattamente a due anni di distanza da quel fatidico 13 Dicembre. Ascoltando le testimonianze di tutti, il giornalista ha asserito che l’edificio è comparso ad un orario differente per ogni persona; benché tutti concordassero con una sola versione l’edificio appare  col diradarsi di una fitta nebbia. Entrando hanno scoperto che era una biblioteca; eppure non hanno osato solcare la lugubre soglia di quel luogo, affermando che si sentivano tutti stranamente inquieti. Solo un uomo ha avuto il coraggio di valicare la soglia, dicendo che erano tutte sciocchezze, John Shaniv, il quale, dopo aver svoltato dietro uno scaffale ha urlato; alcuni uomini sono corsi dentro senza trovare l’uomo, sembrava essere svanito nel nulla. Quell’evento tenne alla larga chiunque da quel luogo definito demoniaco. Fu l’incisione impressa nel quotidiano dell’edificio che mi fece accapponare la pelle; il giornale mi cadde di mano, mentre avevo negli occhi quella diapositiva, era lui, il luogo che avevo veduto nei miei incubi. Non poteva essere possibile. La biblioteca era reale ….
 
 
Se stai leggendo queste righe, probabilmente sono scomparso. O peggio. Morto. Ti prego, ti supplico, chiunque tu sia, fa in modo che ciò che è accaduto venga reso noto a chiunque. Quel luogo esiste, eppure cosa è realmente?.....
A.K.
 
[1] Il Glasgow smile (conosciuto anche come GlasgowChelsea o Cheshire grin) è una ferita causata facendo piccoli tagli ai bordi della bocca della vittima, poi percuotendola e pugnalandola finché i muscoli del viso si contraggono, così che i tagli si estendano dalle guance alle orecchie. Ciò lascia una cicatrice che assomiglia ad un sorriso, da cui il nome.
   
 
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