Disclaimers: niente mi
appartiene. Sherlock è di proprietà di Steven
Moffat, Mark Gatiss e della BBC. [Questa flashfic ha partecipato al
contest “Tutto fa un po' male - anche 500 parole -” sul forum di EFP indetto da S.Elric_].
Nick EFP e FORUM:
EternallyMissed92_/KikiEchelon92
Fandom scelto:
Sherlock
(BBC)
Contesto: dopo la
2x03,
senza tenere conto degli avvenimenti a partire dalla 3x01
Coppia (se presente):
Nessuna
Rating: Giallo
Avvertimenti/Note:
Missing
Moments
Citazione utilizzata
per
intero: 13.
Fai che gli sia dolce anche
la pioggia nelle scarpe, anche la solitudine.
Note autore: Questa
è la
primissima storia che scrivo nel fandom di Sherlock e ammetto di essere
un po’
preoccupata/emozionata/nervosa. La flashfic è suddivisa in
due brani, composti
da 250 parole ciascuno, aventi points of
view diversi
– il primo di John, il secondo di Sherlock – che
ripercorrono ed
avvengono nello stesso momento. È stato arduo entrare nelle
loro menti, considerato
poi il contesto in cui ho voluto inserirli, ovvero dopo il finale di
“The
Reichenbach Fall”. Non è il massimo
dell’originalità, tutt’altro, quindi
prendete questa storiella come se fosse
una sorta di esperimento, soprattutto perché l’ho
scritta in neanche mezz’ora
(potete immaginare la schifezza che ne è uscita fuori,
insomma xD). Come ho già
scritto qualche riga più su, la mia flashfic non tiene conto
degli avvenimenti
che ci vengono mostrati a partire dalla 3x01: qui Sherlock non
ritornerà mai, neanche dopo due anni, e
John
continuerà a crederlo davvero morto. Lo
so, sono una dannata masochista, ma dopotutto il contest richiedeva
storie che
sprizzassero angst da tutti i pori ed io ho cercato di attenermi il
più
possibile. Vi auguro comunque buona lettura e, se dovesse farvi
veramente
schifo, avete il via libera al lancio dei pomodori! -Martina-.
LE VITE SPEZZATE
Il vento gelido
e funesto sferza
il viso deperito di John Watson, mentre la pioggia scrosciante gli
colpisce il corpo
come fosse fatta di lame taglienti, inzuppandogli i vestiti. Il freddo
gli penetra
la carne, ghiaccia le ossa, ma non gli importa. Imperterrito resta
lì, immobile
e silente, davanti alla tomba di Sherlock Holmes.
È passato un anno esatto
dalla sua morte. Un anno in cui
lentamente, giorno dopo giorno, si è lasciato morire anche
lui. Lui, un povero dottore
convinto che il tempo avrebbe lenito il dolore e guarito il suo lutto.
Ma il
tempo non è una medicina, John lo ha capito troppo tardi.
Non disinfetta le
ferite, non le cura; le riapre e scava, scava a fondo, avvelenando il
sangue,
contorcendo le viscere.
John deglutisce, cercando di
sciogliere quel dannato groppo in gola che gli asfissia il respiro, ma
non ci
riesce. Ormai vinto, si sottomette al volere di un dolore
insopportabile e, con
violenza inaudita, sbatte un pugno sul marmo gelido della lapide.
«Perché?», mormora, la voce
incrinata. «Perché ci hai fatto questo, fottuto
bastardo?»
Poi, come un fantoccio a cui
sono stati recisi i fili, crolla in ginocchio. China la testa e si
copre il volto
con le dita, premendo con forza la bocca contro il palmo delle mani per
soffocare i singulti. Cela il proprio pianto agli occhi del mondo, quel
mondo falso
in cui Sherlock era la persona più vera.
Perché John Watson non
crederà mai che Sherlock Holmes lo ha ingannato.
Mai.
*
Nascosto dietro
un’imponente
statua funebre raffigurante un angelo dalle ali dischiuse, Sherlock
Holmes scruta
da lontano il tumulto interiore di John Watson. Gli occhi glaciali
fissano la
sua schiena ricurva e squassata dai singhiozzi, le mani che ne coprono
il viso
straziato, le ginocchia tremanti immerse in quella coltre di terra
fangosa. Il
consulente investigativo sa – deduce – che John
è ancora arrabbiato con lui
perché non è ritornato, perché non ha
smesso di essere morto.
Sherlock affonda le mani nelle
tasche del cappotto scuro e serra le mascelle. Lui, che ha sempre pensato
ai
sentimenti come ad un difetto chimico, oggi prova odio. Odia quel
bastardo
calcolatore, quel freddo impostore, quel genio sciagurato che, con
astuta
maestria, ha inscenato il proprio suicidio sotto gli occhi pieni di
sgomento
del suo unico amico. Il solo ed unico. Il migliore.
Si odia per aver mentito a
John, insinuando in lui il dubbio come una serpe tossica e letale. Si
odia per
averlo ingannato, facendogli credere di essere la mente folle che ha
inventato Moriarty
per sopperire alla noia, lo sciacallo che si nutre di vittime per
sentirsi vivo.
Si odia per avergli detto addio in maniera così meschina,
fingendo la sua
stessa morte per salvarlo. Si odia per doverlo lasciare da solo per
sempre.
Sherlock
Holmes distoglie lo
sguardo e lo punta verso il cielo, affidando ad esso i suoi ultimi
versi per
John Watson. Prega chiunque si trovi lassù,
affinché gli sia dolce anche la
pioggia nelle scarpe, anche la solitudine.