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Autore: eugeal    02/04/2017    0 recensioni
Si dice che alla vigilia di Ognissanti le anime dei morti tornino a camminare sulla terra.
Guy di Gisborne non crede alle superstizioni popolari, ma per conquistare l'attenzione di Marian è disposto a sfidare anche gli spiriti inquieti.
Ma l'arrivo di una misteriosa carrozza senza cocchiere potrebbe scuotere le sue convinzioni...
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allan A Dale, Guy di Gisborne, Marian, Nuovo personaggio, Robin Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Marian fissò la benda sul collo di Robin, badando a non guardare negli occhi il fuorilegge, poi, sempre con la stessa espressione impassibile, sedette accanto a Guy e gli prese la mano ferita per rifare la fasciatura.
I due uomini erano entrambi tesi e pronti a provocare un nuovo litigio e lei non voleva dar loro l’occasione per azzuffarsi. Con un sospiro interiore pensò che avrebbe dovuto lasciare ad Allan il compito di medicare le ferite di quei due.
Lei, invece, avrebbe fatto meglio a tornare nei suoi alloggi e rimuovere così ogni motivo di conflitto, ma non si mosse.
La verità era che non se la sentiva di restare sola.
Allan era seduto al tavolo e li guardava, con aria tetra, senza però rinunciare a servirsi dall’involto del cibo e dalla brocca del vino.
L’unico che sembrava essere perfettamente spensierato era il cane nero, steso sotto al tavolo ai piedi di Guy, con la lingua di fuori e il muso puntato verso l’alto in cerca di qualche altro pezzetto di carne.
Marian finì di sciogliere la benda ed esaminò la ferita, un po’ preoccupata: ormai avrebbe dovuto smettere di sanguinare, eppure sembrava fresca, come se Guy si fosse appena tagliato.
Pensò alle labbra della straniera che si appoggiavano sul palmo della mano di Guy, sfiorando la sua pelle chiara e per un momento si chiese che sapore avesse, e fu tentata di imitare il gesto di Lady Millacra, arrossendo subito per quel pensiero indecente.
Non avrebbe dovuto farsi venire certe idee davanti a Robin! Anzi non avrebbe dovuto pensare a certe cose e basta!
Turbata, si concentrò sulla ferita, sperando che Guy e Robin non si accorgessero del suo stato d’animo.
- È strano che sanguini ancora. - Disse in tono leggero, tanto per spezzare quel silenzio imbarazzante. - Non è un taglio profondo, ma probabilmente sarebbe meglio ricucirlo.
- Giz, vuoi che vada a chiamare il medico del castello? - Propose Allan, un po’ preoccupato.
- No. - Disse Guy, seccamente. - Quell’incapace sarebbe capace di propinarmi le sue disgustose sanguisughe.
Si rivolse a Marian e il suo tono si addolcì.
- Fatelo voi, per favore.
Robin lo guardò minacciosamente, ma non disse nulla. Se voleva essere onesto, doveva ammettere che la richiesta di Gisborne era ragionevole e cortese e che non avrebbe potuto opporsi senza dare l’impressione di essere geloso, mettendo Marian in una posizione difficile.
Rimase a guardare in silenzio, sperando che la ragazza usasse un ago spuntato e arrugginito.
Marian finì di medicare la ferita e sia Guy che Robin sospirarono di sollievo, uno torturato dal dolore dell’ago che effettivamente non era troppo appuntito, e l’altro dalla gelosia.
La ragazza mise via medicine e bende e si lavò le mani nel catino appoggiato su un tavolino all’altra estremità della stanza, poi tornò indietro per sedere accanto al camino.
Passò vicino a Robin e il fuorilegge allungò un dito per toglierle una goccia di sangue dalla guancia.
- Vi siete sporcata, Lady Marian. - Disse Robin, con aria sfrontata, poi, senza pensarci, si mise il dito in bocca.
La ragazza notò quel gesto e gli lanciò uno sguardo perplesso e un po’ disgustato, mentre Guy, che aveva visto solo quella specie di carezza sulla guancia di Marian, scattò verso il fuorilegge e lo afferrò per la tunica.
- Non ti azzardare ad appoggiare le tue luride mani su una dama, Hood! - Ringhiò, ma Robin non gli rispose.
Il fuorilegge aveva ancora il dito fra le labbra e la testa un po’ curva in avanti, il volto in penombra.
Quando Guy lo afferrò, Robin alzò lo sguardo su di lui e, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, Gisborne si spaventò nello scorgere una ferocia omicida negli occhi di Robin Hood.

Robin aveva agito istintivamente quando aveva tolto il sangue dalla guancia di Marian.
Quel gesto così intimo aveva scatenato l’ira di Gisborne non a torto. Un tempo, quando Robin e Marian erano promessi, gli era capitato spesso di raccogliere col dito una goccia di miele dal viso della ragazza dopo che avevano mangiato insieme qualche dolce comprato al mercato o di aver pulito con un bacio le tracce rosse del succo di una fragola matura sulle sue labbra.
In quel momento non aveva pensato che quello sul viso della ragazza era sangue, se ne era reso conto soltanto dopo aver messo il dito in bocca.
Normalmente, una volta resosi conto dell’errore, avrebbe reagito con disgusto, ma ora il sapore del sangue sulla lingua lo colpì come un fulmine.
Non era semplice sangue, era come un richiamo, una moltitudine di sfumature che gli avvolgevano il palato e penetravano in tutto il suo corpo stringendogli il cuore in una morsa. Una goccia sola era inebriante come cento boccali del miglior vino e soddisfacente come un intero banchetto, ma non era sufficiente.
Ne voleva ancora.
Altro sangue.
Gisborne lo afferrò con ferocia, oltraggiato dal suo gesto, e lo scrollò afferrando la sua tunica con la mano sana, alzando l’altra verso il suo viso come per minacciarlo con un pugno.
Fu allora che Robin se ne rese conto.
Il sangue che aveva assaggiato, il sangue che desiderava, non era semplice sangue.
Era il sangue di Gisborne.
Ne sentiva l’odore sulla benda che gli avvolgeva la mano, sentiva il battito del cuore del cavaliere e cercò con gli occhi le vene del suo collo. Era lì, a portata di mano, nascosto solo da un sottile strato di pelle e lui avrebbe solo dovuto prenderlo...
Uno scatto in avanti, un morso e quell’attrazione irresistibile avrebbe trovato completa soddisfazione.
Robin si leccò le labbra, quasi assaporando quel fiotto di sangue caldo, e alzò lo sguardo, incontrando quello di Guy.
La rabbia era sparita dagli occhi di Gisborne, sostituita da una paura improvvisa.
Cosa teme? Ci siamo solo noi qui.
Robin si mosse e Guy sussultò.
Di me. Ha paura di me.
Il fuorilegge se ne rese conto all’improvviso e quella consapevolezza dissipò di colpo il sapore del sangue e quella specie di follia travolgente che lo aveva quasi spinto ad azzannare Gisborne al collo.
Cosa sto facendo? Cosa volevo fare?
Gisborne lo fissava, non più spaventato, ma perplesso, quasi preoccupato e Robin si sentì travolgere da un orrore mai provato prima che gli fece quasi rivoltare lo stomaco.
Spinse via Guy e barcollò di corsa fuori dalla stanza, non volendo umiliarsi davanti agli altri.
Marian, Guy e Allan lo videro precipitarsi verso la porta e si scambiarono uno sguardo stupito, senza capire cosa gli fosse successo.

Robin fuggì senza nemmeno guardare dove stava andando, inorridito e sconvolto da una nausea sempre più forte. Spinse alla cieca la porta più vicina e si ritrovò in una stanzetta piccola e maleodorante con un sedile di legno forato e un mucchio di paglia ammassato in un angolo.
L’odore della latrina pose fine a ogni suo tentativo di resistere alla nausea e Robin crollò in ginocchio e si chinò sul foro, troppo debole per restare in piedi mentre stava male.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase in quella posizione, i conati sembravano non avere fine, come se il suo stesso corpo avesse reagito con altrettanta violenza alla sete innaturale di poco prima.
Anche dopo aver finito, rimase appoggiato con le braccia al sedile della latrina, completamente privo di forze, ma soprattutto di volontà. Se non fosse stato così debole e vuoto, probabilmente sarebbe scoppiato a piangere come un bambino, invece poteva solo stare lì immobile a chiedersi cosa gli fosse successo.
Il cigolio della porta alle sue spalle lo fece sobbalzare.
- Hood?
La voce di Gisborne era bassa e cauta, come se temesse di essere scoperto.
Robin non si mosse, ancora sconvolto per quel desiderio blasfemo e omicida.
Non avvicinarti Gisborne!
Robin avrebbe voluto gridargli di andare via, ma la voce non gli obbedì.
I passi di Guy si avvicinarono e un momento dopo Gisborne si chinò su di lui, appoggiandogli una mano sulla schiena.
- Hood? - Lo chiamò di nuovo e il suo tono era incerto, quasi gentile. - Robin?
Robin si alzò di scatto per sfuggire a quel contatto, per sottrarsi a ogni ulteriore tentazione, ma il movimento troppo brusco lo fece vacillare e sarebbe caduto se Guy non lo avesse sostenuto.
Robin cercò di trattenere il respiro, per paura che l’odore del sangue lo facesse impazzire di nuovo, ma dopo un po’ fu costretto a riprendere fiato.
Niente.
La vicinanza di Guy non gli faceva più alcun effetto se non l’imbarazzo di essere visto dal proprio nemico in una situazione così vulnerabile e sgradevole.
- Hai finito? - Chiese Guy, in tono neutro, e Robin annuì. - Bene, allora se non hai nulla in contrario usciamo di qui.
Gisborne lo aiutò a camminare, sostenendolo con un braccio, e lo fece entrare in una porta non troppo distante.
Robin si rese conto che Marian e Allan non erano nei paraggi, ma il cane nero invece seguiva ogni passo di Guy, saltellando festosamente intorno ai loro piedi e rischiando di farli inciampare.
Gisborne fece sedere Robin su un letto e prese un catino dalla mensola sotto la finestra, passandoglielo senza troppe cerimonie.
- Se ti senti di nuovo male usa questo. E non sognarti di rubare qualcosa qui dentro.
Robin si chiese cosa avesse voluto dire con quelle parole e alzò il viso per guardarsi intorno.
Notò lo scudo giallo e nero appeso al muro e si rese conto che quelli dovevano essere gli alloggi di Guy . Si chiese perché Gisborne lo avesse portato lì, ma non disse nulla.
Gisborne era in piedi accanto alla finestra, con le braccia incrociate davanti a sé e gli dava le spalle.
Ancora una volta Robin si chiese il motivo del comportamento dell’altro. Guy aveva visto la furia omicida che lo aveva assalito all’improvviso e ne era stato spaventato, eppure lo aveva lasciato entrare nelle sue stanze e ora gli voltava la schiena come se si fidasse di lui.
Gli tornò in mente il Gisborne di molti anni prima, il ragazzino serio e riservato che lui si divertiva a punzecchiare in ogni modo.
- Cosa volevi fare prima, Hood?
Guy parlò senza guardarlo, ma Robin scosse lo stesso la testa.
- Niente. Di cosa parli, Gisborne?
L’altro si voltò di scatto e si avvicinò in fretta. Robin pensò che volesse colpirlo, ma Guy si limitò a fissarlo negli occhi.
- Non prendermi in giro, Hood! Prima ti è successo qualcosa e io voglio sapere che ti è preso.
- Dove sono Marian e Allan?
- Lady Marian per te, fuorilegge!
- Allora Gisborne, dove sono lady Marian e Allan?
- Quando sei scappato via, siamo venuti a cercarti. Ho suggerito di dividerci e li ho mandati a cercarti dalle parti delle cucine.
- Perché?
- Perché non volevo che ti trovassero. Ho visto il tuo sguardo, Hood, non ti permetterò di far loro del male.
- Non lo farei mai! Sono Robin Hood, non uccido senza motivo!
Guy lo fissò negli occhi.
- Ma prima volevi il mio sangue, non è vero? Volevi uccidermi, tagliarmi la gola o strapparmi il cuore con le tue mani. E se avessi potuto lo avresti fatto senza nemmeno pensarci, con la stessa facilità con cui scagli una freccia. Mi volevi morto. Volevi il mio sangue.
Robin rabbrividì.
- Come fai a saperlo?
- Te l’ho visto negli occhi. - Guy fece una pausa. - E poi è successo anche a me.
Il fuorilegge lo guardò, improvvisamente attento.
- Cosa? Cosa ti è successo?
Gisborne distolse lo sguardo.
- È stato solo un momento, ma all’improvviso ho provato il desiderio di tagliarti la gola e riempire un boccale con il tuo sangue.
Robin deglutì, incapace di rispondere e Guy tornò a guardare fuori dalla finestra.
- Non è normale, Hood. Per quanto tu possa crederlo e per quanto possiamo odiarci, io non sono un pazzo sanguinario e nemmeno tu. C’è qualcosa di sbagliato al castello, qualcosa di innaturale.
- Non crederai alle storie di Allan? Andiamo, sono racconti per vecchie comari pettegole! Sciocche superstizioni.
- Quello che ho visto nei tuoi occhi non era una superstizione. E ciò che ho sentito dentro di me non era normale. Per un attimo è stato come se non fossi io a ragionare, ma qualcun altro. Forse non sono solo racconti.
- Gisborne? - Chiese Robin, colto da un pensiero improvviso. - Prima hai detto che hai mandato Allan e Marian in un luogo dove non potessero trovarmi… Ma tu come facevi a sapere dov’ero?
Guy lo guardò e Robin si rese conto che era spaventato.
- Lo sapevo e basta. Ero certo di trovarti lì e non so perché.
   
 
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