Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: nigatsu no yuki    02/04/2017    1 recensioni
((Cambio di nickname: ero IvelostwhoIam))
.
«Lo sai che gli alberi campana fiorivano sempre quando la stagione calda finiva, in quelle sere illuminavano tutta la parte sud della città perché lì c’era la foresta più grande. Nello stesso periodo, se guardavi il cielo, potevi vedere la pioggia di stelle; quando ero piccolo la guardavo insieme a mia sorella, mentre quando sono cresciuto ci portavo Takeru. Era come allontanarsi un po’ da quel mondo, come arrivare fino a quelle stelle, cercando di afferrarle. Era… uno spettacolo magnifico.»
La storia è collegata ad un'altra mia fanfiction, ma può anche essere letta senza conoscere la prima opera. In ogni caso questa è linkata all'interno :3
__________________________________
[Questa storia partecipa all'iniziativa Sci-Fi Fest “Sci-Fi Enterprise - Non è mai troppo TARDIS!” di Torre di Carta e Fanwriter.it, link dell'evento all'interno.]
Genere: Avventura, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
((Cambio di nickname: ero IvelostwhoIam))
Link dell'evento [qui]
Inizio giusto con qualche precisazione, anche se poi mi ritrovate in fondo ^-^"
Questa bellissima iniziativa, sommata alle richieste che ho ricevuto di continuare questa mia mini-long [Hai mai provato a contare le stelle?], hanno portato alla creazione di questa oneshot! Ora, se qualcuno sta aprendo questa storia senza aver letto la mia precedente, vi basti sapere che i due protagonisti sono rispettivamente Oikawa (un alieno) e Iwaizumi (capitano di una navetta spaziale). Il secondo fa parte di un gruppo di ribelli che cerca di contrastare un governo tirannico che si è imposto sulla galassia, e salverà il primo quando il suo pianeta viene distrutto. La storia si concludeva in modo non molto felice con una separazione dolorosa, ma spero di avervi incuriositi abbastanza per andare a leggere la storia prima di questa oneshot :3
Detto questo le parecchie righe di cui leggerete qui sotto si collocano temporalmente prima dell'ultima missione nell'ultimo capitolo della precedente storia, ci sarà uno stacco narrativo e vi saranno poi descritti dei fatti che si collocano temporalmente due anni dopo la conclusione di questa.
Perdonate le mille precisazioni, ci tenevo a rendere il tutto il più comprensibile possibile!
Mi ritrovate di sotto, buona lettura!
★ Iniziativa: Questa storia partecipa allo Sci-Fi Fest “Sci-Fi Enterprise - Non è mai troppo TARDIS!” di Torre di Carta e Fanwriter.it 
★ Numero Parole: 7600
★ Prompt/Traccia: 
-“Ci sono molti generi di prigione, capitano. Sento che la sua se la porta ovunque vada.” (Chirrut Imwe, Rogue One)
-Confine dell’universo
-Stelle cadenti

 
 


Uno spettacolo magnifico
 

L’incubo lo svegliò nel cuore della notte. In realtà era da parecchi giorni che accedeva, i sogni sempre più vividi, l’ansia crescente nel petto. Non ricordava bene i dettagli, ma ognuno, inevitabilmente, terminava con quella sensazione di freddo che gli penetrava anche l’anima insieme alla sensazione di precipitare senza riuscire a fermarsi. Aveva associato la sensazione, sere prima, all’incidente della stazione spaziale più grande del sistema St-114 avvenuto qualche anno prima: ricordava lo squarcio nella fiancata del piccolo guscio con il quale si spostavano dalle due zone principali orbitanti intorno al centro di comando, era stato sbalzato fuori dalla navicella in un lampo, a causa dell’impatto di qualche scheggia di metallo dopo lo scoppio del reattore principale. Aveva avuto un colpo di frusta talmente forte che era svenuto, non prima di sentire il gelo avvolgerlo.
Si tirò su a sedere rabbrividendo per poi passarsi una mano tra i capelli: era sudato, ma i residui dell’incubo gli avevano lasciato addosso troppo freddo, tanto che, armeggiando con il suo bracciale digitale, alzò immediatamente la temperatura nella sua stanza di qualche grado.
Anche quel semplice gesto però non riuscì a tranquillizzarlo del tutto, decise di alzarsi in piedi; avvicinandosi alla piccola finestra che dava verso il cortile interno della caserma si ritrovò in qualche modo a pensare a suo padre, al loro ultimo incontro qualche settimana prima. L’uomo viveva ancora nella loro vecchia casa, anche dopo la morte della moglie non si era mai voluto allontanare dai luoghi che valevano tanto per la donna e che al momento erano la vita del figlio: trovarsi però insieme, chiusi tra quelle quattro mura, soffocati da ricordi dolorosi, era diventato insopportabile. Si era creata una lunga e profonda crepa tra Hajime e suo padre, negli anni le cose erano solo peggiorate. Ogni volta che il ragazzo guardava il padre vedeva l’ombra dell’uomo che gli raccontavano essere prima della morte della moglie; non riusciva a sopportarlo, non dopo il modo in cui aveva reagito a quella perdita.
In ogni caso la tanto temuta visita a casa finiva per tramutarsi inevitabilmente in una specie di appuntamento organizzato: perché suo padre non poteva capire come alla sua età Hajime non si fosse trovato una ragazza stabile, come non stesse già pensando al matrimonio, ad avere dei bambini. Questo perché a detta di suo padre, non era possibile che lui non avesse mai portato una ragazza a casa da conoscere che non avesse nessun genere di rapporto intimo.
Il ragazzo appoggiò la testa contro il vetro freddo sperando che il rossore sulle sue guance sparisse insieme ai pensieri che, dall’insoddisfazione di suo padre erano corsi all’alieno che dormiva solo a qualche cella dalla sua. Scuotendo la testa scacciò via gli ultimi rimasugli di questi – su quanto lo facesse sentire bene stringere quel corpo così diverso dal suo, fino ad addormentarsi, e tornò con la mente a suo padre, anzi a quello che gli aveva detto suo nonno prima di lasciare nuovamente casa. Il vecchio viveva con il figlio dopo che la moglie era morta, neanche le più avanzate tecniche mediche avevano potuto rallentare il suo decadimento cognitivo: il suo cervello era invecchiato e i pensieri erano sempre più sconnessi. Hajime, anche per scappare dall’insistenza del padre, si era rifugiato nella camera del nonno. Gli aveva raccontato delle ultime missioni, di come una di queste non fosse andata così bene, di come aveva temuto per la vita del suo equipaggio. Si ritrovò anche a parlargli di Oikawa senza scendere in dettagli troppo compromettenti. Alla fine del suo racconto il vecchio gli aveva sorriso dicendogli che sua nonna sarebbe stata fiera di lui: aveva mantenuto la sua promessa, aveva incontrato gli alieni.
Hajime si rabbuiò appena e il peso oppressivo che aveva al petto sembrò bloccargli i polmoni, si costrinse a prendere un respiro troppo lungo, poiché aveva come l’impressione di soffocare: ripensare a sua nonna, alle sue parole, in un momento in cui le missioni non andavano così bene riusciva a demoralizzarlo solo più del dovuto e non poteva lasciarsi deconcentrare da una cosa simile. Non aveva tempo per le distrazioni.
“Ci sono molti generi di prigione, capitano. Sento che la sua se la porta ovunque vada.” Il ragazzo si era bloccato nel sentire le parole di suo nonno ad un tratto più lucido che lo guardava però con sguardo vacuo, interrompendosi a metà strada, tenendo la forchetta a mezz’aria con il riso fumante sopra. Aveva sentito quelle parole infilarsi nel suo animo come una coltellata, mentre prepotenti i flash di sua nonna, dei suoi compagni in pericolo, di Oikawa, gli balenavano in mente senza dargli tregua. Lui era nato, era stato cresciuto per la missione e in questa aveva sempre creduto. Avrebbe mentito a se stesso dicendosi che non aveva mai dubitato di questa: l’aveva fatto a volte, quando magari i suoi sforzi non venivano ripagati, quando perdevano tanti compagni. In ogni caso il ragazzo credeva con forza nella missione però era vero, poteva benissimo vederla come una prigione che gli incatenava l’animo, che non gli permetteva di uscire dalle righe o di essere più umano.
Si voltò di scatto, nella mente i pensieri non si fermavano, si infilò velocemente la tuta da addestramento e impostò una sveglia sul suo bracciale di riconoscimento, poi lasciò la sua cella per raggiungere il piano inferiore, sapendo e sperando di riuscire a zittire il caos che gli regnava in testa per almeno qualche ora.
 
Schivò il raggio al plasma per millimetri nascondendosi dietro una roccia, riprendendo fiato. Doveva aver esagerato impostando la difficoltà della simulazione. Uno dei soldati dello Stato gli fu addosso: Hajime riuscì ad attutire il colpo e a parare il fendente dall’alto di nuovo per un soffio. Si stava stancando troppo. Fece roteare la sua lancia quasi di centottanta gradi, riuscì a penetrare l’armatura rinforzata a leghe leggere del soldato che cadde a terra e poi scomparve.
L’aria era polverosa – nonostante fosse certo che i suoi sensi al momento lo stessero solo ingannando – respirare era quasi impossibile, anche per la fatica, ma si costrinse a farlo. Passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore e sangue quasi non vide arrivare l’ennesimo avversario: il raggio della pistola lo colpì di striscio da una spalla.
Sì, aveva impostato una difficoltà decisamente troppo alta.
Con un colpo di reni fece nuovamente roteare la lancia, andando di nuovo a segno, poi estrasse la pistola facendo partire due raggi laser: uno andò a colpire un secondo ologramma che spuntava da dietro le macerie di ferro alla sua destra. A quel punto si appiattì di nuovo dietro la roccia. Un sorriso, che arrivava da qualche parte del suo subconscio già troppo spremuto da quella notte, gli increspò le labbra: quella simulazione gli ricordava tantissimo la missione sulla luna principale di Clefry, uno dei più grandi pianeti commerciali del fronte tra Stato e ribelli. La luna sulla quale erano atterrati per rifornire di armi un piccolo contingente di alleati, era quasi del tutto desertica e conservava un po’ di vegetazione solo ai poli; loro erano atterrati alle coordinate giuste, vicino all’equatore e avevano portato a termine la loro consegna. Iwaizumi aveva lasciato la sua nave in mano a Matsukawa, uno dei suoi piloti, insieme al meccanico e medico di bordo – Watari e Yahaba – per un eccessivo zelo: non voleva trovarsi completamente accerchiato dallo Stato senza una via di fuga se le cose fossero andate male. Quasi l’avesse predetto con largo anticipo riuscirono ad imbattersi in due navi vedetta le quali, dopo aver scaricato loro addosso tutta la riserva dei loro cannoni al plasma, avevano fatto scendere a terra il loro equipaggio. Hajime ricordava benissimo come i suoi uomini si fossero fatti largo tra i nemici, nonostante inferiori di numero: Kyoutani da solo, da cane rabbioso qual era, aveva fatto fuori una decina di soldati; Kunimi aveva salvato sia lui che Kindaichi con il suo fuoco di copertura e, di per sé, neanche Hanamaki se l’era cavata così male, nonostante avesse rimediato una brutta botta alla testa.
In ogni caso tornati sulla loro navicella Yahaba aveva sì fasciato prima il capo a Takahiro, poi si era estremamente dilungato di una ramanzina con i fiocchi per Kyoutani, enfatizzando come fosse impossibile che ogni volta che subivano un attacco, lui tornasse a bordo in fin di vita perché era un incosciente. Il tiratore aveva ringhiato di rimando che se non ci fosse stato lui a salvare tutti i loro culi, probabilmente Yahaba si sarebbe trovato a dover rimettere insieme i pezzi dei loro cadaveri. Era nato il solito battibecco tra i due, che aveva portato alla vittoria finale il medico, il quale aveva trascinato il tiratore nell’infermeria incominciando a medicare le sue bruciature dovute dalle pistole al plasma. Hajime aveva sempre guardato con estrema ammirazione Yahaba: egli sembrava l’unico in grado di tenere veramente a bada Kyoutani ed era sicuro che non fosse a causa dei rimproveri che gli riservava, ma per il modo gentile con il quale medicava le sue ferite. Probabilmente i due erano più vicini di quanto il capitano potesse immaginare e quindi quella del medico, fosse solo preoccupazione aggiuntiva.
Ritornò al presente quando un altro ologramma gli si parò davanti colpendolo su una spalla con il calcio del fucile: Iwaizumi rotolò alla sua sinistra per evitare il colpo fendente della lancia e fece di nuovo partire due colpi, mandandoli entrambi a segno.
Quella missione di tanti anni prima era finita bene, ricordava come tornato su Riot-4 era andato a trovare sua nonna: la donna era ormai in una fase avanzata di malattia e il ragazzo non poteva sapere che l’avrebbe persa di lì a pochi mesi. Rivederla dopo quella missione particolarmente difficile – una delle prime che avevano portato a termine con un successo su tutti i fronti - lo aveva tirato su di morale come al solito, sentire i suoi consigli, vedere il suo volto rugoso che gli sorrideva. Doveva tutto alla donna, il suo amore per ciò che faceva, i principi che negli anni gli aveva instillato, tutto. Era davvero felice di essere riuscito a mantenere la sua promessa: quando era un bambino sua nonna gli aveva assicurato che non potevano essere soli in quella galassia, gli aveva raccontato dei pianeti alieni, gli aveva chiesto di salvarli. Oikawa era la prova stessa di quella promessa e tutto quello riusciva ogni volta a riempire il cuore del giovane capitano di gioia, allontanando per un po’ le nubi che oscuravano il suo animo.
Ritornò al presente ed uscì dal suo nascondiglio dietro la roccia: era andato ad allenarsi quella notte per smettere di pensare anche se al momento sembrava che non riuscisse a fare altro. Doveva svuotare la mente ad ogni costo, non poteva continuare in quel modo.
Rimase nello spiazzo centrale completamente esposto, i soldati-ologrammi incominciarono ad accerchiarlo pian piano, riuscì a contarne sei, quindi prese un bel respiro stringendo la presa su pistola e lancia «Okay, andiamo!» esclamò prima di lanciarsi sul primo avversario, solo per usarlo come scudo dai colpi di altri due.
La mischia si fece serrata, abbastanza da metterlo seriamente in difficoltà: riuscì ad affondare la lancia in un altro soldato che si accasciò e sparì, mentre ne ferì un terzo che però rimase in piedi. Era distrutto ed erano ancora in quattro ad essere in piedi, i respiri si accavallavano con troppa frequenza, chiuse gli occhi cercando di scacciare via il sudore che gli imperlava la fronte, ma la sua visuale rimase così oscurata per qualche secondo di troppo. La lancia gli trafisse la spalla sinistra – gli fece così male che sembrava reale, tant’è che lasciò la presa sulla pistola, ma con un colpo di reni riuscì a colpire l’aggressore sul collo: quello si accasciò per poi sparire.
Il fiatone si era intensificato, con un ginocchio toccò terra, ormai stremato, si preparò a ricevere il colpo finale, che avrebbe definitivamente concluso il programma di allenamento. Sentì però uno spostamento d’aria fin troppo vero per i suoi gusti, quel colpo finale non gli arrivò perché una figura si sovrappose tra lui e gli ologrammi, finendoli velocemente.
“Simulazione interrotta! Intruso rilevato!”
La voce meccanica cominciò a risuonare nella sala mentre tutto ciò che era stato creato per l’allenamento – la sabbia, le dune rocciose, le macerie meccaniche – sparì dissolvendosi come i soldati sconfitti. Sparì tutto tranne il ragazzo che roteava fischiettando la sua lancia per poi farla scattare in modo che si riducesse al pratico cilindro che si attaccò alla cintura: lo guardò dall’alto in basso per poi porgergli una mano ed aiutarlo a rimettersi in piedi «Fai gli straordinari stasera, Iwa-chan?»
Oikawa sorrideva divertito, ovviamente fin troppo divertito, mentre il suo tatuaggio sul petto brillava di tenue luce azzurrina. Aveva i capelli in disordine, segno che doveva essere uscito di fretta e furia dalla sua stanza, ma tra questi vibravano appena le sue antenne arricciate. Alieno eppure così simile a lui, pensò mentre vedeva la coda dell’altro sferzare l’aria, segno che probabilmente iniziava a chiedersi perché aveva trovato l’umano lì quella sera.
«Non credi sia davvero troppo tardi?» continuò Oikawa, perché lui i silenzi non li sopportava, come non riusciva a stare zitto per più di cinque minuti consecutivi. Poi si sapeva: se vi era l'occasione di assillarlo ininterrottamente si poteva stare certi Oikawa non l'avrebbe mai persa.
Hajime sospirò dandogli le spalle per raccogliere la pistola che gli era caduta ed assicurarsela, nella sua fodera, alla cintura «Tu perché saresti qui?» gli domandò senza effettivamente voltarsi a guardarlo.
«La porta della tua camera era aperta, ma tu non c’eri, era quindi abbastanza intuitivo immaginare dove ti trovassi» gli spiegò l’alieno come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«E per quale motivo ti devi scomodare e venire ad appostarti dietro la mia porta?» ebbe appena il tempo di finire quella domanda che subito si pentì di averla posta perché in un primo momento Oikawa arrossì, poi ghignò divertito mentre Iwaizumi si premuniva di commentare il tutto con un «Idiota» evitando lo sguardo dell’altro, nascondendogli il suo imbarazzo.
Ci fu un lungo attimo di silenzio, l’alieno era intenzionato a spezzarlo, per questo gli chiese di nuovo se c’era qualcosa che non andava. Gli incubi degli ultimi giorno franarono di nuovo addosso al giovane capitano, che invece di rispondere a quella domanda, di lasciare che le sue preoccupazioni fluissero via verso l’altro, per evitare appunto di dargli anche quel peso, fece scattare la lancia mettendosi in posizione di guardia.
Oikawa poteva avere mille difetti – spesso Hajime si stancava ad elencarli tutti – ma aveva anche i suoi pregi ed era davvero bravo a leggere le situazioni. Probabilmente era davvero bravo a leggere lui in generale, e l’umano si chiedeva come fosse possibile dato che lo conosceva da poco più di un anno. Eppure l’alieno estrasse di nuovo anch’egli la lama, pronto a fronteggiarlo: Hajime non aveva bisogno di parlare in quel momento, aveva solo bisogno di sfinirsi fino a non pensare più e Tooru quello sembrava averlo capito subito.
 
Hajime era stravolto: il primo allenamento di per sé gli aveva tolto già tutte le energie rimaste, battersi contro Oikawa – nettamente più avvantaggiato di lui – fu il colpo di grazia che ad un certo punto, probabilmente non più tardi di un’ora da quando avevano iniziato, lo fece crollare a terra esausto. Avrebbe voluto continuare, alzarsi in piedi ed intimare all’altro di tornare ad attaccarlo, ma le forze erano svanite, sebbene la fatica fosse tanta non si era sentito più sveglio di come lo era in quel momento. Poco importava che probabilmente non avrebbe chiuso occhio ancora quella notte: sentire il dolore dei muscoli tesi fino all’estremo aveva allontanato per un attimo le preoccupazioni dalla sua mente.
Riuscì, per qualche minuto, a sentirsi completamente svuotato e, stentava a crederlo, incredibilmente sollevato.
«Ti senti meglio adesso?»
Iwaizumi portò lo sguardo sull’alieno: il suo petto si alzava e abbassava ad un ritmo più accelerato del solito, ma per il resto sembrava che la sua espressione non fosse stata toccata dalla fatica, sembrava perfettamente a suo agio, mentre lui si sentiva distrutto e dolorante – sicurissimo di avere più di un livido tra spalle e braccia.
«Grazie» disse semplicemente l’umano, si alzò uscendo dalla stanza delle simulazioni: si sarebbe fatto una doccia per poi tornare nella sua stanza, non sarebbe riuscito a dormire, ma almeno poteva studiare i piani per la successiva missione.
Oikawa non ascoltò minimamente il suo consiglio, quindi una volta finita la doccia lo trovò seduto nella stanza degli allenamenti che faceva scorrere velocemente le dita sull'ologramma proiettato dal suo braccialetto elettronico. Erano raffigurate varie immagini di paesaggi, Hajime non riuscì a riconoscerli subito, ma quando si avvicinò capì di cosa si trattava: erano vecchissime fotografie che raffiguravano la Terra. Lui le aveva studiate a fondo, da bambino, quando i maestri spiegavano la storia del genere umano: da come l’umanità aveva prima colonizzato lo stesso, per poi spingersi in tutto il sistema solare, fino ad esplorare ogni anfratto della galassia, fino a conoscerne i dettagli più piccoli, fino a conquistarla interamente.
Andando avanti con le immagini il capitano le vide cambiare, raffigurare altri pianeti, farsi via via più recenti come risoluzione e colori finché l'alieno non si fermò davanti all'immagine di un grandissimo albero color grigio, con intricatissime venature azzurre e rami che si alzavano per centinaia di metri verso un cielo rosato. Trattenne il fiato: era il pianeta di Oikawa. Anche l'alieno si era fermato a fissare la Gemma, non riusciva a vederlo bene, poiché gli dava le spalle, l’unico dettaglio erano le sue orecchie a punta che tremavano appena, ma era quasi del tutto sicuro di sapere almeno un po', cosa gli stava passando per la testa in quel momento.
Era passato poco più di un anno da quando il pianeta Primo Sguardo 3 era stato distrutto, da quando loro due si conoscevano. La ferita, sapeva, essere ancora aperta, ancora sanguinante nel petto dell'altro, ed era la cosa più comprensibile del mondo. Era passato troppo poco, e dentro di sé Hajime aveva paura di non essere abbastanza per fargli dimenticare o almeno metabolizzare meglio ciò che gli aveva cambiato per sempre la vita.
Si strofinò con forza l’asciugamano sui capelli ancora umidi facendo quel poco di rumore da provocare una reazione nell’altro che fece sparire gli ologrammi prima di voltarsi verso di lui.
«Ce ne hai messo di tempo!» sbadigliò Oikawa avvicinandosi.
«Ti avevo detto di tornare a dormire» replicò l’altro ragazzo, sfuggendo appena al suo sguardo.
L’alieno gli si avvicinò poggiando le mani sull’asciugamano posto sul suo capo, strofinando appena scrutandolo con il suo sguardo indagatore, aggiungendoci anche un pizzico di dolcezza che rese Hajime davvero imbarazzato, quasi del tutto desideroso di abbandonare quella stretta che improvvisamente era diventata troppo intima «Prima dimmi ciò che ti tormenta, poi andremo a dormire» sussurrò tutto contento Oikawa picchiettando sulla sua fronte, tra le sopracciglia dove veniva a formarsi quella tipica ruga che rendeva l’espressione del ragazzo sempre un po’ imbronciata.
Ma Iwaizumi non ce la faceva, non ce la faceva ad essere lui quello tra i due più debole, quello che aveva più bisogno di aiuto. Si era ripromesso di essere forte per quella vita che aveva salvato da quel pianeta in fiamme, non poteva permettergli che fosse lui a consolarlo. Con la poca grazia che lo contraddistingueva lo afferrò per il bavero della tuta facendo scontrare le loro labbra, sperando – invano – di chiudere lì quella conversazione. L’alieno sorrise contro le sue labbra e nell’allontanarsi ci tenne a precisare «Non credere di distrarmi.»
Hajime scivolò via dalla sua stretta imboccando la via del corridoio «Di solito è facile distrarti dai pochi pensieri che ci sono in quella testa vuota» replicò serio.
«Argh, ma che cattivo~!» si lagnò l’altro standogli dietro tutto contento. Forse fin troppo perché ad un certo punto, davanti ad una parete di metallo trasparente, lo afferrò per una mano, in modo da fermarlo «Ah Iwa-chan, ho visto una stella cadente!»
Il capitano fissò il cielo, poi si ricordò che in quel periodo dell’anno Riot-4 passava vicino ad un fascio di asteroidi che creavano quello spettacolare fenomeno e non pochi problemi nel decollo delle navette. Gli piaceva guardare lo spettacolo delle stelle cadenti, spesso da bambino passava le sere insieme a sua nonna e fissare il cielo: chi contava più asteroidi avrebbe vinto e Hajime era quasi del tutto sicuro che ogni volta la donna ne contasse apposta uno in meno solo per farlo vincere e per vederlo contento.
«Andiamo!» Oikawa gli prese la mano trascinandolo verso la pedana che portava fino al tetto.
 
Hajime aveva visto Oikawa lasciarsi cadere sul cemento duro del tetto, solo per potersi sdraiare e fissare meglio il cielo. I suoi occhi brillavano di felicità nel buio, il capitano si trovò a pensare che non lo vedeva così sereno da tempo, mentre era lui ad incrinare quell'equilibrio perfetto che si era instaurato tra loro due. Sospirando si lasciò cadere accanto all'altro, che si lasciò scappare un sorriso più accennato nel vedere come il capitano gli si fosse messo vicino «Lo sai che gli alberi campana fiorivano sempre quando la stagione calda finiva, in quelle sere illuminavano tutta la parte sud della città perché lì c’era la foresta più numerosa. Nello stesso periodo, se guardavi il cielo, potevi vedere la pioggia di stelle; quando ero piccolo le guardavo insieme a mia sorella, mentre quando sono cresciuto ci portavo Takeru. Era come allontanarsi un po’ da quel mondo, come arrivare fino a quelle stelle, cercando di afferrarle. Era… uno spettacolo magnifico.»
Hajime sbirciò nella sua direzione, lo sguardo dell’alieno si era fatto distante, quasi a cercare di riacchiappare i dettagli di quelle scene passate; l’umano si trovò a pensare che avrebbe dato ogni cosa per averlo potuto conoscere prima, sul suo pianeta, mentre gli faceva scoprire ogni dettaglio che riservava solo alle sue storie. Iwaizumi era sicuro che gli sarebbe piaciuto tantissimo, aveva davanti agli occhi il paesaggio di quel mondo distante vivo, al massimo dei sui colori e non come lo aveva visto lui, neanche due anni prima, morente, distrutto e bruciato.
«Mi sarebbe piaciuto vederlo» si lasciò sfuggire a quel punto, perché davanti ai suoi occhi, attraverso i racconti di Oikawa, lui vedeva davvero. E una parte del suo animo avrebbe voluto urlare per questo, perché mai sarebbe riuscito a sentire sul serio cosa quelle immagini gli avrebbero provocato.
«Sono sicuro che ti sarebbe piaciuto» replicò l’alieno, il sorriso ancora stampato sul volto «dopotutto anche tu sai essere romantico quando vuoi Iwa-chan!»
Hajime roteò gli occhi «Devi sempre rovinare ogni cosa» sbottò.
«Eeeh? Non è vero!» si lagnò l’altro per poi girarsi su un fianco e farsi improvvisamente più serio, mentre lo scrutava a fondo «quanto mi terrai ancora sulle spine? Mi vuoi dire cosa ti preoccupa così tanto?»
Le stelle continuavano a piovere ed illuminare il cielo mentre ad Hajime tornavano in mente le sensazioni provate poche ore prima, al suo risveglio brusco, all’ansia che gli stringeva il petto come una morsa da qualche tempo ormai. Oikawa era tremendamente insistente e sapeva che non sarebbe riuscito a sfuggirgli quella sera, a quel punto, tanto valeva, vuotare il sacco.
«Sono andato a trovare mio padre e mio nonno qualche settimana fa» incominciò «non ho mai tutta questa voglia di rivedere mio padre, anche perché coglie subito ogni occasione di rivedermi come un appuntamento per presentarmi qualche ragazza…» si bloccò spiando l’espressione dell’altro che si era fatta corrucciata «lo sai vero cos’è un matrimonio?» azzardò ancora.
«Uhm, me l’hanno spiegato» iniziò Oikawa «ma è diverso da ciò che succedeva da noi: quando due persone decidevano di stare insieme c’era una grande festa, i Saggi creavano bellissime collane intrecciate con le fronde della Gemma e i due facevano una promessa a questa. Posando le mani sulle sue radici, dicendo i voti, la Gemma avrebbe creato per loro una casa nella sua roccia» spiegò «poi si ballava e mangiava per almeno tutto il giorno successivo, era divertente» sorrise appena per poi tornare serio «quindi sei innamorato di questa ragazza? Per questo tuo padre vuole che la sposi?»
Che idiota riuscì solo a pensare Hajime prima di arrossire e farsi uscire parole che avrebbe preferito non dire mai «Non è di lei che mi importa, stupido!»
L’alieno rimase spiazzato da quelle parole, poi sembrò collegare ogni cosa nella sua testa e, com’era prevedibile, il tuo marchio sul petto iniziò a brillare, l’umano però evitò di prenderlo in giro per quella cosa, come faceva di solito, sicuro che si sarebbe solo imbarazzato di più.
«Mio padre ha sempre avuto questa fissa» Hajime cercò di cambiare argomento per alleggerire almeno un po’ la tensione «ma non si è mai disturbato a chiedermi come la pensassi in proposito. Ciò che ho scelto di fare, sconsiglia di creare legami troppo profondi… non so se tornerò da tutte le missioni che mi affideranno» si bloccò sbirciando di nuovo verso l’altro, che seguiva le sue parole con attenzione, gli occhi che si illuminavano tenendo la cadenza della pioggia di stelle.
«Io quindi…» gli occhi di Oikawa erano attenti e concentrati mentre tirava fuori quella frase, e di nuovo Hajime si trovò ad interromperla prima che potesse finire, prima che l’altro intendesse male, prima di causargli magari dolore.
«Riguardo te è diverso, io…» le parole gli mancarono di nuovo e si ritrovò a pensare quanto fosse strano che quella sera fosse riuscito a tirare fuori tutto quello, lui che preferiva sotterrare i suoi sentimenti sotto metri di rigore e forza di volontà. Cosa diavolo mi hai fatto? Si ritrovò a pensare prima di aggiungere, trovando l’occasione giusta per citare una frase dell’altro «Io non me lo aspettavo, tutto qui.»
L’alieno continuò a guardarlo, poi scoppiò a ridere «Se mi lasciavi finire Iwa-chan, volevo dirti che io sono speciale» ghignò facendo l’occhiolino «ma grazie per avermi dato la conferma!»
«Sta zitto» borbottò il ragazzo voltandosi appena. Non riusciva a capire quale fosse il potere di Oikawa, come riusciva a tirargli fuori tutto ciò che pensava? Doveva essere qualche strana stregoneria, ne era sicuro. Perché era davvero diverso? Era una domanda che gli frullava spesso nella testa, spesso quando – come un completo idiota – si ritrovava a pensare all’altro, quando Oikawa diventava la sua distrazione e tutto ciò a cui aveva voglia di pensare. Era sbagliato, sbagliato per ciò che lui era, sbagliato per il suo ruolo eppure non poteva farci nulla.
Come è successo? Quel pensiero lo colse in fallo mentre era intento a perdersi nei dettagli della figura che aveva davanti. Come sono arrivato ad innamorarmi di lui?
L’alieno ancora rideva, mentre Iwaizumi decideva che era arrivato il momento di smettere di pensare a quello o il suo cervello avrebbe preso fuoco come al momento stavano prendendo fuoco le sue guance e orecchie. Quella rivelazione, brillante come le stelle cadenti di quella sera, gli aveva solo scombussolato l’animo.
«Io ti devo più di quanto tu immagini, puoi non credere nel destino, ma come abbiamo fatto ad incontrarci noi due? Sei venuto a salvarmi ai confini dell’universo, dovrà voler dire qualcosa?» Oikawa si era alzato piano sui gomiti, avvicinato ancora, fino a posare il mento sul petto di Hajime, guardandolo con i suoi occhi scuri e profondi, dalle pupille verticali.
«Ti prego, evitami queste romanticherie inutili» borbottò il ragazzo picchiettando con l’indice sulla fronte dell’altro.
«Finché le dicevi tu andava tutto bene, vero? Sei proprio rude Iwa-chan!»
Dovette di nuovo intimargli di tacere e di smettere di fissarlo, ma Oikawa – che mai, da che si conoscevano, aveva ascoltato davvero le sue lamentele, non lo calcolò minimamente, anzi iniziò il suo mirabolante racconto della pioggia di stelle sul suo pianeta, di quanto fosse bello.
Rimase ad ascoltarlo, smettendo di ascoltare le voci nella testa, l’ansia e la paura che questa si portavano dietro: sperava che quegli incubi sparissero, era sicuro che con la prossima missione non avrebbe più avuto tempo per pensare a loro. Sperò di poter dimenticare anche le parole di suo nonno, solo perché gli si cucivano addosso talmente bene, che si ritrovò a chiedersi se davvero la sua testa stava pian piano rallentando: la prigione del giovane capitano era talmente ben costruita che non sarebbe riuscito a fuggirvi neanche volendolo.
Non che lui volesse davvero fuggire, non voleva davvero farlo, parte di ciò che era lui si poteva riflettere negli ideali dei ribelli. Hajime ci credeva tantissimo, non aveva mai neanche una volta pensato che quella guerra fosse vana, che lo Stato li avrebbe sopraffatti. Lui avrebbe continuato a lottare sempre, aveva dedicato la sua vita a quello e non aveva intenzione di cambiare idea. Solo che poi era arrivato quel dannato e bellissimo alieno e lui aveva capito che ciò che non aveva mai fatto – elevare una singola esistenza sopra tutte le altre – forse stava capitando, perché più gli stava accanto e più avrebbe voluto proteggerlo, anche se questo era un sentimento così stano e destabilizzante che gli faceva paura.
Non poteva pensare di abbandonare ogni cosa, non poteva e non voleva, ma pensare di togliersi l’altro dalla testa era impossibile, ci aveva anche provato.
Forse l’unica soluzione era far cercare di collidere e amalgamare quelle idee che nella sua mente erano così distanti ed imprescindibili. La missione della sua vita rimaneva al primo posto, ma questo non significava che non poteva stare in pena se l’altro si faceva male?
Provò a domandarsi quale consigli gli avrebbe dato sua nonna, provò a chiedersi se forse non era il caso di parlarne davvero con il diretto interessato. Mentre pensava questo un asteroide più grande degli altri illuminò il cielo e la sua attenzione tornò su Oikawa che era praticamente sdraiato su di lui.
«Non mi stai più ascoltando» disse fingendosi offeso per poi osservarlo attentamente «pensi ancora alle parole di tuo padre? O ti ha detto altro?»
Probabilmente conveniva parlare a quel punto, gli sembrava la soluzione più sensata «Mio nonno crede che carichi le speranze dei ribelli unicamente sulle mie spalle» poteva essere un metodo di sintesi abbastanza efficacie, ricordava come il vecchio gli aveva detto quanto quello fosse sbagliato, sia quando si era ritirato dalla vita militare, sia quando la moglie era morta, lasciando nell’animo di Hajime un vuoto che difficilmente avrebbe riempito con qualcosa che non fosse il suo lavoro.
«Beh» iniziò l’alieno disegnando linee immaginarie sul petto del ragazzo «si potrebbe dire che il tuo senso di dovere e di lealtà siano massimi, ma non posso giudicarti, anche io ero come te.»
«In che senso?»
«Prima di perdere la corsa del Re» spiegò «continuavo a pensare che se non avessi vinto, nulla avrebbe avuto senso, volevo il massimo riconoscimento per me e per la mia famiglia, ma come mi hai sempre detto tu Iwa-chan, non si riesce a portare a termine nulla se si è da soli, vero?»
Lo odiava quando gli ritorceva contro le sue stesse parole, lo odiava davvero.
«Hai tutta la tua squadra insieme ai tuoi compagni ribelli, hai la tua famiglia e ci sono anche io» il marchio sul suo petto brillò appena «tu ci sei stato per me, non posso non ricambiare il favore, prima o poi sarò anche io in grado di salvarti.»
Hajime soppesò le sue parole: certo gliele aveva tranquillamente girate contro, era un discorso che lui stesso gli aveva fatto non più di qualche settimana prima, cercando di essere il più convincente possibile, perché in fondo, anche lui credeva in quel discorso. Era semplicemente strano sentirselo rivolgere contro: aveva pensato prima all’altro che a se stesso, senza riuscire a capire che quelle stesse parole avrebbe potuto usarle per spronarsi, per darsi quel minimo di fiducia da tornare a pensare che stava facendo la cosa giusta. Forse alla fine non importava Oikawa di per sé: entrambi avevano il loro posto in quel mondo che li aveva fatti incontrare, avevano le loro idee e i loro doveri. La missione era, e rimaneva, la cosa più importante, forse avrebbe potuto sopportare l’ansia del pericolo in cui poteva trovarsi l’altro, poteva gestirla e domarla. Reagiva in quel modo tutto nuovo solo perché, appunto, era anche la situazione ad essere nuova: non aveva mai tenuto a qualcuno che non fosse la sua famiglia come teneva a quell’alieno salvato da un pianeta in rovina ai confini dell’universo.
«Smettila di ritorcermi contro i miei stessi discorsi, sono fin troppo elevati per te, diventi inquietante altrimenti» disse, sia per chiudere lì il discorso, sia per vedere la reazione di Oikawa, che non tardò ad arrivare.
«Iwa-chan, sei davvero cattivo! Non posso farci nulla se oltre ad essere così bello sono anche intelligente» trillò felice.
«E chi avrebbe detto che sei bello?»
«Aaah~ non far finta di non ricordare.»
«Se stai per dire una stronzata ti picchio!»
«Ti ho sentito due mattine fa, prima di alzarti dal letto, pensavi che io dormissi, ma ti ho sentito quando mi hai abbracciato e detto quelle cose… Ahia Iwa-chan, non essere così brusco!» si portò una mano sul capo, tra le due antenne, dove Hajime lo aveva colpito con la mano chiusa per farlo tacere ed evitare di riportare a galla dettagli imbarazzanti; lui proprio non riusciva a venire a capo con quelli, anche se di tempo ne era passato abbastanza e doveva essere in grado di capire che l’alieno aveva fatto suo il sarcasmo umano con fin troppa facilità, abbastanza da poterglielo ritorcere contro a suo piacimento.
«Tu smettila di straparlare allora» cercò di chiudere lì il discorso il ragazzo.
Oikawa mise su il suo finto broncio per poi mugugnare «Posso farti anche io un complimento, per ripagarti.»
«Ti prego, evitalo!» rispose di rimando Iwaizumi, ma prima che potesse pensare di aggiungere altro l'altro si era sbilanciato in avanti, intrappolandolo in un bacio che sembrò rubargli tutto il fiato mentre - quasi agissero secondo il proprio volere - le mani del ragazzo si aggrapparono ai fini capelli dell’alieno, sfiorandogli le antenne e provocando nell'altro una risata ed una serie di leggeri morsi sulle labbra o sul collo come vendetta.
«Se mi lasci i segni sei morto» riuscì a dire Hajime tra i baci.
«Quando li lasci tu a me, io non faccio tutte queste storie» replicò Oikawa ridendo.
«Stupido Culokawa!» rimbeccò l’altro.
L’alieno rise divertito, poi gli posò una mano sul petto e si fece improvvisamente serio «Hajime» lo chiamò piano, il suo nome sussurrato quasi come una carezza «grazie.»
Iwaizumi lo strinse a sé mentre l’altro poggiava la testa sul suo petto, una tenue luce azzurra li avvolgeva, le stelle ancora ornavano il cielo per poi precipitare giù. Si chiese perché quella felicità che sentiva gli facesse così male al cuore, non trovava una spiegazione, l’unica soluzione per calmare l’ansia che di nuovo si era fatta viva fu stringere ancora di più quel corpo a sé, continuando a tenere una mano imprigionata nei suoi capelli, mentre piano – quasi non si volesse fa sentire, sussurrò «Tooru» e si meravigliò nel rendersi conto che quella era la prima volta che lo chiamava con il suo nome.
Oikawa sorrideva, poteva sentirlo, come riuscì a sentire qualche parola biascicata in una lingua a lui sconosciuta, sulle quali non chiese di più, per il resto della nottata parlarono solamente le stelle.
 
- - - - - -
 
«Hajime-chan, perché stai piangendo?»
«Ho paura.»
«È normale avere paura piccolo, la paura è uno dei sentimenti umani più forti. Non puoi sfuggirle, ma dimmi perché hai paura?»
Davanti agli occhi si delinearono i contorni di una casa, una stanza già conosciuta e un’atmosfera rilassata, che in qualche modo riusciva a tenere lontano il timore che riuscivano ad incutere quelle spesse nubi nere, appena al di là di una finestra tremolante. Perché gli faceva quella domanda, sapeva bene cosa doveva fare ed era per quello che aveva paura, una terribile paura di fallire.
«Hajime, non farlo, non farlo ti prego.»
«Credi che non ce la farò?»
«Credo che tu sia un ragazzo davvero forte, ma questo rischia di aumentare solo la sofferenza o, peggio, potrebbe richiedere in cambio la tua vita.»
Ma a lui non importava, i colori vorticavano davanti agli occhi, sentiva dolore a tutte le ossa, ma non importava; questa era una battaglia che non poteva perdere.
 
Poteva considerarsi davvero divertente il fatto che la parte più difficile, fino a quel momento, era stata procurarsi i documenti falsi. Nei pianeti del margine interno i contrabbandieri di identità erano numerosissimi, ma i ribelli di per sé li combattevano perché qualunque abitante dello Stato, in fuga da questo, poteva trovare rifugio presso l’alleanza ribelle, senza l’uso di documenti falsi. Veniva naturale quindi che questo genere di persone cercavano di far entrare illegalmente tra i ribelli spie dello Stato. E viceversa.
«Tutto questo è davvero folle!»
«Eri sicurissimo di accompagnarmi, sarei potuto andare da solo con lui.»
«Certo, così vi facevate ammazzare entrambi senza di me.»
«Ehi, ehi non darti tutta questa importanza!»
«Tacete!» ringhiò Iwaizumi scolandosi la sua tazza di caffè nero di Bosok, come veniva citato a leggere gigantesche sul menù della caffetteria.
Si trovò a domandarsi perché si era portato dietro Hanamaki e Matsukawa, avrebbe potuto scegliere di andare da solo: esporre gli amici a quel pericolo – ed esporre i suoi nervi alle loro idiozie, forse era stata un’avventatezza.
Era probabilmente la decisione più stupida che avesse mai preso in vita sua, anche più stupida di quando si era fatto catturare di proposito cercando di salvare quelle due navi mercantili e il loro segreto. Strinse con forza il cucchiaino, facendosi appena male. Erano entrati clandestinamente nei territori dello Stato Galattico da ormai quindici giorni, anche se lui aveva aspettato più di due anni: due anni a tormentarsi e a pregare le alte cariche tra i ribelli di concedergli quella missione, perché non l’avrebbe fallita e avrebbe portato informazioni essenziali per la loro causa. In più avevano il dovere di proteggere quegli alieni catturati dallo Stato, usati come cavie genomiche; loro potevano e dovevano aiutarli.
Dopo due anni di trattative Hajime aveva capito che, per la disperazione, gli avevano affidato una missione suicida: nessuno si aspettava che lui tornasse, gli avevano dato quell’ordine di non portare con sé nulla che potesse ricondurre ai ribelli, che potesse recar loro danno. Probabilmente, dopo gli ultimi tempi, erano stati i generali stessi a sperare che lui non tornasse.
Ma il giovane capitano, sebbene il motivo principale per il quale faceva tutto quello gli fosse ben ovvio in mente, voleva dimostrare che lui alla sua missione credeva ancora. Tre giorni prima li avevano quasi catturati su una delle lune del sistema St-67, si erano introdotti in uno degli avamposti commerciali principali dello Stato, avevano rubato dati importantissimi. Sua nonna gli aveva raccontato che nella sua generazioni non era così inusuali infiltrare spie così a fondo tra le file dello Stato: poi avevano capito che perdevano più uomini che ottenere informazioni e quella tattica era stata spostata solo verso i pianeti di confine, i pianeti contesi. Era molto probabile che da più di cinquant’anni lo Stato non avesse visto dei ribelli infiltrati così a fondo.
«Possiamo muoverci?» sussurrò Hanamaki.
Erano arrivati il giorno precedente sul pianeta Anemu, uno dei pianeti centrali dello Stato Galattico, diventato famoso negli ultimi anni per essere lo zoo più innovativo della galassia: custodiva al suo interno le due razze conosciute di alieni senzienti.
Iwaizumi avrebbe mentito dicendo che non si era lanciato in quella missione suicida per salvare Oikawa, era innegabile, ma sapeva di poter essere ancora utile: quella notte avrebbero cercato di introdursi nei laboratori e avrebbero rubato tutti i dati possibili. Era la missione più difficile che avesse mai fatto, era quella che valeva di più, era quella che avrebbe preteso di più.
«Andiamo nella riserva, lasciate i nanodroidi perché traccino una mappa di tutta la struttura ed individuino i punti deboli, attivate la loro autodistruzione se dovessero esserci misure di sicurezza superiori alla classe 5» disse Hajime alzandosi seguito dai due piloti.
Mentre varcavano la porta della riserva, Matsukawa si avvicinò alla biglietteria per comprare tre ingressi dilungandosi a parlare con la ragazza al bancone che arrossiva ad ogni sua parola. Hanamaki accartocciò ciò che rimaneva della sua bibita buttandola in un cestino, tornato dagli altri due digitò un codice sul suo braccialetto digitale: i nanodroidi nascosti nel cartoccio della bibita e ora nel cestino si sarebbero sparsi tutt’intorno in poco più di dieci minuti. Se ci fossero state misure di sicurezza troppo alte, sarebbe scattato l’allarme, ma i tre erano sicuri che quei documenti falsi, di forgia impeccabile, non avrebbero mosso sospetti su di loro. O almeno lo speravano.
È una missione suicida.
Il biglietto venne timbrato all’entrata mentre una ragazza augurava a loro una buona permanenza: furono dentro. La struttura era enorme, ma si sviluppava di più all’esterno: lì vi erano solo quattro pareti, quella sul fondo, quella con la porta d’entrata e le due laterali. Alla loro sinistra l’intera vetrata conteneva un bacino idrico che fuori da lì si estendeva per chilometri, alla loro destra, oltre il vetro c’era l’inizio di una foresta quasi uguale a quella che si ricordava Hajime, ma finta e fin troppo grigia.
Di uomini-pesce, quelli del pianeta Primo Sguardo 1, non se ne vedevano oltre la turbolenza dell’acqua, infatti tutto il pubblico di giornata, composto prevalentemente da bambini, era schiacciato sul vetro che dava sulla foresta.
«Abbiamo fatto ciò che dovevamo, sei sicuro di voler restare?» chiese Matsukawa.
Una volta acquisita la planimetria e i codici di accesso da parte dei nanodroidi, quella sera i tre si sarebbero introdotti nella struttura, rubato i dati genetici necessari, controllato se anche le porte degli ecosistemi potevano essere oltrepassabili. Se tutto fosse andato liscio, un commerciante di tessuti, parecchio in disaccordo con lo Stato e i suoi metodi, avrebbe dato loro un passaggio fino alla luna più remota del sistema St-101, che non era propriamente di confine, ma avevano lasciato lì la loro nave, che non era comunque una nave da trasporto di persone, ma da ciò che sapevano lì non c’erano più di un centinaio di alieni. Li avrebbero caricati tutti a bordo, e impostare le coordinate per il salto nell’iperspazio da quel sistema li avrebbe portati in non più di dieci minuti appena a qualche centinaio di migliaio di chilometri dall’orbita di Riot-4. Il problema era che tutto quello era fin troppo idilliaco, pensare che andasse tutto secondo i piani era da folli. Probabilmente non sarebbero riusciti a salvare anche gli alieni. Probabilmente quello era l’unico momento in cui avrebbe potuto rivederlo.
«Rimanete in guardia, se qualcosa dovesse scattare usciremo da qui in un lampo» disse Iwaizumi fissando i due piloti «io torno subito.»
Scese quella decina di gradini che lo distanziavano dalla grande vetrata e dal fiume di gente che vi era radunata intorno: oltre questa riusciva a vedere non più di quattro alieni, tre erano bambini che appoggiavano le mani contro il vetro, come a sfiorare le corrispettive di quelle dei bimbi umani; poi oltre c’era un vecchio la cui coda sferzava pigramente l’aria e controllava la situazione, non perdendo di vista i piccoli alieni. L’erba non era lucente e arancione come ricordava, gli alberi non avevano i tronchi azzurri, l’aria stessa sembrava diversa e benché si sforzasse, guardando in lontananza, era sicuro di non vedere nessun enorme totem di pietra a vegliare su quel popolo.
Non si aspettava di vederlo – quante probabilità c’erano che si trovasse proprio quel giorno nell’ala riservata ai visitatori, lì in bella mostra come un animale strano? Rimase quindi paralizzato nel vedere le fronde di un albero muoversi e delle gambe penzolare giù da un ramo: fece un passo avanti in modo da avere una visuale migliore e il respiro gli si bloccò in gola, mentre lo stomaco faceva una capriola su se stesso. Era appoggiato al tronco e seduto su quel ramo, fissava anche lui i bambini, gli occhi vuoti ed inespressivi. Gli avevano dato nuovamente i suoi abiti tradizionali: la tunica aperta sul petto che lasciava vedere il suo marchio, i pantaloni larghi e i piedi scalzi. Le sue orecchie vibravano appena richiamate dal suono del vociare ai piedi di quell’albero, i capelli più spettinati del solito, le antenne erano ornate da piccoli campanelli neri. Hajime sentì le gambe farsi per un momento più cedevoli, tant’è che fece un passo indietro come se dovesse riprendere l’equilibrio: avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi oltre quel vetro, per tirarlo giù da quell’albero – rudemente, perché ancora non poteva perdonargli di aver deciso di salvarlo sacrificandosi in quel modo – per poi abbracciarlo e tenerlo stretto, gli sarebbe bastato anche un singolo minuto. Aveva paura però di incontrare il suo sguardo, lo temeva più di ogni altra cosa, sapeva che se i loro occhi si fossero incontrati non avrebbe avuto la forza di andare via.
Per questo quando Tooru alzò gli occhi, a fissare la folla che si radunava lì ogni giorno per vedere lo spettacolo da zoo che il suo popolo decaduto offriva alla parte di umanità malvagia, era quasi sicuro di aver scorto uno sguardo dal taglio deciso, con degli inconfondibili occhi verdi. Ma si sbagliava, tra quella folla c’erano facce tutte uguali e nessuna di queste somigliava a quella di Hajime; lui era già lontano da quel posto ormai.
 
«Sei quindi sicuro Hajime di questo? Stai dando tutta la tua vita alla causa e credimi, tuo nonno è davvero felice di ciò, ma tu lo sei? Piccolo mio, hai un cuore talmente grande, ma sei sicuro di questo? Vuoi salvare ogni ribelle, vuoi allontanar loro dal male e stai lavorando così bene, ma sono sicura che qualcosa, ad un certo punto cambierà. Potrai aver salvato ogni ribelle, ogni tuo compagno, cercando di ridare loro la libertà. Ma arriverà poi qualcuno. Potrai aver salvato centinaia di vite, ma quel qualcuno le supererà tutte e salvarlo ti farà sentire come se avessi salvato l'intero universo.»


 



 

















Angolino

Bentrovati qui in fondo :3
Sul finale della mia precendete storia avevo fatto rimanere tutti male, tant'è che qualcuno mi aveva chiesto di risolvere il finale così aperto, magari con un po' di lieto fine... scusatemi ragazze, ma io non ce la faccio ç_ç sono talmente affezionata a quel finale aperto (sadica) che non ce la potevo fare! Però in questa oneshot vi ho dato un bel po' di fluff che non è assolutamente il mio forte :'D insieme ad un piccolo sguardo su quello che immaginavo potesse essere un futuro per i due protagonisti divisi. Chi lo sa poi, magari li ho fatti un po' soffrire sul finale questa volta, ma non è detto che non possa riprendere in mano tutto questo universo che ho tirato su :3
Detto questo spero che questa cosina non vi sia totalmente dispiaciuta, a me è piaciuto molto scriverla e spero che a voi sia piaciuto leggerla!
Spero che i personaggi siano credibili e coerenti, io il fluff non lo so scrivere ma se trovate qualche errore segnalatemelo in tranquillità :)
Volevo fare un ringraziamento finale prima di tutto alle ragazze che hanno creato questa bellissima iniziativa sul genere sci-fi che io adoro, ma anche a chi ha letto la scorsa storia spronandomi a lanciarmi in questa os, perché i loro pareri sono stati importantissimi per me :3
Detto questo ricordatevi di farmi sapere se anche questa vi è piaciuta e ci rivedremo presto ^w^
(Per rimanere aggiornati con i miei progetti futuri potete seguirmi sulla mia nuova pagina facebook! Qui il link)



Edit post pubblicazione: dato che la cara Hide and Seek ha creato codeste meraviglie, è giusto che tutti voi le vediate *_*


Vi lascio qui il suo post di twitter dove ha pubblicato i disegni (regalatele qualche bel cuore che se li merita tutti <3)
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: nigatsu no yuki