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Autore: Lost In Donbass    02/04/2017    3 recensioni
Tom è un traduttore di romanzi, squattrinato, disordinato, con la memoria particolarmente corta e la mania di cacciarsi in casini molto più grandi di lui.
Bill è un giornalista, geniale, psicologicamente instabile, dotato di una memoria elefantiaca e affetto da nevrosi acuta.
Si sono visti e rivisti, questi due ragazzi, ma solo ora si decideranno a parlarsi, a riconoscersi, a entrare in un contatto che di sano non ha proprio niente. E in una Berlino misteriosa, tra amici inconcludenti, grunge degli anni 90, ricordi che vengono a galla, crisi di nervi e perle filosofiche di periferia, riuscirà Tom a salvare Bill da se stesso? O lo perderà di nuovo, forse per l'ultima volta?
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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CAPITOLO DODICI: TORNIAMO A CASA

Chi avesse guardato in quel momento nel piccolo appartamento della Brandenburg Strasse, avrebbe potuto vedere una delle tipiche riunioni serali della Lega Degli Avventurosi Kebab Al Formaggio Fuso Senza Glutine, con le luci sempre basse e Lady Gaga a tutto volume nelle vecchie casse, un gruppo di ragazzi seduti in cerchio sul tappeto con unn grosso kebab fumante con candelina in mezzo a loro. Una setta segreta un po’ sui generis e assolutamente molto poco professionale.
-Beh, io credo che se reputino Bill capace di intendere e di volere, o perlomeno, non pericoloso per sé stesso e per la comunità, potrebbero anche lasciarlo a casa.- stava dicendo Georg, stringendosi nelle spalle.
-Ma come fanno?- Tom scosse la testa, abbattuto – Ha tentato di suicidarsi non sapete quante volte. Cosa che farà anche quando lo sbatteranno in manicomio, mi ci gioco tutto. Eppure io lo so, lo so, che se stesse con me sarebbe al sicuro, ma come faccio a convincere i medici? È troppo irrazionale e debole come tesi.
-Potremmo sempre ricorrere a vie legali.- continuò Georg – Se riuscissimo a trovare un bravo avvocato che riesce a convincerli che tu non sei più matto di Bill e che potresti effettivamente fare la sua differenza, saremmo a cavallo.
-Sì, certo, poi ipotechiamo te! Ma lo sai quanto costa un buon avvocato, Listing?- ruggì Julia, dando uno schiaffo sul braccio all’amico – No, al massimo punterei più per un’azione da black block e un rapimento. Tipo, noi potremmo assaltare l’ospedale coi fumogeni da stadio e T. va a rapire Bill e scappa dalla finestra.
-Juls, ma io non sono capace a calarmi da una finestra.- si lamentò Tom, attaccando la ciotola di patatine fritte unte e grondanti olio e sale.
-E poi ci arresterebbero subito, pezzo di cretina guerrafondaia!- sbraitò Georg, beccandosi la prima piccola rivincita in tanti anni di amicizia con la bionda – No, dobbiamo trovare un metodo più valido.
-Ce l’ho Tommolo!- saltò su Gustav, battendo le mani e azzannando il panino triplo che aveva nel piatto – Appena sbattono Bill in manicomio, fai qualche cazzata delle tue tanto per far capire alla comunità che pure te sei sociopatico e così ti sbattono in cella con lui e buonanotte. Insieme per sempre e nessuno si fa male.
-A volte non so se pensare che mi odi profondamente o se sei semplicemente malato di mente. Santa Madre di Dio, Gustav, ma che cazzo di idea è?!- strepitò Tom, mettendosi le mani tra i capelli e fulminando l’amico.
-No che non ti odio, cosa dici!- tentò di giustificarsi il biondo, arrossendo – Ho solo voluto tentare per la via più semplice possibile.
-Secondo me, Bill farà tutto da solo.- intervenne pacificamente Becca, aggiustandosi la capigliatura rosa bubblegum. Appena gli occhi di tutti si focalizzarono su di lei, si limitò a cinguettare, stringendosi nelle spalle – Non ha forse un quoziente intellettivo notevole? E allora state tranquilli che saprà come fare.
Si guardarono negli occhi, tutti e cinque, prima di sbuffare in sincrono tutta la loro disperazione. Sembrava non esserci via di uscita da quel giro vizioso in cui Tom si era abilmente andato a impelagare e nel quale aveva irrimediabilmente trascinato i suoi amici, che, come salami, gli erano andati incautamente dietro. Come se poi fosse la prima volta che seguivano le sue balzane idee e finivano coinvolti in storie sempre troppo grosse per loro, anche se quella sembrava davvero la peggiore in cui potevano incastrarsi, senza andare né avanti né indietro. Lasciare Bill era fuori discussione, esattamente come pensare di portarselo via quando era un soggetto capace di sgozzarli tutti nel sonno e ballare nel loro sangue. Sembrava quasi che il cielo avesse voluto proporre alla Lega una vera prova di coraggio, come quelle stupide missioni che facevano da bambini per provare la loro presunta audacia. Eppure ora si guardavano tutti senza sapere da che parte dibattersi. A cosa era servito, pensava Tom, sapere sei lingue da madrelingua e padroneggiarne almeno altre sei se poi non era capace di salvare un angelo e fargli prendere il volo per lo spazio, come curare le ali a una rondine caduta dal nido? A cosa era servito sapere tutte quelle lingue se poi non si ricordava nulla e cancellava tutto quello che avrebbe potuto aiutarlo a rincollargli le ali?
-Come faremo a convincere i medici a lasciarcelo, però?- sospirò Julia, sbuffando – Non potremmo provare a dirgli che gli faremmo da “infermieri” e che ci prendiamo la colpa se fa qualche follia?
-Come piano non farebbe una grinza, ma ti sembra che lo lascino a me?- commentò amaramente Tom, piegando la testa da un lato, stanco come non lo era mai stato in vita sua. Quant’era che non dormiva? Da quando aveva conosciuto Bill non aveva chiuso gli occhi un solo minuto, gli sembrava di stare per morire, non ce la faceva più a reggere la pressione e la stanchezza – Dai, Juls, cerchiamo di essere seri: Gus ha ragione in questo. Non … non possono lasciare uno schizofrenico in mano a uno altrettanto fuori di testa. E poi, guardiamoci: dove vogliamo andare noi cinque?
-Ma a salvare Bill, no?- trillò Becca, alzando il volume delle casse – Tom, sei troppo negativo! Dobbiamo pensare positivo, ovvero che non tutto è ancora perduto. Aspettiamo domani, quando tornerai a parlare col suo medico curante e vediamo come si mettono le cose. Poi agiamo di conseguenza, se tentare di agire da black block o limitarci a farcelo affidare sulla fiducia.
Effettivamente, più guardava la Lega dei Kebab, più era convinto che facevano meglio ad andare tutti e sei in manicomio che era il posto migliore per tutti; ci sarebbe stata la speranza di vivere una vita pacifica tutti insieme. Su, dove volevano andare se non giusto tutti a Woodstock e arrivederci e grazie? Destinazione, Isola di Wight, gente. I suoi torvi pensieri vennero però interrotti dal suono che più odiava: il trillo fastidiosissimo del telefono di casa. Guardarono tutti il vecchio aggeggio rosso fuoco con gli adesivi dei Simpson che emanava quell’orrendo suono causa di tutte le contorte paturnie di Tom su che demone ci potesse essere dall’altra parte del filo.
-Rispondi tu, T., io ho troppo mal di gola.- gracchiò Julia, scuotendo il caschetto biondo.
-Io?! Ma sei scema?- urlò il ragazzo, guardandola con gli occhi fuori dalle orbite – E se è quel tizio del ferramenta che non abbiamo ancora pagato dopo anni? No, rispondi tu!
-Oh, scherzi?- Julia gli tirò una calza in testa – Mi fa male la gola, e se è il ferramenta gli butti il telefono in faccia. Dai, fai l’uomo ogni tanto nella tua vita!
-E se è come in The Ring e poi c’è Samara dall’altra parte?- mormorò Gustav, stringendosi a Georg – Tom, non rispondere!
-Eh?! Julia, siamo perseguitati! Lo sapevo! Te l’avevo detto io di non guardare quel film registrato!- strepitò Tom, guardando con orrore il telefono che continuava a squillare amabilmente.
-Tom, era il filmino della comunione di mia cugina.- la ragazza li fulminò con lo sguardo, incrociando le braccia al petto – Smettetela di fare i bambini e rispondete.
-Bene, allora Georg, prego.- Tom indicò la cornetta – A te l’onore.
-E perché io?- strillò l’interessato, sbattendo gli occhi – Non voglio!
-Sei il più grande.- lo rimbeccò Gustav, passando ad aggrapparsi a Tom – Rispondi.
Georg li guardò con aria truce, prima di allungarsi verso il telefono e alzare la cornetta con un gesto simile a un singulto, per poi sibilare
-Io ho alzato la cornetta, parlate voi!
-Pronto? Pronto?
Una voce decisamente non posseduta si sparse nel piccolo salotto, prima che Tom sussurrasse, con voce strozzata
-Ma … ma non è la telefonata maledetta.
-Cazzo, allora parla!- strillò Gustav, spingendolo verso la cornetta penzolante.
-E che cosa dico?!
-Ma non ce l’hai un canovaccio?!
-Madonna, quanto siete stupidi.- Becca scosse la testa, afferrando con le manine ingioiellate la cornetta e rispondendo pacificamente – Sì, pronto? Chi parla?
Fissarono per un po’ la loro amica stringere i grossi occhioni gialli truccatissimi da Cleopatra, annuendo distrattamente, finché non assunse una dolce espressione interrogativa e allungò la cornetta a Tom
-T., cercano espressamente te, dall’ospedale. Presumo sia per Bill.
Giusto per coronare bene questa giornata, pensò il ragazzo, mentre sospirando rispondeva finalmente al telefono. Certo, non sapeva che i suoi amici che lo stavano fissando ansioni di avere notizie si stavano preoccupando davvero della sua salute, a vederlo impallidire più di quanto già non fosse, perché più andava avanti la telefonata più il suo colorito diventava orribilmente malaticcio. Non pensava nemmeno di essere tale e quale a un cadavere quando finalmente mise giù la cornetta e fissò gli altri quattro con la migliore espressione da morto del suo repertorio, condito di occhiaie e un inquietante pallore.
-Ragazzi.-  biascicò, guardandoli uno per uno negli occhi e sentendosi sprofondare verso un inferno da cui non c’erano possibilità di salvezza e redenzione – Era il medico di Bill. Hanno scoperto che è fuggito dall’ospedale.
La prima a riprendersi dallo shock fu, ovviamente, Becca, che, come se nulla fosse si limitò a trillare, battendo le manine eccitata
-Visto? Ve l’avevo detto che Bill sarebbe stato perfettamente in grado di cavarsela da solo. È riuscito a fuggire come previsto!
-Sì, bello, e ora dove lo andiamo a pescare, scusa? Diramiamo un avviso “Se vedete uno psicopatico che canta la canzoni dei Nirvana, sui ventisette anni tinto di biondo e vestito come una battona, con anello al naso e tatuaggi imbarazzanti, riportatelo direttamente al 13 della Brandenburg Stasse, non morde ma consigliamo di avvicinarlo con un disco rarissimo dei Pearl Jam”?- ironizzò Georg, scuotendo la testa – Per favore, Becca! È una cosa seria questa!
-Dobbiamo trovarlo, basta, andiamo …
Tom non fece in tempo ad alzarsi e precipitarsi incespicando alla porta che Julia lo placcò, ributtandolo sul pavimento
-No, Tom. Ho capito che dobbiamo assolutamente salvare il nostro piccolo Bill, ma questo non è il modo corretto.- Julia lo fissò, stringendolo per le spalle – Berlino non è Magdeburgo, è una città enorme e lui potrebbe essere dappertutto. Perderemmo solo del tempo andando a casaccio, per questo, ci serve un piano.
Tom sospirò, prendendosi la testa tra le mani. Stava andando tutto a rotoli, tutta la sua intera noiosa, borghese, piatta esistenza stava venendo sconvolta in tutti i modi da quella notte ai limti dell’assurdo. Quando aveva deciso di sprofondare in quegli enormi occhi truccati con le loro storie e le loro tragedie incise dentro e quando si era preso l’impegno di curare le ali a un angelo caduto che si era ustionato con l’atmosfera e non riusciva più a tornare a casa, aveva definitivamente firmato la sua condanna a sostenere un’impresa che non aveva mia potuto ritenere possibile. Poteva fare l’eroe, finalmente, il ruolo che nessuno avrebbe mai affibiato a un traduttore di romanzi con la testa tra le nuvole e i capelli unti.
-Giusto. Giusto, Juls, hai ragione, ragioniamo.- guardò i suoi amici, legandosi i capelli in un muccio sfatto - Dove potrebbe essere andato, contando che è notte e che fuori fa un caldo che non si riesce a stare?
-Magari sta venendo qua da noi.- propose Georg, crucciato – Avrebbe anche senso, scappa dall’ospedale e viene da te, che sei il suo fidanzato.
-Oppure potrebbe anche essere tornato a casa sua.- soggiunse Gustav – Anzi, è abbastanza ovvio.
-Ma come fate a considerare queste due opzioni quando sappiamo che Bill è schizofrenico, pezzi di coglioni?- abbaiò Julia, scuotendo la testa – E’ troppo razionale per uno come lui.
-Non ti vengono in mente dei posti in cui potrebbe essere andato?- sussurrò Becca, abbracciando dolcemente Tom – Magari qualche posto dove siete stati insieme.
Tom si grattò una guancia, incerto, cercando di fare ordine nella sua testa oltremodo confusa e nei ricordi che già cominciavano a confondersi in un crescendo di fotogrammi sparsi e stralci di musiche e conversazioni spezzate
-Boh … ci sarebbero mille posti, a ‘sto punto. Il Flugel, il negozio di Mr. Levi, il Brecheisen, la stessa metropolitana per quello che ne so.
-Potremmo dividerci.- commentarono in coro le ragazze – Stiliamo una lista dei posti più probabili e andiamo.
-Comunque, T., me la fai dire una cosa?- Gustav guardò l’amico che annuì stancamente, cercando ci concentrarsi il più possibile sui posti più probabili per ritrovare Bill – Siete una coppia stranissima.
-Grazie, Gus, non penso che uno con disturbi borderline della personalità e uno con l’amnesia retrograda possano essere considerati esattamente “La coppia dell’anno”.
Tom lanciò un’occhiataccia a Gustav, mentre tentava di farsi ordine in testa con scarsi risultati. C’erano troppi sentimenti contrastanti e troppo poco tempo per aiutarlo a fare un quadro della situazione che potesse reggere.
-Non intedevo quello. Dico solo che … sembrate vecchi.
-Vecchi?- gli altri quattro si voltarono verso il biondo come un sol uomo, che arrossì e morse rapidamente il panino per tirarsi un po’ su.
-Voglio dire questo, amico. Sembrate quelle coppie di cui leggi nei libri di Charlotte o di Emily Bronte. Classico, no? La ragazza particolare e il lord che la va a salvare dal suo triste destino. Tormentati entrambi, galanti eppure tutti puritani in perfetto stile ‘800. Ecco, semplicemente questo. Siete la versione 2.0 di Cime Tempestose o di Jane Eyre.
Per una volta, Tom non gli tirò in testa una scarpa come faceva ogni volta che Gustav se ne usciva con qualche commento idiota sulle sue situazioni. A ben pensarci, sembrava che avesse pure ragione, perché lui e Bill non sarebbero stati normali di testa, ma anche il loro rapporto sembrava dettato da delle leggi che non avevano nulla a che fare con le leggi che regolavano ogni storia d’amore, dalle più smielate alle più violente e ciniche. Perché era fatta di occhiate, semplicemente, occhioni truccati vuoti come solo quelli di una bambola di porcellana possono essere e occhi stanchi e bruciati da sogni e ricordi mai davvero esternati. Era costruita sul silenzio, e il classico “in una coppia bisogna aprire completamente il proprio cuore all’altro” veniva sostituito da un semplice “io non ricordo e io ho troppa paura di parlare” quindi convergeva in una storia che era fatta di ore di infiniti silenzi passati a guardarsi negli occhi e nessuno dei due aveva mai davvero bisogno di spiegare all’altro chi fosse, perché a modo loro lo sapevano già. Si teneva in piedi su semplici baci a stampo sulla fronte pallida di Bill e sui suoi morbidi capelli tinti e carezze sulla guancia di Tom come se stessero sempre per partire verso un viaggio dal quale non avrebbero fatto ritorno, e andava bene così, un’eterna incertezza sostenuta da vaghi sfioramenti di labbra, che sapevano di abbandono e di promesse strette sotto la luna pannonica. Era sostenuta da un sorriso perso nelle reminescenze di storie non sue, il sorriso di una nuova Alice che combatteva con demoni che nessuno vedeva e prendeva il the senza che nessuno si sedesse mai con lei in una merenda più vecchia del tempo, e sul sorriso un po’ storto e un po’ innocente di qualche vecchio avanzo di periferia che si ricostruiva giorno per un giorno la vita che non avrebbe mai voluto avere ma che alla fine si era costruito con le proprie mani e che non poteva demolire perché aveva scordato qual’era la formula giusta per farlo. Era una storia che non conosceva dialogo, sesso o stuccosi romanticismi, semplicemente galleggiava nell’oceano come una barchetta lasciata alla deriva. Era un gabbiano che seguiva le navi. Era un soldato che tornava a casa. Era un lupo che cercava il branco. Erano semplicemente Tom e Bill, che sopravvivevano come potevano in un mondo che non aspetta nessuno. Una silenziosa coppia che avanzava a braccetto nei rimasugli di un mondo distrutto e violato dalla televisione e dalla musica commerciale, mentre tutti gli altri erano già corsi via, lasciandoli indietro, a proseguire pacifici per la loro strada, esseri impalpabili di un’epoca che non sentivano loro.
-Va bene, Gus, per questa volta ti do ragione.- commentò Tom, scostandosi i capelli unticci dal viso – Comunque, mettiamola così: Georg, tu vai a casa sua, Amburg Strasse n13, ultimo piano, la porta è quella con il poster di Kurt Cobain stampigliato sopra. Credo. O forse è l’altra. Oh mio dio, non me lo ricordo. O era il n17? Ed era il terzo piano? E sulla porta forse c’era Laine. Comunque, Amburg Strasse, questo sono sicuro. O forse era Colonia Plaze.
-Sì, sì Tommolo, stai tranquillo. Ho capito. Mi industrio.- Georg sorrise, dando una pacca sulla spalla all’amico – Vado.
-Ecco, grazie, sì. Dunque, Becca tu vai al Brecheisen e passa anche dalla libreria di Levi, che non si sa mai. Julia, tu vai dal Flugel. Gustav, già che sei l’unico ad avere la macchina, passa al setaccio la Sprea.- Tom li guardava tutti con gli occhi esaltati, sentendosi particolarmente utile per una volta nella sua esistenza.
-E tu dove andrai?- Rebecca si infilò la sua imbarazzante giacchetta di pelle bianca e strass dorati troppo stretta, guardandolo preoccupata.
-A Friedenau. Ci sono ottime probabilità di trovarlo lì.
In tanti anni di onorata carriera, la Lega degli Avventurosi Kebab Col Formaggio Fuso Senza Glutine non si era mai sentita così importante come in quel momento, alla ricerca disperata di un angelo ricercato.
 
A Bill era sempre piaciuto giocare a scacchi. In quello, nessuno era mai stato tanto abile da batterlo, nemmeno Hansi, dall’alto della sua divina genialità, e questo sarebbe segretamente piaciuto a Bill, se non che ogni volta che suo fratello perdeva contro di lui veniva puntualmente seviziato in qualche originale modo che la sanguinaria mente di Hansi inventava. Guardò il braccio magro e pallido e sospirò, ripercorrendo silenziosamente con la lunga unghia rosso fuoco la bruciatura striata che ancora si poteva intravedere, ricordando con un brivido di dolore quando gli aveva chiuso il braccio dentro la griglia per cucinare della zia Pippi.
-Allora, tocca a me.- disse, strisciando dalle pedine bianche, sistemate davanti alla tomba di granito dov’era sepolto Hansi. Guardò accuratamente la scacchiera, cominciando a studiare silenziosamente le mosse da fare. Di fronte a sé, seduto a gambe incrociate dalla parte delle pedine nere, si vedeva ragazzino, con quei capelli neri e bianchi, il trucco troppo emo e i vestiti troppo dark. Di fianco a sé, invece, vedeva Hansi, la sua faccia diabolicamente splendida e i suoi capelli biondo platino che gli arrivavano fino ai glutei. Sospirò, muovendo l’alfiere. Erano già tre ore che se ne stava lì seduto al cimitero, sull’erba bruciata dal calore e per nulla rinfrescata dalla pioggia di qualche pomeriggio prima, sotto la luna calante che mollemente illuminava a sprazzi quella porzione di cimitero dimenticata da Dio e dagli uomini. Solo le stelle pulsavano di luce propria, in quel silenzio inquietante e lugubre, in mezzo alle statue degli angeli che incombevano su di lui, le ragnatele luminose che ornavano le lapidi. Le stelle, sì. Un giorno o l’alto sapeva che finalmente sarebbe potuto tornare lassù, il vero luogo dove devono vivere gli angeli. Doveva solo aspettare che qualcuno gli riaggiustasse le ali, e poi finalmente sarebbe volato via, e questa volta sarebbe stato per sempre, per altri lidi, per altri porti.
Cambiò di nuovo posto, sbuffando. Quella partita di scacchi stava andando avanti da ore e continuava a non finire. Avrebbe potuto commettere un errore, certamente, e così avrebbe fatto vincere l’altra metà, ma chi aveva voglia di darla a vinta all’altro?
Tremò impercettibilmente di freddo e si sfregò nervosamente le braccia, sentendo qualche lacrime pungente ferirgli i grossi occhi tristi. Si sentiva così dannatamente solo, da quando erano morti i suoi aguzzini, vittima del mondo che, a modo loro, Hansi e i suoi amici avevano adattato a sua misura, crescendolo nel dolore e nella violenza. Eppure, adesso che non c’era più nessuno a fargli del male, a picchiarlo, a insultarlo, sembrava che tutti i demoni che l’orrore era riuscito a tenere a bada stessero ritornando sempre più feroci per confonderlo e portarlo alla morte definitiva una volta per tutte. Finchè di notte stava sveglio a piangere per il dolore, la delusione, la depressione, finchè suo fratello e i suoi amici lo violentavano fino a farlo svenire, andava tutto bene. Ma adesso che poteva dormire tranquillo, che non c’era la paura a proteggerlo, tutto il suo mondo crollava sotto i colpi di quei grossi mostri neri con gli occhi verdi che tentavano di sopraffarlo. Perché nessuno li vedeva, si chiedeva il biondo. Come faceva la gente a non accorgersi di quei mostri informi che si annidavano nel buio e che erano pronti a saltargli addosso?
-Ma ora ci sei tu a proteggermi, vero Hansi? Vero, Holly? Qui sono al sicuro, vero?- cinguettò, guardando con affetto le vecchie foto rovinate sulle lapidi. – Voglio tornare da voi, mi mancate così tanto. Così tanto. Così tanto.
Mosse di nuovo la pedina, guardandosi la mano, bella, sottile, completamente tatuata nel tentativo di nascondere l’orribile cicatrice che la decorava in maniera così grottesca da fare quasi ridere. E poi rovesciò tutta la scacchiera
-Devi smetterla, hai capito?! Ma cosa credi, che ti vorremmo di nuovo avere qui con noi, ora che finalmente ci siamo liberati della tua presenza?! Vivi, Bill, vivi e guai a te se provi a venire all’inferno con me!- strillò il ragazzo, sbattendo la testa sul bordo della tomba. Gli faceva male dappertutto, quel dolore orribile che nessun medico riusciva mai a identificare, qualcosa che gli bruciava dentro così forte da non riuscire nemmeno a piangere. Non sapeva cosa fosse, ma faceva male, così male da lasciarlo distrutto da spasimi violenti e inarrestabili. Lui lo diceva, sto male, sto male, eppure tutti gli dicevano che non c’era niente, che stava bene, ma Bill lo sapeva che non era vero, che il suo dolore non era psicosomatico, era vero, reale. Bill sapeva che qualcuno lo stava picchiando, però nessuno gli credeva. Nessuno provava mai a salvarlo quando tutti i mostri neri con gli occhi verdi gli saltavano addosso e lo malmenavano. Si limitavano a drogarlo e dire che era solo schizofrenico. E i mostri ridevano e lo guardavano, beffandosi di lui.
-Hansi, Hansi, ti prego, fai qualcosa, ti prego, ti prego, digli di smetterla, digli di smetterla!
Stava piangendo, così forte da non riuscire nemmeno a respirare, cercando di scacciare tutti quei mostri che lo avevano aspettato al varco, nascosti dietro le lapidi, pronti a dilaniarlo e lasciarlo sanguinante ai bordi di una strada. Teneva gli occhi chiusi ma li vedeva, i loro denti aguzzi, sentiva le loro risate amare, li sentiva chiamare il suo nome, li sentiva che lo insultavano, sentiva i loro denti strappargli lembi di carne, graffiargli la pelle, sentiva la loro bava colargli sul viso, come quei lontani giorni di terrore di quando era bambino. Chi l’avrebbe salvato, adesso?
-Bill! Bill, sono io, stai calmo, ahia, smettila, dai, stai fermo, su, Bill, non ti agitare, ahia, fai piano!
Oramai Tom aveva imparato a non farsi troppe domande, soprattutto quando si trattava del suo biondo angelo. Anche se era a Friedenau alle due di notte, inginocchiato nella zona dove giacevano le tombe dimenticate, che stringeva Bill tra le braccia che strillava qualcosa in una lingua mai sentita, e cercava di non farsi cavare un occhio, già ricoperto di graffi che Bill gli stava disseminando per tutta la faccia, il collo e le braccia con quelle unghie appuntite. Tutto nella norma, no? Niente di cui preoccuparsi, continuava a dirsi, mentre stringeva il corpicino scalciante e impotente del suo fidanzato e gli teneva la testa ferma per evitare che se la fracassasse sulla lapide. Doveva semplicemente accettarle, quelle cose, non c’era modo razionale di vederle, doveva solamente prenderne atto e venirne a patti. Aveva già firmato la sua condanna a morte quando non era stato a sentire Gustav e Georg e si era fermato a vedere cosa voleva quella drag queen con l’anello al naso e al sopracciglio, decidendo di aprire le porte al suo passato sconosciuto che sarebbe rimasto chiuso a prendere polvere se qualche divinità strana non l’avesse spinto a spiare nella vita incasinata e disperata di Bill, facendo suoi i suoi incubi e la sua follia colorata da mille acquerelli tristi.
-Bill, ti prego, stai calmo. Stai calmo!- gli urlò nell’orecchio, scuotendolo un po’ per le spalle troppo magre, guardando le enormi ali agitarsi come impazzite nell’afa berlinese, graffiando il cielo di velluto blu scuro, grondando sangue bollente che gli schizzava in faccia e lo ustionava. Però Bill si calmò. Oppure, semplicemente, si accasciò, ormai stanco di aver lottato contro i suoi demoni, tra le braccia di Tom, come una bambola moribonda, bianco come un cencio, graffiato e in lacrime.
Tom sospirò, accarezzandogli la schiena, sentendo il cuore battere all’impazzata, il respiro affannoso e le lacrime di Bill bagnargli la maglietta. Era brutto vedere il ragazzo che si amava tentare di salvarsi da qualcosa di inesistente, e vederlo controcersi in un cimitero in piena notte, ma forse era ancora peggio la sensazione di impotenza dovuta al fatto che, per quanto inesistenti, non avrebbe mai potuto salvare Bill dai suoi demoni, perché non li vedeva, forse troppo normale o forse troppo stupido per non poter salvarlo da sé stesso. No, Tom  non avrebbe mai potuto salvare Bill da sé stesso, l’aveva imparato a proprie spese, poteva solamente stargli vicino, sostenerlo quando cadeva, stringerlo a sé quando aveva paura, suonargli una ninnananna quando stava male, cullarlo quando voleva volare via. Poteva fargli da spalla, da colonna, da palo su cui si avviluppa il tralcio di vite, ma nulla di più. Non sapeva se al mondo ci fosse stato qualcuno capace davvero di salvarlo come avrebbe voluto fare lui, e sapeva anche che forse non l’avrebbe mai trovato, ma per il momento poteva pure andare bene anche lui da solo, con la sua memoria troppo corta e il suo sonno arretrato, con i suoi film e le sue lingue inutili per uno scopo così alto come rammendare le ali di un angelo che piange le lacrime di intere generazioni.
-Tom … Tom, sei tu? Se … se ne sono andati, vero?
Bill aveva alzato il viso dalla sua spalla e lo stava guardando con gli occhi gonfi, le lacrime che gli solcavano ancora le guance pallide, la vocina spezzata.
-Sì, Bill, certo. Sono io.- tentò di sorridere stancamente, baciandogli la fronte, accarezzandogli la schiena ossuta – Certo, se ne sono andati tanto tempo fa.
Non sapeva nemmeno di chi stesse parlando davvero, ma non gli importava.
Bill annuì distrattamente, appendendoglisi al collo, chiudendo gli occhi
-Cos’è successo, Bill? Perché sei scappato?- chiese, soffiandogli un bacio nei capelli. Erano la coppia più antica del mondo, effettivamente.
-Avevo paura, Tom. Loro stavano tornando, e io ero solo. Tu non c’eri, Hansi e Holly nemmeno … ero così solo, così solo. E Hansi mi chiamava, mi diceva di tornare a casa, e Holly voleva che stessi coi bambini, e loro dicevano che … che dovevo andare via, e io … sono confuso, così confuso, non capisco più niente. E poi c’eri tu, a un certo punto, che mi prendevi per mano, ma io non ti volevo seguire, e poi non lo so più, c’erano tanti suoni, e tanta musica grunge, e c’era Kurt Cobain che mi invitava sul palco e mi diceva che mi voleva sposare, ma non era lui, era uno di loro, e io tentavo di scappare, ma erano dappertutto, e poi … poi, non lo so più.
Bill lo guardava, appeso alla sua camicia, come se lui potesse fornirgli tutte le risposte di cui necessitava. Ma lui, Tom Kaulitz, con una laurea in lingue straniere, un appartamento pulcioso in periferia e un’amnesia retrograda non da poco, cosa poteva mai fare? Niente, appunto. Era solo un delirio.
-Non devi spaventarti, Bill.- disse, quasi non riconoscendosi – A volte loro lo fanno per attirarti nella loro rete, ma tu non devi cedere. Devi ignorarli, va bene? Oppure mi chiami, e io li farò smettere, ok?
-Sono i fantasmi di epoche passate, Tom.- sussurrò il biondo, scuotendo la testa – Torneranno, come la polvere del deserto. Torneranno sempre.
-E noi li manderemo via, anche per tutta la nostra vita, se necessario. Non sono invincibili, se ci pensi bene. Nulla è invincibile.
Tom gli sorrise, e Bill strinse le dita attorno al collo della sua maglia, accoccolandoglisi in braccio come un bambino, le ali che lo chiudevano lentamente nel loro guscio protettivo, piano piano, dolcemente.
C’era qualcosa di poetico in quello, pensò Tom, stringendo Bill tra le sue braccia, alzandosi con calma e tenendolo come la sposa degli incubi che in realtà era. Qualcosa di più antico del tempo e più saggio del mare, in quel ragazzo coi capelli lunghi e unti che chinava il capo di fronte alle tombe dimenticate di due eroinomani, e in quell’angelo biondo con le ali spezzate che gli riposava in braccio, gli occhi allucinati come specchio delle mille anime e delle mille esistenze che aveva vissuto e un sorriso più stanco dell’eternità sulle belle labbra. Guardavi Tom, e non potevi fare a meno di leggerci tutto quello che un eroe con lo skateboard e i The Clash nelle orecchie voleva urlare, il coraggio di periferia, l’onore mai avuto, un orgoglio tutto suo copiato dalle canzoni dei Green Day, un sorriso stanco e gli occhi ustionati da un’idea che giocava a rimpiattino nel fondo della sua eroica anima suburbana. Guardavi Bill, e ci vedevi un angelo fuori dal tempo, che sopportava da secoli i soprusi che la vita gli aveva riversato addosso, che con la sua schizofrenia e i suoi problemi si era creato una protezione contro demoni e mostri che lo assillavano e lo volevano morto, leggevi tutta la voglia di distruzione che aveva dentro, come la stessa dolcezza di un ragazzo che era già morto tanto tempo prima ma che si trascinava avanti come il fantasma generazionale di un mondo malato.
Guardavi loro due, che si avviavano sotto la luna calante di una bollente notte berlinese e semplicemente vedevi qualcosa che potevi chiamare amore, anche se forse non lo era. Forse era giustizia, forse era saggezza, forse era legame. Forse, semplicemente, erano Tom e Bill, che tornavano a casa, insieme, lasciandosi alle spalle mostri del passato che sarebbero tornati e polvere di stelle che li seguiva come una scia incantata.
-Allora, Bill, torniamo a casa?- sussurrò Tom, scivolando silenziosamente per le stradine buie del cimitero.
Bill lo guardò, nuove lacrime a rigargli il viso, un nuovo sorriso a piegargli le labbra, un delicato bacio sulle labbra triste come triste può essere il vento e un sussurro, delicato come lo può essere soltanto il passato dimenticato
-Sì, Tom. Torniamo a casa.

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OH MEIN GOTT RAGAZZE!!! Eccoci qui, la storia è finita. Non riesco a crederci ... davvero. Non so voi, ma io sono abbastanza contenta di quello che è venuto fuori, diciamo che l'ho voluta far finire qui perché andare avanti mi sarebbe parso uno strascicarsi di ripetizioni .... allora, che ne dite? Vi è piaciuta? Io spero proprio di sì. Mi sono davvero affezionata a questi Tom e Bill, così dolci, così fuori dalle righe, così malinconici e stanchi. Dei personaggi un po' diversi dal mio solito, un po' barcollanti ed incerti. E anche a questa Berlino un po' oscura, ai loro amici, a tutto. Che dire, spero davvero che vi sia piaciuta :D Volevo ovviamente ringraziare tantissimo tutte quelle ragazze carinissime che hanno recensito, commentato, messo nelle cartelle e letto, siete fantastiche davvero grazie mille <3<3<3
Domanda: CHI DI VOI E' STATA AL CONCERTO A MILANO IL 28??? Io ci sono stata, e vi giuro che è stato il giorno più bello della mia vita; ho addirittura pianto ad Automatic ahahaha, ma vi giuro che vederli dal vivo e sentirli ... la cosa più meravigliosa che mi sia mai accaduta. E quanto è bello poi il nuovo album, seriamente, è strepitoso. Basta, ok, non sclero più ahahahah
Vi saluto qui, vi ringrazio e spero che vogliate lasciare un commentino anche all'ultimo. Se volete, passate dalla mia pseudonuova twinchest (ovviamente) "I'll be waiting forever that day never came" che trovate sul mio profilo :D
Un bacione :*
Charlie xxx


 
  
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