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Autore: Jawn Dorian    04/04/2017    2 recensioni
Ovvero, come chiamarsi Rosie Watson senza soffrirne.
Genere: Demenziale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti, Rosamund Mary Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Quindi, fatemi capire bene…”
Rosamund Mary Watson ha dodici anni ed è già in grado di rimproverare, si accorge Sherlock.(Rimproverare./rim·pro·ve·rà·re/ Sgridare qualcuno, spec. per correggerne gli errori; redarguire ) Sì, rimproverare nel senso più rompiscatole e genitoriale possibile. Verbo e di conseguenza azione che solitamente i ragazzini di dodici anni non apprendono. E se lo fanno, è perché hanno un fratellino o un cane. Di certo, non perché hanno un padre e uno zio assolutamente infernali.
“...avete inseguito l’assassino che si è anche scoperto essere l’uomo del parco...quiiiiindi...lo avete pedinato e quella che avete addosso è-“
Escrementi di piccione, sì” la interrompe suo padre, tempestivo, perché diavolo, ha solo dodici anni ed è già un prodigio delle strigliate sarcastiche, una vera campionessa, e sarebbe già perfettamente in grado di riempire quella frase di coloritissime espressioni per arricchire il tutto, sì. Tutta suo padre. Sarebbe così fiero, se non fosse anche lui oggetto di quello sguardo disperatamente sconcertato (così inequivocabilmente identico al suo, quando trovò una testa del frigo in quella casa). “Affascinante” esala Rosie, ed eccolo lì, il proverbiale sarcasmo dei Watson, Sherlock saprebbe riconoscere quel tono e quella flessione delle sopracciglia tra mille. E’ proprio vero che il DNA non mente.
“Non è così male come sembra” tenta Sherlock “è solo—“
“Siete ricoperti di pupù, zio.”
“Sì, ho afferrato il conce—“
“Pupù” ripete la ragazzina, e non sembra minimamente stanca di rimarcare quanto sembrino ridicoli, in quel momento, perché lo sono. Lo sono, ed è una rivincita contro Sherlock Holmes che John si prenderà per tutta la dannata vita. Non vede l’ora di mettersi all’opera sul suo blog.
“E’ inutile che ridi, papà, sei pieno di pupù anche tu.”
John abbassa lo sguardo e il suo sorriso si spegne. Oh, giusto.

 
 


 
 
Un miracolo così com’è
(Ovvero, come chiamarsi Rosie Watson senza soffrirne)
 
 




Rosie è una ragazzina piuttosto comune. Ecco, è questo che Greg non riesce a concepire. Non si spiega proprio come faccia ad essere così. Non che non sia straordinaria, acuta, bellissima ed assolutamente speciale ai suoi occhi (agli occhi di tutti loro: lui, Molly, Sherlock, la signora Hudson e ovviamente anche John), ma ecco, non è quello, il punto. Rosie non è…stramba. Non è come molti si sarebbero potuti aspettare. I cadaveri non le interessano. Non le interessano i casi, non le interessano i crimini né tantomeno i criminali. E Greg Lestrade non sa neanche spiegarsi il perché, ma non è in grado di capacitarsene. A Rosie piace collezionare braccialetti fosforescenti, spillette, ed elastici per capelli. Le piacciono i game boy con le vecchie cartucce dei Pokemon, i cartoni animati, le serie TV e con grande disappunto di Sherlock, i musical. Legge Harry Potter, ascolta i Planet Funk e solo sporadicamente e con trascurabili piccolezze lascia intendere di essere stata tirata su da una piccola e scalcagnata gang di fenomeni da circo dediti all’investigazione (definizione coniata nientepopodimeno che da Mycroft Holmes in persona, che lui non può che appoggiare su tutti i fronti, perché in tutti quegli anni quella piccola comunità si è stretta intorno a Rosie, inevitabilmente travolgendola in un’esistenza coronata di eventi subnormali, pezzi di cadaveri, indizi, microscopi, ‘il gioco e cominciato’, pallottole, scene del crimine e volanti della polizia). Fatto sta che come ogni giovedì pomeriggio Greg la va a prendere a scuola, e quando la ragazzina si fionda dentro travolgendolo con un bacio sulla guancia e un “Ciao, zio Greg” come ogni ragazzina dodicenne che si rispetti, lui ancora rimane un po’ sconvolto dalla cosa.
“Ciao, piccola.”
“Zio, ho dodici anni…non sono così piccola.”
Greg mette in moto e si perde nella contemplazione del fatto che anche quando si laureerà, Rosie per lui sarà sempre la sua piccola, la loro piccola. Quando usa quell’espressione - ‘la nostra piccola’ – solitamente Sherlock esibisce un suono disgustato. Gliene deve dare atto, è stucchevole da morire, e nemmeno lui credeva di poter diventare uno zio tutto miele, ma Rosie fa miracoli. Davvero, ne fa, e ne ha fatti. “Scherzi? A dodici anni si è super piccoli. Ma essere piccoli è meglio, da retta a me. Goditi la tua infanzia finchè puoi, piccola.”
Rosie sbuffa una risata rassegnata. E’ brava a scegliere quali battaglie lasciare vincere agli adulti.
“A che caso lavorano, oggi?” chiede, e non mette i soggetti nella frase. Dio, non serve.
“Un doppio omicidio a King’s Road.”
Arriccia le labbra in una smorfia confusa. “Troppo normale.”
Lestrade sospira sonoramente, mentre ferma l’auto di fronte alla luce rossa di un semaforo.
“Beh, a tutte e due le vittime hanno tagliato i pollici che sono spariti. Inoltre sulla scena del crimine hanno trovato la cartina del Kansas.”
“Ecco” annuisce con una smorfia disgustata, correlata però ad una malcelata soddisfazione per aver azzeccato i gusti difficili dello zio “ora sì che ci siamo.”
“Non dire a tuo padre che ti ho raccontato di questi dettagli macabri o mi triturerà.”
Rosie ride. Si stringe nel suo cappottino giallo sbiadito e guarda suo zio, uno dei tanti nella sua vita, che non è veramente suo zio, ma lo è stato così meravigliosamente da quando è nata che non può fare a meno di chiamarlo così. Lo adora, per l’aria stanca e consumata, gli occhi luminosi e rassicuranti di chi sa fin troppo bene cosa vuol dire avere a che fare continuamente con Sherlock Holmes e John Watson. Rosie adora lo zio Greg. Per tante cose. Per la battuta sagace sempre pronta e per il fatto che le lascia bere tutta la coca cola che vuole (cosa su cui John protesta sempre con molta energia) e davanti a lui può concedersi le sue prime parolacce (anche se solo ogni tanto), o per quando la viene a prendere a scuola con una volante della polizia e gli occhiali da sole sul viso, così può vantarsi coi suoi compagni di classe.
“Ciambelle?” chiede con sguardo furbo la piccola.
“Oh, sì” le risponde Greg con aria complice “ciambelle.”
 
***

Toby è ormai un gatto vecchio. Una vecchia e stanca palla di pelo. Ma non manca mai di accogliere Rosie con un miagolio soddisfatto, e trova sempre la forza necessaria per alzarsi dalla mensola sopra il calorifero e abbandonare le sue pigre membra di felino sulle ginocchia della ragazzina. Rosie, dal canto suo, adora i gatti. Soprattutto il vecchio Toby. Molly li guarda, sorridendo teneramente nella sua tenuta da cucina: grembiule, una distratta coda di cavallo, e trucco vagamente sciolto dal vapore dell’acqua calda.
“Zia Molly, che cucini?”
Molly si delizia di quel suono, prima di risponderle: “Indovina.”
“Pasta?”
“Fuochino.”
“Ravioli?”
“Bravissima!” dice “Come hai indovinato?”
“Oooh” Rosie congiunge i polpastrelli, assottiglia lo sguardo, gorgogliando quel suono con tono roco, in un chiaro, chiarissimo tentativo di imitare suo zio Sherlock “elementare, cara zia Molly: dal vapore e dalle macchiette di sugo presenti sulla tua manica, oltre che il tuo profumo, che ci suggerisce chiaramente che li hai comprati all’alimentare all’angolo e alla cassa c’era un tipo di nome Brent. Australiano, credo. Dammi un attimo, ci lavoro da solo tre quarti di secondo…“
Molly si corregge interiormente: non è un’imitazione, è proprio una presa in giro, bella grande. Per questo, senza il minimo pudore, scoppia a ridere. Ride così forte che le esce una lacrima.
“Non posso negare che sto lavorando all’imitazione di zio Sherlock da un po’” ammette Rosie, non migliorando la situazione sul fronte risate, che ben presto diventano sussultate.
“Forse dovrei aggiungere qualcosa come otto minuti di sproloquio sulla marca del sugo delle macchioline, ma per il resto direi che ci siamo, tu che ne dici?”
Molly ora è piegata in due, e davvero non riesce a risponderle. “So fare anche papà, sai?” detto questo Rosie si alza in piedi, prendendo in braccio il povero Toby, che viene a quel punto sballottato su e in giù, mentre la ragazzina comincia la sua impeccabile performance, imitando la voce di suo padre: “Sherlock! Oh mio Dio, che cosa stai facendo?! Smettila subito, sono le tre di notte, basta con quel violino!”
Molly si asciuga le lacrime con il polso, e tornata ad un apparente stato di contegno ristabilito cerca di rimproverare sua nipote. “Andiamo, Rosie, non dovresti essere così—“
Accurata è la parola che stai cercando, zia, accurata.”
Rosie è tornata a sedersi con le gambe incrociate sul morbido tappeto di fronte alla TV, con il cipiglio di chi sa perfettamente di avere ragione. “Volevo dire severa, veramente” spiega Molly con pazienza.
Rosie adora anche Molly. La adora per tutti i biscotti con le mandorle che le fa, per tutte le repliche di Glee che si vedono insieme avvolte nei loro pigiami. Per tutte le volte che la porta a teatro. Per quelle volte, innumerevoli, che l’ha lasciata rifugiarsi tra le sue braccia quando fuori pioveva. Perché quando dorme da lei la avvolge con dei baci sulla fronte che neppure una mamma saprebbe dare così bene – non che Rosie abbia la minima idea di come siano i baci di una mamma, ma grazie a Molly, ecco, può farsene un’idea – e per le serate al cinema e a spettegolare sullo zio Sherlock. La zia Molly, poi, ama da morire raccontarle di quando sua madre era ancora lì. Non ha paura di farlo, non ha nemmeno paura di lasciarsi scappare qualche lacrima, ogni tanto. Non ha paura di essere vulnerabile, e grazie a lei ben presto Rosie si è resa conto che i forti piangono. La zia Molly parla di Mary Watson come una leggendaria donna che riusciva a trovare l’equilibrio tra suo padre e lo zio Sherlock. Erano una grande trio perfetto, una volta: Sherlock, John e Mary.
“Li adoro, lo sai” la rassicura Rosie con un’alzata di spalle, grattando il mento di Toby “ma devi ammettere che a volte sono un po’ scemi.”
Molly ridacchia di nuovo. E si concede anche un breve gesto di approvazione.
 
***
 
Rosie ne aveva fatti, di miracoli. Grazie a lei, non poche persone avevano visto Sherlock Holmes dilettarsi nella spiegazione (e anche in una breve mimata dimostrazione pratica) di come usare un vasino. Era riuscita a strappare una visita di sua zia Harriet (piuttosto disastrosa, ma quella era un’altra storia) a John e a lei, e addirittura era riuscita - con il solo ausilio dei suoi occhioni blu – a non far dare di matto suo padre in quella stessa occasione. Ma il miracolo che sarebbe stato ricordato per sempre nei millenni avvenire è probabilmente Mycroft Holmes seduto comodamente nella cucina della signora Hudson con aria molto meno fredda e regale del solito, che sorseggia tranquillo il suo tè con mezzo cucchiaino di miele dentro, e con Rosie Watson appollaiata sulla sedia di fronte che tracanna cioccolata e divora biscottini.
“Rosamund” la ammonisce lo zio – l’ennesimo, e sicuramente non il suo preferito, ma a suo modo lo adora comunque – “non c’è bisogno di ingozzarsi così.”
“Ma hoffame” protesta lei con la bocca piena, più per punzecchiarlo che per altro. Provocare lo zio Mycroft  è assolutamente impossibile: non è come lo zio Sherlock, non ci casca.
“Fa la brava, signorina, metti giù le gambe dalla sedia.”
La signora Hudson fa il suo ingresso con un vassoio pieno di muffin e quel piccolo rimprovero, che subito Rosie si ritrova ad eseguire con immediatezza come un bravo soldatino. Mycroft stringe le labbra con disappunto, di fronte all’evidenza del fatto che quella vecchia signora si sa far valere più di lui. “Muffin!” esulta Rosie non appena il vassoio viene poggiato sul tavolo. Mycroft fa sgusciare la mano in avanti, ma subito Rosamund con uno schiaffetto gliela fa ritirare. “Tu no, zio!” lo rimprovera “Sei a dieta!”
Quella scena è un vero miracolo. La presenza che Mycroft Holmes offre quasi mensilmente alla piccola Rosie in qualche raro sabato pomeriggio lo è ancora di più.
Rosie adora lo zio Mycroft. E’ più doloroso e complicato adorare lo zio Mycroft. Lui è diverso da tutti loro. Sa amare solo in silenzio, solo in punta di piedi. Gioca a fare il Generale Inverno, a fare il senza cuore. Ma a Rosie quel gioco non è mai piaciuto, quella recita, quella maschera di ghiaccio su misura. Non se l’è mai bevuta quella commedia. Tutti hanno un cuore, per quanto si ostinino a seppellirlo sotto i completi costosi e il veleno del rimorso. ‘Piangi’ le diceva sempre suo padre ‘se ti fa sentire meglio, piangi, bambina mia. Arrabbiati, piangi, grida, così poi puoi rialzarti ed essere felice. Soffocare le emozioni non serve a niente.’ Lo zio Mycroft, semplicemente, ha l’aria di uno che ha soffocato troppe emozioni e trattenuto fin troppe lacrime. O forse, ne ha piante talmente tante che ora non ne ha più.
“Dai” gli concede Rosie ridendo dell’effetto sortito dal suo commento “dai, non fa niente, fai uno strappo. Zio Sherlock non se ne accorgerà.”
Sa di avere torto marcio, Sherlock si accorge sempre di ogni cosa, specie di quando Mycroft aumenta anche solo di un grammo ed ama rinfacciarglielo. Dio, dovrebbe essere lei la ragazzina di dodici anni, lì dentro.
Mycroft Holmes produce un sospiro soffocato e mette le mani su un muffin. La signora Hudson sorride deliziata a quella scena. Posa una carezza con la mano rugosa sulla guancia della loro piccolina e le dona uno sguardo fiero.
 
***
 
Rosie non dimostra mai particolare interesse per i casi di Sherlock Holmes. Non lo ha mai fatto prima, per lo meno. Per lei sono solo una cosa che accade al margine della sua vita, una cosa che rende suo zio e suo padre due uomini speciali e leggendari, ma che non la compete, non la riguarda, non la tange direttamente. A John va bene così: non gli interessa avere una figlia prodigiosa. La sua Rosie è la sua Rosie – la loro Rosie – e Rosie non deve essere la copia di nessuno e seguire le orme di nessuno. A John va più che bene. A Sherlock un po’ meno. E’ un uomo dai sogni un po’ corrotti, non ne ha mai fatto un segreto. Spera segretamente di vedere spuntare in lei il talento e l’arguzia di Mary, o la forza e la tempra di John. Vorrebbe poter forgiare una futura consulente criminale, la seconda al mondo. Ma non si può. Non è così che funziona, e John è sempre stato categorico: è Rosie a dover scegliere, e deve farlo da sola, senza alcuna influenza da parte loro. John non vuole che Rosie senta il peso del suo nome sulle spalle.
Rosamund Mary Watson. Quel Mary non deve segnare il suo cammino, e quel Watson non deve significare che il suo futuro sarà perpetuamente legato a quello di Sherlock Holmes. Non nel modo in cui da sempre il futuro di Holmes e di Watson si intrecciano, per lo meno. No, nossignore. Rosie deve scegliere se essere solo la nipote acquisita di Sherlock Holmes o la sua pupilla, Rosie deve scegliere se essere semplicemente la figlia di John Watson o la sua allieva, Rosie deve scegliere se quel Mary nel suo nome dovrà realmente significare qualcosa, o essere semplicemente un omaggio alla madre stupenda che non ha mai potuto avere davvero. Deve scegliere. Negli anni, con calma e semplicità. Ma questo non vuol dire che Sherlock non si possa concedere di indagare su quale la sua scelta possa essere. Lo chiede la prima volta quando Rosie ha cinque anni, facendo il finto tonto, come quella fosse una domanda di poco conto: “Rosie, che vuoi fare da grande?”
La risposta – e cioè un testuale “il dinosauro” – mortifica Sherlock talmente tanto che non riesce neppure a correggerla per spiegarle che quello non è un vero mestiere.Ci riprova periodicamente sotto gli occhi di John puntualmente ridotti a due fessure:“Rosie, che vuoi fare da grande?”
Da un po’ di anni - da quando ne ha compiuti nove, per l’esattezza - la risposta è sempre la stessa: non lo so. Non lo so è una risposta che lascia spazio a molte cose così come a nessuna.
 
Così quando Rosie ha dodici anni e Sherlock glielo chiede di nuovo con nonchalance mentre consumano la colazione in cucina in tre come succede spesso la domenica mattina, e Rosie risponde con altrettanta nonchalance “Il poliziotto”, tutto tace per qualche attimo. Il tempo si ferma. John ha il toast sospeso a mezz’aria a pochi centimetri dalla sue labbra ma non lo addenta, rimane con la bocca spalancata a guardare sua figlia. L’aplomb di Sherlock si è infranto in un secondo, e ora il consulente detective fissa sua nipote con la tazza di caffè in mano e con aria vagamente sconvolta. Rosie non alza neppure lo sguardo dalla sua ciotola di cereali.
“Il…poliziotto?” domanda Sherlock per primo, sbattendo le palpebre.
“Voglio far parte di Scotland Yard. Come lo zio Greg.”
E’ un attimo, ma John sa perfettamente cosa sta per succedere. Lascia perdere il toast e si volta fulmineo verso Sherlock, divenuto di un’allarmante rosa acceso così pericolosamente sfumato verso il magenta.
E’ ironico: forse, in fondo, sta davvero seguendo le loro orme. Solo a modo suo, alla maniera che più la aggrada. C’è ancora molto tempo perché decida davvero, ma quell’episodio ha sicuramente una rilevanza nella storia di Baker Street. John sorride. Astronauta, agente di Scotland Yard, architetto, portinaia, scrittrice, atleta, artista o insegnante, non importa. Rosie è Rosie, ed è un miracolo già così com’è.


 
 








 
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Note dell’autrice
Avevo questa scempiaggine in cantiere da un po’ e all’inizio doveva essere una storia seria e piena d’angst, poi come al solito il mio cervello ha virato verso le cacchiate. E’ che semplicemente a volte ho il bisogno fisico di scrivere qualcosa di demenziale, vogliate perdonarmi.
Ho deciso di fare di Rosie una ragazzina "normale" - o comunque comune - per tanti motivi, ma credo che il principale sia che credo davvero che non serva essere geniali o eroici per essere straordinari, e in questo ho reso Rosie un po' più simile a John: straordinaria nella sua semplicità. 
Comunque eccoci qui, nuova storiella scema prima di Pasqua, clima giocoso e gioioso, ne ho bisogno, in questi giorni. La mia Sherlock ha la febbre, io ho solo lezioni e preparativi per le vacanze a cui pensare e quindi e mi annoio da morire. Spero di avervi fatto sorridere e di non essere andata troppo OOC, trattare Sherlock con comicità è sempre molto difficile.
Grazie infinite a chi mi ha letto!

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Bonus:
Il giorno dopo, sulla scena del crimine, Greg apprende del grande avvenimento. E John è costretto ad assistere alla scena più allucinante della sua vita, seconda solo alla testa nel frigo. Greg gongola. Sherlock grugnisce. "Non diventerà mai una di voi" sibila Sherlock all'Ispettore "siete troppo incompetenti."
"Arrenditi, pivellino. Sono io il suo zio preferito."
"Hhhh-" il suono soffocato ed incredulo che esce dalla gola del consulente è comico quasi quanto i suoi occhi sgranati e l'aria sdegnata, mentre si gira verso il suo migliore amico, in cerca di appoggio "John!"
"Oh, andiamo, Sherlock, non-"
"Ma John- hai sentito quello che ha detto?!"
"E' la verità! Sono io che l'ho portata al Luna Park per la prima volta, sono lo zio preferito."
"Io le ho insegnato ad allacciarsi le scarpe!"
"Beh, io a fischiare!"
John sospira. Non vedrà mai la fine di quella storia.








Si sbaglia. La vedrà circa dodici anni dopo, quando alla fine, in effetti, Rosie diventerà un'agente di Scotland Yard.
Solo allora, Greg smetterà di gongolare e Sherlock di grugnire. E tutti e due la sosterranno. 


 
  
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