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Autore: 9Pepe4    06/06/2009    4 recensioni
La mia prima Kessi. L'avevo scritta dopo aver guardato l'episodio "Scacco alla Madacorp" (ambientata qualche giorno dopo gli avvenimenti presentati in esso), e oggi ho pensato di pubblicarla.
Io iniziavo a capire. In qualche modo, avvertivo che le parole di Jessi preannunciavano un cambiamento che non mi avrebbe dato scampo, volente o nolente. Eppure non riuscii a muovere un muscolo, e improvvisamente osavo a malapena respirare.
E poi Jessi si sporse in avanti, verso di me, socchiudendo appena la bocca. Come al rallentatore – ma in qualche modo quella lentezza rendeva più implacabile il suo avvicinarsi – vidi le sue palpebre abbassarsi sui suoi occhi verde scuro... La luce creava riflessi sui suoi capelli ondulati, in un disegno che seppi non avrei mai dimenticato...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jessi XX, Kyle XY
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Goccia di pioggia

Passando accanto al tavolino del salotto scorsi un sacchetto colorato dall’aspetto invitante. Vi infilai la mano e presi una manciata di caramelle gommose che infilai in bocca. Masticando con metodo e gusto, mi avviai verso la mia stanza.
Stavo fantasticando di un riposo nella mia vasca, e sussultai nel trovarla già occupata.
«Jessi?!» esclamai, sbalordito.
Subito dopo, la mia stessa domanda mi parve totalmente stupida. Il suo viso era così inconfondibile, incorniciato dai suoi capelli, scuri e ondulati. E i suoi occhi verde smeraldo si alzarono su di me quando mi sorrise con timidezza. «Nicole mi ha fatta entrare» spiegò, vedendo la mia perplessità. «Mi ha detto che eri in camera tua, così sono venuta qua, e visto che non c’eri...» Lasciò che la sua voce si spegnesse.
Io sorrisi, quasi un riflesso istintivo. «La prima volta che abbiamo parlato ti avevo trovata qui dentro, ricordi?» domandai, un poco divertito.
Lei sorrise. «“Tu sei Kyle?”» citò. Mi guardò di traverso e aggiunse, imitando il mio tono: «“Tu sei nella mia vasca”».
Non riuscii a non sorridere di nuovo. «E così il flash back è perfetto e completo, vero?» domandai, entrando nella vasca e sedendomi di fronte a lei.
La osservai per qualche attimo, poi domandai: «Come vanno le cose?»
Lei scrollò le spalle. Effettivamente non era poi tanto tempo che non ci vedevamo. «Bene. E a te?»
«Bene» replicai, e sorrisi.
Jessi mi guardò e sembrò farsi coraggio. Mi chiesi perché fosse così. «Ecco... A dire il vero non va tutto bene...» mormorò, allarmandomi.
«Perché?» domandai. «Taylor si è fatto meno gentile?» Nonostante lei avesse ribadito più volte che l’uomo la trattava bene non potei fare a meno di sospettarlo.
Ma Jessi sorrise e io tirai un sospiro di sollievo. Non sarebbe apparsa così rilassata se l’uomo con il quale viveva fosse diventato improvvisamente sgradevole.
«Ricordi» iniziò lei, esitante, poi si fece più sicura, «quando hai detto che Sarah sembrava davvero felice, là nella foto?»
Annuii e lei proseguì: «E poi, quando ho detto che però io non ero lei, tu hai detto che sarei potuta esserla...»
Non sapevo perché, ma improvvisamente non riuscivo a distogliere gli occhi dal suo viso. «Sì» sussurrai.
«Ci ho pensato» mormorò lei. «Io voglio davvero essere come Sarah... Ma soprattutto, spero che tu capisca... Soprattutto, io... voglio chi aveva lei» aggiunse, guardandomi.
Io iniziavo a capire. In qualche modo, avvertivo che le parole di Jessi preannunciavano un cambiamento che non mi avrebbe dato scampo, volente o nolente. Eppure non riuscii a muovere un muscolo, e improvvisamente osavo a malapena respirare.
E poi Jessi si sporse in avanti, verso di me, socchiudendo appena la bocca. Come al rallentatore – ma in qualche modo quella lentezza rendeva più implacabile il suo avvicinarsi – vidi le sue palpebre abbassarsi sui suoi occhi verde scuro... La luce creava riflessi sui suoi capelli ondulati, in un disegno che seppi non avrei mai dimenticato... Sentii sul viso il fiato caldo di Jessi, e prima che potessi reagire compiendo una qualsiasi azione, giunsero anche le sue labbra calde.
Premettero contro le mie, delicate e un poco impacciate. Mi sembrava di avere la mente congelata, il cuore mi palpitava tra le costole, battendo all’impazzata. La sua bocca era calda, morbida e dolce.
Stavo rispondendo al bacio, mi resi conto passivamente, prima che qualcosa scattasse nel mio cervello. Scostai bruscamente Jessi. «Che cosa fai?» domandai, fissandola.
Lei batté le palpebre e in silenzio si morse il labbro.
Io deglutii a vuoto. C’era una parte di me totalmente convinta che avessi la lingua paralizzata. «Jessi, io...» Le parole mi sembravano inutili. Tutte quelle che conoscevo suonavano banali ed assurde, e per un attimo mi chiesi se non sarebbe stato meglio tacere. Però dovevo spiegarle... «Io non posso... Non voglio» mi corressi con forza, mentre sentivo una specie di formicolio invadermi la nuca. «Io sto con Amanda» aggiunsi di colpo. Inghiottii. «Non possiamo fare così, è sbagliato, non è giusto. Non... mi piace».
Mi faceva sentire impotente udire quelle parole – che apparivano così stupidamente inutili – uscire dalla mia bocca. Ma ciò che mi fece davvero male fu vedere Jessi incassare tutto senza fiatare, senza muovere un muscolo. Dopo qualche istante – non più di un minuto, con ogni probabilità – che a me parve un tempo infinito, si alzò e, rigida, scavalcò il bordo della vasca, poggiando i piedi sul pavimento.
Si volse verso di me, ma i suoi occhi non incontrarono i miei. Quando cercai il suo sguardo, dovetti accontentarmi della vista delle sue ciglia scure.
«Ciao, Kyle» mormorò in tono piatto. La seguii con lo sguardo mentre usciva dalla porta e scompariva dalla mia vista. Ammutolito, rimasi immobile nella vasca, le mani contro i bordi gelidi, che non mi erano mai parsi così freddi.
Lentamente, mi lasciai scivolare sul fondo della vasca. In basso.
Quasi senza rendermene conto, alzai la mano a sfiorarmi la guancia laddove i capelli di Jessi avevano toccato la mia pelle.
Solitamente avevo una percezione piuttosto precisa dello scorrere del tempo, ma in quel momento non avrei saputo dire per quanto rimasi immobile sul fondo della vasca, respirando piano. Mi riscossi quando udii il trillo del cellulare.
Per un attimo pensai di lasciar perdere, che suonasse quanto voleva...
Alla fine, però, riemersi dalla vasca ed allungai la mano verso il telefonino. Lo avvicinai alla bocca solo per rendermi conto di avere la gola secca. Inghiottii. «Pronto?»
«Ciao, Kyle!» La voce entusiasta di Amanda mi giunse all’orecchio.
«Ciao» replicai laconico, passando un dito sul bordo della vasca.
«Giù di morale?» domandò la voce di Amanda, loquace. Dal suo tono si capiva benissimo quanto avesse voglia di parlare a lungo. Ma io, al contrario, desideravo solo starmene in silenzio.
«Un poco» risposi.
«Oh, mi dispiace!» esclamò accorata la voce di lei. «Sai, io penso a te praticamente tutto il giorno, non posso farne a meno! Qui è bellissimo, davvero, ma allo stesso tempo mi manchi veramente».
Sospirai piano e passai il cellulare da un orecchio all’altro.
«Stavo pensando al nostro primo bacio» continuò Amanda. «Quasi mi pare ancora di sentire le tue mani...»
Per un breve momento, quasi ci riuscii. Provai a rammendare la curva dorata dei capelli di Amanda che le sfiorava la guancia, le sue labbra carnose... Poi mi resi conto di star pensando a lievi boccoli castani, alla luce che risplendeva ramata sui capelli di Jessi, alle labbra inesperte ma dolci della ragazza.
«Che succede?» chiese ansiosa Amanda, sentendo il mio silenzio farsi prolungato.
«Niente» dissi. «Niente» ripetei, più piano.
Ma la mia mano si muoveva lieve ad immaginare l’incavo tiepido della spalla di Jessi.
«Sei con la testa tra le nuvole, eh?» fece Amanda, riportandomi alla realtà.
«Un po’» risposi.
«Senti, Kyle, ora devo andare, devo esercitarmi...» aggiunse Amanda. Sentii lo schiocco di un bacio.
Sapevo che lei si aspettava che io ricambiassi, ma non ne avevo voglia. «Ciao» mormorai con voce incolore e, con enorme sollievo, interruppi la chiamata.
Infilai in tasca il cellulare e sospirai.
Mi strofinai le tempie con la punta delle dita. Avrei voluto che Amanda non avesse chiamato.
Un ticchettio contro i vetri mi fece voltare verso la finestra. Aveva iniziato a piovere, e non una pioggerella leggera, decise, grosse gocce di pioggia schizzavano il vetro.
Stavo cercando di non pensare quando ancora una volta sentii lo squillo del cellulare. Sperando non fosse nuovamente Amanda, risposi: «Pronto?»
«Pronto, Kyle?»
Mi irrigidii a quella voce. «Taylor?» sbottai. «Chi ti ha dato il mio numero?»
Non seppi mai la risposta. Infatti, mentre ponevo la domanda, Taylor mi chiese: «Jessi è ancora lì da voi?»
«Come?!» esclamai, con un sobbalzo. Strinsi il cellulare. «Non è ancora rientrata?»
«No». La voce di Taylor era tesa e apprensiva. «Pensavo si fosse fermata... Maledizione!»
«Ma... è andata via da un bel pezzo» sussurrai, gettando un’occhiata al vetro bagnato di pioggia.
«Ma allora... dove sarà andata? Esco a cercarla!»
«No» dissi.
«Come?» fece, sbalordita, la voce di Taylor.
«Vado io, la troverò con maggior facilità» affermai, deciso, alzandomi dalla vasca.
«D’accordo» accettò Taylor, seppur riluttante.
Salutai in fretta e spensi il cellulare. Afferrai la giacca, infilandomela più velocemente che potevo, presi su un giubbotto di jeans. Mi guardai attorno alla ricerca di un ombrello.
Infilato sotto all’armadio, ce n’era uno blu scuro. Lo presi e uscii dalla mia stanza. Attraversai di volata il corridoio e uscii all’aria aperta.
L’aria era fredda e densa di umidità, il vento frustava la pioggia e rendeva molto semplice il finire inzuppati anche avendo l’ombrello. Starnutii. Non osavo immaginare a che punto fosse Jessi, che con ogni probabilità si trovava fuori da quando era iniziato il temporale.
Mentre risalivo il viale, mi venne in mente che non avevo lasciato detto a nessuno dove sarei andato, ma constatai di avere il cellulare al sicuro – e a portata di mano – nella tasca dei jeans.
Le mie scarpe producevano un cigolio sommesso ad ogni passo a causa dell’acqua che ricopriva la strada. Per un momento, camminavo spedito, mi domandai se non fossi stato troppo precipitoso a dire a Taylor che l’avrei trovata facilmente.
Avevo appena finito di formulare quel pensiero scoraggiante che udii una specie di energia sfrigolare nella mia testa, assieme ad uno stridore che per un momento mi stordì.
«Jessi» sussurrai, sollevato. Automaticamente, capii dov’era.
Il parco.
Aumentai l’andatura. La pioggia continuava a cadere, ma ora pareva meno convinta.
Eppure il parco non aveva mai avuto un’aria meno incoraggiante. Le altalene cigolavano sospinte dal vento, la pioggia scrosciava sullo scivolo, la terra era diventata fango.
E la ghiaia del vialetto non era certo meno fradicia. Avrei dovuto pulire le scarpe, prima di entrare in casa.
E infine la scorsi.
Una figura seduta ad una panchina. Mi dava la schiena, ma capivo lo stesso che guardava dritto davanti a sé. Mi avvicinai rapidamente. Iniziavo a distinguere i capelli, resi più scuri dall’acqua, e la felpa bagnata.
Infine, svoltai, camminai, e le giunsi di fianco.
«Ehi» sussurrai.
Lei si voltò lentamente. Aveva i capelli zuppi, l’acqua le scorreva sul viso, e per un momento rimasi immobile a guardarla chiedendomi se avesse anche pianto. Il fatto che il mio rifiuto al suo bacio potesse averla resa così infelice mi rendeva ansioso e stranamente euforico allo stesso tempo.
Avanzai di un passo in modo che l’ombrello riparasse anche lei. Senza dire nulla, le poggiai la giacca jeans che avevo preso sulle spalle. Tremava.
«Jessi, perché sei qui?» chiesi.
Lei alzò gli occhi – che parevano quasi castani, al plumbeo del cielo – e disse, così piano che quasi il vento coprì la sua voce: «Volevo stare sola».
«Ma piove» osservai inutilmente.
Lei si passò la mano tra i capelli bagnati. «L’avevo notato» replicò, senza energia.
Avevo la mano sinistra chiusa attorno al manico dell’ombrello, ma tesi la destra verso di lei e le toccai la felpa per constatare quanto fosse fradicia.
Mi guardai la mano, poi guardai Jessi.
Insieme, iniziammo a ridere.
Quando infine tornammo ad essere in silenzio, ci fissammo senza dire nulla. Mi sporsi verso di lei, sognando le sue labbra. Quando le trovai, mi parve m’infuocassero le mie, trasmettendomi un forte calore.
Lei dapprima restò ferma, sorpresa dal fatto che avessi cercato quel contatto, poi assecondò i movimenti delle mie labbra, muovendo la bocca in armonia con la mia.
Senza accorgermene, lasciai cadere l’ombrello per prendere la sua nuca fradicia tra le mani e baciarla ancora.
Le mie emozioni palpitavano al ritmo del mio cuore. Avevo i piedi infreddoliti, le mani e i capelli bagnati, ma la bocca di Jessi era calda, ed il suo calore bastava a non farmi sentire più il gelo della pioggia.
Sembrava che ogni cosa si fosse fatta distante. Gli alberi, scuri contro il cielo nuvoloso, le macchine oltre il parco, il viale fangoso. Anche il rumore della pioggia non era altro che un mormorio indistinto – in sottofondo.
Poi, lentamente, separammo piano le labbra.
La guardai. Il suo viso era pallido, forse mi appariva così perché i capelli arruffati di pioggia erano quasi neri, ma sembrava risplendere interiormente, di una luce che mi aveva sempre catturato.
Sorrise, e non potei non ricambiare quel sorriso.
Le sue labbra si incurvarono, scoprendo i denti bianchi, mentre la felicità le ammorbidiva l’espressione, rendendola quasi eterea.
Prese le sue mani nelle mie. Una goccia di pioggia le scivolava su una guancia come una perla, mentre quelle intrappolate nei suoi capelli rilucevano tenui sotto un sole che, timidamente, dava un’occhiata al mondo per assicurarsi dell’andamento della pioggia.
E la pioggia continuava a cadere, così l’astro si rifugiò ancora dietro la cortina di nuvole, ma in me splendeva qualcosa di più sfolgorante.
Jessi si chinò a raccogliere l’ombrello, la attirai contro il mio fianco ed iniziammo a muoverci verso casa, la sua testa contro la mia spalla.
L’avevo trovata, eppure mi sentivo come se avessi lasciato qualcosa a metà...
«Ti amo, Jessi» mormorai, indistintamente, la voce coperta dal rumore della pioggia. Lei però mosse il capo, e compresi che aveva sentito.
Un “anch’io” si librò un attimo nell’aria, lieve ma deciso come una goccia di pioggia, perfetta su una guancia infiammata da nuove emozioni.
  
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