Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: JEH1929    08/04/2017    2 recensioni
E così era stato deciso: avremmo abitato insieme.
Io mi ero gettata a capofitto nella novità senza pensare veramente cosa essa potesse veramente comportare, come mi succedeva sempre. Come al solito avevo riflettuto assai poco e così avevamo iniziato a visitare un appartamento dietro l’altro, quanto più vicini possibile all’università.
**
“Sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Ti amo. Tua per sempre, Sana”
E mentre stringo fra le mani il libretto e non riesco a trattenere una piccola lacrima, che mi brucia gli occhi, penso a quanto la sorte possa essere ironica e a quanto sia facile che tutto ciò che pensavi avresti posseduto per sempre possa essere perduto in un millisecondo.
**
Fanfiction su Sana e Akito e su quello che potrebbe essere loro successo dopo la fine del manga.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Mi giro e mi rigiro nel letto, ma ogni volta che apro gli occhi quello che vedo è soltanto un muro bianco. Abituata a dormire nel letto a baldacchino a casa Kurata, trascorrere la notte in uno sgabuzzino soffocante è l’ultima cosa che avrei mai voluto. Non ho mai sofferto di claustrofobia, ma le pareti bianche appiccicate al letto mi danno un senso di soffocamento. Mi giro nuovamente, chiudendo gli occhi e cercando di distrarmi e magari anche di addormentarmi. Non che domattina abbia qualcosa di particolare da fare, visto che l’università inizierà tra due giorni, ma ormai sono le 4 del mattino e comincio a sentire la stanchezza, considerando anche che abbiamo trascorso la giornata a spostare scatoloni e a sistemare mobili con l’aiuto di Rei. Ovviamente non gli ho fatto cenno del fatto che dormirò nello sgabuzzino, penso che avrebbe dato di matto e mi avrebbe trascinato via di lì di peso e anche mia madre si sarebbe preoccupata e non è ciò che voglio. Provo a contare le pecorelle, metodo dichiarato infallibile per addormentarsi, ma tutto quello che finisco per fare è soltanto chiedermi chi sia stato tanto idiota da ideare un sistema così stupido per addormentarsi. Alla fine ci rinuncio e mi alzo. Scendo dalla base del letto e apro la porta. La casa e silenziosa e probabilmente gli altri stanno tutti dormendo. Tanto meglio, non ho voglia di parlare con nessuno. Non appena esco mi rendo conto di quanto fosse caldo lì dentro e tiro un sospiro di sollievo, passandomi un braccio sulla fronte sudata. Mi siedo sul divano accanto a uno degli ultimi scatoloni rimasti da sistemare, chiudendo gli occhi per un istante, ma non riesco a darmi pace e quindi decido di dare un’occhiata alle ultime cose. Apro lo scatolone vicino a me. Contiene delle maglie e dei libri e con un tuffo al cuore mi accorgo che appartengono ad Akito. Cerco una traccia del suo odore su quelle maglie larghe che adora indossare, ma tutto ciò che riesco a sentire è profumo di bucato. Sospiro per quanto sono patetica e passo ad osservare i libri. Ovviamente la maggior parte sono sul karate e sulla fisioterapia, ma infine gli occhi mi cadono su una copertina rosso scuro, con sopra un semplice titolo nero: “Poesie d’amore, Pablo Neruda” e il mio cuore salta un battito e, prima che abbia il tempo di trattenere i ricordi o che possa anche solo scrollarmeli di dosso, vengo catapultata nel passato.

- Ciao. - si era seduto accanto a me, nel nostro gazebo, il luogo in cui tutto era cominciato, così si poteva dire.
Le guance mi erano andate in fiamme e mi ero leggermente scostata quando mi si era avvicinato. Mi aveva lanciato un’occhiata stupita e leggermente addolorata. Una tacita domanda. Aveva abbassato il braccio che mi stava per mettere intorno alle spalle.
- Che cosa è successo? - aveva chiesto.
Mi ero limitata a fissare il vuoto, stringendomi nella mia divisa da liceale e nella mia insicurezza di sedicenne. Avevo avuto paura. Non mentre facevamo l’amore per la prima volta. No, lì neanche un minimo dubbio mi aveva assalita. Ero stata felice, la ragazza più felice del mondo. Come mi aveva guardata, come mi aveva stretta, come mi aveva toccata. Eravamo arrivati ad unirci per davvero, dopo tanti anni di vicinanza adesso eravamo definitivamente l’uno l’universo dell’altro. Eppure, dopo una prima volta così bella, ero stata presa dai dubbi. Non dubbi sul mio amore nei suoi confronti, non su di lui, ma sul fatto di non essere abbastanza, di non riuscire ad essere sufficientemente adeguata per lui, sia come ragazza che sessualmente, in fondo lui avrebbe potuto avere qualsiasi ragazza e c’era più di una che avrebbe fatto carte false per avere Akito al suo fianco.
- Non provarci neanche.
Lo avevo guardato stupita, senza capire la sua affermazione.
- Non provare nemmeno a pensare quello che stai pensando! - aveva esclamato con quella sua aria così da Akito, fissandomi dritta negli occhi e inchiodandomi sul posto con quel suo magnetico sguardo dorato.
Involontariamente mi era scappato un sorriso e avevo sentito i muscoli rilassarsi.
- Che cosa stavo pensando? - avevo chiesto.
Ormai aveva visto che mi ero calmata.
- Che non sei abbastanza bella, abbastanza brava e tutti i tuoi soliti stupidi pensieri. Pensi sempre a queste stupidaggini, mi attribuisci pensieri che io non ho la minima intenzione di riconoscere e ti inventi ogni traccia di scenario apocalittico possibile. - aveva detto, fissandomi insistentemente.
Avevo preso fiato per rispondere.
- E non negarlo! - aveva ripreso - Ormai ti conosco bene, Kurata!
Nonostante stessimo insieme da così tanti anni, ancora non gli era passato il vizio di chiamarmi per cognome quando era irritato o quando mi prendeva in giro e in quel momento stava facendo entrambe le cose.
- Hai ragione. - avevo bisbigliato.
- Oh, non sai quanto mi piace quando mi dai ragione.
Gli avevo lanciato un’occhiataccia, per poi tornare a fissare il pavimento in legno del gazebo e a sospirare.
- Sana… - tono spazientito.
Mi ostinavo a guardare per terra.
- Guardami.
Di malavoglia avevo alzato gli occhi, fissandoli nei suoi.
- Ascoltami, questa è stata la prima volta anche per me e se non ti è piaciuto, non preoccuparti, abbiamo tutto il tempo di questo mondo.
Cosa? Pensava che non mi fosse piaciuto.
- Non hai capito niente, Hayama. - avevo risposto, scoppiando a ridere e facendolo irritare nuovamente.
- Cosa non avrei capito?
- Se pensi che non mi sia piaciuto, non hai capito proprio un bel niente. È stata la notte più bella della mia vita. - risposi, abbassando gli occhi e arrossendo, non prima di vedere un lampo di soddisfazione nei suoi occhi.
- E allora?
- E allora… ho paura che possa non essere piaciuto a te. - sputai fuori, finalmente.
Mi guardò con l’espressione più sconvolta che gli avessi mai visto in volto, come se avessi detto la cosa più stupida della terra e di cose stupide, nella vita e da quando ci conoscevamo, ne avevo dette tante.
- Insomma, tu potresti avere qualunque ragazza, anche una ragazza più bella di me e…
- Kurata, io penso di non aver mai visto una persona più stupida di te.
- Cosa? - gonfiai le guance indispettita, guardandolo di traverso.
- Fin da quando ci siamo conosciuti non ho mai guardato nessun’altra ragazza come ho guardato te, possibile che ancora tu non te ne sia fatta una ragione. - le sue parole e il suo tono erano talmente seri che mi rivolsi un attimo preoccupata a guardarlo.
- Non ho mai voluto nessuno a parte te, non ho mai desiderato nessuno a parte la tua mente, il tuo cuore e anche il tuo corpo. Se pensi che la notte scorsa non mi sia piaciuta e che non possa essere rimasto soddisfatto, vuol dire che sei tu a non conoscermi affatto.
I suoi occhi erano così cupi e scuri da sembrare famelici e mentre mi guardava in quel modo, nello stesso modo in cui mi guardava mentre facevamo l’amore, ebbi la certezza che stesse dicendo la verità e che fossi davvero io tutto ciò che desiderava. Mi avvicinai a lui e appoggiai le labbra sulle sue. Sussultò, per il mio gesto improvviso, ma velocemente ricambiò il mio bacio, sempre più appassionatamente, trascinandomi sopra le sue gambe, per poi scendere a baciarmi il collo, mentre io stringevo fra le mani la sua chioma color miele, con gli occhi chiusi.
Improvvisamente si bloccò, costringendomi ad aprire gli occhi e ricercare il suo contatto.
- Che fai?
- Vuoi davvero farlo qui? - chiese, un leggero sorriso sulle labbra.
Annuii.
Un ghigno gli comparve sulle labbra.
- Cara la mia Kurata, non ti facevo così famelica. Ma qui non è un posto adatto, potrebbe vederci qualche bambino. Vieni, andiamo a casa mia, mio padre rientra tardi da lavoro e Natsumi è fuori a fare compere.
Mi prese per mano, aiutandomi a scendere dalle sue ginocchia, mentre cercavo ancora di riprendere il controllo.
- Come fai ad essere così controllato? - chiesi.
- Non lo sono, fidati. Non so cosa mi trattenga dal baciarti in goni singola parte del tuo meraviglioso corpo seduta stante. È solo che mi sono ricordato di quando da bambini venivamo qui e non vorrei che qualche bambino ci trovasse, ecco, in quella determinata situazione.
Mentre mi trascinava quasi correndo verso casa mia, lo sentivo borbottare qualche parola, senza riuscire a capire cosa stesse dicendo.
- Che cosa dici?
- Niente, è una poesia. Non riesco a togliermela dalla testa. È imbarazzante.
Scossi la testa, lanciandogli un’occhiataccia, che però non colse, visto che continuava a correre verso casa sua.
- Recitamela.
- Ne ricordo solo una parte. È imbarazzante…
- Andiamo, muoviti!
- Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice. (*)
Lo avevo fermato e, guardandolo dritto negli occhi, avevo detto le parole che adesso mi risuonano e rimbombano nella mente.
- Guardami, Akito Hayama, io sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Sarò tutto ciò che tu vorrai che io sia. Per sempre. Io sarò sempre con te.
Poi mi aveva baciato ed era stato uno dei baci più belli della mia vita.


Avevo impiegato settimane per riuscire a rintracciare quale fosse la poesia che lui mi aveva citato. Finalmente avevo scoperto che si trattava di “Ode al giorno felice” di Pablo Neruda. E l’avevo comprato, una piccola edizione di poesie d’amore, in una copertina rosso scuro con la scritta nera. Nella costola c’erano ancora scritte le parole che gli avevo detto un tempo.
“Sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Ti amo. Tua per sempre, Sana”
E mentre stringo fra le mani il libretto e non riesco a trattenere una piccola lacrima, che mi brucia gli occhi, penso a quanto la sorte possa essere ironica e a quanto sia facile che tutto ciò che pensavi avresti posseduto per sempre possa essere perso in un millisecondo.


(*)Estratto della poesia “Ode al giorno felice” di Pablo Neruda.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: JEH1929