Serie TV > The 100
Ricorda la storia  |       
Autore: arangirl    09/04/2017    5 recensioni
Fan fiction partecipante al contest History!AU del gruppo CLEXA/ELYCIA/LEXARK Gruppo di SUPPORTO italiano
Pur di ricevere un'istruzione e diventare guaritrice, Clarke ha rinunciato al suo titolo nobiliare ed è entrata in convento, prendendo i voti. Pensava di essere pronta ad iniziare una nuova vita, ma nulla avrebbe potuto prepararla ad essere rapita dai vichinghi, pronti a tutto pur di salvare il loro Jarl, gravemente ferito. Catapultata in una cultura completamente diversa dalla sua, divisa tra curiosità e timore, Clarke si troverà presto affascinata da questo misterioso popolo e dal loro altrettanto misterioso Comandante.
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Clarke posò il pestello sul tavolo di fronte a lei, ripetendo mentalmente la ricetta della pomata che stava preparando. Non era nulla di complicato, solo qualche erba curativa per i dolori muscolari che dei contadini del villaggio lamentavano, eppure era stata una buona scusa per saltare i servizi mattutini. Non che Clarke non amasse pregare, assolutamente, ma pensava che persino per un convento lì si facessero troppe preghiere, e lei era sempre stata una ragazza pratica.
 



Aveva capito abbastanza in fretta che nonostante la sua posizione sociale non indifferente, il suo patrigno era un duca dopotutto, non le sarebbe stato permesso di imparare un bel niente di ciò che più l’appassionava. Voleva essere una guaritrice, aiutare la gente, ma da una damigella come lei nessuno pretendeva nulla di più che un matrimonio di convenienza e la procreazione, perciò nella sua mente si erano distinte fin da subito due possibilità.
 



Rendere felici i suoi genitori sposando un qualche conte dall’aspetto sgradevole, essere moglie e madre devota, vivere nell’ignoranza com’era tipico della sua categoria e non farsi troppi problemi. Oppure, e per quanto all’inizio l’idea la infastidisse si era rivelata la soluzione migliore, fingere la chiamata divina e supplicare la madre di essere mandata in convento.
 



Ora, Clarke era sempre stata una buona cristiana, così le era stato insegnato, ma non le era mai passato per la mente di farsi suora. Almeno finché non si era imbattuta, durante uno dei suoi viaggi con la madre, in un convento che ospitava una biblioteca vastissima, e in cui alle donne, nonostante la legge lo vietasse, veniva insegnato a leggere. Da quel momento rinunciare ai suoi titoli e futuri doveri matrimoniali non era stata una decisione molto difficile e, nonostante le proteste della madre, Clarke era riuscita a convincere il patrigno a mandarla a vivere lì, in quel paesino sperduto sulla costa orientale del Wessex.

 


Non era poi così male, Clarke ne era convinta. Era molto più libera in quel convento di quanto lo fosse stata nel suo castello; le era permesso leggere, imparare l’arte della medicazione, parlare con i paesani che andavano a trovare lei e le consorelle in cerca di aiuto, persino passeggiare vicino alla spiaggia nei momenti liberi: effettivamente Clarke poteva considerarsi fortunata.
 



O almeno, così si era considerata, finché quella mattina non sentì il sordo rumore delle campane del villaggio suonare a più non posso, indicando una e un’unica cosa: i vichinghi.
 



Clarke aveva sentito parlare dei barbari da dei mercanti provenienti dal sud, ma nessuno si sarebbe mai aspettato che arrivassero così lontano per depredare un villaggio piccolo come il loro. Clarke abbandono le sue medicazioni e corse nella piccola chiesa, trovando le sue sorelle in preda al panico: persino dei selvaggi come i vichinghi sapevano che i tesori più preziosi che un villaggio possedeva erano tenuti nascosti nella chiesa, per quanto umile potesse essere la loro comunità.
 



Non c’era posto per nascondersi, e nei volti delle donne che Clarke aveva iniziato a considerare come una piccola famiglia poteva leggere solo disperazione: se fossero state catturate, le aspettava il peggio. Il nodo alla gola che Clarke sentiva da quando le campane erano risuonate intorno a lei si strinse ancora di più, bloccandole il fiato.
 



Il portone della chiesa era stato sprangato, ma non sarebbe stato sufficiente a fermare l’orda barbarica che, Clarke ne era sicura, stava per abbattersi su di loro. Passò solo qualche minuto infatti prima che la porta cominciasse a cigolare, impiegata in una battaglia persa contro chissà quale arma d’assedio, e Clarke sentì il cuore battere all’impazzata all’idea di cosa sarebbe successo dopo: sarebbe morta, trafitta da una spada? O l’avrebbero catturata, violentata, venduta come schiava? Al pensiero della seconda opzione, Clarke capì che avrebbe preferito morire.
 



Il legno cigolò tristemente un’ultima volta prima di spezzarsi, e le grida delle sue sorelle rimbombarono nella mente di Clarke come una tempesta: era finita. Chiuse gli occhi, preparandosi ad affrontare il peggio, ma quando sentì le grida intorno a lei ammutolirsi di colpo si fece coraggio e guardò, spalancando gli occhi quando riuscì a vedere cosa aveva ammutolito le sue compagne.
 



Non c’era nessuna orda, non visibile almeno, ma solo una donna davanti a ciò che restava dell’ingresso della chiesa. Era una donna alta, dall’aspetto terribile e minaccioso, i capelli chiari raccolti in una treccia, il viso colorato di pittura bianca che le circondava i penetranti occhi marrone chiaro. Portava una semplice corazza di cuoio, che le lasciava scoperte le braccia, decorate da tatuaggi tribali che Clarke si ritrovò, nonostante tutto, ad ammirare.
 



La donna portava in mano un pezzo di tela bianco invece di brandire la spada che portava al fianco e Clarke pensò con curiosità che doveva essere venuta in pace, cosa del tutto inaspettata. La donna fece un passo avanti, scrutando con sguardo penetrante e vagamente disgustato lo spettacolo davanti a lei. Quando parlò lo fece nella loro lingua, e nonostante il forte accento, Clarke riuscì a capire benissimo le sue parole.
 



“Veniamo in… pace. Ci è stato detto che ci sono guaritori qui. Abbiamo bisogno di aiuto, il nostro Jarl è gravemente ferito.”
 



 A Clarke per poco non mancò il respiro; per quanto ne sapeva, erano solo in due a conoscere le arti mediche nel convento: lei e il parroco, che le aveva insegnato senza troppo impegno quello che sapeva, lasciando che lei concludesse la sua istruzione sui libri. L’uomo in questione si fece avanti, e Clarke ammirò il suo coraggio.
 



“Lei… lei è la nostra guaritrice.” L’uomo la indicò con mano tremante e Clarke lo guardò sconvolta. Altro che coraggioso, quell’uomo era un verme. La donna la fissò con intensità disturbante e Clarke si ritrovò a tremare dalla testa ai piedi di fronte al suo sguardo. Il fatto che fosse una donna non sembrava renderla meno letale, anzi. Si avvicinò a lei con passi decisi, squadrandola con interesse.
 



“Vieni con me.” Non era una domanda, questo era chiaro, e Clarke non capì cosa le fosse preso quando si sentì rispondere “E se non volessi?”
 



La donna, che si era già girata per tornare sui suoi passi, tornò a guardarla con una scintilla di divertimento negli occhi e le si avvicinò con un sorriso “Se non vieni con me, se mi disobbedisci, se lasci morire il mio Jarl, i miei uomini daranno fuoco al tuo piccolo villaggio. Con tutti i tuoi amici dentro.” La donna pronunciò quelle parole con la semplicità di chi discuteva del raccolto dell’anno precedente, e un brivido freddo percorse Clarke da capo a piedi.
 



“Lasciami prendere le mie medicine. Poi ti seguirò dove vorrai.” La donna rimase in silenzio per un attimo prima di annuire e Clarke tirò un sospiro di sollievo. Non era morta, non ancora.
 
 
*
 
 

La donna vichinga camminava con passo veloce e deciso, fin troppo per Clarke, che con la lunga veste riusciva a malapena a stare al passo “Muoviti! Il mio Jarl sta molto male.”
 



Non si era nemmeno girata per dirlo, e Clarke cercò di accelerare il passo; la donna non sembrava intenzionata a farle del male, ma era sempre meglio non rischiare. “Cos’è uno Jarl?” Clarke si morse la lingua, ma quella domanda le ronzava in testa da quando aveva sentito per la prima volta quel termine.
 



La donna si fermò per un attimo, guardandola con uno sguardo di fuoco, ma poi riprese il passo, scuotendo la testa “E’ come il vostro Lord. E’ il nostro capo, il nostro comandante.”
 



Clarke annuì, si era aspettata una cosa del genere. Si domandò per un attimo chi osasse dare ordini ad una donna così minacciosa, provando un brivido al solo pensiero di cosa la stesse aspettando più avanti. “E cos’è successo al vostro Jarl?” La donna si fermò di nuovo, la mano sull’elsa della spada “Fai troppe domande, suora.” Disse l’ultima parola come un insulto, e Clarke sentì la rabbia montare dentro di lei. Per quanto minacciosa fosse, quella donna non aveva nessun diritto di trattarla così.
 



“Il mio nome è Clarke, e non pensi che potrò curare meglio il tuo prezioso Jarl se mi dici cosa gli è successo?” La donna sembrò davvero sul punto di sguainare la spada, di colpirla, ma sembrò trattenersi “Sei fortunata che mi servi viva. Lo Jarl è stato colpito da una freccia giorni fa. La ferita non sembrava grave, ma si è infettata, e ora è in preda alla febbre. Abbiamo perso il nostro guaritore nell’ultima battaglia, e nessuno di noi è stato in grado di fare qualcosa.”
 



Clarke annuì, sperando in cuor suo che non fosse troppo tardi per salvare l’uomo; lei probabilmente era morta comunque, ma almeno avrebbe potuto salvare il villaggio. Ripresero a camminare in silenzio, scendendo sempre di più verso la baia, e Clarke capì che i vichinghi dovevano avere il loro campo vicino alle loro navi. Aveva sentito dire che i vichinghi erano un popolo arretrato, barbaro, ma che in quanto a navigazione non erano secondi a nessuno.
 



Clarke si era resa conto che per il momento era al sicuro, visto che alla donna serviva viva e vegeta, quindi cercò di sfruttare quell’occasione meglio che poteva “Quindi qual è il tuo nome?” La donna disse qualcosa nella sua lingua, qualcosa che Clarke interpretò come un’imprecazione “Non stai mai zitta?”
 



“Potrebbe servirmi. Se dovessi chiederti una mano mentre curo il tuo Jarl, saprò che nome chiamare.” La donna la fissò con evidente fastidio prima di scuotere la testa “Il mio nome è Anya.”
 



Clarke annuì e si sorprese nel pensare che nonostante tutto quel rapimento fosse la cosa più eccitante che le fosse successa in tutta la sua vita. “E dimmi Anya, è normale che tra voi barbari le donne combattano?” A quella domanda il volto di Anya si rilassò in un piccolo sorriso “Le donne vichinghe non sono deboli come le donne inglesi. Possiamo fare tutto quello che fanno gli uomini, e lo facciamo meglio.”
 



Clarke pensò per un attimo a come sarebbe potuta essere la sua vita se fosse nata tra i vichinghi invece che in Inghilterra. Sarebbe potuta diventare una guerriera, come Anya, una guaritrice vera e propria, o qualsiasi altra cosa. Immaginò per un attimo di poter essere padrona della sua vita, libera di essere ciò che desiderava, e provò un fiotto di gelosia per la donna che camminava accanto a lei.
 



I suoi pensieri furono interrotti dal nuovo scenario che si aprì davanti a lei: erano arrivate all’accampamento. Anya le strinse il braccio con decisione, guardandola negli occhi “Spero che tu sia brava nella medicazione come lo sei nel blaterare, suora. Altrimenti sarà un vero piacere per me staccarti la lingua.”
 



Questo zittì Clarke completamente per il resto del tragitto, e la ragazza si preparò mentalmente a ciò che l’aspettava. Avrebbe dovuto esaminare la ferita prima di tutto, cercare di capire quanto grave fosse l’infezione, sperando che non avesse già corrotto il sangue. Anya la portò verso la tenda più grande del piccolo accampamento, e Clarke sentì addosso gli occhi di tutti gli uomini e le donne che lo abitavano.
 



La sua mente lavorava velocissima, cercando di escogitare un modo per guarire lo Jarl e riuscire ad andarsene intera dall’accampamento, ma ogni suo pensiero fu bruscamente interrotto quando entrò nella tenda del suo paziente. Si era aspettata un uomo possente, un vichingo minaccioso, ma quello che aveva davanti non era nulla di tutto ciò.
 



Sul letto improvvisato al centro della tenda c’era una ragazza, non molto più vecchia di Clarke, dall’aspetto malconcio. La pelle era sudata e pallida,
tipici sintomi della febbre, e tremava visibilmente anche sotto i vari strati di pelli che qualcuno aveva posato su di lei. L’unica parte che sembrava viva del suo volto emaciato erano gli occhi, di un verde intenso e splendente, che si posarono su Clarke non appena mise piede nella tenda.
 



Anya andò verso il letto e s’inginocchiò, lo sguardo improvvisamente preoccupato. Le due si scambiarono qualche parola nella loro lingua, poi la ragazza ritornò a guardare lei, un’espressione curiosa in volto che stonava con le sue condizioni di salute.
 



“Benvenuta.” Il suo accento era meno marcato di quello di Anya, la voce sottile ma sicura allo stesso tempo e Clarke si ritrovò  ad avvicinarsi per poterla sentire meglio “Anya mi ha detto che tu puoi aiutarmi.” Clarke annuì, nonostante potesse vedere che le condizioni della donna non erano le migliori “Posso provarci. Farò del mio meglio…”
 



“Ti conviene riuscirci…” Anya la guardò in cagnesco, ma la donna le posò una mano tremante sulla spalla “Non ascoltare Anya, so bene che le mie condizioni non sono le migliori. Anya mi ha promesso che se dovessi morire ti riporterà al tuo villaggio sana e salva.”
 



Clarke non sapeva se fidarsi o meno delle parole della donna, ma che motivo aveva per dirglielo ora, ancora prima che la esaminasse, così da toglierle i timori di una possibile ripercussione del suo fallimento su di lei o sul villaggio? “Devo esaminare la ferita.”
 



La donna annuì, cercando di sedersi con l’aiuto di Anya, e Clarke le andò vicino, aspettando di vedere il motivo per cui era lì. La donna si tolse le pelli che la coprivano, rivelando una fasciatura malconcia sulla spalla destra.  Clarke appoggiò la borsa accanto al letto, e Anya si spostò malvolentieri per lasciarle esaminare la ferita.
 



La donna dovette accorgersi dell’espressione preoccupata di Clarke nel vedere la ferita vera e propria, perché sospirò profondamente “E’ messa molto male?” La ferita emanava un odore terribile, e i lembi di pelle che avrebbero dovuto ricongiungersi per chiuderla erano ancora separati, di colore grigiastro che stonava con il rossore e il gonfiore del resto della spalla. Il tutto era ricoperto da quello che doveva essere pus e sangue coagulato e Clarke si ritrovò a storcere le labbra per il disgusto. Era una delle ferite più brutte che avesse mai visto.
 



“E’ messa male. In questo punto la pelle sta marcendo. Devo lavarla tutto e togliere tutto il tessuto infetto. L’infezione non sembra ancora essersi diffusa, questo è un bene. Ma dobbiamo agire in fretta. Anya, portami dell’acqua calda con del sale, o del vino se ne avete e delle bende pulite.”  Anya si alzò senza ribattere, ma la voce di Clarke la fermò poco prima che uscisse dalla tenda “E una lama. Portami una lama affilata.”
 



Anya uscì di corsa e Clarke rimase sola con la sua paziente, che la osservava con interesse “Sarà doloroso.” Clarke sapeva che era un eufemismo, sarebbe stato terribile. La donna annuì “Ti ringrazio…” La guardò con curiosità e Clarke ammirò la sua forza d’animo; come poteva essere così calma di fronte alle prospettive che una ferita del genere le dava? “Clarke… mi chiamo Clarke.”
 



“Clarke…” Lo disse in modo strano, accentuando la k nell’accento tipico della loro terra, e Clarke provò un brivido prima di riuscire a fermarlo “Il mio nome è Lexa. Jarl Lexa.”
 


“Bene Jarl Lexa, proviamo a farti restare viva fino a domani.”
 
 
*
 
 

Ci vollero un paio di ore a Clarke per finire il lavoro, lasciando la ferita di Lexa, ora pulita e dall’aspetto più sano, fasciata saldamente con garze pulite. Clarke era rimasta allibita dalla forza di Lexa,  che era rimasta a guardarla pulire la ferita senza quasi battere ciglio, nonostante il dolore che doveva causarle. Era svenuta più tardi, quando Clarke aveva iniziato a eliminare i lembi di carne infetta attorno alla ferita con una lama rovente, e lei ne era stata felice; faticava a lavorare con quegli occhi verdi che la fissavano intensamente. Aveva cercato di chiudere la ferita meglio che poteva, cospargendola di unguento, sperando che quello e le erbe che aveva consegnato in precedenza ad Anya bastassero a farle passare la febbre.
 


Le passò una mano sulla fronte, che ora sembrava meno calda, e sperò che non fosse solo un’impressione dettata dal desiderio di uscire incolume da quella situazione. Per quanto le parole di Lexa l’avessero rincuorata, non era sicura che Anya le avrebbe eseguite.
 



“Non può morire.” La voce di Anya alle sue spalle la fece sobbalzare, non si era resa conto di essere osservata. “Non adesso, non dopo tutto quello che abbiamo sacrificato per arrivare fino a qui. Lo sai perché ha lasciato che la ferita s’infettasse?”
 



Clarke scosse la testa, rimanendo in silenzio per timore che la donna smettesse di parlare “Finita la battaglia voleva andare personalmente da re Wallace per discutere i termini di pace. Non ha sentito ragioni. E quando siamo tornate al campo stava già male… Maledetta testarda. Se muore qui sarà la fine per la nostra pace con gli inglesi, e il caos scenderà sulle nostre terre. Era solo lei a mantenere in vita le alleanze con gli altri clan…” Anya alzò lo sguardo su di lei, come se la notasse davvero per la prima volta “Non so nemmeno perché ti sto dicendo tutto questo. Probabilmente speri che muoia, come tutti noi barbari.”
 



Clarke la guardò negli occhi, sostenendo a lungo il suo sguardo “Potrei dirti di sì, ma non è vero. E non perché temo per la mia incolumità, ma perché è mio dovere aiutare chiunque ne abbia bisogno. A prescindere da chi essi siano, o su che lato del campo di battaglia decidano di morire. Ho fatto tutto il possibile per aiutarla, ora è nelle mani di Dio.”
 



Anya sbuffò scuotendo la testa, anche se a Clarke sembrò di vedere un lampo di rispetto nei suoi occhi “Essere nelle mani del tuo dio per un vichingo è peggio della morte ragazzina. Se vuoi pregare qualcuno affinché la protegga, prega Eir.”
 



Clarke rimase in silenzio allora, guardando Anya con curiosità, senza osare aprir bocca di nuovo, ma la donna sembrò capire la sua domanda inespressa, perché riprese a parlare “Eir è una delle nostre dee. E’ una valchiria con il potere della guarigione… dicono che possa resuscitare i morti, ma speriamo di non dover arrivare a tanto con Lexa. E’ lei che ha trasmesso alle donne l’arte della guarigione e…”
 



“Aspetta un momento, tra i vichinghi anche le donne possono essere guaritrici? E non le bruciate per stregoneria?” Clarke non era riuscita a trattenersi “Solo le donne possono esserlo. Non ho idea di cosa sia quella parola, non conosco benissimo la vostra lingua.” Anya la guardava come se fosse una cosa ovvia, e Clarke sospirò “Credo che mi sarebbe piaciuto essere una vichinga.”
 



Anya la guardò per un attimo “Sei una strana donna, suora. Spero che Lexa sopravviva, così non sarò costretta ad ammazzarti.” Clarke non riuscì a capire se stesse scherzando o meno, ma a quel punto Anya si alzò, lasciandola sola nella tenda, in compagnia del respiro regolare di Lexa. Clarke sapeva che aveva una lunga notte davanti a sé, e cominciò seriamente a pregare per la vita di quella donna vichinga; per sicurezza, pregò anche questa Eir.
 
 
*
 


“Sta ancora dormendo” Clarke si alzò dal luogo in cui era rimasta a controllare Lexa tutta la notte per andare incontro ad Anya che era entrata nella tenda assieme ai primi raggi del sole. “A un certo punto ha avuto la febbre alta stanotte, e ha cominciato a delirare.” Era stato davvero terribile, Clarke aveva creduto più di una volta che Lexa fosse morta, ma incredibilmente era ancora tra loro “Adesso la febbre si è abbassata, sono riuscita a farle bere qualcosa, sembra che l’infuso stia funzionando. Penso che ora abbia solo bisogno di cure e riposo.”
 



Anya incrociò le braccia al petto e la guardò con sollievo “Molto bene, ti ringrazio Clarke.” Era la prima volta che usava il suo nome, e lei non riuscì a trattenere un moto di orgoglio, per quanto assurdo potesse sembrare. “Purtroppo non potrà godere di molto riposo, è arrivato ora un messaggero del nostro villaggio, dobbiamo fare ritorno il prima possibile, partiamo adesso.”
 



Clarke aprì la bocca sconvolta “Ho appena passato una notte intera a tenere il tuo dannatissimo Jarl in vita, non la puoi portare su una nave e sperare che non peggiori! Te l’ho detto, le servono cure e riposo.”
 



Anya non sembrava minimamente preoccupata dello sfogo di Clarke, perché si limitò a sorriderle maliziosamente “Ho capito. Per questo visto che non possiamo darle il riposo, avrà le migliori cure che possiamo darle. Tu vieni con noi.”
 



Tutto il fuoco che aveva animato Clarke fino a qualche secondo prima sparì improvvisamente mentre la ragazza sentiva la terra aprirsi in un baratro ai suoi piedi “Io… cosa?”






Note: Ciao a tutti e benvenuti al mio ennesimo sclero letterario XD! Questo doveva essere un one-shot ma purtroppo non sembro essere capace di scrivere cose corte, quindi andrà avanti per circa 5-6 capitoli. Ho già scritto i primi quindi aggionerò in modo abbastanza regolare, cercando di finire entro Aprile come vuole il contest! Le informazioni storiche di questo AU potrebbero essere sbagliate, mi baso soprattutto sul telefilm Vikings (sì, il titolo è una citazione di Athelstan) quindi non prometto niente, invece i fatti mitologici che inserirò sono tutti esatti (la mitologia nordica è la migliore!). Spero che il prio capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere! Alla prossima 

Ps: ragazzi com'è possibile che Anya non sia ancora nell'elenco dei personaggi? Fate qualcosa per favore, le mancano solo 9 voti! Io la amo troppo, deve esserci!
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The 100 / Vai alla pagina dell'autore: arangirl