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Autore: MaDeSt    11/04/2017    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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Il colore del titolo del capitolo corrisponde al colore della regione in cui la storia al momento si svolge, tenete d'occhio la mappa per sapere dove ci troviamo!

WEEK END

La mattina del terzo giorno l’entusiasmo non era ancora svanito, ma la gran parte dei Novizi se la prese più comoda avviandosi ai piedi del campanile con relativa calma.
Come prima insegnante si presentò loro una donna snella e alta vestita in un elegante completo di giacca e stretti pantaloni sotto alcuni veli dai motivi floreali e delle più svariate tonalità di verde. Fece prima l’appello e poi si presentò come Elsi, insegnante di Alchimia.
Jennifer sgranò gli occhi entusiasta e seguì il corteo diretto alla torre verde smeraldo, la quale pure si affacciava sulla seconda parte del cortile, alla destra della torre grigia, saltellando tutta contenta perché non vedeva l’ora di cominciare.
Cedric l’apostrofò sussurrando: «Non credere che qui non ci sia da passare ore sui libri.»
Lei si fermò e rispose accigliata: «Lo so meglio di te.» poi proseguì a testa alta dandogli le spalle e affiancandosi a Layla.
Entrando nell’atrio notarono subito che le finestre erano di forma circolare, di dimensioni ognuna diversa dall’altra e disposte in ordine apparentemente casuale. Non vi erano lesene né nicchie visibili e le scale erano aperte sull’atrio, senza che alcuna parete le separasse da esso. Il simbolo inciso sul pavimento era un’ampolla dalla quale delle bolle uscivano librandosi in aria.
Qui i piani erano disposti in modo tale che l’ingresso di ogni aula guardasse a uno dei punti cardinali in sequenza a salire: sud il primo piano, est il secondo, nord il terzo, ovest il quarto e di nuovo sud il quinto e via dicendo. Si fermarono al secondo piano che aveva l’ingresso a est e, sul lato ovest opposto, aveva un enorme balcone coperto da un porticato sul quale si trovavano alcune piante in vaso. La stretta torre di Astronomia poco lontana era ben visibile. Il pavimento era anche lì a livelli dove il più basso era quello della cattedra e a salire vi erano le file di banchi a semicerchio che davano le spalle al balcone per guardare verso l’ingresso, davanti al quale stava la cattedra. I banchi in realtà erano tutti uniti e separati gli uni dagli altri da un calderone incastrato nel legno e alcuni attrezzi tra cui strane ampolle, mortaio con pestello e alambicchi; il numero di calderoni e strumenti era pari a quello dei banchi. Lungo le pareti a destra e a sinistra dell’ingresso c’erano gli armadi contenenti libri di testo, ingredienti, strumenti addizionali e centinaia di scodelle, ampolle o barattoli di cristallo.
Presero posto ai banchi lunghi e stretti, si prepararono a prendere appunti guardandosi talvolta intorno, e la lezione cominciò. Elsi aveva una voce soave, ma tutti potevano udire le sue parole quando spiegò quanto fosse importante che capissero di avere a che fare con una scienza perfetta ed esatta, che non ammetteva errori al costo di devastanti conseguenze: un singolo ingrediente combinato con altri o in modo differente poteva essere sia antidoto che veleno. Ma nonostante questo non li scoraggiò dal mettersi alla prova e fare pratica fin dalle prime lezioni, essendo una materia che non aveva a che fare con la magia anche se poteva tornare utile come supporto a essa; erano due arti che potevano rimanere separate senza conseguenze ma potevano anche essere usate in contemporanea, in collaborazione, e beneficiare l’una dall’altra.
Sebbene avrebbero fatto pratica relativamente in fretta disse subito che non avrebbero provato le pozioni da loro create, per evitare gravi incidenti dovuti alla loro inesperienza, e quando qualcuno domandò che fine avrebbero fatto i loro esperimenti lei rispose con un sorriso di non preoccuparsi, che non sarebbero andati sprecati ma gli avrebbero trovato un uso.
In molti nella classe sembravano attratti dall’alchimia e impazienti di cominciare con la pratica, o forse era proprio questo a piacere agli studenti: finalmente una materia dove studio e pratica sarebbero andati di pari passo. Jennifer era fuori di sé dall’emozione soprattutto per quel motivo, non vedeva l’ora di mettersi alla prova. Ma nonostante l’interesse, la lezione finì così presto che quando il campanile suonò si trovavano già nel cortile.
L’insegnante di mezz’età della seconda materia si presentò loro col nome di Kir, sempre vestita di blu e un poco tarchiata, al che Deala si mise a saltellare gridando entusiasta. Li chiamò per nome uno alla volta con un sorriso enigmatico, dopodiché li condusse verso la torre blu cobalto, poco più stretta e bassa di quella rossa al lato opposto del cortile. La lunghezza del corridoio che conduceva alla torre era a metà strada tra quello della torre di Astronomia e quello della torre degli Elementi - in poche parole era lungo.
A un certo punto si sdoppiava ma la donna disse ad alta voce: «Ricordatevi di non prendere mai la via a destra, l’accesso a quella torre è riservato a insegnanti ed Esaminati. La torre di Manipolazione si raggiunge prendendo la via a sinistra. Corridoio blu!»
Qualcuno guardò il corridoio di destra con curiosità, era largo quasi il doppio di quello che stavano percorrendo e si perdeva nell’ombra tanto era lungo nonostante fosse illuminato da globi di luce bianca. Il loro invece, di lì in avanti, era illuminato di una luce blu non molto rassicurante che rendeva le pareti bluastre ancora più vivaci. Il simbolo della Manipolazione, ripetuto sul pavimento a intervalli regolari, erano due diversi simboli - sembravano una fiamma e una goccia d’acqua - separati da una linea sinuosa.
Lo spazioso atrio di pietra blu e azzurra era illuminato da ampie finestre alternate a lesene che parevano di cristallo o acquamarina. Salirono fino al terzo piano ed entrarono nella seconda aula, la parete curva opposta all’ingresso si apriva su un ampio balcone coperto da un porticato, i banchi erano disposti vicino alle pareti e tutti rivolti verso il balcone davanti al quale c’era la cattedra. I tavoli erano lunghi anche se a un solo posto e accantonati alle pareti c’erano un’infinità di secchi, vasi o altri contenitori compresi calderoni.
Notarono che l’aula era priva di armadi e Kir rispose alla loro implicita domanda spiegando: «Nell’aula qui affianco c’è una libreria, gli armadi sono superflui. Ci sono i sottobanchi.» prese posto alla cattedra e appena tutti furono pronti con le penne in mano cominciò la sua lezione.
Come tutti gli altri partì dall’introduzione, spiegando lo scopo della materia e gli usi che si potevano fare della manipolazione; era un’arte molto complessa che richiedeva una certa conoscenza di tutto ciò che era l’oggetto che si voleva cambiare, ma anche tutto ciò che voleva essere l’oggetto che poi sarebbe diventato. Fece il classico esempio di trasformare una pepita d’argento in una pepita d’oro: si dovevano conoscere sia l’oro che l’argento per poter trasformare l’uno nell’altro. In mancanza dell’adeguata conoscenza era comunque possibile cambiare il materiale, ma non ci si poteva aspettare che corrispondesse al risultato che si sarebbe voluto ottenere.
Dal momento che prima o poi avrebbero conosciuto piuttosto bene gli elementi, disse loro che sarebbe stato più facile trasformare del fuoco in acqua, una pietra in luce, un metallo in terra e via dicendo; la manipolazione degli elementi era cosa relativamente semplice. Molto più difficile sarebbe stato manipolare materiali quali legno o vetro: il primo perché non esattamente legato alla terra ma piuttosto era una parte di qualcosa che un tempo era stato vivo; il secondo perché pur derivato della terra in quanto silicio aveva già subito una trasformazione tale da risultare non più parte dell’elemento Terra. Gli disse da subito che avrebbero sì fatto pratica dopo qualche tempo passato a studiare gli Elementi, ma che i materiali più complessi li avrebbero studiati solo gli Specialisti, i quali avrebbero anche imparato l’arte di incantare gli oggetti comuni per trasformarli in potenti artefatti.
A lezione quasi finita Deala non riuscì a trattenersi, alzò la mano e quando Kir le diede il permesso di parlare domandò tutta entusiasta: «Puoi farci vedere un esempio di manipolazione?»
La donna si guardò intorno con sguardo malizioso e vide che tutti erano in trepidante attesa di vedere la loro prima magia, dunque scosse le spalle, agitò le braccia stirando i muscoli, infine portò le mani avanti e l’aria davanti a lei si fece più densa, per poi trasformarsi in polvere e appesantirsi sempre più, prendendo un colore marrone e cadendo a terra sotto forma di sabbia. Quella sabbia dopo un poco si sollevò e si consolidò prendendo la forma e la consistenza di una pietra, che a sua volta poco dopo divenne un cristallo scintillante, per poi prendere fuoco - anzi, diventare fuoco - e disperdersi tornando a essere l’aria da cui tutto era partito. L’esibizione fu seguita da un lungo silenzio, per poi essere accolta da un caloroso applauso, e Kir fece un elegante inchino. Poi li congedò pochi minuti prima che il campanile suonasse la fine delle lezioni.
«Avete visto che ha fatto?! È stato strabiliante!» esclamò Deala a tutto il gruppo.
«Sì! Grazie per averle chiesto di farlo!» disse animatamente Ovittalia, una ragazza in carne dai capelli rossicci e gli occhi neri come la pece «Ora prenderò davvero in considerazione di studiare Manipolazione!»
«Ma quello che ha fatto non è possibile farlo anche studiando soltanto gli elementi?» domandò dubbioso Abion, un ragazzo piuttosto basso, coi capelli biondi a caschetto e dall’aria impacciata.
«Certo che no!» ribatté Deala «Gli elementi si possono governare uno alla volta, mischiare, farli interagire, ma non puoi cambiare il fuoco facendolo diventare acqua! Che emozione!»
«Sì, è stato davvero bello.» sorrise Susan ancora ripensando a come quella pietra si era trasformata in un enorme cristallo bianco e opalescente.
«Non vedo l’ora di provare!» concordò Mike.
«Prima dovremo studiare parecchio.» ribatté Cedric, come cercando di frenare il loro entusiasmo prima che s’illudessero troppo.
Deala lo indicò col pollice fissando il resto del gruppo di Darvil e domandò: «Lui è sempre così?»
«Sempre.» rispose subito Layla «Se parla è per esprimere il suo pessimismo.»
Cedric fece per ribattere, ma dal momento che erano tutti scoppiati a ridere decise che sarebbe stato inutile e si limitò a girare gli occhi con un sospiro esasperato.
Solo allora, dopo che per giorni avevano avuto nient’altro che la scuola di magia per la testa, si accorsero che nonostante tutto lui manteneva quell’aria turbata e mai felice, e non poterono fare a meno di pensare che si trattasse di ciò che aveva sentito dire di sua madre da quell’uomo, ma si chiesero come potesse influenzarlo anche in un luogo come quello: stavano per davvero studiando magia in una scuola apposita! Persino Layla era tornata alla sua solita vita, lasciando l’aggressione in un angolo della mente, non dimenticata ma se non altro distante dalla realtà.
Il tentativo che fece Susan di parlargliene dopo cena, quando raggiunsero le loro stanze, fu naturalmente inutile; appena lei menzionò il suo umore il ragazzo le chiuse la porta in faccia lasciandola basita e offesa. Mike dovette parlare con lei per una buona ora prima che le tornasse il buonumore e andasse a dormire in camera sua il resto della notte.

Il quarto giorno di lezione tutti i duecento studenti affollarono il cortile in attesa che la propria classe venisse chiamata. Come al solito la prima classe venne chiamata dal primo insegnante che si presentò col nome di Meidrea, una giovane donna dai lunghi capelli neri e i lineamenti affilati, la corporatura snella e la pelle chiara, gli occhi freddi come il ghiaccio. Vestiva tutt’altro che stravagante, piuttosto con un completo simile a quello degli studenti ma di diverse tonalità di viola.
Fece l’appello e gli studenti chiamati si alzarono in piedi, dopodiché la seguirono nella seconda parte del cortile e poi dritti verso la torre viola, più alta di quella di Alchimia ma più bassa di quella di Elementi. Anche questo corridoio era piuttosto lungo e solo leggermente serpeggiante, e non era illuminato; piuttosto via via che si addentravano si faceva più buio fino a raggiungere la semioscurità, e la luce filtrava dalle pareti più sottili delle profonde nicchie che sembravano quasi finestre viola su una parete quasi nera - quando non erano occupate da strane statue che apparivano come sagome nere su sfondo violetto.
L’ampio atrio della torre era intervallato da colonne e lesene di quarzo viola e ametista che scintillavano alla luce del sole mattutino che entrava dalle ampie finestre, le quali quasi toccavano il soffitto. Le scale salivano a spirale da sinistra affacciandosi alle finestre aperte dotate solo di parapetto per non cadere giù nel cortile. Il simbolo ripetuto sul pavimento e laccato di resina era una testa umana vista di profilo, le cui linee andavano a disegnare una spirale racchiusa nel cranio.
Questa volta gli toccò salire di ben quattro piani, ma se non altro l’intero piano era dedicato all’aula, senza bagni o librerie a portare via lo spazio. I banchi erano disposti in due file a semicerchio, alla destra dell’ingresso, dando le spalle all’ampia finestra che prendeva gran parte della parete ricurva, divisa in più parti da sottili colonne di marmo viola. La cattedra occupava il lato opposto, a sinistra dell’ingresso.
Meidrea prima di prendere posto alla cattedra tirò una tenda, in modo che la luce prepotente del sole non disturbasse la mente degli studenti, e gran parte dell’illuminazione ora era dovuta a uno di quei globi grigi sospesi sopra un candelabro pendente dal centro del soffitto. Poi gli studenti presero posto, l’insegnante andò a occupare il suo, e la lezione cominciò.
La sua voce severa li tenne subito sull’attenti, tutti quanti, ma nonostante le apparenze si dimostrò essere una persona aperta all’ascolto, disposta a interrompere la sua lezione per rispondere a qualche sporadica domanda. Capirono il suo atteggiamento austero nel momento in cui compresero la severità della materia che avrebbero studiato in quell’aula: Telepatia.
Da come parlava la donna sembrava che entrare nella mente di altre persone o creature senza sapere cosa si stesse facendo potesse provocare gravi danni sia agli ospiti che agli intrusi.
Ai ragazzi tornò subito alla mente il breve periodo che aveva seguito la nascita dei draghi, durante il quale avevano provato emozioni non proprie, reagito in modi inusuali, dimenticato cosa stessero dicendo ai propri genitori perché troppo distratti dai pensieri che in realtà appartenevano alle creature.
Per questo motivo gli disse che, nonostante la materia non richiedesse necessariamente l’uso della magia, non avrebbero provato presto a contattare qualcuno mentalmente - e di certo non avrebbero cominciato contattandosi tra studenti, ma entrando direttamente nella mente di lei, che sapeva difenderla. Non parlò altro che della pericolosità che l’inesperienza avrebbe potuto causare, ma anticipò alla classe che la telepatia poteva anche essere usata per fare volontariamente del male a qualcuno o indurre allucinazioni o persino illusioni così perfette da sembrare reali, o ancora modificare i ricordi di qualcuno o impedire a un soggetto di usare la magia, oltre che semplicemente tenere segreta una conversazione.
Dopo aver rimesso a posto i propri appunti i Novizi lasciarono l’aula leggermente angosciati, nessuno sembrava ansioso di voler sperimentare sulla propria mente l’effetto di un attacco da parte della mente di qualcun altro. Ma nello stesso tempo qualcosa gli diceva che quel momento sarebbe arrivato.
Dopo pranzo li accolse un insegnante anch’egli dall’aria austera, la pelle scura e i lineamenti inusuali lo identificarono come una persona proveniente dai luoghi più caldi di Dargovas. Si presentò col nome di Gawdi, insegnante di Difesa, quindi dopo l’appello gli fece strada verso la seconda torre in senso antiorario, stretta quasi quanto quella di Astronomia ma decisamente più bassa.
Percorso il cortissimo corridoio, appena più lungo delle mura che chiudevano il cortile, si ritrovarono in un ambiente molto luminoso dovuto al fatto che era costruito con svariate pietre gialle e arancioni. C’erano pochissime finestre e le pareti erano lisce, prive di colonne nicchie o lesene; erano decorate unicamente dall’alternarsi dei diversi materiali con cui era edificata. Come tutte le altre torri le scalinate si arrampicavano a spirale seguendo le pareti esterne, e il segno inciso sul pavimento era uno scudo stilizzato aperto su un lato e al cui centro stava un pallino.
Salirono fino al terzo piano e anche quest’aula aveva un ampio spazio libero al centro, con i banchi e la cattedra rivolti a esso. Gli studenti cominciarono a sospettare che tutte le torri che insegnavano materie pratiche ospitassero aule strutturate a quel modo, per lasciare spazio appunto alla pratica.
Una volta che tutti furono al proprio posto e gli studenti pronti a prendere appunti, Gawdi cominciò la sua introduzione alla materia con voce sonante, spiegando il semplice concetto della difesa, cui sostanzialmente altro non era che chiedere l’intervento della magia affinché evocasse una barriera protettiva attorno a loro. Gli disse che era certamente possibile difendere un indefinito numero di persone, a patto che si avessero le energie necessarie a sostenere una barriera di grandi dimensioni, e che si poteva decidere anche lo spessore di essa in base all’entità del pericolo da cui dovevano proteggersi.
Non la rese particolarmente interessante, molti ragazzi si annoiarono limitandosi a prendere appunti. La materia in sé non sembrava coinvolgente. Ma tutti sapevano che sapersi difendere da incantesimi ostili o frecce e pugnali volanti poteva essere di vitale importanza; per quanto la materia o l’insegnante potessero non piacere, non si poteva fare a meno di una base di Difesa.

Il quinto e ultimo giorno per primo conobbero Houl, il loro paziente insegnante di Guarigione vestito appunto con una tunica rosa che all’altezza del petto mostrava il simbolo della materia: una mano le cui linee andavano a disegnare una spirale sul palmo.
Condusse la prima classe verso la torre rosa dopo l’appello, che era la prima in senso orario, alla sinistra di quella di Storia. Il corridoio pareva lungo all’incirca quanto quello che conduceva alla torre degli Elementi ed era incurvato verso sud.
L’ampio atrio della torre era esageratamente illuminato, non solo dalle grandi finestre che si aprivano lungo tutta la parete ricurva, ma anche da diversi globi bianchi grigi o rosa che fluttuavano apparentemente dotati di vita propria, come bolle di sapone mosse da un vento invisibile. Era costruita in quarzo, marmo, granito e pietre delle più svariate sfumature di rosa, da molto acceso a pallido. Sul pavimento lucido era naturalmente inciso il simbolo della mano con la spirale sul palmo.
Salirono la scalinata a spirale fino al terzo piano, dove entrarono in un’aula che al contrario dell’atrio era priva di globi di luce, ma ugualmente molto ben illuminata dalle strette e alte finestre terminanti in un arco a sesto acuto e ciascuna incorniciata su entrambi i lati da colonne di marmo rosa venato di bianco. Anche qui c’era uno spazio libero al centro dell’aula, ma era meno ampio essendoci tre file di banchi disposti a semicerchio, e la cattedra dava le spalle alle finestre.
Jennifer Layla e Vill erano tra i più entusiasti della classe di cominciare la lezione e furono tra i primi a prendersi il posto, mentre altri sedettero con più calma, c’era persino chi non era attratto dalla materia.
Houl introdusse la sua materia trasportato dalla propria passione e presto catturando l’attenzione anche di chi non fosse realmente interessato, spiegando di come la Guarigione non comprendesse soltanto il compito di guarire ferite, ma anche curare da avvelenamenti in caso si fosse sprovvisti di antidoto, donare le proprie energie a chi ne avesse più bisogno, e in alcuni casi persino risanare i danni causati da un’aggressione telepatica. L’unico modo in cui questo tipo di magia potesse essere dannoso, spiegò l’insegnante, era dovuto al fatto che impiegava notevoli quantità di energie - soprattutto per chi era agli inizi - perché doveva prendere le energie del mago e donarle alla persona che si desiderava guarire: quindi il mago avrebbe dovuto avere a disposizione abbastanza energie da riportare il ferito in buone condizioni e nello stesso tempo non svenire o morire egli stesso per la mancanza di esse. I suoi più grandi limiti invece erano non poter riportare in vita i morti e non poter riportare le ossa rotte a uno stato completamente sano; si poteva tuttavia alleviare il dolore.
Al contrario degli altri insegnanti dunque, Houl spese diverso tempo a spiegare il funzionamento di quella magia, che era alla base anche di tutte le altre materie in cui la magia era coinvolta, secondo cui appunto ogni incantesimo richiedeva in cambio una determinata quantità di energie vitali: accendere un fuoco dal nulla richiedeva una certa quantità, mentre evocare una barriera avrebbe privato il mago di una parte di energie ogni volta che quella avrebbe assorbito il danno per proteggerlo, e persino uno scontro tra due menti in alcuni casi poteva richiedere un coinvolgimento delle energie vitali di una persona. Guarire era tra le cose che più richiedeva energia, perché appunto si dovevano possedere abbastanza energie per due persone. O anche di più, se si voleva guarire più di un ferito.
Ma li rassicurò dicendogli con un largo sorriso che più si fossero impratichiti meno fatica avrebbero fatto a sostenere quel determinato tipo d’incantesimo: uno Specialista in Guarigione avrebbe tranquillamente potuto risanare le ferite di un centinaio di persone senza risentirne, come uno Specialista in Difesa avrebbe potuto evocare barriere di notevoli dimensioni e spessore per lungo tempo e assorbire una quantità incredibile di danni a spese della propria energia, mentre al contrario avrebbe probabilmente faticato a guarire più di cinque persone, come chi era specializzato in Guarigione difficilmente sarebbe riuscito a difendere qualcuno oltre a se stesso.
Alla fine, gli disse, era soltanto questione di tempo, pratica e conoscenza del tipo di magia che stava utilizzando. E a tal proposito annunciò che dalla lezione seguente avrebbero studiato l’anatomia umana per avere la base da cui partire: senza sapere cosa curare non si poteva riparare un danno, esattamente come non si poteva operare un paziente senza essere un medico e aspettarsi che ne uscisse vivo.
Dopo pranzo toccò all’ultima materia, insegnata da Dalca, un uomo piuttosto anziano e dall’aspetto fragile, capelli brizzolati e occhi scuri, indossava dei normalissimi abiti, quasi da contadino ma di tessuti decisamente più pregiati, di varie tonalità di marrone. Dopo averli chiamati li condusse verso l’ultima torre, la quale si affacciava sulla parte secondaria del cortile e vi si accedeva direttamente, attraversando solo un corridoio della stessa ampiezza delle mura che chiudevano il cortile.
La torre marrone era la più bassa in cui si potesse tenere lezione - l’unica più bassa ancora era quella più lontana, dove a quanto pareva si svolgevano gli esami e i test per avanzare di rango - ed era di media ampiezza, alla pari di quelle d’Alchimia e Guarigione. Guardandola dal basso sembrava essere più che altro un agglomerato di balconi che li lasciò a bocca aperta. Entrando nell’atrio - costruito in pietre marroni e sul cui pavimento lucido era ripetutamente inciso il simbolo di un fiore con otto petali a punta - in effetti notarono subito che questa volta le scale erano disposte al centro, salivano ugualmente a spirale ma erano molto più strette e ripide. I soffitti di ogni piano, compreso l’atrio, erano bassi, forse dovuto al fatto che essendo la torre stessa non molto alta si era dovuto risparmiare spazio, o perché le scale non risultassero troppo ripide.
A intervalli regolari e in corrispondenza dei quattro punti cardinali la scala s’interrompeva brevemente per lasciare spazio alla porta che conduceva a un’aula o a una stanza, per poi proseguire più avanti e salire alla successiva. Gli toccò salire fino alla quarta porta, dunque Dalca li invitò a entrare prima di lui.
L’aula era quasi completamente aperta e in realtà occupava tutto il piano. L’unica parete esterna stava dietro i banchi, i quali erano rivolti verso il centro della struttura; tutto il resto del piano era occupato da erba e terra, sulla quale crescevano diverse specie di fiori, arbusti, funghi, piante insolite e persino qualche albero. Gli parve di trovarsi in un enorme giardino sotto un porticato interrotto dalla pietra soltanto dove gli studenti si sarebbero seduti per ascoltare la lezione. Il poco spazio libero tra cattedra e banchi era occupato dal simbolo della materia ricoperto di lucida resina trasparente.
Con gli occhi incollati sull’ampio balcone a cielo aperto, gli studenti presero posto e l’insegnante cominciò la sua lezione mentre ancora la gran parte dei ragazzi stava prendendo il materiale per gli appunti.
Parlò con voce lenta e flebile di cosa si sarebbe studiato in quella materia: non solo avrebbero imparato a distinguere e riconoscere tutte le specie animali e vegetali di cui gli Umani erano a conoscenza studiandone anche l’anatomia, ma anche a controllare la flora - sfruttando in maniera trasversale l’elemento Terra - e a trarre energie vitali oltre che da essa anche dalla fauna, per rigenerare le proprie in caso di estrema necessità; spiegò loro che non era mai bello privare altri esseri viventi delle loro energie senza consenso, anche perché una perdita troppo sostanziosa di energie avrebbe potuto condurre il donatore a svenimento, coma o morte.
Jennifer aveva lo sguardo costantemente volto al balcone, ma non era l’unica: anche Ovittalia, Reanne - una bella ragazza dalla pelle chiara, le giuste curve, occhi verdi e lunghi capelli quasi neri - Mjlner - una donna che pareva avere più di vent’anni, dai grandi occhi e i lineamenti taglienti - Tegro - un giovane uomo dal corpo robusto, la pelle scura e testa quasi interamente rasata - e Hranda - una ragazza molto alta dai lunghi capelli neri e la pelle ambrata - continuavano a guardare le numerose piante, molte delle quali erano sconosciute a ognuno di loro. Dalca, sebbene li vide, non li rimproverò e non interruppe la sua lezione, semplicemente consapevole che una disattenzione l’avrebbero pagata nel momento dei compiti o dei test.
A lezione finita tornarono al refettorio, ormai il sole era calato ma diverse lanterne illuminavano i sentieri del cortile, o in alternativa globi di luce fluttuanti. Qualche studente delle classi più avanzate sfoggiava la propria abilità nel controllare gli elementi per fare luce ai compagni.
Mangiarono animatamente discutendo della settimana, tutta la loro classe riunita per stare tutti il più vicino possibile, e andarono a letto con la testa pesante e le braccia doloranti per tutti gli appunti presi. Avevano ora davanti due giorni di riposo, dopodiché la routine sarebbe ricominciata da capo, identica per altre tre settimane.

Il giorno successivo, dopo aver pranzato, indossarono le loro vesti da Novizi così che gli sarebbe stato più facile poter rientrare in città, perché avevano intenzione di andare a trovare i piccoli draghi. Camminarono senza andar a recuperare i loro cavalli alla stalla, in modo che Cedric non fosse costretto a incontrare quell’individuo spregevole - era già di un umore sufficientemente pessimo senza che succedesse nulla per peggiorarlo.
Lungo la strada vennero seguiti da sguardi curiosi per via dell’abbigliamento e l’assenza di giacche, pastrani o mantelli, perché le loro comode vesti sebbene fossero di un tessuto leggero riparavano bene dal freddo invernale. Ma a parte quello la gente si teneva alla larga, come se studiare magia equivalesse ad avere la peste, nonostante indossassero i guanti come stabilito dalla legge vigente. A loro non dispiacque: la gente si apriva in due ali per farli passare persino nell’affollatissima via Maestra.
Lasciarono la città senza alcun problema, a malapena guardati dalle guardie che erano più occupate a controllare bene chi entrasse, e si diressero immediatamente verso il boschetto a nord poco lontano, sperando che, essendo giorno, i draghetti fossero lì a sonnecchiare in attesa della notte per cacciare, bere o sgranchirsi le ali.
Li chiamarono a bassa voce, in caso ci fosse qualcuno oltre a loro a passeggiare nel bosco, e infatti ci misero parecchio a trovarli perché i cuccioli stavano piuttosto inoltrati; si erano trovati un agglomerato di vecchie tane di volpe scavate sottoterra, che avevano prontamente provvisto ad allargare per potervi entrare con le ali, e quando avvertivano qualcuno avvicinarsi troppo si nascondevano lì, acciambellati in attesa che il pericolo passasse.
Appena furono certi di essere rimasti completamente soli coi ragazzi i draghetti uscirono allo scoperto e Sulphane corse subito incontro a Susan.
La ragazzina però mise le mani avanti ed esclamò: «No no no! Ti prego non graffiare queste vesti, ne ho solo una di ricambio! E desterebbe sospetti!»
La piccola dragonessa si era fermata al secondo ‘No’ guardandola stupita, ma appena comprese la motivazione le rispose tranquilla: Ho capito, non c’è problema.
«Scusami! Però puoi strusciarti!» continuò ora allegramente.
Sulphane scodinzolò contenta e si avvicinò ora più cautamente lasciandosi coccolare, così i ragazzi notarono che ormai i draghetti erano alti in media fino alla loro metà coscia.
«Come crescete in fretta...» commentò Mike senza parole osservando Zaffir, che pur essendo tra i più bassi superava il suo ginocchio.
Umbreon si tenne a distanza da tutti per evitare di graffiare le loro vesti da maghi con le spine o con le dure scaglie del ventre, e lo stesso in un certo senso fece Smeryld. Non che entrambi fossero particolarmente affettuosi, raramente si strusciavano o si lasciavano coccolare da qualcuno che non fosse il loro compagno. Zaffir invece più di una volta dovette resistere alla tentazione di fare i suoi agguati a Mike.
Dopo averli coccolati per bene e aver commentato la crescita delle loro spine, corna, denti e artigli, finalmente i ragazzi si sedettero sul terriccio freddo e umido e gli raccontarono di Eunev, saltando i particolari peggiori di cui nessuno voleva parlare, e poi passarono alle tre prove per entrare a scuola e della scuola stessa, dilungandosi sulle lezioni della settimana anche un po’ per essere certi di aver capito tutto e ricordare ogni cosa.
I draghi li lasciarono parlare senza fare domande.
Finito il racconto Jennifer disse come per mettere una pezza a un problema mai menzionato: «Ma verremo qui ogni fine settimana, non vi preoccupate! Non lasceremo passare di nuovo così tanto tempo!»
Sono felice che siate venuti le disse Rubia con fare divertito Cominciavate a mancarmi davvero.
Jennifer si finse offesa: «Cominciavamo, eh? Voi mi siete mancati da subito!»
A Susan era tornato il malumore ripensando alla sua prima lezione di Storia e appena Sulphane le chiese cos’avesse la ragazzina si lanciò in un furioso sfogo con tanto di gesti sorprendentemente violenti e un tono di voce rauco e sprezzante. Lasciò attoniti tutti quanti, ma in particolare la piccola dragonessa gialla che si pentì di averle fatto quella domanda.
Alla fine Susan scosse la testa e concluse con fare irritato: «Oh, lasciate perdere! La signorina le prenderà di santa ragione appena faremo pratica!»
Mike si mise quindi le mani sulle ginocchia e domandò allegramente alle creature: «E voi invece? Cos’avete da raccontarci?»
Allora i draghetti, uno alla volta per non affollare le menti dei ragazzi, raccontarono di come avessero trovato e ampliato la loro tana, dei loro brevi voli di notte a bassa quota nella prateria più a est - per non avvicinarsi alla città e quindi alla gente - e Smeryld disse di come avesse tramandato ai fratelli le sue nuove conoscenze su prede e predatori, ma anche le strategie di caccia che aveva imparato l’ultima volta che aveva accompagnato Cedric per i boschi.
Tutto sommato i ragazzi dedussero con non poco sollievo che se la stavano davvero cavando molto bene anche senza loro, proprio come aveva detto Nerkoull.
Rimasero nel bosco a giocare spensierati insieme a loro fino a che il sole cominciò a calare dietro l’orizzonte e l’aria si fece tanto fredda anche sotto quelle magiche vesti. Come promesso i draghetti non le avevano graffiate o sgualcite, ma rotolandosi per terra Mike Andrew e Jennifer le avevano un poco sporcate.
Solo sulla strada del ritorno si domandarono se la servitù le avrebbe lavate o se invece sarebbe toccato a loro; ma nel primo caso non avevano idea di dove lasciarle perché le portassero a lavare, e nel secondo non avevano idea di dove poterle portare per lavarle al di fuori dei bagni in comune.
Davanti al cancello d’ingresso una guardia li adocchiò in mezzo alla folla e fece loro cenno di affrettarsi a entrare. Mentre i ragazzi gli passavano di fianco l’uomo spiegò che i cancelli della città chiudevano appena il sole completamente spariva all’orizzonte e consigliò loro di tenerlo bene a mente se avevano intenzione di fare altre escursioni tra un giorno di lezione e l’altro.

Il giorno dopo passò pressapoco come il precedente, con la differenza che nel tempo tra la colazione e il pranzo decisero di ripassare le lezioni della settimana trascorsa, costringendo Cedric a rileggere tutti i suoi appunti. Il ragazzo, sebbene visibilmente scocciato, dovette arrendersi perché appena cercò di protestare se li ritrovò tutti contro. Perciò si riunirono tutti in una stanza e lì rimasero fino a che sentirono il campanile scoccare l’ora di pranzo, finito il quale andarono a trovare i piccoli draghi.

  
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