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Autore: sil_c    12/04/2017    0 recensioni
Questa storia rappresenta la sesta serie del telefilm Covert Affairs così come la immagino io, dopo che ne è stata sospesa la produzione da parte dell'emittente televisiva americana USANetwork.
non possiedo né i diritti né i personaggi della serie, tranne alcuni personaggi secondari che mi sono serviti per raccontare la mia storia.
Annie è un ex agente opertivo della CIA, ora alle dipendenze di Ryan McQuaid, nella McQuaid Security. Sia Ryan che Annie partecipano personalmente a diverse missioni e servizi di scorta a personaggi politici importanti.
Durante una di queste missioni, il convoglio col quale viaggiano viene attaccato dai guerriglieri jihadisti, in Mali.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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~~Capitolo 20

Annie pensava velocemente, analizzando con cura tutte le possibilità.
Prima di tutto doveva riuscire a sapere quanti uomini erano e che tipo di armi avessero. Poi doveva riuscire a liberarsi, ma questo le parve molto più facile da farsi di tutto il resto. Se ci fosse riuscita, avrebbe poi pensato al resto.
Una cosa alla volta.” si disse. Osservò con attenzione le corde e le catene con le quali era legata. La spilla che aveva sotto la tunica probabilmente avrebbe potuto servirle. Khennuj le aveva insegnato come nascondere tra le pieghe della tunica spille e forcine perché “non si sa mai, potrebbero sempre servire.”
Cara Khennuj, quanto avevi ragione.” pensò Annie. Doveva solo aspettare il momento propizio per liberarsi. Le corde le sarebbero poi servite per legare eventualmente gli uomini che l’avevano rapita.
Ora doveva pensare a come sapere quanti uomini fossero presenti nell’edificio. Poco dopo entrò uno di loro portando un piatto con del cibo; la fece alzare, avvicinò una sedia e il tavolino e appoggiò il piatto perché la ragazza potesse mangiare.
“Mangia e accontentati, perché fino a domani non vedrai altro.” le disse.
Annie mangiò con calma, cercando di osservare l’uomo senza farsi notare. Camminava nervosamente avanti e indietro nella stanza, controllava continuamente l’orologio e si era affacciato alla finestra almeno tre volte.
È nervoso, forse aspettano qualcuno. Questo potrebbe complicare le cose.” pensò Annie. Doveva agire in fretta. Guardò l’uomo con insistenza.
“Che hai da guardare?” le chiese. Annie gli fece intendere che aveva sete e che aveva bisogno del bagno. L’uomo uscì e pochi minuti dopo rientrò con uno dei suoi compagni, questa volta erano entrambi armati. La slegarono e la portarono fuori dall’edificio. Annie tenne la testa bassa, per cercare di non dare nell’occhio: non le avevano messo il cappuccio e questo le avrebbe permesso di osservare attentamente la situazione circostante, ma se si fossero accorti di questa mancanza…
L’edificio nel quale l’avevano rinchiusa era fatto di mattoni d’argilla e pietre. Attorno ad esso vi erano almeno altre quattro costruzioni, dietro una delle quali vide il furgone. Era l’unico mezzo, quindi dovevano essere arrivati con quello. Poco lontano dagli edifici c’era una torre nel mezzo di una piazza e tutto era circondato da mura. Cercando di tenere la testa più bassa possibile, Annie memorizzò tutto quello che vedeva. Poi il suo sguardo fu attirato da una costruzione abbastanza imponente, che le ricordava una fortezza. Entrarono in un altro edificio, nel quale le permisero di soddisfare i suoi bisogni corporali, poi le diedero da bere e la riportarono nella stanza che era la sua cella.
Nel breve tragitto non aveva notato altri uomini oltre ai tre che già aveva visto. Avevano dei kalashnikov a tracolla e il volto coperto da un velo avvolto attorno alla testa come un tagelmust, il tipico velo dei berberi.
Dunque, due di loro sono Yebraim e Medruk.” pensò. Il terzo uomo era quasi certa che fosse un francese poiché parlava perfettamente la lingua. Ma parlava anche molto bene il berbero. A lui ci avrebbe pensato con calma. Ora doveva concentrarsi sui due fratelli. Yebraim le sembrava più fragile e vulnerabile, doveva lavorare su di lui. Forse se l’avesse convinto a liberarla… Questo però significava rivelargli che non era muta. E se si fosse sbagliata sul suo conto? No, non poteva essersi sbagliata: i suoi occhi più di una volta avevano rivelato il suo stato d’animo davanti a lei. Le era sembrato di percepire il suo disaccordo col fratello in più di un’occasione all’oasi di Taoudenni. Doveva verificare che fosse davvero così.
Entrambi i fratelli entrarono nella stanza dov’era tenuta legata. Mebruk entrò per primo, Yebraim era alle sue spalle. Lo sguardo di Mebruk era beffardo, quello di Yebraim preoccupato e allo stesso tempo torvo.
“Bene, ragazza mia.” le disse Mebruk “Vediamo se sei veramente muta”. Si tolse il velo dal viso, si diresse verso di lei, la slegò dal muro e la buttò con forza sui cuscini. Annie lo guardò molto spaventata. Mebruk si tolse la tunica rimanendo a torso nudo. Nei suoi occhi Annie vide crudeltà e lussuria. E ne ebbe paura.
“Preparati, fiorellino. Ora conoscerai un vero uomo.” sentenziò Mebruk, lasciandole chiaramente capire quali fossero le sue intenzioni. Le strappò la tunica, poi la bloccò a terra salendole cavalcioni sulle cosce. Con una mano le bloccò i polsi legati sopra la testa e con l’altra finì di strapparle di dosso gli abiti. Poi si allentò la cintura dei pantaloni e se li calò fino a mezza coscia. Le aprì le gambe e con le dita cominciò a toccarla e penetrarla intimamente. Annie cercò di divincolarsi, ma il peso dell’uomo sul suo corpo le rendeva difficile ogni movimento. Annie non emise un gemito.
“Fiorellino, vedrai che ti farò parlare… urlerai di piacere.” sogghignò Mebruk affondando il suo viso tra i lunghi capelli di lei.
Annie guardò Yebraim con gli occhi colmi di lacrime. Era rimasto nei pressi della porta, immobile, con lo sguardo carico di disgusto e di odio per il fratello.
Mebruk alzò leggermente i lombi, preparandosi ad entrare dentro di lei. Annie aspettò l’inevitabile, continuando a divincolarsi come poteva. Stava per chiudere gli occhi quando si accorse di un movimento fulmineo nella stanza. Improvvisamente si sentì inondare il viso e il torace da un liquido caldo e appiccicoso. Spalancò gli occhi e ciò che vide la inorridì. Yebraim aveva tagliato la gola al fratello e il suo sangue si riversò su di lei copiosamente.
Yebraim spostò il corpo del fratello da Annie, le tese la mano per aiutarla a rialzarsi, le porse la sua tunica perché si coprisse e le fece segno di seguirla. Annie capì che aveva avuto ragione, poteva fidarsi di lui.
Uscirono velocemente dall’edificio e si diressero in quello accanto, dove l’avevano già portata in precedenza.
“Qui potrai lavarti. C’è una vasca con dell’acqua. Non è molto, mi spiace.” Yebraim abbassò lo sguardo. “Ti lascio sola, se hai bisogno sono qua fuori.”
“Grazie” sussurrò Annie. Yebraim la fissò a bocca aperta per la sorpresa, poi le sorrise.
“Allora Mebruk aveva ragione, puoi parlare.”
“Sì.”
“Mi dispiace per quello che ti ha fatto. Non ho mai approvato i suoi modi.”
Annie annuì. “Lo hai ucciso per salvarmi. Perché?”
“Se lo avessi semplicemente allontanato da te, mi avrebbe ucciso lui. Tu non sai di cosa può essere capace quando è in quello stato.” La sua voce era profonda e triste. Aveva visto altre volte il fratello violentare delle ragazze, in quei momenti era davvero una furia. Aveva provato anche a fermarlo, ma si era reso conto che poteva essere più dannoso che lasciarlo fare. Quando provava quell’impulso irrefrenabile, non si riusciva a farlo ragionare, era come se fosse sotto l’effetto di qualche droga o fosse posseduto da chissà quale demone.
Annie annuì in segno di ringraziamento, poi si diresse alla vasca, si lavò e le parve di rinascere. Yebraim tornò, le porse un telo per asciugarsi e le diede i vestiti che era andato a prendere dove Mebruk glieli aveva strappati.
“Riesci a sistemarteli?” le chiese con tono gentile.
“Sì. Khennuj mi ha insegnato come usare spille e forcine.”
“Bene. Dovremo andarcene da qui il più presto possibile, domani mattina.”
Uscirono dall’edificio e si diressero al furgone. Il tramonto tingeva di tonalità accese il cielo, con sfumature dall’arancione al viola sempre più intenso. In pochi minuti sarebbe stato buio.
“Dormiremo nel furgone.” disse Yebraim.
“Dove siamo?” chiese Annie.
“Nella miniera di sale di Taghaza, circa 95 miglia a nord-ovest di Taoudenni. Ora è un’oasi. È stata abbandonata da moltissimi anni, ma i turisti a volte vengono in visita qui, non in questo periodo però.”
“Dove andremo?”
“Noi avremmo dovuto raggiungere i nostri compagni a Sigilmassa, in Marocco, nei prossimi giorni. Ora dovremo valutare bene la strada da prendere. Dovrò riportarti a Taoudenni, dai tuoi connazionali.”
“Ho sentito che l’hanno fatta esplodere.”
“Sì. I miei genitori sono ancora vivi, spero lo siano anche i tuoi amici americani. E spero siano ancora vivi anche Ghumer e la sua famiglia. Sono sempre stati molto buoni con me, fin da quand’ero bambino.”
“Perché mi hai salvato?”
“Cosa intendi?” Yebraim la fissò.
“Potevi semplicemente uscire dalla stanza e andartene, potevi ignorare quello che stava facendo tuo fratello, ma non l’hai fatto. Perché?”
“Non potevo solo far finta di niente. Mio padre, forse, non mi perdonerà mai.”
“Non hai risposto alla mia domanda.” disse Annie. Si guardarono per un lungo momento negli occhi, poi Yebraim distolse lo sguardo.
“Nel retro del furgone ci sono delle coperte e un paio di cuscini. Puoi dormire lì. Io resterò qui, così appena farà giorno partiremo. Se dormi, non ti sveglierò”
Annie lo ringraziò nuovamente, poi andò nel retro del furgone e si preparò per la notte. Nella sua mente aveva ancora lo sguardo di Yebraim, uno sguardo che le aveva detto più di molte parole. Capì che poteva fidarsi di lui, poteva farsi aiutare. E capì anche che lui l’avrebbe difesa, se fosse stato necessario. Ma più di ogni altra cosa capì il motivo per cui lui l’avrebbe aiutata. Yebraim si era innamorato di lei e, se da una parte questo la lusingò, dall’altra, ne fu dispiaciuta. Non avrebbe mai potuto ricambiare questo sentimento se non con della gratitudine, ma nulla di più.
Annie si sdraiò tra le coperte cercando di dormire, ma le immagini di Mebruk su di lei erano ancora così vivide nella sua testa che le impedirono di prendere sonno. Chiuse gli occhi e cercò di pensare a qualcosa che potesse tranquillizzarla. Tra i suoi pensieri si fece spazio quello che poteva essere un ricordo.
Stava camminando, fianco a fianco, con qualcuno; c’erano molte biciclette attorno a loro mentre attraversavano un ponte su un canale. Poi riconobbe la voce della persona che era con lei, quella voce calda e profonda. Dovevano essere in missione.
Voglio che funzioni.”
“Funzionerà. C’era un sergente al campo di addestramento, ci insegnò una cosa che non ho mai dimenticato. Andare in battaglia è come spegnere le candeline di una torta”
“Non capisco quello che significa.”
“Significa non pensarci troppo. Fai tacere i tuoi pensieri, fai silenzio nella testa. Chiudi gli occhi e pensa intensamente a una cosa positiva che vuoi. Oppure a una cosa che ami.”

   
 
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