Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: MZakhar    13/04/2017    0 recensioni
A chi non è mai capitato di affogare la propria delusione nell'alcol?
Sicuramente è successo a Vittoria – 23 anni, operatrice di un call-center – quando il suo, cosa? capo? fidanzato? amante?, ha deciso di darle buca proprio la sera in cui lei si aspettava di ricevere il tanto agognato anello... Ma si sa che l’alcol porta solo guai, soprattutto se brindando hai indossato vestiti firmati e affascinato ogni uomo del pub. Per questo al suo risveglio, non ricordandosi gran parte della serata, Vittoria sente di aver fatto qualcosa di sbagliato. Qualcosa che ha il volto di un uomo affascinante di cui non sa nemmeno il nome. Eppure... cosa sarà vero e cosa farà parte dell’immaginazione? A Vittoria non resterà che scoprirlo a proprie spese e per la prima volta, forse, riuscirà finalmente a vedere la sua vita dalla giusta prospettiva...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic




18
L E     L U C I     D I     S A N     L O M B A R D O



Mentre la voce preregistrata del servizio telefonico mi ripeteva che ''il cliente da me chiamato non era al momento raggiungibile'' i fari dell'auto di Diana mi illuminarono a giorno dentro l'abitacolo della Panda e poi si spensero. Scendemmo entrambe dai nostri veicoli sbattendo le portiere, circondate dal silenzio della notte, e ci incontrammo sotto il cono di luce del lampione, come in uno di quei vecchi film sullo spionaggio. Lei non mi salutò nemmeno (era di pessimo umore) e allungò semplicemente una mano ossuta in attesa della chiavetta che dovevo restituirle.
«Chi mi assicura che non hai mentito riguardo alle amicizie di Giorgia?» le domandai assottigliando lo sguardo.
Diana sbuffò e si frugò nella tasca. Poi mi allungò un pezzettino di carta: «sono sicura che ti sarà molto utile» disse senza particolare enfasi.
Esitai per un attimo riflettendo su quanto potesse davvero essermi utile una paginetta strappata dalla sua agenda. Ma poi decisi che comunque fosse desideravo lasciarmi alle spalle questa storia, quindi cercai la pennina e gliela passai, prendendo in cambio il foglietto. Diana strinse le informazioni che le stavo passando come fossero una reliquia e sul suo viso saettò un lampo di cupa soddisfazione. Involontariamente deglutii e mi sentii in colpa: e se avessi commesso qualcosa di spaventoso? Ma quasi subito scacciai questo pensiero e diedi un'occhiata al bigliettino: sopra, in un elegante grafia, c'era segnato l'indirizzo di una via non molto distante da qui. Lo ripiegai e me lo infilai nel portafoglio ripromettendomi di controllarlo più tardi dal PC.
«Spero che sia tutto» dissi a Diana.
Lei alzò a malapena gli occhi dal suo bottino. «Lo spero anch'io» confessò. «Aggiungerei che mi piacerebbe che mio figlio non ti rivedesse mai più, ma ho paura che non abbia più cinque anni e non mi ascolterebbe» sbuffò, poi girò sui tacchi e risalì in auto. La guardai allontanarsi nel buio, un tantino indispettita dal suo commento. Poi qualcosa frusciò tra gli alberi e spaventata mi sbrigai a ritornare anch'io dentro la Panda.
 
Le previsioni di Diana si avverarono il sabato mattina seguente.
Stavo giusto uscendo di casa – se così potevo definire la dimora di Nick – quando una moto risalì il vialetto e frenò con un impennata proprio di fronte a me. Diego si tolse il casco integrale dalla testa e mi guardò soddisfatto. Era riuscito a spaventarmi un'altra volta.
«Non finisco mai di stupirti, eh?» domandò ammiccando.
Mi portai una mano al cuore e lo guardai di traverso. «Se il tuo intento è quello di provocarmi un infarto, allora sì, sei sulla giusta strada» risposi e mi sistemai meglio il gommino sui capelli.
Lui mi ammirò (facendomi pure sentire a disagio), poi rise. «Sei pronta?» domandò battendo sul sellino posteriore.
Lo guardai interrogativa.
«Ti porto ovunque tu stia andando» chiarì lui sprizzando gioia.
«Non credo che là dove sto andando mi basterà una moto» osservai e lo aggirai andando ad aprire l'auto. Abbassai il seggiolino dal lato del guidatore e mi grattai pensierosa la fronte. Diego scese dalla moto per piazzarsi accanto a me.
«Cosa devi fare?» s'incuriosì.
«Trasloco» risposi semplicemente e con la coda dell'occhio notai che Diego si rabbuiò.
«Qui?» domandò riferendosi alla casa di Nick, quasi gli facesse schifo.
Sospirai paziente e feci un cenno col capo in assenso. «Qui.»
Lui si zittì per qualche secondo mentre io continuavo a prendere mentalmente le misure dello spazio a mia disposizione. Non avevo proprio tempo per questi discorsi e per fortuna Diego non volle insistere.
«Be', non so quanta roba dovrai spostare, ma non credo che questa scatoletta sarà sufficiente» disse dopo un po', affondando la testa all'interno della Panda.
Sbuffai offesa e lisciai il tettuccio della mia auto come una mamma premurosa: «non ascoltare l'uomo cattivo» dissi, «lui non ci conosce.»
Diego mi guardò perplesso. «Parli con la tua ferraglia?»
«Ehi!» esclamai allora più indignata di prima. «Esigiamo un po' di rispetto, qui.»
«Okay, okay» lui alzò le mani in segno di resa. «Chiedo scusa alla scat... volevo dire alla signora...»
«Signorina!» lo corressi di slancio.
«D'accordo, alla signorina Panda qui presente! Ma comunque sai che ho ragione.»
Squadrai di nuovo lo spazio sui sedili posteriori e sospirai. Sì, purtroppo aveva ragione, ma non vedevo come avrei potuto risolvere la cosa. Di sicuro avrei dovuto fare più viaggi per riuscire a trasportare tutto. Mi vennero i brividi al solo pensiero di tutta la benzina che sarebbe andata sprecata. Di toccare i soldi di Diana non ci pensavo nemmeno, erano andati dritti nel mio fondo ''isola'' e non volevo commettere nuovamente lo stesso errore. In altre parole, non avevo scelta. Almeno finché...
«Ho un'idea!» esclamò Diego e si strofinò le mani come una mosca prima di un banchetto. «Aspetta solo un secondo!»
Lo guardai interrogativa allontanarsi indietro alla moto e armeggiare con il telefonino. Fece una chiamata piuttosto rapida e dopo aver riagganciato tornò da me sprizzando nuova gioia.
«Che succede?» domandai diffidente.
«Puoi chiamarmi Superman» mi propose raggiante posandomi, in modo piuttosto rude, una mano su una spalla. «Scusa» si affrettò a dire quindi, togliendola.
Mi massaggiai il punto indolenzito in cui mi aveva colpito. «Non importa. Insomma, che cerchi di nascondermi?»
Diego mi rivolse un sorrisetto furbo. «Considerati tanto fortunata, un amico mi deve un favore» spiegò. «Avrai un vero camion da trasporti!»
Sgranai le palpebre. «Ah» esitai prima di assimilare quella notizia. «Grazie!» aggiunsi rapida.
«Non c'è di che» agitò una mano in aria, lui. «Naturalmente non c'entreremo mai tutti e cinque sui sedili del camion. Dovrò accompagnarti io» e con questo la sua espressione diventò più sorniona.
«Come sarebbe a dire tutti e cinque?» mi accigliai.
«Non penserai che caricheremo da soli tutta la tua roba?» obbiettò.
Ah, no?
«A che servono gli scaricatori allora?»
Aprii la bocca come un pesce lesso in cerca di una risposta, ma poi decisi che sarebbe stato poco carino controbattere. Inoltre era stato davvero gentile da parte sua smuovere un amico per me, perciò la richiusi e annuii, rivolgendogli un sorriso sinceramente grato.
«Okay, se abbiamo sistemato questa parte, vorrei chiederti un'altra cosa.» Diego esitò e si schiarì nervosamente la voce.
«Be', direi che dopo un favore del genere potresti chiedermi qualunque cosa» scherzai e subito mi resi conto di cosa potesse implicare una frase del genere. Sul viso di Diego infatti apparve una nuova luce; stava quasi esultando quando mi corressi: «qualunque cosa che un'altra amica che ti deve un favore possa fare.»
Il suo sorriso s'increspò. «Beh, che ne diresti di passare una serata in mia compagnia?» propose in tono apparentemente disinvolto e finse di trovare molto interessante l'orizzonte oltre le cime della boscaglia, alle mie spalle, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans. Mi aveva colto del tutto impreparata e sperai davvero che con ciò non intendesse che avremmo avuto un appuntamento romantico o qualcosa del genere.
«Senti Diego, sei molto carino e un bravo ragazzo...» esitai, non sapendo bene come proseguire senza rischiare di offenderlo.
«Iniziamo bene» sbuffò ironicamente lui, più a sé stesso che a me.
«Dico sul serio!» insistei. «Perciò posso accettare il tuo invito solo se mi prometti che sarà una semplice uscita tra amici. Non vorrei che tu pensassi che sia la solita scusa, ma ultimamente la mia vita è davvero, davvero incasinata. Quindi non potrei... mmh... no, non vorrei mai illuderti» dissi in tutta sincerità. Ero un po' stanca dei giochetti e fui sollevata di vedere che Diego la stesse prendendo abbastanza bene – anche se il suo pomo d'Adamo si mosse un paio di volte su e giù e i suoi occhi si piantarono come paletti nei miei per un secondo di troppo. Poi però sorrise scuotendo la testa e i lineamenti del suo viso si rilassarono. «Frena, ragazza!» disse fingendosi turbato. «Credi di essere tanto attraente da far capitolare ogni uomo che incontri?» mi rivolse un'occhiata scandalizzata e scoppiammo entrambi a ridere. Mi arruffò i capelli.
Forse, e solo forse, avrei potuto provare a dargli una possibilità. Che ci perdevo in fondo? Dopo tutto Nick era sparito, il suo telefono risultava staccato da diversi giorni e Jerry non era più tornato a trovarmi, per cui non potevo nemmeno sperare di carpirgli qualche informazione. E ieri sera ero arrivata a sentirmi talmente frustrata riguardo a tutta questa storia da aver giurato di fronte all'Universo (e una costosissima bottiglia di Gin rubata dalle riserve dell'angolo bar) che avrei sposato il primo uomo che sarebbe apparso sul vialetto. E oggi eccolo qui. Per cui magari era destino. Ridacchiai tra me e me e mi posai una mano sulla bocca, suscitando evidenti interrogativi da parte di Diego. No, non potevo ingannarmi di nuovo e non volevo ingannare lui, proprio come gli avevo detto. Quindi scossi la testa come a dire ''non far caso a me'' e scacciai a forza dalla testa il ricordo della voce preregistrata della tizia del centralino telefonico.
«Allora passo alle sette?» domandò Diego.
«Facciamo alle sette e mezzo e l'affare è fatto!» sorrisi.
Lui annuì e in quel momento sentimmo l'arrivo di un veicolo pesante che risaliva la strada.
«Dev'essere il mio amico» disse e quando il camion (che per correttezza era più simile al camioncino dei hot dog che a un vero veicolo di trasporto merci) si fermò e ne uscì un ometto basso e stempiato, i due si salutarono.
«Oh bimbo!» gli gridò l'ometto. «E se ci davi l'indirizzo un era meglio?!»
«Ah» fece Diego. «Non ci avevo pensato» si schiarì di nuovo imbarazzato la voce ed evitò di guardarmi. Scossi la testa sghignazzando; Mr. Superman-penso-a-tutto-io!
«Via Giannotti, 23» risposi al posto suo. «Vi facciamo strada.»
L'ometto mi fece l'OK con le dita in modo buffo e risalì a bordo del camioncino. Diego si mise in sella alla moto.
«Che fai?» gli chiesi allora.
«Non penserai che viaggerò a bordo di quel trabiccolo?» domandò lui riferendosi alla mia auto e fece apparire magicamente un secondo casco.
Lo fissai per niente convinta. «Scherzi, vero?»
«Neanche un po'!» rispose fermamente Diego e dal camioncino risuonò il clacson per incitarci a darci una mossa. Allora gettai un'ultima occhiata alla mia Panda e con una pacca desolata sul tettuccio richiusi la portiera.
Diego voleva davvero farmi venire un infarto!
 
Ci avevamo messo meno tempo del previsto a svuotare il mio vecchio appartamento, e sicuramente la maggior parte del merito era stata degli uomini che erano arrivati in mio soccorso su richiesta di Diego. Fui felice di aver avuto quell'aiuto, poiché da sola non sarei mai riuscita a trasportare alcuni dei mobili – un particolare a cui non avevo certo pensato mentre stavo valutando la mia Panda.
Anche Diego mi era sembrato raggiante nonostante la fatica: si era offerto di trascinare la mia vecchia scrivania da solo. Per sei piani di scale. Come ci fosse riuscito senza stroncarsi l'osso del collo rimaneva un mistero per me, ma lui non si era mai lamentato. Al contrario, ci era sembrato addirittura che volesse fare tutto il lavoro da solo, persino dopo tutti i discorsi sull'importanza di avere degli scaricatori. La sua buona volontà mi aveva fatto sorridere e mi stavo persino dimenticando del fatto che da quel momento non avrei più avuto una casa, quando a rovinare tutto era arrivata la signora Petrelli.
Non aveva proferito parola, si era semplicemente piazzata all'uscita del palazzo con aria soddisfatta e ogni tanto, mentre passavo con gli scatoloni, mi gettava un'occhiata trionfante come a voler dire: «alla fine ho vinto io.» Per un secondo mi era balenata l'idea di risponderle qualcosa di cattivo, di esprimere il dispiacere per il fatto che l'incendio non fosse riuscito a intaccare il suo appartamento. Ma poi avevo incontrato Giacomina che era di ritorno dal mercato e il suo caldo abbraccio mi aveva persuaso a lasciar perdere. Avevo tante persone che mi volevano bene e preferivo pensare a loro.
«Prendi le mele» insistette Giacomina mentre uno degli uomini stava richiudendo le ante del furgone. «Fanno bene!»
«Lo so, lo so» le sorrisi. «Ma non vorrei togliertele.»
«Macché!» agitò una mano in aria con noncuranza, lei. «Non mi piacciono nemmeno. Le ho prese per fare una crostata, ma posso farla anche con le pere» e così dicendo mi spinse il sacchetto delle mele tra le mani e i suoi occhi si fecero lucidi.
«Grazie Giacomina.» Le stampai un bacio sulla guancia e infine salii sulla moto.
Ma prima che potessi abbassare la visiera, Giacomina aggiunse: «E salutami tanto quel bravo ragazzo di Nicholas! Hanno portato via i miei alberi l'altro giorno, mi ha chiamato per dirmi che potevo andare a trovarli. Così l'ho fatto e mi sono commossa tantissimo. Li hanno ripiantati in un bel giardino davanti alla nuova banca e li trattano come se fossero speciali. In mezzo hanno anche piazzato una bella targa d'oro in memoria di mia figlia, sai?» tirò su col naso e si tamponò gli occhi con un fazzoletto di stoffa.
Io invece m'impietrii. Il mio cuore si fermò per un attimo perché quello che aveva detto poteva significare una cosa sola: Nick mi stava evitando. L'ha chiamata solo qualche giorno prima, mentre a me continuava a risultare non raggiungibile. Non si era nemmeno degnato di farmi sapere che stava bene. Niente. Neanche una parola. Che cosa gli avevo fatto?! A quel punto anche i miei occhi si appannarono, ma non potevo farmi vedere così da Giacomina, per lei Nick era una specie di eroi.
«Certo» le promisi quindi sforzandomi di sorridere. «Glielo dirò.»
 
Tornati alla villetta gli scaricatori mi aiutarono a mettere via i mobili nel garage annesso al retro casa. Sperai che a Nick non sarebbe dispiaciuto che avessi preso quella decisione senza consultarlo, ma poi mi tornò in mente la voce preregistrata della sua segreteria e le parole di Giacomina e decisi che si meritava decisamente di trovare il garage ingombro della mia roba.
Quando gli uomini se ne furono andati, Diego rimase sul vialetto a rigirarsi il casco tra le mani, indeciso su qualcosa. Lo guardai in attesa, ma lui non alzò lo sguardo su di me, per cui parlai per prima.
«C'è qualcosa che devi dirmi?» domandai.
Lui arricciò le labbra e alzò fugacemente una spalla. «Probabilmente non sono affari miei...» iniziò e mi misi subito sulla difensiva, incrociando le braccia sul petto. «Mia madre è andata a festeggiare l'altra sera.»
«E...?»
Diego mi guardò. «Ha ricevuto delle informazioni...» disse e attese che avessi una qualche reazione. In effetti mi mossi a disagio sul posto e involontariamente distolsi gli occhi da lui per osservare la luce che avevo lasciato acceso al piano di sopra. No, non gli avrei confessato nulla, anche se ero certa che sapesse chi gliele avesse passate.
Diego strinse le labbra e riprese a rigirarsi il casco tra le mani. «In ogni caso, non giudicherei mai chiunque sia stato. Mia madre sa essere persuasiva» disse, insinuando chiaramente che fossi stata io. Dopodiché mi sorrise di nuovo, s'infilò il casco e salì sulla moto. «Be', ci vediamo tra un paio d'ore! Ho delle cose da sistemare» esclamò facendomi l'occhiolino e con questo se ne andò senza voltarsi più indietro.
Lo osservai sparire e sospirai; avrei dovuto spiegargli come stavano le cose, ma mi sentivo al pari di una ladra – cosa che in verità ero.
Ci riflettei su sentendo i brividi scorrermi sulla pelle come cubetti di ghiaccio. Quindi rientrai in casa e andai dritto nel bagno padronale dove aprii il rubinetto dell'acqua calda. Mentre la vasca si riempiva, mi tornò in mente il foglio che avevo trovato nella stanza del motel dove adesso abitava Carlo. Non l'avevo più considerato con tutto quello che mi era successo, quindi presi il telefono, tornai in bagno, mi sedetti sul bordo della vasca e ritrovai le foto scattate. Mi fermai all'ultimo messaggio, quello che non avevo finito di leggere perché ero stata interrotta da Carlo, e lo rilessi da capo, per intero:
 
+39347******9
[17.00]
Non puoi permetterti un altro sbaglio, Nick. Tuo padre sta perdendo la pazienza. Ha bisogno di risposte, ha bisogno di capire perché i suoi soldi continuano a sparire. Non sei tornato qui per perdere tempo andando dietro a una ragazzina.
 
Mi si formò un groppo in gola, perché ero certa che quel tizio (ammesso che fosse un uomo) stesse parlando di me e di certo non in un tono esultante. Ma lo scambio di messaggi non finiva lì.
 
+39388******0
[17.08]
Quello che faccio nel mio tempo libero non riguarda nessuno.
Cerca lo stemma, il resto è un mio problema.
 
+39347******9
[17.19]
Volevo solo avvertirti che il tuo vecchio non è contento dei tempi lenti con cui procedono le cose, inoltre potresti immischiarla in situazioni spiacevoli.
Comunque farò come mi hai chiesto.
Intanto so per certo che...
 
Il messaggio si interrompeva bruscamente. Strisciai inutilmente sullo schermo per cercare di ingrandirlo, ma nella fretta di scattare la foto dovevo aver tagliato un pezzo della frase. Frustrata, strinsi troppo la presa e il telefono mi sgusciò dalle mani come una saponetta finendo dritto nella vasca piena d'acqua. Purtroppo non feci in tempo ad acchiapparlo e lo osservai con occhi pieni di terrore inabissarsi come un relitto. Si era spento immediatamente ed era morto.
«No!» esclamai ripescandolo. Mi bagnai la manica della felpa fino al gomito e feci traboccare dell'acqua per terra su cui per poco non scivolai mentre mi raddrizzavo. Il mio solito, cattivo karma stava colpendo di nuovo e mi sentii in diritto di imprecare a voce alta mentre scalcavo via le scarpe per non rischiare di scivolare un altra volta. Poi mi tolsi anche la felpa e i jeans, scossi il cellulare come se questo potesse servire a riportarlo in vita e alla fine lo buttai sopra il mucchio di vestiti.
«Al diavolo!» sbuffai finendo di spogliarmi per entrare nella vasca. Avevo l'impressione che il telefono non sarebbe risorto in alcun modo.
Un'ora e mezza più tardi stavo finendo di truccarmi e stranamente ero in perfetto orario. Avrei voluto avere ancora il mio cellulare per sapere se Diego fosse già partito, ma grazie alle mie mani di burro ero rimasta tagliata fuori dal mondo. Per fortuna Nick era provvisto di un cordless, perciò avevo già avvertito i miei e anche le ragazze. Tuttavia non poterli tenere aggiornati in tempo reale mi rendeva nervosa. Incredibile che solo qualche decennio prima la gente non li aveva nemmeno, i telefonini.
Queste elucubrazioni occuparono una buona parte dei minuti seguenti, perlomeno finché non sentii una macchina parcheggiare nel vialetto. Gettai un'occhiata fuori dalla finestra del bagno e vidi che Diego scendeva da una bella BMW lustrata a nuovo. Era dannatamente elegante e mi sentii quasi sciatta con i capelli raccolti in una disordinata crocchia e il mio vestito ''per tutte le occasioni''.
Quando bussò presi un bel respiro e andai ad aprire. Dalla soglia, Diego mi guardò come se mi vedesse per la prima volta e sul suo viso si dipinse un espressione assorta. Se stava pensando che fossi carina conciata così, doveva avere qualche problema serio.
«Sei pronta?» mi domandò porgendomi un braccio. Annuii e prima di uscire presi la borsetta e un soprabito, sperando che si ricordasse che il nostro non fosse uno di quei appuntamenti. Lui comunque sembrava sereno, per cui mi rilassai anch'io ed entrai nell'auto ringraziandolo per avermi tenuto aperta la portiera. Non era male sentirsi trattare da principessa di tanto in tanto.
«Qual è la destinazione?» gli domandai non appena ci spingemmo oltre i confini della città. Lui mi rivolse un sorriso enigmatico, ma non rispose. «Eddai!» lo pregai con lo sguardo.
«Non se ne parla» rispose allora Diego. «Voglio che sia una sorpresa!» e con questo accese la radio su una canzone rap un po' stupida e si mise a canticchiarla mimando facce buffe per farmi ridere. Funzionò e il tempo trascorse veloce, tanto che non mi accorsi nemmeno che eravamo arrivati.
«Wow!» esclamai con un sorrisetto beffardo, osservando il buio. «Siamo nel bel mezzo del nulla.»
Al che Diego mi rivolse uno sorriso enigmatico e scese dall'auto per venire ad aprirmi. Mi porse la mano per aiutarmi a scendere dall'auto – dire che il buio e i tacchi a spillo non siano amici è riduttivo – e guidandomi pazientemente affinché non inciampassi, mi condusse verso la fine del sentiero boschivo che si apriva in una specie di arco naturale. Non appena sbucammo in un ampio spazio delimitato da un antico muretto, mi si mozzò il fiato. Lasciai la presa di Diego e corsi avanti.
«Oh mio Dio!» esclamai come una bambina il giorno di Natale. «Da qui sopra si vede tutta la città!» osservai ammirata e mi girai esultante verso Diego che ricambiò la mia espressione con un sorriso più moderato. Mi raggiunse al muretto e prese una profonda boccata d'aria, fissando le luci di fronte a noi che si dissipavano come una distesa di stelle colorate.
«Ho scoperto questo posto per caso qualche anno fa» mi confidò, appoggiandosi con le mani contro le antiche pietre. Osservai il suo profilo stagliarsi contro il cielo limpido e sorrisi, grata ancora una volta di poter avere persone come Diego al mio fianco. Poi tornai ad osservare la città sotto di noi e respirai a pieni polmoni l'aria pulita del monte.
«È incredibile» sorrisi e tra noi calò un breve silenzio solenne in cui i miei pensieri tornarono inevitabilmente a Nick. Ero sinceramente grata a Diego per avermi fatto scoprire un luogo così speciale, ma la verità era che avrei voluto essere qui con un'altra persona. Questa consapevolezza smorzò un po' del mio entusiasmo e il mio stomaco brontolò a peggiorare la situazione. Purtroppo Diego se ne accorse e mentre gli rivolgevo una faccia imbarazzata lui sogghignò.
«Hai ragione. Ti avevo promesso una cena» disse e prendendomi per le spalle, mi voltò verso sinistra. Ero stata così presa dal paesaggio che non mi ero nemmeno resa conto che ad appena tre metri da me c'era un tavolo imbandito a festa. I vari piatti coperti dalle campane fecero brontolare il mio stomaco ancora più forte e mi domandai se si potesse sembrare più disagiate di così.
«Andiamo!» mi sospinse delicatamente Diego. «Sto morendo di fame» aggiunse e fui certa che l'avesse detto solo per tirarmi fuori dall'impiccio.
In ogni modo non me lo feci ripetere due volte e lasciando che mi scostasse la sedia, mi accomodai a un capo del tavolo. Diego invece non si mise a sedere subito, prima si frugò in una tasca dei pantaloni e ne cacciò fuori un accendino con cui accese le due candele al centro. Incredibilmente, quella luce fu sufficiente per rischiarare la tavola e attesi pazientemente che anche lui si mettesse a sedere per iniziare a scoprire i piatti. Dentro il più grosso si nascondeva la pasta ai frutti di mare, in quelle accanto gamberetti e polpo conditi di rucola e limone. Dovetti trattenermi per non assalire tutto quel ben di Dio.
«Prendi pure un po' di tutto» mi invitò Diego, forse perché aveva notato la mia espressione avida. Gli rivolsi un mezzo sorriso impacciato e tentai di darmi un contegno mentre seguivo il suo consiglio. Non appena ci fummo serviti, presi una forchettata di spaghetti e guardai di nuovo il panorama. Era una serata surreale e non potei fare a meno di mordermi un labbro pensierosa con la forchetta ancora sospesa a mezz'aria.
Diego si tamponò la bocca con un tovagliolo e inarcò un sopracciglio. «Credevo che avessi fame» osservò. «Non ti piace qualcosa?» s'incupì e mi affrettai a scuotere la testa.
«È tutto perfetto» gli assicurai, poi spostai gli occhi sulle candele. «Ma è proprio questo il problema» aggiunsi e deglutii.
Diego si accigliò.
«Diego» dissi tornando a guardarlo negli occhi. «Tutto questo è davvero fantastico. Dico sul serio. Nessuno ha mai fatto niente del genere per me e te ne sono riconoscente. Ma come ti ho già detto, non voglio illuderti. Questo posto...» mi guardai attorno, «questo posto merita di essere visto da una persona che possa apprezzarlo davvero. Non fraintendermi, sono felice che tu l'abbia condiviso con me, tuttavia credo che non dovrei essere io quella persona ma qualcuno che non pensi costantemente a un altro uomo mentre è qui con te» conclusi con delicatezza e abbozzai un sorriso.
Lui non disse niente. Abbassò gli occhi sul suo piatto e si sforzò di sembrare tranquillo mentre si portava la forchetta alla bocca, quasi allegro. Tuttavia il suo sguardo non era affatto felice e mi sentii stringere il cuore. Non avrei mai dovuto accettare il suo invito, sapevo fin troppo bene cosa voleva dire ''nutrire vane speranze'' e non l'avrei mai augurato a nessuno. Tanto meno a Diego.
D'un tratto non ebbi più fame.
«Non è come pensi, sai?» disse dopo un po' lui e si scrollò nelle spalle prima di guardarmi. «Ammetto che mi piacerebbe che la smettessi di pensare a quel Gordon e ti accorgessi che né lui né Marco... Okay, Carlo» si corresse controvoglia alla mia occhiata, «Insomma» riprese, «che nessuno dei due ti meriti davvero, ma so che non è possibile. Non posso obbligarti e so che riuscirò a farmene una ragione prima o poi. Ma nonostante questo ci tenevo sul serio a portarti qui, non perché nutra qualche speranza, non sono così masochista» sogghignò, «ma perché mi hai davvero conquistato e non so nemmeno io come o perché. Hai qualcosa, Vittoria Bianchi, e quando ho deciso di condividere con te il mio nascondiglio segreto è stato perché ci tengo ad avere un buon ricordo di noi due» concluse e mi sorrise in modo più aperto.
Ebbi un fremito e i miei occhi si riempirono di lacrime. Mi stavo comportando da idiota, ma le sue parole mi avevano commossa. In qualche modo potevo capirlo e mentre riprendevamo a mangiare, augurai a Diego con tutto il cuore che un giorno potesse incontrare una donna straordinaria che si sarebbe innamorata follemente di lui. Se lo meritava.
Dopodiché la conversazione si spostò su cose più frivole e passammo il resto della cena a ridere e scherzare. Così scoprii che Diego aveva sempre desiderato diventare uno chef e che sua madre non era sempre stata così fredda e distaccata. E per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii del tutto in pace con me stessa, perché potevo aprirmi con lui senza sentirmi nervosa o a disagio, il che era meraviglioso.
Peccato che era destinato a non durare...
Verso le undici Diego mi riportò indietro. Ma quando entrò nel vialetto mi accorsi subito che c'era qualcosa di completamente fuori posto lì.
«C'è qualcuno alla porta» osservò Diego indicando con un cenno la figura seduta all'ombra dell'entrata. Il mio amico spense il motore e il mio cuore prese a battere furiosamente.
«Nick!» esclamai fiondandomi fuori dall'auto. Ma non appena lo riconobbi mi bloccai dov'ero, spalancando la bocca per la sorpresa e lo spavento. Quello non era Nick, era Jerry. E aveva l'aria di chi era stato appena investito da un tir.





---------------------------------- MOMENTO AUTRICE ----------------------------------


Salve mondo! Sono viva e sono tornata. Non starò qui ad annoiarvi con le rocambolesche avventure che ho avuto con internet in questi mesi, ma sappiate che vi ho pensato tanto e che non vedevo l’ora di tornare a postare! Spero che il cp vi sia piaciuto e attendo come sempre un qualunque tipo di commento, perché mi farebbe davvero piacere :)
Detto questo, vi auguro una BUONA PASQUA e tonnellate di uova di cioccolato ;)
xoxoxo


M.Z.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: MZakhar