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Autore: JEH1929    14/04/2017    1 recensioni
E così era stato deciso: avremmo abitato insieme.
Io mi ero gettata a capofitto nella novità senza pensare veramente cosa essa potesse veramente comportare, come mi succedeva sempre. Come al solito avevo riflettuto assai poco e così avevamo iniziato a visitare un appartamento dietro l’altro, quanto più vicini possibile all’università.
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“Sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Ti amo. Tua per sempre, Sana”
E mentre stringo fra le mani il libretto e non riesco a trattenere una piccola lacrima, che mi brucia gli occhi, penso a quanto la sorte possa essere ironica e a quanto sia facile che tutto ciò che pensavi avresti posseduto per sempre possa essere perduto in un millisecondo.
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Fanfiction su Sana e Akito e su quello che potrebbe essere loro successo dopo la fine del manga.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Naozumi Kamura/Charles Lones, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Sana, finalmente. – il tono isterico di Tsuyoshi mi fece sobbalzare sul sedile della limousine. Naozumi mi guardò preoccupato, ma io gli feci cenno di non preoccuparsi.
- Tsu, cosa è successo?
- Si tratta di Akito-kun.
Ovviamente.
- Non vedo cosa questo abbia a che fare…
Mi interruppe.
- Sana, ieri sono stato contattato dal suo ex insegnante di karate. Mi ha detto che ieri mattina Akito ha dato in escandescenza a lavoro e ha urlato contro alcuni bambini che stava allenando, per poi distruggere delle panche e degli armadietti. Non sono riusciti a fermarlo che è subito scappato, iniziando a correre velocemente.
Sospirai.
- E allora? Che cosa lo ha provocato? – cercai di mantenere un tono neutro, ma il cuore mi batteva a mille e sentivo ogni nervo del corpo stendersi per la preoccupazione. Non era mai un buon segno quando Akito reagiva così.
Naozumi non era stato ingannato dal mio tono e adesso mi guardava preoccupato. Ormai mi conosceva troppo bene.
- Il bello è proprio questo. È scoppiato dal nulla. Un secondo prima era perfettamente normale, un secondo dopo stava distruggendo tutto e attaccando le persone.
- Non è possibile.
Ormai non riuscivo più a trattenere il tono allarmato.
- Perché mi hai chiamato soltanto adesso? – chiesi.
- Ecco, diciamo che sei la nostra ultima speranza. Ieri sera Akito-kun non è tornato a casa. Il signor Hayama e Natsumi sono preoccupatissimi. E non si è fatto sentire da nessuno di noi. Nessuno l’ha più visto dopo che ieri mattina ha distrutto mezza palestra di karate.
Sentii il cuore salirmi in gola e le lacrime scendermi lungo le guance. La preoccupazione mi aveva attanagliata, rischiando di soffocarmi. Lasciai andare il cellulare, non prima che Nao mi si fosse avvicinato, preoccupato per la mia reazione. Lo vidi parlare a telefono con Tsu per qualche secondo, poi chiuse la chiamata e iniziò a parlarmi, ma io non sentivo niente di quello che stava dicendo. L’unica cosa che vedevo davanti a me erano gli occhi dorati di Akito, ma non gli occhi di quando eravamo fidanzati, ma quelli di quando eravamo piccoli, a undici anni, quando mi chiese di ucciderlo.
- …è proprio un irresponsabile. Far preoccupare così la sua famiglia. Sana-chan mi stai ascoltando?
- Devo andare a cercarlo!
- Cosa?
- Devo trovare Akito.
- Ma che stai dicendo, Sana? Lui ti ha lasciato, ti ha spezzato il cuore…
- Devo trovarlo. – ripetei a macchinetta.
- Adesso ti porto a casa tua.
- Aiutami a cercare Akito.
- Sana, per quanto ancora vuoi continuare a essere completamente soggetta agli umori di quel ragazzo, per quanto ancora vuoi continuare a corrergli dietro, a salvare i suoi disastri, a impedire che ne faccia di nuovi, per quanto ancora vuoi continuare a farti spezzare il cuore?
- Tu non capisci.
Avevo fatto fermare la limousine ed ero scesa, sparendo fra le persone, prima che Naozumi avesse il tempo di corrermi dietro. In quel momento lo odiavo, lui non poteva capire cosa significasse Akito per me, cosa avrebbe sempre significato, nonostante tutto il dolore che mi aveva causato negli ultimi sei mesi.
Avevo vagato a caso per le vie di Tokyo, sperando di incontrarlo, percorrendo le strade che lui era solito fare a corsa, durante le sue sfrenate maratone, quando era di cattivo umore. Ma niente, non lo avevo trovato. Alla fine, a pezzi e disperata, mi ero indirizzata verso casa. Ed era stato lì che, dall’altra parte della strada, in un angolo nascosto alle finestre di casa mia, avevo visto una figura per terra, immobile. Mi ero avvicinata e lo avevo riconosciuto. Se ne stava lì, immobile, seduto per terra, a fissare il vuoto. Vedendomi avvicinare, aveva alzato gli occhi, incontrando i miei e ciò che avevo visto mi aveva spaventato: gli occhi che mi ero appena figurata mentre ero in macchina con Naozumi, quegli stessi occhi che avevano tormentato i miei incubi nei sei mesi trascorsi.
- Akito, da quanto tempo sei qui?
- È la “ragazzina egoista”. – aveva detto, facendomi sobbalzare e ripetendo le stesse parole di tanti anni prima, quando ci eravamo rincontrati per caso e lui stava ancora con Fuka.
Mi ero avvicinata e, come rivivendo un flashback, mi ero accucciata davanti a lui, stringendo la sua testa al seno e dopo poco anche lui mi aveva stretta a sé, ma questa volta non avevamo litigato, non avevamo parlato.
Dopo alcuni minuti lo avevo fatto alzare, aveva visibilmente la febbre e quindi lo avevo fatto entrare in casa, avevo chiamato mia madre, Rei e Shimura, mentre io mi affrettavo a telefonare agli Hayama e ai miei amici, rassicurandoli che Akito avrebbe dormito a casa mia.
Da quel giorno eravamo diventati “amici”, nonostante trascorressimo la maggior parte del tempo a litigare. Tutti, compresa la mia e la sua famiglia, avevano creduto che saremmo tornati insieme, perché non eravamo riusciti a resistere distanti per più di sei mesi. Era impossibile, non eravamo noi stessi senza vedere l’altro. Però non ci eravamo rimessi insieme e sono tutt’ora convinta che non succederà mai, perché come non possiamo stare separati, non possiamo neanche stare insieme.
 
Quando mi chiudo la porta della casa di Nori alle spalle, tiro un sospiro di sollievo. Mi sento leggermente svuotato, ma cerco di allontanare la sensazione scuotendo la testa. Mi avvicino all’auto, ma tutto ciò che vorrei fare è correre, invece con un sospiro apro lo sportello o mi siedo. Mi irrita il fatto di sentirmi in questo modo, odio essere così insicuro. E non so neanche il motivo. O meglio, forse lo so, ma non credo di volerlo accettare più di tanto. Mi sento quasi come la prima volta in cui ero stato con un’altra ragazza dopo aver lasciato Sana. Il fatto è che era successo mesi fa.
Forse era colpa delle domande che Nori mi aveva rivolto mentre mi vestivo per andarmene, se soffrivo così tanto per la mia ex, che razza di ragazza fosse per lasciare uno come me, o anche se ci saremmo rivisti (ero rimasto sul vago, ma la mia risposta le era stata chiara, visto che non aveva insistito), ma più probabilmente mi sentivo così irritato per colpa degli sguardi che i miei amici avevano lanciato a me a Nori quando lei era arrivata. O forse in realtà era stato il suo sguardo. L’avevo fatto di proposito di far venire Nori a casa, certo. Però vedere i suoi occhi e il suo dolore mi aveva fatto male. Non la amavo più, o almeno era quello di cui cercavo di convincermi, ma era comunque una parte importante della mia vita e lo sarebbe stato per sempre. Questo non sarebbe mai cambiato e lo avevo imparato a mie spese nei sei mesi che avevamo trascorso lontani. Erano stati perfino peggiori degli anni in America, mi erano quasi sembrati più lunghi. Forse perché quando ero in America avevo la certezza che mi avrebbe aspettato, che alla fine ci saremmo riuniti nonostante tutto e tutti e poi ci sentivamo. Invece quei pochi mesi mi avevano prosciugato di ogni voglia di vivere. Avevo provato ad avere esperienze con altre donne, in fondo ce n’erano molte che mi cercavano senza che dovessi fare alcuno sforzo, ma alla fine non ero riuscito mai a concludere niente, per me erano state il nulla, ricordavo a malapena i contorni sbiaditi dei loro volti, le loro parole. Non ricordavo niente, eppure riuscivo a ricordare distintamente ogni singolo momento del tempo trascorso con Sana, da quando avevamo undici anni e lei mi aveva salvato. Poi lo aveva fatto di nuovo, quando mi aveva trovato davanti alla porta di casa sua. Ed eravamo diventati amici, quando non litigavamo, il che succedeva praticamente sempre. Ma non mi amava più e me lo aveva fatto chiaramente capire quando mi aveva lasciato e poi non cercandomi più in seguito, non le ero indispensabile come lei era per me, perciò avevo rinunciato a pensare a lei come a Sana-Kurata-fidanzata e la vedevo come Sana-Kurata-migliore amica, o almeno ci provavo. Anche se lei continuava a parlare di Kamura come suo migliore amico. Dopo che eravamo diventati amici, ero uscito con qualche ragazza, giusto per distrarmi un po’, ma non ne ricordavo neanche una, come non avrei probabilmente ricordato neanche Nori.
È solo che penso semplicemente di non essere adatto alle relazioni, visto che l’unica che ho avuto è stata un tale disastro e visto che ho avuto un’unica donna dall’età di undici anni, se si esclude la breve parentesi con Fuka, non mi sembra proprio il caso di infilarmi di nuovo in questa situazione. Considerando poi che non riesco a ricordare né i tratti né le parole delle ragazze con cui esco, non mi sembra il caso di iniziare una relazione con una persona di cui non mi importa niente e per ora non mi importa niente di nessuna. Ed è per questo che tutti sono convinti che io sia diventato un donnaiolo incallito, senza alcun rispetto per il sesso femminile, come rimarca sempre Tsu e come Kurata non finisce mai di farmi notare. Anche se in realtà non è del tutto vero.
Finalmente parcheggio davanti a casa. L’orologio segna le 3 di notte. Fortunatamente domani mattina posso dormire un po’, visto che l’università comincerà soltanto dopodomani e il lavoro riprenderà la prossima settimana. Apro la porta e con sollievo mi accorgo che tutti sono già addormentati, la luce spenta, tutto tranquillo. Non avrei potuto sopportare di nuovo i loro sguardi. Non credo che chiederò mai più ad una ragazza di raggiungermi a casa.
Vado in bagno, per una doccia veloce e per levarmi di dosso l’odore di Nori, che adesso mi sembra solo nauseante. Mi ritrovo a pensare che il profumo di Sana non mi è mai sembrato nauseante, ma scaccio il pensiero in fretta. La porta della mia camera è aperta anche se pensavo di averla chiusa uscendo. Probabilmente quella sbadata di Kurata c’è entrata per prendere qualche vestito e si è dimenticata di chiudere.
Entrando, però, vedo qualcuno sdraiato sul mio letto, con un braccio appoggiato sul volto, immobile. Poi la riconosco, i capelli ramati che le scendono sulle spalle lasciate scoperte dalla fine canottiera che indossa come pigiama. Noto un seno che fuoriesce in parte dalla maglietta, la pelle bianca e candida, mentre le gambe affusolate scendono verso il lato del letto. È illuminata appena dalla luce della luna che filtra da dietro la tenda della finestra eppure la vedo in tutta la sua fragilità e in tutta la sua bellezza. Uno strano calore mi avvolge il petto e improvvisamente mi sento meglio. Mi avvicino ed è freddissima, per un attimo mi preoccupo, ma poi noto il respiro regolare del sonno. La sua posizione è strana, come se si fosse addormentata all’improvviso senza volerlo. Sorrido di fronte alla sua bocca leggermente aperta e al respiro leggero. Mi avvicino e la sollevo per portarla nel suo letto e la sua testa si appoggia delicatamente sul mio petto, adattandosi perfettamente, come se non fosse passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui l’ho tenuta fra le braccia. Mugola leggermente, ma non si sveglia. Apro la porta dello sgabuzzino e una soffocante aria calda mi invade e mi chiedo come faccia a dormire in quella specie di forno. Poi la vedo socchiudere gli occhi e mi irrigidisco. Sono sicuro che adesso inizierà a urlarmi contro e a picchiarmi come al solito e sono altrettanto sicuro che inizierò a urlare a mia volta. È l’unica che riesce davvero a farmi perdere il controllo. Invece, sorprendentemente, mi sorride. Un sorriso caldo, rassicurante, un sorriso che non mi rivolgeva da un anno, il mio sorriso. Apre bocca e mormora qualcosa che non riesco a capire. Avvicino l’orecchio alla sua bocca e lei si stringe più a me.
- Akito. - mormora, chiudendo subito gli occhi e ripiombando nel sonno.
Ormai nel calore della stanza la sua pelle non è più così fredda e io sto iniziando a sudare. Non so davvero come faccia a dormire lì, probabilmente la repulsione che prova nei miei confronti è così grande che preferisce morire di caldo che dormire nella mia stessa camera. Eppure…lo sguardo che mi ha appena rivolto, il modo in cui si stringe a me e la parola che ha appena pronunciato… il mio nome, ma lo ha pronunciato nell’unico modo capace di attraversarmi da un lato all’altro.
- Al diavolo…
Senza neanche riflettere mi volto e mi chiudo la porta dello sgabuzzino alle spalle. Deposito Sana fra le mie lenzuola, indosso il mio pigiama e mi sdraio accanto a lei, stringendola a me, mentre lei, inconsciamente, mi riceve fra le sue braccia e mi stringe forte. E finalmente il peso a livello del petto, che mi tortura da quando sono uscito da qui insieme a Nori, si allenta, permettendomi di dormire.

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Ringrazio tutti coloro che seguono la mia storia!
   
 
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