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Autore: Birra fredda    14/04/2017    0 recensioni
Nathan era rincasato anche quella notte all’alba. Matt lo aveva sentito chiaramente rientrare e lo aveva sentito inciampare in successione nei primi due gradini che portavano al primo piano della casa. Così era andato ad aiutarlo.
Lo aveva trovato in preda al panico seduto in fondo alla scalinata, con addosso una puzza di marijuana non indifferente e l’alito di chi ha bevuto decisamente troppo.
“Papà sto bene, torna a dormire” gli aveva detto suo figlio, con la voce strascicata, guardandolo con degli occhi rossi e gonfi da far impressione.
Adesso lo osservava dormire.
Lo aveva preso tra le braccia come faceva con sua moglie e sua figlia quando voleva dimostrare loro ch’era forte come a trent’anni, lo aveva portato in camera sua, spogliato di scarpe e jeans per farlo stare più comodo, e lo aveva messo a letto.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You will always be my heart.'
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La verità era che Brian era perfettamente consapevole di ciò che suo figlio stava facendo e avrebbe davvero voluto fare la cosa migliore per lui, ma non riusciva a fare nulla. O meglio, fare niente sembrava il meglio da fare. Connor era un adolescente con pochissimi amici, che era stato lasciato dalla sua prima fidanzata seria, di cui era innamoratissimo, il cui fratello maggiore era andato al college e se chiamava una volta a settimana per cinque minuti era anche troppo, i cui genitori erano divorziati e la cui madre era sparita e di tanto in tanto gli mandava un messaggio, facendolo solo infuriare ulteriormente.
Brian quindi aveva parlato con una psicologa della scuola, perché quando per la prima volta Connor era tornato a casa palesemente strafatto era stato indeciso se picchiarlo fino a mandarlo in coma, cacciarlo a calci da casa o metterlo a letto e pensare a dove aveva fallito come genitore (scelta che poi aveva fatto, portandolo a una lunga riflessione sulla relazione clandestina con Zacky e al matrimonio che non avrebbe mai dovuto avere con Michelle. Il che a sua volta lo aveva spinto a farlo suonare quasi ininterrottamente per tre giorni di seguito e a farlo litigare col suo compagno, incazzato perché vivevano insieme e a stento lo vedeva durante i pasti). Allora aveva deciso di chiedere consiglio a qualcuno, dato che suo figlio aveva bisogno di un genitore che reagisse decentemente ai suoi comportamenti. Ebbene, la psicologa gli aveva detto che, durante l’adolescenza, il fare uso di sostanze stupefacenti non porta per certo a una vita di devianza, ma l’uso non deve diventare abuso o dipendenza, e Connor andava tenuto sotto controllo e soprattutto andava fatto sentire bene.
La psicologa gli aveva detto che doveva dargli amore. Suo figlio, come qualunque adolescente occidentale nella norma, lo avrebbe allontanato e mandato a fanculo, ma non importava. Doveva fargli sentire che andava bene così, per quello che era, anche se a tutti gli effetti era un fallimento potenziale. Doveva accudirlo, baciarlo e dimostrargli tutto l’affetto paterno di cui era capace, anche se avrebbe voluto scrollarselo di dosso come se fosse una mollica di pane.
Brian l’aveva presa alla lettera.
Aveva parlato molte volte con suo figlio, sforzandosi di restare sempre su toni pacati, anche se qualche volta una piccola discussione c’era scappata. Aveva detto infinte volte a Connor che gli voleva bene e che voleva solo il meglio per lui, che doveva smetterla con la droga o almeno diminuire o anche solo ridursi alla marijuana e all’hashish, gli aveva detto fino a stancarsi di parlare che quello non era un modo sano di affrontare le delusioni, che era lì per lui se voleva parlare e sfogarsi o anche solo se voleva suonare qualcosa, gli aveva detto che c’erano anche Zack, Nicole, suo zio Matt e Johnny per lui, se non voleva parlarne proprio con suo padre. Gli aveva detto che gli avrebbe dato tutto l’aiuto da lui richiesto, se avesse voluto, e che potevano agire come gli pareva.
Ma nulla aveva funzionato.
Aveva anche provato, una volta, a vietargli di uscire.
Era stato Matt a dirgli di farlo. Quella mattina erano tutti in studio a provare una nuova canzone ed erano stati chiamati dalla scuola perché Connor e Nathan erano stati coinvolti in una rissa. Era già partita male come giornata, perché per vari motivi la canzone non collaborava, andava continuamente da una parte e dall’altra, pareva inafferrabile, Matt continuava ad andare fuori ritmo, l’assolo di chitarra era rimasto impantanato in un punto morto e tutti erano già abbastanza nervosi anche senza che i loro figli si mettessero nei guai.
Così erano dovuti andare a scuola, lui e il suo cantante, il quale per tutto il viaggio in auto non aveva fatto altro che tamburellare nervosamente con le dite sulle ginocchia e un certo punto gli aveva detto:
“Senti Bri io non voglio mettere in discussione la tua autorità genitoriale nei confronti di tuo figlio...”
Lui si era distratto dalla guida, colto alla sprovvista. Matt sapeva del colloquio con la psicologa e sapeva quanto stesse provando a fare il bene di Connor. Sapeva anche quanto fosse difficile, per lui, vedere suo figlio che si distruggeva e non poter fare di meglio di una chiacchierata e una carezza affettuosa.
“Ma?” chiese.
“Credo che dovremmo punirli allo stesso modo, quando si cacciano nei guai insieme e ci ritroviamo a doverli sgridare insieme” continuò Shadows senza guardarlo, con gli occhi puntati sulla strada. “Perché credo che Nathan si senta come messo alle strette da me e Val, punito ingiustamente e in modi troppi drastici, considerando il confronto con suo cugino.”
Brian fu sul punto di dirgli che non aveva la minima intenzione di perdere la voce per urlare contro suo figlio e aveva ancora meno intenzione di sequestrargli il cellulare e perquisirlo per vedere se aveva della droga nelle tasche. Però tacque, capendo quello che il suo amico gli stava dicendo. Sospirò e annuì appena con la testa.
“Lo so che hai parlato con la psicologa e lei ti ha detto di farlo sentire amato e tutte queste menate” continuò Matt, “ma per una volta prova a dare man forte a me e vediamo come va.”
Brian pensò che non funzionava così. Non si provavano le varie strategie d’azione per vedere quale funzionava e comunque i loro figli erano diversi, come erano diversi loro due. E Nathan stava affrontando l’adolescenza in una casa colma d’amore e d’affetto, mentre Connor la stava affrontando nel bel mezzo della distruzione della sua famiglia. Si disse che non era una buona idea, ma per una volta avrebbe dato retta a Matt.
Così aveva retto il gioco del cantante. Come lui si era incazzato con Connor e Nathan, come lui aveva sbraitato, aveva annuito mentre lui parlava ed era stato quasi sul punto di crederci fino in fondo, a quello che stavano facendo. Quasi. Quando Matt aveva afferrato i ragazzi per le orecchie e li aveva trascinati verso l’auto, non aveva battuto ciglio, aveva incrociato le braccia al petto e aveva lanciato ai due uno sguardo torvo.
Avevano deciso di proibire ai loro figli di uscire per la successiva settimana. E sarebbe andato tutto bene, se Connor non avesse dato di matto e il sabato sera non lo avessero ritrovato, ubriaco marcio e con troppi ansiolitici rubati dall’armadietto di Zack in corpo, a galleggiare a pelo d’acqua in piscina.
Si era ripreso quasi subito, avevano solo fortemente temuto che potesse affogare ma e quindi si erano tuffati tutti insieme in piscina per tirarlo fuori. Ma non stava troppo male e dopo un paio d’ore stava quasi bene.
La verità era che con suo figlio queste restrizioni non funzionavano, Brian lo sapeva bene. Tra tutti e tre i suoi figli, Connor era di sicuro quello che somigliava maggiormente a lui da adolescente: arrabbiato, ribelle, incontrollabile, curioso. Se da ragazzo non aveva capito quanto fosse ingestibile, ora lo capiva eccome, avendo a che fare giornalmente con la copia di un sé giovane, inesperto e spaesato.
La differenza tra il se stesso adolescente e Connor stava nel fatto che lui era solito ubriacarsi e fare uso di sostanze stupefacenti in compagnia dei suoi amici, trascorrendo serate sbronzi sulla spiaggia a cazzeggiare, suonare e parlare di tutto e niente. Connor, invece, pareva farne uso per via dell’assenza di persone da avere vicino. Assenza ingiustificata, perché aveva tutti loro che erano lì per lui e non avevano problemi a dirglielo.
E va bene che la sua prima fidanzata lo aveva lasciato in malo modo, ma la sua era una reazione esagerata fin troppo duratura. C’era il resto del mondo ad attenderlo, c’era la sua famiglia disposta ad aiutarlo, sostenerlo e farlo svagare, e lui preferiva annegare la sua solitudine nelle droghe.
 
“Papà...”
Brian alzò la testa di scatto e sorrise a suo figlio, che si era voltato su un lato e lo osservava con gli occhi socchiusi.
“Hey” gli disse, chinandosi sulle gambe e posandogli una mano sulla testa. “Stai meglio? Hai riposato bene?”
“Nate come sta?” chiese il ragazzo di rimando.
“Meglio di te. Ma non è ancora voluto tornare a casa.”
Connor annuì e sorrise, vagamente divertito. Sebbene suo padre si risparmiasse i cazziatoni, le lavate di capo e le scenate, non si poteva decisamente dire lo stesso di suo zio Matt, di cui bisogna sempre ricordare le dimensioni fisiche e il vocione. Non poteva di certo biasimare suo cugino, dunque, se voleva restare al sicuro il più a lungo possibile.
“Nate non era lucido quando l’hanno drogato” disse pianissimo. Suo padre lo guardava da molto vicino. “Eravamo tutti poco lucidi, in realtà, ma intendo che lui non era consenziente, non stava capendo cosa succedeva, non voleva bucarsi.”
Brian gli accarezzò lentamente i capelli. Tipico di suo figlio: era il primo ad essere in un mare di merda che rischiava di soffocarlo da un momento all’altro, ma quello a cui pensava era trarne fuori gli altri prima di se stesso.
“Devi dirlo a zio Matt e a zia Val, okay?” continuò Connor.
“Glielo dirò, non preoccuparti” lo tranquillizzò suo padre. “Vuoi alzarti? Così ti fai un bagno caldo e poi mangi qualcosa.”















































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Non avete idea di quanto io abbia penato per pubblicare questo capitolo! Prima il computer che non collabora, poi per sbaglio l'ho scritto e non si è salvato su word, poi il pc si è rotto, ora l'ho fatto riparare ed eccomi qui. In tutto questo mettiamoci anche che non mi convince molto e addio.
Mi scuso infinitamente per il ritardo, non è uno dei periodi migliori della mia vita, sono stanca e stressata e ho poca ispirazione. Voi siete magnifici, però, e sto ricevendo delle recensioni che mi hanno scaldato il cuore.
Grazie a tutti, vi abbraccio forte,
Birra Fredda
  
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