Film > La Bella e la Bestia
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Autore: Trick    15/04/2017    3 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente...
Raccolta di Missing Moments ambientate un po' prima, un po' durante e un po' dopo l'incantesimo della Fata.
[ SPOILER WARNING: Basato sul live-action del cartone animato ]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Adam/Belle, Lumière/Spolverina
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La scelta del casting, che ha aggiunto a Lumiére e Cogsworth (sir McKellen, grazie di esistere) una notevole differenza d'età, ha avuto la conseguenza che se nel cartone i due personaggi apparivano solo due uomini con caratteri differenti, ora la cautela e il senso di responsabilità di Cogsworth è in contrasto molto più netto con l'irruenza giovanile di Lumiére. Questo nuovo aspetto mi piace davvero un sacco. Dall'altra parte, ringiovanire l'uno e invecchiare l'altro rispetto al cartone ha portato anche - o almeno io l'ho vista così - il personaggio di Lumiére a sembrare molto più vicino al Principe di quanto non sia Cogsworth.
C'è una scena in cui mi sono piegata in due dal ridere: dopo aver offerto a Belle la stanza, Lumiére fa apparecchiare un posto al tavolo da pranzo... e quando la Bestia arriva prima sbuffa, poi si incazza e poi urla: "Lumiére!". E io ero tipo: "Hai decine e decine di servitori, come fai a dar subito la colpa a Lumiére?". Facile, la Bestia lo sa. Sembra quasi rassegnato.

La combo finale con l'abbraccio fra Dan Stevens e Ewan McGregor mi ha letteralmente uccisa. Avrei voluto abbracciarli anche io. Tipo per sempre.

"Oh, il mio Principe!".
"Salve, vecchio mio".

Disney, questo si chiama voler vincere facile.


Le Cronache di Villeneuve

*

L'ultimo ballo




Le grida, la paura, il caos.

Ogni cosa accadde con incredibile rapidità. Mentre la vecchia mutava il proprio aspetto circondata da uno spaventoso alone luminoso, le ospiti della grande festa da ballo voluta dal Principe Adam arretrarono fino a schiacciarsi l'uno contro l'altra pur di passare attraverso le porte che conducevano ai ricchi giardini.

Solo i suoi più devoti servitori restarono accanto al Principe, con gli occhi atterriti fissi sulla figura che si stava innalzando sulle loro teste. La vecchia – la fata, strega, megera – aveva un viso dotato di particolare grazia, ma nei suoi occhi lucenti non c'era alcuna traccia di benevolenza, né di alcuna umana misericordia.

Lumiére si frappose d'istinto fra lei e Plumette, incapace di proferire parola per la prima volta in tutta la sua vita. Non aveva mai visto nulla di simile.

«Chi è quella donna?» domandò atterrita la giovane cameriera, serrando con angoscia le unghie nella giacca dell'amato. «Lumiére, cosa sta accadendo?».

Il maitré del castello continuò a tacere. Al suo fianco, Cogsworth continuava a scuotere il capo come se fosse del tutto incapace di accettare qualcosa che la sua assennata razionalità non era in grado di spiegare.

Quando la donna finalmente parlò, la sua voce parve risuonare da ogni angolo del castello, da ogni androne e da ogni balconata, direttamente nelle loro teste.

«Vi siete dimostrato crudele e meschino» proclamò duramente, alzando un indice accusatorio in direzione del principe. «Il vostro cuore non riconosce alcun affetto, il vostro animo è privo di qualunque sentimento».

Il Principe Adam strinse i pugni e sollevò il capo con presuntuoso contegno, sfidando nonostante l'evidente spavento quell'ignobile sconosciuta.

«Come osate?» chiese a gran voce. «Io sono il Principe di Villeneuve!».

«So perfettamente chi siete. La vostra vanità è fonte del mio più sincero disprezzo». Negli occhi della Fata brillava una luce di assoluta malvagità. «Ecco dunque la vostra espiazione, Principe. Non esisterà pace alcuna in voi e nel vostro castello fino a quando non avrete imparato quest'importante lezione». Gli tese la rosa che fino a pochi minuti prima lui aveva tanto aspramente rifiutato. «Questa rosa è incantata. Se riuscirete ad amare e a farvi amare a vostra volta prima che l'ultimo petalo cada, l'incantesimo si spezzerà. In caso contrario, la vostra condanna durerà per sempre».

Il Principe deglutì, arretrando qualche passo, eppure nel suo sguardo persisteva una testarda fiamma d'orgoglio.

«Non ho paura di--».

Il grido che gli risalì la gola fece tremare tutti i presenti. All'improvviso si piegò in avanti, rotto dal dolore e dalla confusione per quanto stava accadendo, e crollò ai piedi della donna misteriosa.

«Mio Principe!» esclamò terrorizzato Lumiére.

Tentò di accorrere in suo soccorso, ma Cogsworth lo trattenne saldamente per un braccio e lo tirò indietro, senza smettere di scuotere il capo.

«Non fare stupidaggini, amico mio» lo avvertì in un sussurro teso. «Non sappiamo nemmeno cosa dobbiamo affrontare...».

«Il sorriso sarà celato da mostruose zanne. Artigli al posto delle mani, peli sul candido viso, fino a quando tutto di voi sarà nascosto » proclamò la Fata, sollevando il palmo della mano. «Tutto di voi apparterrà a una Bestia».

Le dita sottili del Principe Adam iniziarono a farsi più grandi in maniera raccapricciante e grottesca, mentre il giovane gridava di dolore, contorcendosi a terra. Ogni centimetro del suo corpo iniziò a ricoprirsi di una folta peluria scura, la schiena si inarcò in maniera innaturale, strappando il tessuto damascato della giacca, piegandosi a formare un'orrenda curva illuminata dalle candele.

Plumette strillò. Dall'altro capo dell'enorme salone, Mastro Cadenza si strinse alla moglie, che fissava con volto cereo quanto stava accadendo.

«Sacrebleu, dobbiamo fermare questa recita!» esclamò con forza Lumiére, tentando di divincolarsi dalla presa di Cogsworth.

Questa volta furono le mani sottili di Plumette a trattenerlo.

«Non è una recita, Lumiére. Mon Dieu, tutto questo è reale».

Davanti agli occhi di ognuno di loro si mostrò ciò che del Principe Adam era rimasto: una creatura dall'aspetto mostruoso, curva e spezzata, dalla cui gola saliva un rantolo strozzato che sembrava il pianto stesso dell'Inferno.

«Chip! Chip, torna qui!» esclamò una voce spaventata proveniente da uno dei corridoi che conducevano alle cucine.

Cogsworth si voltò giusto in tempo per bloccare la corsa del figlio di Mrs. Potts, i cui giganteschi occhioni blu si erano sgranati alla vista della Bestia. La cuoca giunse quasi immediatamente, con il fiato rotto e l'espressione sconcertata.

«Si può sapere cosa sta-- oh, santo cielo!».

«Sta' indietro» la avvertì Cogsworth. «State tutti indietro!».

La Fata voltò il capo verso di lui e si avvicinò, senza che i suoi piedi sfiorassero il pavimento. In pochi istanti stava troneggiando su ognuno di loro come poco prima aveva troneggiando sul Principe.

«Monsieur Cogsworth» lo chiamò con decisione. «Da un maggiordomo mi sarei aspettata maggiore creanza, eppure avete permesso che ogni vizio irrompesse le porte di questo castello».

«Io non--».

«Sono certa che il tempo saprà rendervi più assennato» concluse lei, prima di fissare con sdegno in direzione di Maestro Cadenza e di Madame Garderobe. «La vanità vi ha portato a gongolare e vezzeggiarvi del vostro dono. Canterete soli, inascoltati, divisi».

«Quale follia! Quale pretesa!» protestò Maestro Cadenza nel suo forte accento italiano. «Siamo musicisti di fama mondiale!».

«E dunque il mondo vi dimenticherà fino a quando non avrete imparato a misurare le vostre note, Maestro». La Fata si voltò di nuovo, gli occhi brillanti piantati sul viso fiero del maitré. «Tigri dall'India, danzatrici dall'Arabia, domatori dalle terre al di là del mare... c'è mai forse stato un freno a ciò che avete portato in questo castello per impigrire l'animo del vostro signore, monsieur Lumiére?».

Lui trasalì, ma rimase saldamente al suo posto, facendo del proprio corpo uno scudo per Plumette.

«Vanità, lussuria, arroganza. Siete di certo colui che più mi ha deluso» riprese lei.

«Sciocchezze» replicò infine lui con ammirevole coraggio. «Quello è il mio Principe. Questo è il mio posto. Siete di certo il frutto di qualche ignobile incubo, ma se non lo foste... vi ordino di restituirgli immediatamente il suo aspetto».

La Fata rise.

«Voi ordinate a me? Non ho più alcun dubbio sul perché il Principe vi avesse tanto in simpatia, Lumiére».

«Io sono il maitré di questo castello!» esclamò orgoglioso. «E sì, madame, ho portato tigri dall'India e danzatrici dall'Arabia, e perfino selvaggi dalle Americhe e bianche creature dai ghiacci del Nord. Pertanto nulla di voi potrebbe mai spaventarmi».

«Lumiére, fa' silenzio, ti prego...» lo implorò Plumette.

«No!» la ignorò lui. «La mia lealtà va a Sua Grazia il Principe. Non le permetterò di andarsene senza aver prima disfatto questo trucco da gitana».

«Amico mio, frena la lingua...» mormorò spaventato Cogsworth.

«La lealtà è una virtù in grado di infiammare anche l'animo più quieto... ma ben misera cosa si rivela quando essa è cieca» incalzò la Fata. «Dovrete imparare a frenare il vostro spirito, monsieur Lumiére, o tutto ciò che toccherete diventerà cenere fra le vostra dita».

Plumette si lanciò in sua difesa prima che lui potesse fermarla. Si liberò dal suo braccio e si frappose fra la Fata e Lumiére con una luce decisa negli occhi.

«Voi non lo toccherete!».

«Non lo farò. E nemmeno voi lo toccherete più, madamoseille. Vi siete dimostrata superficiale e leggera nel guardare la vanagloria divorare questo luogo: ebbene, è in leggerezza che da oggi vivrete».

Plumette arretrò istintivamente e si aggrappò al petto dell'amante, incapace di distogliere lo sguardo dal terrificante viso della Fata.

«I vostri rimproveri sono stati vani quanto il vapore più fluttuante, Mrs. Potts» continuò quella, allontanandosi un poco da loro e aprendo le braccia con i palmi rivolti verso il soffitto. «E sebbene sapeste di sbagliare, giorno dopo giorno, non una delle vostre parole si è mai fatta davvero tagliente».

«M-mamma...» piagnucolò Chip con il viso nascosto nel suo grembiule.

«Andrà bene, tesoro... andrà tutto bene» pigolò lei. «Non farete del male al mio bambino, vero?».

Per la prima volta il volto della Fata si distese in un triste sorriso.

«Non avrei mai la crudeltà di dividervi» disse.

Si accostò ancora alla sagoma del Principe, che sembrava incapace di alzarsi e reagire a quanto stava accadendo.

«Siete un Principe. È giunto il momento che impariate a dare importanza a qualcun altro a parte voi stesso. Presto ognuno di loro diverrà il più grande dei vostri rimorsi, la più imperdonabile delle vostre colpe».

Alzò un mano con apparente semplicità, ma all'improvviso lingue di luce e fumo iniziarono a risalire dal pavimento con spaventosa velocità, circondando ognuno dei servitori e chiudendo loro ogni via di fuga.

«Oh, cielo!» esclamò terrorizzata Mrs. Potts e stringendo a sé il figlio mentre la luce li accecava. «Chip, chiudi gli occhi!».

«Tutto questo deve essere irreale!» esclamò in quel turbine di caos Cogsworth. «Stiamo calmi! Dobbiamo stare calmi!».

Chapeau tentò di fuggire in direzione delle scalinate principali, ma l'incantesimo lo avvolse prima che potesse appoggiare il piede sul primo dei gradini. Lo sentirono emettere un grido strozzato, poi ci fu solo il silenzio. Anche Mastro Cadenza e Madame de Gardarobe stavano cercando di evitare quelle lingue ardenti. Il compositore afferrò gli spartiti e li agitò davanti a sé e alla moglie, nella vana speranza di tenerli quanto più a lungo lontano.

«Cuor mio, sono dietro di noi!» strillò la cantante. «Sono ovunque!».

Sembrava un inferno senza calore. Tutto attorno a loro sembrava soffocato in una luminescente patina dorata, il cui aspetto etereo sembrava deliberatamente stonare in quell'eco di urla e grida.

Lumiére afferrò una mano di Plumette e iniziò a correre attraverso il salone, ma ogni strada che decideva di prendere si infrangeva contro una parete di luce e scintille sempre più vicina a loro, fino a quando il braccio del maitré non se ne ritrovò completamente attorcigliato.

«Lumiére!» gridò Plumette.

L'uomo rimase impietrito mentre le propria dita diventavano sempre più rigide, mentre le guardava mutare forma e colore... si voltò per gridare a Plumette di fuggire, ma ormai era troppo tardi.

La maledizione era già precipitata su ognuno di loro.



*


Il primo in grado di riaprire gli occhi fu Cogsworth.

L'intensità della luce aveva lasciato un riverbero fastidioso che gli appannava la vista. Era come guardare il salone da ballo attraverso un paio di occhiali sporchi. Il maggiordomo strizzò le palpebre e fece per infilare una mano in tasca alla ricerca del monocolo... fu con completo sbigottimento che si rese conto non solo di non indossare più alcun vestito, ma che là dove avrebbe dovuto trovarsi la sua gamba -e la solita tasca con il solito monocolo – non c'era altro che freddo metallo.

«Cosa accidenti...?».

Le sue mani erano svanite. Al loro posto erano comparse strane protuberanze arzigogolate che terminavano in un raffinato ricciolo dorato. Tentò di toccarsi il viso, ma queste si infransero contro una superficie rigida e trasparente.

Mentre il panico continuava ad attanagliarlo, Cogsworth continuò a cercare di toccare il proprio viso. D'un tratto udì un leggero clac e, come in un incubo, vide una cornice di vetro aprirsi davanti al naso – o quello che era.

Era un insieme di sensazioni strane. Avvertiva la consistenza del proprio corpo, ma non era più in grado di riconoscere il senso del tatto. Era lì – lo sapeva, lo sentiva – ma non riusciva a capire dove fosse.

Un improvviso strillo acuto alle sue spalle lo fece trasalire. Si voltò di colpo e gridò a sua volta. Una teiera di ceramica bianca lo stava fissando con espressione terrorizzata.

Cogsworth sbatté sconcertato le palpebre.

«C-Cogsworth? Siete voi?».

Riconoscere la voce della cuoca del castello in quell'oggetto buffo fece fare un tuffo al suo cuore.

«Oh, cielo... Mrs. Potts. Cosa vi è accaduto?».

«Chip?» chiamò la teiera, tentando con difficoltà di girare su se stessa. «Chip, dove sei?».

«Sono qui, mamma».

Cogsworth mosse qualche incerto passo in avanti. Sembrava che le sue gambe avessero scordato come muoversi. Dietro a Mrs. Potts – o qualunque cosa fosse – c'era una piccola tazzina da tè adagiata su un fianco e intenta a rotolarsi a destra e a sinistra, evidentemente incapace di rimettersi in piedi.

«Non riesco a muovermi!» strepitò la tazzina.

«Vorrei ben vedere, Chip...» commentò sbalordito Cogsworth. «Sei una tazzina».

«E tu sei un orologio!».

«Cosa?».

«Oh, Chip... oh, poveri noi!» esclamò Mrs. Potts, riuscendo finalmente a voltarsi nella corretta direzione. «Dev'essere questo che intendeva quella Fata quando ha detto...» esclamò con improvvisa rivelazione.

«Che cosa?».

«“Vani quanto il vapore fluttuante...”» recitò la cuoca. «Ecco ciò che ha fatto, Cogsworth... ha punito tutti noi».

Il maggiordomo guardò ancora la strana forma che avevano assunto le sue mani.

«Il tempo...» sospirò affranto, mentre finalmente riusciva a capire cosa intendesse Mrs. Potts. «“ll tempo saprà rendervi assennato”. Questa è una tragedia! Una catastrofe!».

Uno strillo acuto fece sobbalzare tutti loro.

«Acqua! Acqua! Datemi dell'acqua!» gridava spaventata la voce di Lumiére. «Fate presto, presto!».

La scena che si parò di fronte ai loro occhi fu orribile.

Una piccola figura bianca si dimenava sul pavimento senza essere in grado di liberarsi dalle fiamme che stavano bruciando con crescente intensità le piume delle quale sembrava ricoperta, mentre un minuscolo uomo dorato cercava di spegnerle con le mani. Sembrava che le fiamme, tuttavia, anziché placarsi aumentassero ad ogni suo gesto.

«Lumiére, sto bruciando! Brucio!».

«È Plumette» mormorò impaurito Chip.

«Santo cielo!» esclamò Cogsworth, avanzando verso di loro con ridicoli saltelli. Era tremendamente faticoso. «Lumiére! Plumette! Siamo qui, stiamo arrivando!».

«Acqua, mon amì!» gli urlò disperato Lumiére. «Serve acqua!».

«Serve che ti allontani da lei!» replicò deciso il maggiordomo, dandogli una violenta spinta. «Apri gli occhi e guardati le mani: vai a fuoco, Lumiére!».

«Devo trovare qualcosa con cui riempirmi!» strillò Mrs. Potts, guardandosi attorno con aria spaesata. «Oh, cielo, è tutto così in alto...!».

I tentativi di Cogsworth, che a stento sembrava in grado di mantenere l'equilibrio, non ebbero esiti positivi.

«Resisti, Plumette, adesso-- Lumiére, fermati! Se continui a correre avanti e indietro darai fuoco all'intero salone!».

«Non riesco!» gridò quello in preda al terrore. «Mi serve dell'acqua! Acqua!».

«Come pensi di portarmi dell'acqua se--!?».

Cogsworth e Plumette vennero investiti da una secchiata d'acqua fredda. O, perlomeno, così parve loro, perché la quantità non era in realtà particolarmente abbondante.

Infiniti metri di altezza più in alto di loro, la figura mostruosa del Principe Adam li fissava con espressione indescrivibile. Il suo bel viso era ormai del tutto irriconoscibile: orrende zanne spuntavano dalla sua bocca e due raccapriccianti corna scura si estendeva oltre la sommità del suo capo. La caraffa che stringeva sembrava minuscola fra le sue mani – zampe.

Nessuno disse nulla per diversi istanti. Rimasero semplicemente immobili, sbigottiti e disperati. Poi la Bestia lanciò una lunga occhiata a Lumiére, le cui fiamme continuavano a sfiorare pericolosamente ogni tessuto a lui vicino e gli rovesciò addosso il resto della caraffa come se non credesse a quanto stava davvero accadendo.

«Mercì, mio Principe...» gemette Lumiére.

«Ti sembro forse un Principe?» ringhiò furioso.

Preso da una rabbia cieca e feroce, la Bestia scagliò con violenza la caraffa contro una delle pareti e si dileguò dalla loro vista, svanendo oltre le scale che portavano ai piani superiori.

«Oh, poveri noi...» ripeté ancora Mrs. Potts.

«Plumette, ma chére, stai bene?».

«Oui, credo di sì» rispose lei, sollevando le ali che avevano sostituito le sue mani e incapace di trattenere un singhiozzo. «Oh, Lumiére, guardaci...».

«Ti guardo, mon amour. E ti trovo bellissima come sempre... sei solo un po' più fradicia».

«Come puoi scherzare in un momento simile?» lo redarguì Cogsworth. «Quella megera ci ha maledetti!».

«Perlomeno siamo ancora vivi».

Rimasero in silenzio, tentando di aggrapparsi a quell'imprescindibile verità per farsi forza. Solo in quel momento si accorsero della rosa incantata, che giaceva al centro del salone come il più comune dei fiori recisi.

«Quella donna ha detto che la maledizione si spezzerà non appena sarà caduto l'ultimo petalo... non è così?» disse Cogsworth.

«No, mon amì. Ha detto che potrà essere spezzata fino a quando non sarà caduto l'ultimo petalo» lo corresse tristemente Lumiére.

«Cosa accadrà a tutti noi in caso contrario?» domandò Plumette.

«Una condanna a vita» mormorò Mrs. Potts, avvicinandosi a Chip e abbassando mesta lo sguardo.

«Papà verrà a cercarci di sicuro!» sentenziò lui con decisione. «Vero, mamma?».

«Oh, ma certo, piccolo mio... non ci lascerebbe mai da soli».

«Se quella rosa è la nostra ultima speranza rimasta, forse è meglio metterla in un posto più opportuno del pavimento» disse Cogsworth, ciondolando in direzione del fiore. «Chapeau? Sei tu?» domandò a un lussuoso attaccapanni che si piegò su se stesso in un chiaro segno di affermazione. «Aiutami a portare questa rosa al Principe».

«Andiamo con loro, Chip» mormorò Mrs. Potts. «Non è un bene che il Principe Adam resti da solo...».

Come se avesse udito la sua richiesta, un adorabile carrellino da tè si avvicinò a loro. Chapeau sollevò entrambi con incredibile delicatezza per essere un uomo trasformato da meno di venti minuti in un attaccapanni. Li posò l'uno vicino all'altra e dondolò al seguito di Cogsworth, che si stava arrampicando sui grandini della scalinata centrale con evidente difficoltà.

Rimasti soli, Plumette fece un leggero tentativo di muovere le piume bianche. Lumiére si avvicinò per aiutarla a spostarsi.

«No!» esclamò lei spaventata. «Finirai per bruciarmi di nuovo».

«Sono ancora fradicio».

«No, non lo sei» sussurrò triste lei. «La tua testa si è riaccesa solo pochi istanti dopo essersi spenta...».

«Stai scherzando?».

Alzò le braccia per controllare, ma in quel preciso momento anche la fiammella della candela destra riprese a zampillare. Ci vollero solo un paio di secondi prima che anche l'altra ricominciasse a bruciare. Lumiére sedette a debita distanza da lei e fece un sospiro amareggiato.

«Credo di non poter rimanere spento».

Plumette lo fissò. Lumiére si costrinse a sorriderle con affetto, sebbene l'immagine del nuovo viso dell'amata gli stesse stringendo il cuore in una morsa di dolore. I tratti delicati del suo volto avevano lasciato il posto al profilo di un aggraziato pavone candido, ma erano i suoi nuovi occhi a tormentarlo: opachi e vuoti, senza più il guizzo vivace di cui si era innamorato diversi anni prima, senza più vita, senza più speranza.

«Lo aveva detto» commentò Plumette.

«Chi?».

«Lei» puntualizzò. «Ha detto che tutto ciò che avresti toccato si sarebbe trasformato in cenere... che io non avrei più potuto toccarti. Oh, Lumiére, questa è davvero crudeltà...».

C'è mai forse stato un freno a ciò che avete portato in questo castello per impigrire l'animo del vostro signore, monsieur Lumiére?”.

Lumiére abbassò il capo.

«È colpa mia, ma chére. Ho trascorso gli ultimi anni assecondando con un applauso ogni più scriteriato desiderio del Principe...».

«Sei il suo maitré. È il tuo lavoro».

«Ma non è giusto che sia tu a pagarne le conseguenze. Tu non hai colpe».

Plumette sorrise appena e per un attimo fra le fattezze a forma di pavone ricomparve l'espressione gentile della donna che amava.

«Questa sera ho trascorso trenta minuti ad agghindarmi i capelli prima di scendere in cucina» confessò con voce triste. «Assurdo per una cameriera, no? Desideravo che donne più ricche alle quali servo tartine da una vita si sentissero perlomeno più brutte di me. Se la vanità non è una colpa, allora non so più cosa lo è».

«Io amo guardarti mentre ti rimiri allo specchio».

«E ancora ti chiedi per quale motivo ha punito entrambi, mon amour?».

Si trattenne dall'istinto di sfiorarla. La sola idea che avrebbe potuto trascorrere il resto dell'esistenza senza poterla baciare di nuovo era insostenibile.

«Lumiére, guarda» gli disse, indicando un punto esattamente di fronte a loro.

Un ingombrante clavicembalo stava cercando di risalire le scale, ma ad ogni tentativo le sue corte gambe di legno scivolavano sul marmo e lo facevano ripiombare a terra in un fragore di tasti pigiati per caso.

«Maestro, prova ancora!» strillava un grosso armadio dalla sommità del parapetto del primo piano. «Te ne prego, io non posso muovermi».

Un seggiolino a quattro zampe continuava a salire e scendere lungo le scale, uggiolando di dolore. Nonostante fosse ormai piuttosto evidente che le enormi dimensioni non gli avrebbero mai permesso di risalire quelle scale, Maestro Cadenza non sembrava intenzionato a darsi per vinto.

«Credi che--?» iniziò Plumette.

«No, ma chére. Quelle scale sono troppo inclinate» la interruppe desolato lui.

«Se avessi ancora gli occhi, credo che piangerei».

Lumiére fece un sorriso storto.

Se solo non fosse stato composto di puro metallo, probabilmente avrebbe pianto anche lui.








   
 
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