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Autore: Daleko    15/04/2017    0 recensioni
Questa è un'originale però non è un'originale. Lo so che come espressione sembra non avere senso, ma proseguendo la lettura della storia diventerà sempre più chiaro cosa io intendessi dire.
Questo racconto più verificare effetti "WTF?" indesiderati (oppure no). Assumere in piccole dosi.
~
Per un terribile momento pensai di trovarmi alla presenza di zombie veri e propri, zombie di quelli che una volta erano i miei genitori e che ora, nel pieno della loro vita, ciondolavano per casa con pelle ingrigita e pagliuzze dorate nelle iridi.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Bisogna cambiare la Storia

4.
 
«...Lucifero?» domandai confuso. «Nel senso come... Il diavolo?» insistei sentendomi stupido. L'altro scoppiò a ridere. «Sì, puoi chiamarmi così anche se non lo preferisco. Ha un'accezione troppo negativa per i miei gusti» mi rispose stringendosi nelle spalle. Calò un silenzio imbarazzante su di noi: separati da un tavolo da lettura, lui dando le spalle alle porte e io con le mie contro la libreria. Davanti a me era ancora aperto quello stupido libro, troppo lontano perché potessi richiuderlo, e non riuscivo a distogliere lo sguardo da quel bell'uomo (uomo?) davanti a me. Mi riusciva difficile credere agli zo... alle lamie all'esterno, ma che avessero tutti qualcosa di strano potevo ancora verificarlo con i miei occhi. Quale prova avevo, invece, che quell'uomo (ma era proprio un uomo?) si trattasse davvero di quello che diceva di essere?
«Provamelo!»
«Come, scusa?»
«Provami di essere Lucifero» insistei. Lui sorrise beffardo. «Vuoi che faccia una corda di sabbia di mare o qualcosa del genere?» propose divertito. Battei le palpebre più volte. «Eh?» riuscii solo a emettere, con un suono non troppo convinto. L'altro si accigliò, guardandosi intorno. «Non siamo in Irlanda, vero?» mi domandò con tono incuriosito. Mi sentii un po' preso in giro. «No. Siamo in Italia» calcai la risposta, lievemente offeso. L'uomo schioccò le dita della mano destra, un sorriso ampio sul volto e tornando con gli occhi su di me. «Ah, vero! Che graziosa isoletta!» commentò. Aprii bocca per ribattere, ma non feci in tempo.

«Chi cazzo è questo qui?» borbottò a mezza voce Rei sulla soglia della porta. La sua voce rimbombò nella sala, arrivando alle nostre orecchie; ci voltammo entrambi a guardarla. «Oh, Angelina!» esclamò lo sconosciuto con un allegro battito di mani. La ragazza impallidì e sembrò anche lei sul punto di dire qualcosa, ma fu raggiunta da Vins con le braccia colme di snack. «E Vincenzo. Ciao ragazzi!» continuò a salutare il biondo. Rei era impallidita. «Come mi conosci? E chi cazzo sei?» ringhiò. Sembrava un gattino dal pelo arruffato e mi faceva tenerezza; non spaventava me, figurarsi l'altro tipo. Rei e Vins, anche lui sospettoso, si avvicinarono lentamente e provando a tenersi lontani da questo bizzarro figuro, aggirando il centro della stanza per raggiungermi raso al muro. Nessuno di noi staccava gli occhi di dosso al tipo, e lui seguiva il tutto con uno sguardo divertito. Alla fine Rei finalmente si voltò a guardarmi mentre Vins, ancora con le braccia piene, restava a fissarlo inebetito. «Lo conosci?» mi chiese lei in un sussurro. Riuscii solo a scuotere debolmente la testa. Rei tornò quindi a guardarlo, trasalendo e afferrandomi un braccio; la mano libera corse alla bocca. «Oddio! È uno di quei fottuti mostri!» esclamò improvvisamente. Cominciò a scuotermi, mormorando: «I suoi occhi! Guardate gli occhi!» come una nenia. Lui in tutta risposta sbuffò, contorcendo il viso in una smorfia per poi sedersi di sbieco su di uno spigolo del tavolo. Continuava a guardarci. «Angelina, Angelina... Non crederai mica che quel simpaticone di Dio ti stia ascoltando davvero, vero?» la rimproverò bonariamente. Ren si accigliò, e nonostante la paura non riuscì a frenare la lingua. «Eh?» sbottò. Ebbi un déjà vu. «Parlavi di un mio vecchio amico. Cioè, in realtà... Ma sì, un vecchio amico» concluse con un sorriso inquietante. Ci scambiavamo sguardi perplessi, ora, convinti di trovarci in presenza di un pazzo. «Di... Di chi sta parlando, scusi?» domandò gentilmente Vins. L'altro emise un verso seccato. «Dyáuh, Zeus, Šiu, Guth, Eloah, Ilum, Alāhā, Dingir, Ahura... Come volete chiamarlo?» rispose con le belle labbra all'ingiù, in un'infantile espressione di tristezza. Colsi l'occasione. «Come si chiama?» domandai a bruciapelo. Lucifero, ormai cominciavo a credergli, si rivolse verso di me puntandomi i suoi occhi gialli dritti nelle pupille. Mi sentii non solo a disagio: ero come spogliato da ogni mia veste, sentivo la mia mente violata nell'intimo. Avvampai e la sua bocca ghignò di divertimento malsano. «Non fare il furbetto con me. Il suo nome non è intellegibile per voi, così come non lo sarebbe il mio. La pronuncia migliore del suo nome, quella più vicina a qualunque cosa possiate pronunciare, è El» spiegò. Vins mi guardò accigliato, poi tornò con lo sguardo su di lui. «Nel senso che... Dio in realtà si chiama El? Tutto qui?» domandò ottusamente. Lucifero tornò a guardarlo. «Sì, certo. Perché, che ti aspettavi? Cinquantadue sillabe? Il mio è Bahel» concluse con un'alzata di spalle. Vins sembrava imbarazzato. «Sì, ok, ma quindi tu chi cazzo sei?» sbottò di nuovo Rei. L'altro scoppiò a ridere, lasciando a me l'onore di rispondere. «È il Diavolo», risposi a mezza voce. A Vins cadde uno snack.


   
 
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