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Autore: SoltantoUnaFenice    16/04/2017    4 recensioni
Marte è cambiato, e molto: l'ha vista rinascere un pezzo alla volta. Le periferie non sono più così povere, c'è tanto da lavorare e tanto da costruire. Sembrano tutti pervasi da un fuoco fatto di speranza e fiducia.
Ma quell'angolo brullo è rimasto esattamente com'era, e la lapide che onora i caduti di Tekkadan si affaccia ancora sulla vallata di roccia e terra rossa. Forse è per questo che ogni tanto fugge lì. Quel posto gli somiglia: come lui, è troppo arido e troppo lontano da tutto il resto per poter rifiorire.
Ambientata tre anni dopo l'ultima puntata di Gundam Iron Blooded Orphans.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima incursione nel mondo di Gundam... entro in punta di piedi, buttadomi in un mare di Angst... Buona lettura!
 

Marte è cambiato, e molto. Quando è sbarcato e si è ritrovato ai margini di Chrise, è rimasto quasi straniato da tutto quel verde. Tutto attorno alla città c'è una distesa di campi coltivati, e sembra che abbiano costruito molte case nuove.
E' arrivato poco prima del tramonto, ma ha aspettato che facesse buio prima di muoversi da lì. Non sa molto di come stanno le cose, e sicuramente il suo nome è nelle liste delle persone ricercate.
Le strade sono tranquille, non c'è quasi nessuno. Riflette su come muoversi, anche se ci si è già arrovellato per tutto il tragitto. Deve provare a contattare Kudelia o almeno Eugene, ma non è una cosa semplice. Ci sono due o tre posti in cui può andare per chiedere aiuto, e comincerà da lì. Non ora, però. Sa di essere poco più di un fantasma, e sarà tutto più semplice con la luce del mattino.
C'è un bar in fondo alla strada: fuori campeggia la scritta Aperto tutta la notte. Berrà qualcosa per ingannare l'attesa, e quando farà giorno si muoverà. Ha aspettato tre anni senza poter fare nulla, ed ora ogni minuto di attesa gli sembra infinito.

 

Marte è cambiato, e molto: Yamagi l'ha vista rinascere un pezzo alla volta. Le periferie non sono più così povere, c'è tanto da lavorare e tanto da costruire. Sembrano tutti pervasi da un fuoco fatto di speranza e fiducia.
Ma quell'angolo brullo è rimasto esattamente com'era, e la lapide che onora i caduti di Tekkadan si affaccia ancora sulla vallata di roccia e terra rossa. Forse è per questo che ogni tanto fugge lì. Quel posto gli somiglia: come lui, è troppo arido e troppo lontano da tutto il resto per poter rifiorire.
Lì non c'è bisogno di apparire forte o sano. Ci sono soltanto lui, e tutti i ricordi che lo tengono in vita, anche se gli impediscono di vivere davvero.
Ha portato un piccolo mazzo di margherite gialle ed arancio. Le avrebbe volute magenta come il Ryusei-go, ma non c'erano. Le ha comprate nel negozio in cui di solito prende la frutta e la verdura. Da quando girano un po' di soldi, si può trovare anche qualcosa di meno indispensabile del cibo. Qualche anno prima, nessuno avrebbe speso energie per coltivare fiori, perché nessuno da quelle parti li avrebbe potuti comprare. Era roba da ricchi, e quelli non facevano compere in quei quartieri.
Lo posa tra la terra e la pietra incisa, poi tira fuori anche una bottiglia. Un cliente l'ha regalata a Kassapa, e Yamagi ha chiesto se poteva averla lui. Il vecchio non ha fatto storie: lui non chiede mai nulla e così al capomeccanico fa piacere accontentarlo, ogni tanto.
Fa forza con il pollice lungo il collo della bottiglia: le sue dita hanno calli così duri che non sente nemmeno il bordo affilato del tappo, che salta via e rotola giù lungo il pendio scosceso. Yamagi ascolta il tintinnio metallico che si spegne quasi subito.
“Non sono venuto a mani vuote, hai visto? - Solleva la bottiglia verso il cielo stellato, parlando ad alta voce. Potrebbe anche sussurrare: non farebbe molta differenza per la persona a cui sta parlando. - Non lo sono mai in questo giorno. Tu non hai mantenuto la promessa.”
Prende un lungo sorso, ed abbassa gli occhi.
“Non hai potuto mantenerla, così... così la mantengo io per te. Beviamo assieme fino al mattino, no? Io e te, Shino. E nessun altro.”

 

E' quasi l'alba. Il chiarore comincia ad insinuarsi tra le case, creando ombre allungate. L'aria è ancora molto fredda, ma lui non resisteva più chiuso in quel bar. E poi ha praticamente finito i soldi ed il barista ha cominciato a guardarlo storto perché non ordinava nient'altro.
Così si avvolge stretto nella giacca e cammina. Ricorda che il negozio in cui lavorava Atra da bambina era poco lontano da lì. Spera che ci sia ancora, e che la donna che lo gestisce sappia dirgli qualcosa. Se Atra è rimasta in contatto con lei – se è ancora viva – le avrà raccontato cosa ne è stato dei suoi compagni.
Li ha creduti morti così a lungo... Ha creduto a ciò che gli hanno detto, e non ha fatto molto per sapere la verità. Dopo essersi gettato contro la flotta di Arianrhod ed essere quasi morto, dopo essere stato ripescato e curato, era stato tenuto prigioniero fino alla fine della battaglia.
Poi Tekkadan era stata annientata, e probabilmente lui non era più considerato un pericolo, visto che era rimasto l'unico dei suoi compagni. Lo avevano informato, con molto compiacimento, che Orga, Mika e tutti gli altri erano morti, e lo avevano scaricato in una colonia ai confini del mondo abitato. Un posto in cui deportare soggetti indesiderati come lui, perché lavorassero e non facessero altri danni tra la gente per bene. Non era un bel posto, ma nemmeno una galera. Bastava lavorare e non dare problemi, e ci sarebbero stati cibo ed un letto al chiuso. Non c'era libertà, naturalmente, né la possibilità di andarsene da lì, ma a lui non importava.
Aveva appena cominciato a ritornare in forze dopo aver perso un braccio ed una gran quantità di sangue, quando aveva saputo di aver perduto tutto: i suoi compagni, la sua famiglia, non c'erano più.
All'inizio non ci aveva creduto. Aveva gridato a quei soldati che era una bugia, che stavano soltanto mentendo. Ma tutti quelli che sbarcavano alla colonia portavano la stessa identica notizia: Tekkadan era stata distrutta. Tutti i notiziari l'avevano riportato, e nessuno aveva più visto o sentito parlare delle giacche verdi dal giglio stilizzato.
Così aveva finito col cedere alla rassegnazione, tornando alla condizione in cui sostanzialmente era nato. Dopo qualche mese che era lì, aveva cominciato a pensare alla sua avventura con Tekkadan come ad una folle, meravigliosa parentesi di libertà in una esistenza da ratto spaziale. Una esistenza a cui evidentemente era destinato, nonostante avesse cercato di uscirne.
Poi qualcuno gli aveva detto che Kudelia era diventata Presidentessa della Federazione Marziana, e lui aveva cominciato a sbirciare nelle stanze delle guardie per provare a vederla nei notiziari. Quando finalmente ci era riuscito, era rimasto di sasso nel vedere accanto a lei, tutto elegante ed impomatato come un damerino, Eugene Sevenstark, colui che era stato il suo migliore amico.
Se ne stava impettito nel suo ruolo di guardia del corpo, e lui era rimasto bloccato lì, a bocca aperta, mentre il suo cervello cominciava a lavorare freneticamente.
Una spinta poco gentile da parte di una delle guardie lo aveva fatto tornare in sé, ma da quel momento non era riuscito a smettere di pensarci. Kudelia era diventata un personaggio importante, ed Eugene era con lei. Poteva significare che qualcun altro si era salvato? Forse lei era riuscita a tenere sotto la propria ala qualcuno dei suoi vecchi compagni?
Doveva evadere, e per un anno era rimasto concentrato e teso, pronto a cogliere la più piccola possibilità di fuga. Incredibilmente un giorno era riuscito ad infilarsi in una delle navi cargo per i rifornimenti, durante una rissa tra guardie e prigionieri. Ed ora è su Marte, e l'unica cosa a cui riesce a pensare era che deve sapere tutta la verità, il prima possibile.

 

L'alba si sta espandendo da dietro alle colline brulle. Invade la vallata, lambendo la lapide di Tekkadan come una lama sottile e bianca. Yamagi fa oscillare la bottiglia con un movimento lento e regolare, nonostante la mano malferma e la testa che ciondola.
“Hai visto? - Grida. - Questa volta l'abbiamo quasi finita, questa dannata bottiglia! E' la prima volta, no?”
Cade in ginocchio, costretto a sorreggersi con una mano contro la roccia.
“Finora ero stato troppo bravo. Troppo moderato, troppo composto... Ma sai una cosa? Non sono più un bambino. E qui non cambia mai niente, nemmeno se io... nemmeno se cerco di resistere.”
China la testa, mentre le spalle si incurvano ed i capelli cadono sugli occhi.
“Quindi a cosa serve? - Torna ad osservare il fondo della bottiglia, dove luccica ancora un dito di alcool. - Cosa ne dici, pensi che se la finisco tutta cambierà qualcosa? Eh, Shino?”
Butta giù in un sorso quello che è rimasto, poi cade a terra, steso su un fianco. La bottiglia rotola via, andandosi a fermare nella polvere.
“L'ho finita... - Mormora. - E quindi qualcosa succederà. E se non succede... la farò succedere io. Vero, Shino? Vedrai... qualcosa... succederà...”

  
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