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Autore: The Writer Of The Stars    17/04/2017    5 recensioni
"Per farlo addormentare sua madre gli leggeva sempre una pagina de “Il Piccolo Principe” che per Trunks era un libro speciale, perché glielo aveva regalato suo padre insieme ad una carezza frettolosa tra i capelli di ritorno da un viaggio di lavoro. Trunks avrebbe conservato quel raro momento per sempre; il libro lo teneva sul comodino alla destra del letto, la carezza nel lato sinistro del petto. “Addio – disse la volpe. – Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Poi Bulma chiudeva il libro, lo riponeva con cura sul mobile e rimboccava lui le coperte. Si abbassava alla sua altezza, gli baciava la fronte e poi gli posava una mano sugli occhi; per Trunks diveniva allora tutto buio e così era più semplice assopirsi."
***
AU! Ispirata da "Una mano sugli occhi" e "Facciamo finta" di Niccolò Fabi.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Premessa:
Questa one shot è nata in maniera totalmente casuale. Stavo ascoltando alcuni brani dell'immenso Niccolò Fabi e in particolare "Facciamo finta" e "Una mano sugli occhi" (vi consiglio di lanciarci un'occhiata nel caso in cui non li conosciate in quanto si amalgano perfettamente al testo seguente) e la voglia di tornare a scrivere qui, sul primo fandom dove sono approdata, è stata immensa. Torno con la mia coppia preferita per eccellenza in un' AU che potrebbe spiazzare, perchè effettivamente di coppia non c'è moltissimo. Ho deciso di concentrarmi su quello che è e potrebbe essere il rapporto padre/figlio tra Vegeta e Trunks in un contesto che non è quello canonico dell'anime, bensì un quotidiano e banale presente comune. L'avvertimento OOC c'è, perchè ritengo che per quanto ci si sforzi qualsiasi personaggio di una qualunque opera, se decontestualizzato, perda alcune caratteristiche che lo hanno reso tale all'interno dello script originale. Nel corso della storia vi renderete conto di come Trunks si esprima tralasciando i congiuntivi: non si tratta di errori grammaticali, ma sono funzionali ad esprimere la volontà impellente e i desideri angosciosi del bambino. Terminata quest'immensa premessa, vi lascio alla lettura. Chiedo perdono se mi sono dilungata, ma era da tanto che non bazzicavo qui e mi sento emozionata come per la mia primissima storia.
Buona lettura
 
Una mano sugli occhi

Il frigorifero era mezzo vuoto. Lo yogurt all’amarena sul primo ripiano era scaduto da una settimana, ma Vegeta non ebbe il coraggio di buttarlo via, sebbene non gli piacesse per nulla.

“Vegeta, ti va di assaggiarne un po’?” Lo guardava con occhi languidi, e lui ci vide un che di malizioso in quelle labbra sporche di yogurt rossastro. Bulma gli passò il cucchiaino di plastica, ma lui preferì saggiare il gusto della mousse dalle labbra piene della ragazza che sorrise d’istinto; Vegeta, però, si staccò subito con un cipiglio disgustato. “Come fa a piacerti quella roba?” chiese nauseato, pulendosi la bocca con il dorso della mano. Bulma scoppiò a ridere, leccandosi le labbra arrossate e illuminandosi come una bambina.
“Io amo le amarene!”

Vegeta chiuse di scatto il frigorifero con talmente tanta forza che rischiò di romperlo. Abbassò lo sguardo al parquet sotto i suoi piedi e vicino alla suola della scarpa intravide una macchiolina scura di un qualche succo di frutta. “Se la vedesse Bulma, impazzireb…”

“Basta!” quando gridò gli parve di percepire le corde vocali staccarsi dalla trachea. Erano giorni che non parlava e la sua gola si era disabituata a quello sforzo immane. Scosse la testa che si era stretto tra le mani e tentò di placare il respiro affannoso.

“Papà?”
Alzò di scatto lo sguardo verso la sua destra; Trunks lo osservava dalla soglia della cucina, era scalzo e indossava la felpa di un completo diverso rispetto ai pantaloni della tuta, si stropicciava gli occhioni gonfi di pianto e di sonno arretrato. “Ha i capelli sporchi” notò Vegeta, lanciando un’occhiata alla zazzera color glicine del bambino. “Si vede che non c’è più lei.”

“Trunks” esclamò con la voce lontanamente rotta dallo sforzo di contenere il dolore. Lanciò un’occhiata all’orologio da parete alle sue spalle, che segnava ora le 20.30.

“Hai fame?” chiese impacciato. Il bambino scosse la testa, poi abbassò lo sguardo. Vegeta lo osservò con i precordi gonfi di malinconia e si scoprì per la prima volta succube interamente di tutta quella tragedia.

“Hai bisogno di farti un bagno” sentenziò all’improvviso senza una particolare intonazione della voce. Si avvicinò alla porta, sorpassando il bambino che lo guardava confuso e apatico. “Andiamo.” Concluse, precedendolo verso il bagno.


Trunks guardò la vasca piena d’acqua calda e bagnoschiuma all’albicocca e un dolore acuto gli perforò il cuore. Vegeta si era accorto della reticenza del bambino e dentro di lui immaginava già a cosa fosse dovuta.

“Che ti prende?” gli chiese duro, osservando come non si fosse ancora spogliato dei propri indumenti. Il bambino sobbalzò spaventato e Vegeta si odiò per i
suoi modi così poco paterni.

“I-io …” Trunks balbettò con la voce rotta, poi scosse il capo e posò lo sguardo tra la schiuma della vasca piena.

“Non so fare il bagno da solo.” Confessò vergognoso. “Mi aiutava sempre la mamma.” Aggiunse in un soffio e Vegeta percepì una stilettata conficcarsi dritta nel proprio petto.

“Trunks, stai fermo o non riesco a lavarti per bene!” Bulma sbuffò senza rabbia mentre il bambino sgambettava allegro nella vasca piena fino all’orlo, schizzando acqua da tutte le parti. La donna cercò di mantenere un cipiglio serio per esprimere il proprio disappunto, ma la risata di Trunks era così bella che non riusciva proprio ad essere arrabbiata con lui.
“Va bene” esclamò con una strana luce negli occhi, “lo hai voluto tu!” Trunks non fece in tempo ad assimilare quelle parole che sua madre prese a fargli prepotentemente il solletico sulla pancia. Tra spasmi e risate incontrollate, la maggior parte dell’acqua del bagno si riversò sul pavimento e sulla vecchia t- shirt dei “Radiohead” che Bulma aveva indosso in memoria della sua adolescenza, ma né a madre né a figlio importò della confusione creata; si sarebbero accorti del disastro solo dopo, quando, intenti ad asciugare le piastrelle, si scambiarono un sorriso complice tra le labbra e si guardarono gli occhi luccicanti di gioia. Bulma, nonostante fosse prossima ai trent’anni, aveva ancora la risata di una bambina e insieme a quella argentina di Trunks il bagno si riempì di una melodia tanto orecchiabile da divenire musica. Bulma lasciò un bacio tra i capelli umidi di Trunks e Vegeta, poggiato silenziosamente allo stipite della porta, si lasciò sfuggire un mezzo sorriso intenerito.

“Spogliati.” Trunks lanciò uno sguardo confuso a suo padre e si stupì nel vederlo arrotolarsi le maniche della maglia in cotone fino ai gomiti. L’uomo alzò le spalle, guardandolo infastidito.

“Che c’è, sei sordo?” poi addolcì un poco il tono, “Ti aiuto io.”
Vegeta poteva annoverare tra le proprie esperienze pochi bagnetti fatti al piccolo Trunks e per lui erano sempre stati momenti traumatici, in quanto era terrorizzato all’idea di fare del male ad un esserino così piccolo e delicato come gli appariva allora. Nonostante ciò di quei rari momenti ricordava le braccine di Trunks tese verso di lui in un tacito invito ad abbracciarlo e soprattutto ricordava le risate gioiose del neonato che, contro ogni pronostico, amava sguazzare nell’acqua e lui non lo aveva mai ammesso, ma ogni volta che lo sentiva ridere percepiva il proprio cuore alleggerirsi di tonnellate di chili. Durante quel bagno non ci fu alcuna risata. Trunks si era infilato nella vasca con timore, quasi si vergognasse di mostrarsi nudo e vulnerabile a suo padre e Vegeta gli aveva insaponato i capelli con tutta la delicatezza di cui era capace. Gli strofinò le spalle e la schiena con la spugna, poi Trunks senza dire nulla gli tolse l’oggetto dalle mani e si lavò il resto del corpo. Vegeta notò che il bambino si strofinava il braccio con una foga animale e quasi si spaventò nel vedere tutto quell’accanimento nei confronti della propria pelle. “Stai attento a Trunks, Vegeta; a volte può capitare che i bambini che hanno subito un grave trauma compiano atti di autolesionismo”.

“Trunks! Ehi, ehi, Trunks!” lo richiamò agitato, cercando di scacciare dalla mente le parole di Chichi, la moglie del proprio migliore amico, nonché psicologa. Trunks alzò lo sguardo verso di lui e Vegeta sobbalzò nello scontrarsi con gli occhioni arrossati e pieni di lacrime del bambino.

“Trunks,” ripeté più calmo, sfilandogli con lentezza la spugna dalle mani, “basta così, puoi uscire.” Ma Trunks non sembrava intenzionato a lasciare quella culla che gli era così familiare. Vegeta lo osservò immergere le mani nell’acqua e lo vide giocherellare con abulia con la poca schiuma rimasta.

“Papà?” lo richiamò infine con una vocina spezzata. “Facciamo finta?” da principio l’uomo non comprese le parole del bambino e impiegò diversi attimi prima di collegare dolorosamente quella richiesta alla quotidianità ora distrutta. “Facciamo finta?” era un gioco che Bulma aveva inventato per Trunks quando lui aveva quattro anni ed era stato colpito da una grave infezione ai polmoni che lo aveva costretto a letto per un intero mese. Confinare un bambino in casa era pressochè impossibile, così Bulma aveva sfidato Trunks ad usare la fantasia, spingendolo ad inventarsi in continuazione scenari improbabili o desideri inespressi del piccolo. “Facciamo finta che papà mi porta sulla luna!” aveva esclamato una sera dopo aver mandato giù un cucchiaio di sciroppo amaro e Vegeta, sorpreso dalla frase e un po’ infastidito dal congiuntivo mancato, si era fatto spiegare dalla moglie divertita cosa stesse accadendo. Da allora “Facciamo finta” era divenuto il loro gioco di famiglia e, sebbene ogni volta che Trunks lo tirasse fuori Vegeta sbuffava scocciato, nel profondo sapevano bene che anche lui era felice di condividere un passatempo con moglie e figlio.

Vegeta non rispose ma si voltò per afferrare un asciugamano pulito; quando si girò di nuovo vide Trunks ritto in piedi, bagnato e tremante per il freddo, così si affrettò a coprirlo con il telo e ad asciugarlo il più in fretta possibile e quel gesto gli parve quasi un qualcosa di simbolico, come se tamponando le gocce d’acqua che correvano per il suo corpicino volesse risanare tutte le ferite interne che lo plagiavano. “Come l’acqua passerà, anche il dolore farà lo stesso” pensò, ma sembrava rivolto più a se stesso che al bambino.

“Facciamo finta che io sono un re” Vegeta sobbalzò ma non smise di asciugare le spalle di Trunks, “che questa è una spada e tu sei un soldato.” Continuò, indicando il tubo della doccia, e Vegeta si trovò infastidito per quei congiuntivi mancati come quella volta di tre anni prima. Non gli rispose, ma prese un asciugamano più piccolo e iniziò ad asciugare i capelli del bambino.

“Facciamo finta che io mi nascondo e tu mi vieni a cercare, e anche se non mi trovi tu non ti arrendi perché magari è soltanto che mi hai cercato nel posto sbagliato.” Vegeta serrò la mascella fino a far stridere i denti.

“Trunks, smettila.” Sentenziò duro, allontanandosi dal bambino. “Forza, mettiti il pigiama.” Ordinò additando gli indumenti puliti poggiati vicino al lavandino. Poi uscì dalla stanza, lasciando Trunks solo mentre il cuore rischiava di implodergli nel petto per il dolore.
 
 
Trunks aveva sempre avuto difficoltà nell’addormentarsi. Suo padre non lo sapeva nemmeno e lui non voleva dirglielo, perché se ne vergognava da morire. La sua mamma invece vi era abituata e per questo lo accompagnava sempre a letto lei, ogni sera, persino ora che aveva quasi otto anni, persino la sera prima del giorno peggiore. “Io non ti capisco proprio” aveva sbuffato Vegeta con sguardo sprezzante, “ormai è grande abbastanza per andare a dormire da solo. Tu lo vizi troppo.” E poi si era allontanato con abulia verso il soggiorno, incrociando le braccia al petto e crucciando la propria espressione. Trunks, che stringeva la mano di sua madre, tremò per la vergogna e abbassò lo sguardo; Bulma lo guardò intenerita, spingendolo poi verso il corridoio.
“Andiamo, tesoro” gli sussurrò con dolcezza materna, “non dare retta a tuo padre, sai come è fatto.”
Per farlo addormentare sua madre gli leggeva sempre una pagina de “Il Piccolo Principe” che per Trunks era un libro speciale, perché glielo aveva regalato suo padre insieme ad una carezza frettolosa tra i capelli di ritorno da un viaggio di lavoro. Trunks avrebbe conservato quel raro momento per sempre; il libro lo teneva sul comodino alla destra del letto, la carezza nel lato sinistro del petto. “Addio – disse la volpe. – Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Poi Bulma chiudeva il libro, lo riponeva con cura sul mobile e rimboccava lui le coperte. Si abbassava alla sua altezza, gli baciava la fronte e poi gli posava una mano sugli occhi; per Trunks diveniva allora tutto buio e così era più semplice assopirsi. Vegeta non era a conoscenza della “mano sugli occhi” e Bulma non aveva mai voluto dirglielo, come a voler conservare quel gesto così intimo tra lei e suo figlio e tenerlo lontano dagli sguardi esterni. Era un’azione egoista, ma purtroppo non riusciva a vergognarsene abbastanza da pentirsene.

Trunks varcò la soglia della propria camera da letto con un pigiama pulito indosso e i capelli che profumavano di albicocca. Vegeta lo raggiunse silenzioso e osservò Trunks sedersi sul letto con movimenti apatici e meccanici; poi fissò un punto indefinito dinanzi a sé, tirando su col naso.

“Trunks” lo richiamò d’improvviso. “Dovresti dormire.” Trunks si stese sul letto, poggiò la testa sul cuscino e si accucciò su se stesso come un riccio ma non chiuse gli occhi.

“Facciamo finta che io mi addormento, e che quando mi sveglio è tutto passato?” Sussurrò e Vegeta chiuse gli occhi con un fremito, stringendo i pugni con forza.

La notte prima del giorno peggiore Trunks aveva impiegato alcuni minuti in più per cadere nell’oblio del sonno, come se avvertisse un presentimento terribile attraverso la mano calda di sua madre posata sugli occhioni chiari, così le aveva detto “Ti voglio bene, mamma” senza una ragione particolare, per puro istinto; lo stesso istinto che aveva portato suo padre a fare l’amore con lei quella sera stessa, ad intrappolarla tra le lenzuola color cinabro, ad abbracciarla fino al mattino seguente.
Vegeta era andato a prenderlo a scuola alle 10.00 e Trunks non aveva capito perché. La bidella gli aveva detto di fare lo zaino con occhi seri, la maestra si era insospettita ma le era bastato leggere attraverso il labiale della donna per capire. Trunks uscì dall’aula vedendo la maestra portarsi una mano alla bocca e gli parve talmente pallida che gli venne spontaneo chiederle se si sentisse bene. L’insegnante, per tutta risposta, lo abbracciò di slancio stringendolo con tanta forza che Trunks si sentì soffocare e desiderò solo essere lasciato in pace. Poi percorse i corridoi colorati con passo ciondolante ma un po’ spaventato, perché ancora non riusciva a capire cosa stesse accadendo. All’ingresso dell’istituto trovò suo padre fasciato nel suo completo scuro da lavoro, segno che era appena uscito dall’ufficio, e appena lo vide gli corse incontro un po’ sorpreso; era raro che fosse lui a venirlo a prendere, di solito c’era sempre sua madre ad attenderlo. Vegeta aveva le mani affondate nelle tasche e lo sguardo triste, che non gli aveva mai visto in volto. Si abbassò alla sua altezza, carezzandogli la chioma lillà con un sospiro; aveva gli occhi lucidi e Trunks capì.
 Durante il funerale della mamma Trunks aveva visto tante persone piangere, ma si era arrabbiato troppo perché lui quelle persone non le aveva mai viste e non meritavano di versare lacrime per la sua mamma. La mamma meritava le lacrime delle persone che la amavano, le sue, quelle di papà, dei nonni, degli amici veri. Gli sconosciuti gli davano fastidio. Ci fu una massa informe di gente che lo abbracciò stretto stretto come aveva fatto la maestra quella mattina, e allora lì gli tornò la stessa voglia di scappare via, si divincolò da quelle strette possessive che non voleva e corse a rifugiarsi dietro la figura solenne di suo padre. Vegeta non lo sgridò nemmeno perché lo capiva; anche lui avrebbe tanto voluto rimanere solo.

Vegeta si avvicinò a Trunks e si sedette sul ciglio del letto, come attratto da una calamita invisibile che lo spingeva ad avvicinarsi al figlio e a comportarsi finalmente come un vero padre. Vegeta amava da morire la sua famiglia, avrebbe dato la sua vita per la moglie e il figlio ma non era in grado di esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti come qualsiasi altro essere umano. Bulma aveva imparato a comprendere il suo carattere e ad amarlo, ma Trunks era un bambino e per quanto amasse incondizionatamente suo padre aveva bisogno di certezze, di gesti concreti e attimi veri e che gli restassero impressi nella mente e nell’anima, specialmente ora che quella tragedia si era abbattuta con tale violenza su di loro. Bulma era stata falciata via da un’automobile pirata, aveva abbandonato quel bambino e quel marito affamati d’amore per colpa di un ubriaco che si era messo alla guida senza esserne fisicamente in grado. Bulma era sempre stato il collante tra padre e figlio, era la voce che riempiva i silenzi, la risata che dava il via ai sorrisi, l’esclamazione di gioia che si levava per prima da tavola. Vegeta e Trunks non erano mai riusciti a crearsi davvero un legame personale, parlavano poco ma si volevano un bene ineguagliabile. Eppure ora la voce che li legava si era spenta e loro avevano bisogno di andare avanti, da soli. Dovevano imparare a bastarsi nel dolore e a creare quell’unione che anelavano da tempo, Vegeta voleva imparare cos’era la dolcezza e Trunks aveva bisogno di una mano sugli occhi prima del sonno e se non poteva più essere quella di sua madre sarebbe stata di suo padre. Aveva bisogno di non essere solo.

“Facciamo finta che posso schioccare le dita e in un istante scomparire, quando quello che ho davanti non mi piace, non è giusto o semplicemente mi fa star male.” Trunks si lasciò sfuggire un singulto e Vegeta non lo rimproverò, ma d’improvviso percepì l’umor aqueo dei suoi occhi pizzicare violentemente e gli venne l’istinto di avvicinarsi un po’ di più a suo figlio.

“Facciamo finta che torno a casa la sera e la mamma c’è ancora, seduta sul nostro divano blu.” Poi Trunks tossì e singhiozzò di nuovo e tremò talmente tanto che quel tremore incontrollato coinvolse anche Vegeta.

“Facciamo finta che poi ci abbracciamo e non ci lasciamo mai più …” sussurrò e guardò Vegeta come se gli stesse rivolgendo una supplica accorata. Vegeta non disse nulla ma si limitò ad allargare un poco le braccia e a Trunks quel gesto bastò per fiondarsi contro il petto paterno. Vegeta non era bravo ad abbracciare le persone, con Bulma era diverso, Bulma era brava, Bulma lo guidava in ogni gesto e gli aveva insegnato ogni cosa sull’amore e sulle relazioni interpersonali, lo aveva trasformato da matematico asociale e irascibile che si limitava a vivere con i propri numeri nel minuscolo ufficio di un negozio d’informatica, a uno dei più grandi esponenti dell’azienda di famiglia. Col tempo gli aveva insegnato l’amore, poi la convivenza, il matrimonio ed infine gli aveva dato un figlio che era il dono più grande che potesse mai ricevere. Vegeta ricambiò l’abbraccio del bambino con fare impacciato ma capì che a Trunks non importava il come, a Trunks importava il gesto, Trunks voleva sentirsi stritolare tra quelle braccia come aveva fatto la maestra a scuola, Trunks voleva amore e Vegeta aveva bisogno di dargliene.

“La mamma mi metteva sempre una mano sugli occhi per farmi addormentare, lo sai?” confessò tra i singhiozzi e Vegeta non reagì ma gli carezzò goffo i capelli fini, percependo un groppo in gola sempre più imponente. Non voleva piangere ma Bulma gli mancava da morire e la prospettiva di andare avanti senza di lei sembrava quasi un’utopia; Trunks era l’unica cosa che lo spingeva a non ammazzarsi e a gettare via la propria esistenza complessa. Con delicatezza spinse Trunks verso il materasso, gli tirò le coperte fino al mento e mentre il bambino continuava a piangere e lo guardava confuso, Vegeta avvicinò la propria mano grande e callosa al suo volto; gliela poggiò sugli occhioni azzurri e acquosi, asciugando nel mentre alcune delle lacrime che gli avevano inondato le guance.

“Dormi, Trunks.” Gli intimò con quella che riconobbe come dolcezza, la dolcezza paterna che non era avvezzo a mostrare ma che ora gli risultava la cosa più naturale del mondo.

Trunks annuì tremante e finalmente certo che il bambino non lo vedesse, Vegeta si lasciò sfuggire quelle lacrime di rabbia, odio e dolore che aveva celato sino ad allora, lacrime silenziose ma prepotenti e con la mano libera si coprì anch’egli gli occhi di brace per non vedere tutto quel mondo che lo circondava e che aveva reso lui e Trunks soli per sempre. Di Bulma gli era rimasto solo quello, non i baci sotto il portone di casa sua, non l’estasi dei primi giorni del loro amore, non la bellezza del suo essere, ma solo una mano sugli occhi. Una fredda e gelida mano sugli occhi prima del sonno.

Non è più baci sotto il portone, non è più l’estasi del primo giorno. E’ una mano sugli occhi prima del sonno.
 
   
 
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