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Autore: Valpur    18/04/2017    1 recensioni
Quando, per accontentare una madre apprensiva, Fedra aveva accettato di partecipare a quel dannato Conclave non aveva messo in conto molte cose.
Per esempio di riuscire a evitare il maledetto cugino Frederick.
O di scoprire che le toccava salvare il mondo.
Da imbarazzo dei Trevelyan a Inquisitore il passo è più breve di quanto la goffa, testarda Fedra potesse ipotizzare. E lo percorrerà - non senza qualche bestemmia - con dei compagni inaspettati che le cambieranno la vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Inquisitore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Non era ancora arrivata alla navata quando Cassandra la raggiunse.
Alta, silenziosa: il suo scudo. La sua forza.
“Fedra! Ci risiamo, vero? Di nuovo quel maledetto tempio e il buco nel cielo”. Varric le trotterellò incontro e come sempre quando la chiamava per nome non c’era traccia di allegria sul suo volto. Solas li raggiunse di corsa, pallido e già armato.
“Ci risiamo, sì”. Sapeva di avere gli occhi cerchiati e il naso rosso, ma nessuno si sarebbe stupito vista la situazione. La sala era gremita di gente che correva verso il cortile, volti spaventati e sguardi stupiti. Tutti che si chiedevano come fosse possibile, cosa si potesse fare. Tutti che guardavano verso Fedra.
Dorian e il Toro sbucarono – assieme? – dalla porta che conduceva alla libreria e presto furono con lei.
“Dobbiamo partire immediatamente. Quel varco va chiuso ora!” Fedra suonava più convinta di quanto non fosse; la volta precedente aveva avuto i Templari, ora… ora era diverso. L’ancora si era fatta più potente e sentiva che doveva farcela da sola. Nessun aiuto per lei. “Radunatevi in cortile, l’Inquisizione marcia verso il Tempio delle Sacre Ceneri”.
Nessuno trovò da ridire. Dorian si morse il labbro e annuì una volta prima di partire alla testa del resto del gruppo. Fedra rimase da sola nella calca, sopraffatta per un istante da una nausea di cui ora conosceva l’origine.
“Due Cuori. Per questo”. La voce gentile di Cole la fece voltare. Era di fronte a lei, dinoccolato e con una mano pallida tesa a sfiorarle la pancia. “Ti prego, dimmi che posso aiutare in qualche modo. Ho bisogno di poter fare qualcosa”.
Più umano, sofferente, con una disperazione nello sguardo che lo faceva sembrare un po’ meno un ragazzino inquietante e più un giovane uomo in cerca di un posto in quello strano mondo. Fedra deglutì a fatica e gli prese la mano stringendola forte.
“Custodisci questo segreto, Cole. Ti prego. Se… se…”
Era un pensiero orribile che si fece strada sgomitando nella confusione e nella paura. Non poteva tenerlo fermo.
“Cole, ti chiedo solo questo: se dovessi morire parla con Cullen. Diglielo tu e spiegagli perché ho taciuto. Tu puoi capirmi, vero?”
Le lunghe ciglia bianche fremettero mentre Cole chiudeva gli occhi.
“Sacrificio, un peso soffocante da sopportare pur di salvare chi non può combattere. Meglio che non sappia quando c’è troppo da perdere e niente da stringere tra le braccia. Meglio l’odio, la fiducia tradita che mettere in pericolo tutte queste vite”. La guardò all’improvviso e scosse la testa. “Fa male”.
“Fa malissimo, ma so di poter contare su di te. Andiamo ora”.
Gli fece strada tra la folla e fino alla scalinata che si affacciava sul cortile principale. Era facile vedere dove fossero gli altri, bastava seguire le ampie corna del Toro che sollevava popolani e li riappoggiava con garbo come se fossero pacchi delicati. Aveva recuperato dei cavalli e li stava già conducendo lungo il ponte.
“Cole, vai con loro, vi raggiungerò presto”.
Non attese una risposta e seguì il torrente umano fino alle caserme.
Faceva malissimo e ne avrebbe fatto ancora di più, ma non poteva andarsene senza parlargli un’ultima volta. Salì di corsa le scale e lo trovò in piedi sui bastioni, armato di tutto punto e intento a dare ordini a un drappello di generali.
“… i tuoi uomini lungo il versante occidentale, mentre quelli di Ryles a scortare i civili nelle segrete. Connelly, abbiamo una mappa?”
“Sì signore, c’è un passaggio”.
“Perfetto, va’ con Ryles e portati dietro degli esploratori. Muovetevi ora, non intendo perdere neanche una vita quest’oggi!”
Gli ufficiali batterono i tacchi e sciamarono via; Fedra sapeva di avere solo quell’istante prima di perderlo nel gorgo degli eventi e lo raggiunse facendosi strada tra le armature di un gruppo di Templari.
“Cullen… Cullen!”
Sollevò lo sguardo e la trovò, viso contratto dall’angoscia e occhi che nonostante tutto si addolcivano nel guardarla. In barba a ogni etichetta gli corse incontro e lo abbracciò forte.
“Ti amo. Non potevo partire senza ditelo. Ti amo”.
“Oh, Fedra…” Le prese il viso nella mano e le diede un bacio rapido, ruvido di barba. “Le truppe per accompagnarti…”
“Non le voglio, ho l’Inquisizione. Se non fossero sufficienti non lo sarebbero neanche tutti i tuoi soldati”.
Il poco colore gli lasciò le guance.
“Vuoi andare da sola?”
“Certo che no, non sono pazza, ma esigo che tu e i tuoi uomini sovrintendiate all’evacuazione di Skyhold. Non ci sarà un’altra Haven, non sotto il mio comando”.
E quella durezza d’acciaio da dove le arrivava? Cullen sembrò porsi la stessa domanda mentre sollevava un sopracciglio.
“Vengo con te”.
“Non questa volta”. Gli prese la mano che ancora le teneva il viso e scosse la testa. Gli occhi da leone si fecero cupi, quasi folli mentre la fissava con i denti digrignati.
“Se non dovessi tornare…”
“Valgono così poco le tue preghiere? Abbi fiducia in me, Cullen. Ti scongiuro”.
Un altro bacio in mezzo a Skyhold che gridava e sciamava come un alveare impazzito.
“Sei la persona più coraggiosa e stupenda che abbia mai conosciuto e un giorno troverò le parole per farti capire quanto ti amo”. Gli tremava la voce, gli tremavano le dita e Fedra sentì il peso invisibile nel proprio ventre bruciare.
Per un tragico istante pensò di dirglielo, di scaricare quella tragedia anche su di lui. Le parole le si formarono sulla lingua.
“Cullen io… noi…”
Non posso!
Scosse la testa una volta e gli baciò il palmo della mano prima di fare un passo indietro.

“Noi avremo tempo. Dobbiamo crederlo”.
Si dovette quasi sfilare dalla sua stretta e al tempo stesso farsi violenza per lasciarlo. Gli diede un ultimo sguardo – ricci sempre in ordine, occhi lucidi, muscoli tesi. Il suo leone, il suo generale.
Il padre di suo figlio.
Ingoiò le lacrime e corse via, controcorrente nella folla e fino al punto in cui le corna del Toro spiccavano sopra alle teste dei cittadini.
“Siamo pronti, andiamo”.
Prese le redini che Solas le tendeva e nel far ciò gli sfiorò la mano. L’elfo gliela prese con forza e la guardò, occhi accesi e viso esangue.
“Questa è la resa dei conti, Fedra. Lo sai, vero?”

Ne sostenne lo sguardo – e c’era qualcosa di incredibile in quegli occhi azzurri e tristi, qualcosa che le mandava un brivido lungo la schiena e che le faceva tornare in mente il tempio di Mythal.

“Lo spero, Solas. Lo spero tanto”.
Montò in sella e diede di sprone; Cassandra le si affiancò subito.
“Sulla via principale ci vorranno cinque giorni per arrivare ad Haven. Viaggiamo leggeri e il tempo sarà favorevole. Se noi…”
Un corvo sfrecciò sopra alle loro teste ed esplose in una nuvola nera e viola davanti a loro. I cavalli recalcitrarono e Fedra strinse le cosce per rimanere in sella mentre Morrigan si alzava da terra.
“Senza di me non andrete molto lontano, ci metterete un sacco di tempo e morirete in fretta”.
“Hai quasi fatto cadere Fedra di sella!” sbraitò Cassandra, ma la maga non le prestò attenzione.
“Come sulla strada delle Selve, Inquisitore: abbiamo fretta. Seguitemi!”. Tornò corvo con uno sbuffo di fumo e riprese a volteggiare sopra di loro.
Fedra non riuscì mai a capire cosa accadde durante quel viaggio frettoloso, ma non erano passate che poche ore quando intravidero all’orizzonte, nere sotto la luce verde del varco, le rovine del Tempio.
Morrigan si allontanò e planò verso la spianata demolita e Dorian prese un profondo respiro.
“Sto morendo d’invidia”.

Ma Fedra non riusciva a concentrarsi su nulla, in quel momento.
Eccolo lì, il Tempio delle Sacre Ceneri: dove tutto era iniziato, dove tutto sarebbe finito. Era difficile tenere fermo il filo dei ricordi e non lasciare che si ingarbugliasse tornando a quel giorno di mesi prima in cui era stata solo una Trevelyan nel vestito della festa.
Nessuno aveva granché voglia di parlare mentre scendevano in un serpente muto verso la spianata. Il varco era immenso, più grande del primo che si era aperto nel cielo e ancora più minaccioso. Lasciarono i cavalli a qualche centinaio di metri da quello che un tempo era stato il sagrato del tempio e Fedra fu la prima a voltarsi verso le rovine, ad avvicinarle con i pugni stretti attorno alle armi e i denti contratti.
In qualche modo non si stupì nel trovarsi accanto Cole e Cassandra, più vicini di quanto sembrasse necessario.
Loro sapevano. L'avrebbero protetta.
Non riuscì a deglutire per il nodo che le serrava la gola.
La luce verde dell'Oblio toglieva vita e profondità al crepuscolo d'autunno. Ronzio del varco nell'aria, lo scricchiolio delle foglie sotto i loro piedi: tutto il resto era silenzio.
“Sei pronta?” chiese Solas con lo sguardo al cielo.
E per la prima volta, dopo tutti quei mesi di incertezze, Fedra digrignò i denti.
“Sì, sono pronta”.
Li guidò attraverso la devastazione con il cuore che ruggiva e l'attesa che le faceva formicolare la pelle.
Vieni fuori, Corypheus. Vieni fuori una volta per tutte e affrontami di nuovo.
Le ombre dei muri parzialmente crollati erano inchiostro sopra ai cristalli di lyrium rosso che ancora squarciavano la terra.
Fedra cercò con tutta se stessa di non pensare al peso che portava dentro. Era l'Inquisitore e quell'istante di caccia era la sua eternità: non era nient'altro, non sarebbe mai stata nient'altro.
“Vieni fuori, Corypheus. Fatti vedere, vigliacco”, sibilò tra i denti. Scesero i resti di una scalinata e approdarono a quella che doveva essere stata la navata del Tempio, lo stesso luogo dove aveva affrontato il demone dell'orgoglio.
Prima di Haven, prima di Cullen. Prima di essere l'Inquisizione.
Cassandra sembrò leggerle nel pensiero.
“E così siamo di nuovo qui...”
“Adesso almeno sappiamo di poter contare l'una sull'altra”, rispose piano Fedra. Il sorriso da predatore che le si aprì sul viso si riflesse su quello di Cassandra.
Solas le superò e guardò verso il cielo.
“L'ancora come reagisce?”
“Male, come vuoi che reagisca? Pulsa e fa male, ma ormai ci ho fatto il...”
La risposta di Fedra si strozzò in un singulto quando la terra iniziò a tremare sotto di lei. Sotto di loro.
“Oh merda”, sussurrò Varric allargando le gambe e le braccia per tenersi in equilibrio. Ghiaia e pietrisco iniziarono a sussultare sul terreno e a sollevarsi in volo.
“Capo...”
“Non ora, Toro”. Fedra si piegò sulle ginocchia per non cadere e una spaccatura le si aprì tra i piedi. Sassi grossi come un pugno si staccarono dal suolo e fluttuarono via.
“Sta arrivando”, sussurrò Cole da sotto il cappello. “L'Antico è qui”.
“Sì, va bene, però... capo...”
La frattura si allargò e Fedra saltò via ritrovandosi di fianco a Varric, che la prese per un braccio e la stabilizzò.
“Capo!”
“Che cazzo c'è?” gridò Fedra voltandosi verso il Toro. Lo trovò naso all'insù, circondato da macigni fluttuanti, rapito dalla vista del drago che sfrecciava tra le nuvole.
Quello c'è”, e non le sfuggì la nota eccitata nel tono. La bocca le si asciugò all'improvviso e qualcosa di nero, rosso e troppo grande si materializzò a una ventina di metri da loro, sotto a un arco franato.
Corypheus avanzò lento di alcuni passi e il marchio sulla mano di Fedra impazzì. La saetta di dolore le arrivò fino alla testa e le strappò un grido; riuscì a tenere strette le armi e a non cadere, ma la vista le si offuscò per il trauma improvviso.
“Dov'è il vostro Creatore, adesso?”
“Per... per quanto mi riguarda probabilmente al cesso”, riuscì a dire, e Cassandra non trovò da rimproverarla.
Tra le lunghe mani adunche si materializzò il Focus e Solas, dietro Fedra, si lasciò sfuggire un verso inarticolato.
“Chiamatelo. Invocate su di me la sua ira... ah, ma non potete. Perché non esiste!”
Piegò le dita e la sfera brillò rossa tra gli artigli.
Cassandra lanciò un grido quando la terra danzò più forte. Le fratture nel suolo si trasformarono in crepacci e solo la spinta di Solas che la mandò a cadere sulle ginocchia impedì a Fedra di cadere nel baratro.
Ancora semi accecata dall'ancora sentì da lontano il grido di Dorian che la chiamava e una stretta violenta sulla spalla. Batté le palpebre più volte e quando riuscì a rialzarsi – era Cassandra, sempre Cassandra al suo fianco, a sostenerla quando non riusciva a farcela da sola – si accorse che stavano volando.
Si sarebbe meravigliata se non fosse stata troppo impegnata a soffrire e a combattere la paura. Dorian, Cole e il Toro erano figurine lontane dozzine di metri, piccole e inutili ai margini del cratere lasciato dal Tempio delle Sacre Ceneri, che ora levitava nel cielo, troppo vicino al varco.
“Be', signori, questo non me lo aspettavo”, riuscì a dire Varric, Bianca tra le braccia e lo sguardo verso il vuoto sotto di loro.
Corypheus era immobile e sorrideva, o quella sembrava l'intenzione sul viso mostruoso. Mosse un passo avanti e Solas fu rapido a pararsi davanti a Fedra, il bastone tra le mani e un fulmineo incantesimo a esplodere contro il Magister.
Inutile come un fiocco di neve contro un incendio. Corypheus mosse il braccio e deviò il flusso di magia, facendo scivolare Solas fino al margine della zolla di roccia.
Fedra non riuscì a distogliere lo sguardo da quella mostruosità, anche se una parte di lei sapeva che si sarebbe dovuta preoccupare per l'elfo.
Se fallisco siamo tutti morti.
L'alta figura rossa e nera avanzò verso di loro, circonfusa dal bagliore del lyrium alle sue spalle. Il drago ruggì tra le nuvole e da qualche parte, molto lontano, risuonò il grido di frustrazione del Toro.
“Devo ammetterlo, sei stata molto tempestiva nel sabotare i miei piani, ma non dimenticare cosa sei”. La sfera gli roteò nel palmo e Fedra sentì una scintilla accendersi dentro di lei.
La chiave. Quella era la chiave di tutto; in sottofondo sentiva la predica di Corypheus che la chiamava ladra, piattola, intrusa e un sacco di altre cose, ma con lo sguardo seguiva il fascio di luce verso il varco.
“... e qui, una volta per tutte, dimostreremo chi è degno di essere chiamato divinità!”
Fedra si riscosse e abbassò le braccia con una scrollata di spalle.
“Ma sai cosa puoi fartene della tua divinità? Puoi ficcartela in profondità su per il... oh, ma ce l'avrai un culo, tu? Ah, sì, con tutte le volte che te l'ho preso a calci...”
Varric, nonostante tutto, sbuffò una risata.
“Ti adoro, Carota. Semplicemente ti adoro”.
Gli occhi gelidi di Corypheus mandarono lampi di ira.
“Pagherai per la tua blasfemia!”
Strinse il pugno e una scarica di raggi scarlatti si riversò a raggiera attorno a loro, lasciando un foro fumante nel punto dove, fino a un istante prima, si era trovato Solas, rotolato via contro a un masso.
Cassandra lanciò un grido e caricò, lo scudo alto sulla testa e la spada assetata di sangue.
Chissà come riuscì a mandare a segno un colpo, una falciata obliqua sula coscia di Corypheus che non lo danneggiò abbastanza ma lo fece infuriare; mentre si voltava per scagliarla via con una manata Varric riuscì a piantargli un dardo nella spalla, ma il momento di esultanza durò poco.
Corypheus ruggì per la frustrazione e allargò le dita di scatto, generando un'ondata di fuoco e aria rovente che investì in pieno Varric e Fedra. Con dei riflessi che nemmeno lei pensava di avere, mentre rotolava via verso il margine del precipizio, quest'ultima perse le armi ma riuscì a tendere una mano. Trovò la manica d iVarric e la tenne stretta, un braccio aggrappato a un pilastro franato, mentre il nano scivolava per metà oltre il bordo.
“Ti tengo!” gli gridò. Varric si morse il labbro e grugnì. Era pesante ma lottava per aiutarla, e in un attimo Fedra se lo trovò aggrappato alla spalla e puntellato sulle ginocchia.
“Grazie”, le disse con voce roca. Bianca era volata svariati metri più in là e non ci fu tempo per i convenevoli: bisognava ricominciare a lottare.
Qualcosa era cambiato il Solas. Il freddo elfo riflessivo, bastone in un pugno e una mano ad artigliare il terreno, si stava rimettendo in piedi con un'espressione da lupo in caccia.
Per un istante breve come un pensiero Fedra si chiese se fosse la stessa persona con cui aveva combattuto negli ultimi mesi: con un ringhio animalesco partì a testa bassa verso Corypheus, ingaggiato da Cassandra, e scatenò una pioggia di fulmini che lo prese in pieno petto.
Un grido di dolore e rabbia e la creatura ruotò su se stessa; colpì Cassandra in pieno viso e la fece ribaltare, ma la Cercatrice si rialzò nonostante il sangue che prese subito a scorrerle dal sopracciglio.
Fedra arrancò in piedi e recuperò i due coltelli. Si sentiva inutile, e poi si ricordò che mancava qualcuno all'appello.
“Morrigan... dov'è Morrigan?” chiese al nulla.
Ma era lei che Corypheus voleva. Si staccò da terra e sfrecciò via dal combattimento dritto versi di lei.
“No, non così, vecchio stronzo”, disse più a se stessa che al nemico. La mano libera di Corypheus calò su di lei e Fedra scartò di lato, incidendo il polso ossuto con una delle lame. Meno che un graffio, ma un punto per lei. Solas – uno scintillio bluastro negli occhi – lanciò una sfera luminosa dal palmo e andò a segno.
Sbilanciato in avanti dall'urto Corypheus quasi cadde su Fedra. Sulla punta dei pugnali.
Se fosse stato fatto solo di carne e ossa le lame sarebbero penetrate sotto alle clavicole e invece sferragliarono e sollevarono scintille contro gli spuntoni di lyrium rosso.
“Merda!” gridò Fedra. Si fece da parte prima di finire schiacciata, ma il corpo non incontrò mai il terreno. Con un turbine di fuoco e ombra Corypheus sparì.
“Vigliacco maledetto!” gli urlò Cassandra sventolando la spada nel nulla.
“Peggio che vigliacco”, rispose piano Solas, e anche nella voce c'era qualcosa di disumano. Tutti seguirono il profilo pallido stagliato contro il verde del varco per vedere il drago di lyrium rosso scendere in picchiata proprio sopra di loro.
“Siamo fottuti”, disse Varric. Uno, due, dieci dardi a raffica si infissero nel muso corazzato senza arrecare veri danni.
Fedra deglutì e chiuse gli occhi. L'ultima cosa che vide del mondo fu quel sogghigno di zanne e morte che si schiudeva su di loro e cercò un pensiero da portarsi con sé nella morte.
Facce, sorrisi, baci le si affollarono alla mente. Posò il pugno chiuso sul ventre e attese.
La morte arrivò con una raffica di vento così intensa da farla inclinare di lato. Fedra si coprì la testa con le mani e guardò in su.
Il drago non li aveva presi, in fin dei conti. Varric fu il primo a raggiungere il margine del tempio fluttuante e a lanciare un grido inarticolato.
Non le sembrava vero di essere ancora viva, anche se il pericolo era intatto. Fedra lo raggiunse e guardò giù – Dorian e Cole avevano occhi e bocca spalancate, il Toro brandiva la scure con una risata folle che rimbombava nella valle, sommersa dal ruggito dei due draghi.
Due.
La caduta dei due titani si interruppe a pochi metri da terra. Uno lo conosceva bene – denti da teschio, lyrium rosso nella pelle – ma l'altro... era viola, con corna ritorte, collo e coda snelli che frustavano l'aria. Quando la creatura, fauci serrate sulla nuca del drago di Corypheus, riprese il volo con la preda stretta tra gli artigli guardò Fedra negli occhi.
Iridi gialle. Da falco.
Morrigan.
Corypheus era sparito, ingoiato dalla notte, ma i due draghi erano ben visibili. Morrigan teneva il nemico tra le zampe da rapace e gli artigli scavavano nella carne soprannaturale; una pioggia di sangue nero si riversò a terra mentre il drago di lyrium si agitava e si rivoltava nella stretta; un colpo dei fianchi possenti e la planata di Morrigan si trasformò in uan caduta sul solido terreno metri e metri sotto di loro. Dorian trascinò indietro Cole mentre il Toro di Ferro ululava di eccitazione e correva avanti verso lo scontro.

Le due creature rimasero avvinte a terra a sbranarsi con un gran fragore di mandibole e ruggiti e l'aria si riempì dell'odore del sangue – arrivava persino al Tempio, in alto com'era, e Fedra dovette distogliere lo sguardo.
“Può farcela. Non ci posso credere”, disse Cassandra.
“Lei sì, ma io?” Fedra si riscosse e guardò in su verso il varco. La luce si rifletteva perpendicolare sulla zona che aveva ospitato l'altare, una distesa in cima a una scalinata.
Guardò Cassandra a lungo e annuì una volta. Non c'era bisogno di parlarsi: partirono insieme di corsa e, due scalini alla volta, si lasciarono alle spalle le grida dei draghi. Erano tornati in volo e, anche se Morrigan aveva un'ala lacerata e il drago di lyrium una zampa che pendeva a un'angolazione strana – oltre a uno squarcio sul collo che poteva derivare solo da un colpo di scure – riuscirono a divellere un'immensa scheggia di roccia dalle rovine che fluttuavano sopra al tempio. Fedra trascinò Cassandra indietro di tre scalini con un balzo e una storta alal caviglia proprio quando le pietre franarono di fronte a loro.
Corypheus comparve dietro alla barriera, occhi folli e sfera sollevata al cielo.
“Di qui”, prese il braccio di Cassandra e, ignorando il dolore e la zoppia, se la tirò dietro aggirando le rocce. Il passaggio era stretto ma non abbastanza da fermarle; riuscì a superarlo infilandosi tra due spuntoni di pietra e lacerandosi la pelle del torace, si strizzò fuori e barcollò in piedi, ma prima che potesse voltarsi verso Corypheus altre rocce piovvero dal cielo e ostruirono il passaggio.
Cassandra gridò di rabbia – meravigliosa, viva e incoraggiante rabbia – proprio mentre i due draghi, avvinti in un abbraccio letale, piovevano al suolo. Fedra scorse l'ala spezzata di Morrigan e soffocò un grido: si stava suicidando!
Corypheus dovette pensare lo stesso perché per un istante sul viso deforme passò solo la paura.
E poi accadde. Un tonfo che fece tremare gli alberi tutt'attorno, un verso strozzato e un urlo – il Toro, di nuovo – quindi il silenzio.
Solo per un istante. Qualcosa cambiò nello sguardo di Corypheus e la bocca ebbe uno spasmo.
“No...”
“Oh sì!”
Corypheus barcollò sulle ginocchia ossute e si voltò di scatto verso Fedra.
“Non ti concederò questa vittoria!”
Allargò le braccia e la sfera si sollevò in aria, una stella di saette rosse che dardeggiava sopra alla sua testa.
Lo stava facendo. Avrebbe squarciato il velo e sarebbe entrato nell'Oblio, portando a termine il suo folle piano. L'aura di energia che gli si formò tra le mani sfrigolava e Fedra si preparò. Non a parare: all'impatto. Si accartocciò su se stessa e si coprì la testa con una mano, il ventre con la sinistra.
Il marchio pulsò ferocemente e oltre le palpebre strizzate il mondo – nero e rosso di guerra – diventò verde.
Un istante dopo l'attacco di Corypheus arrivò. Si trovò sollevata da terra e scagliata in aria, circondata dal ronzio del gorgo nel cielo e dalle urla dei compagni. Cassandra gridò il suo nome quando le pietre delle macerie fermarono la caduta, un impatto che incrinò qualcosa tra le scapole e le fece sentire in bocca il sapore del sangue.
Fedra ricadde a terra e sfregò la guancia contro il pavimento ormai semidemolito. Senza fiato, senza speranze, riuscì a socchiudere le palpebre e a vedere la sagoma sdoppiata di Corypheus che teneva il Focus sollevato sopra di sé. Le mani mostruose si chiusero sulla sfera e lampi bianchi saettarono nella luce scarlatta.
“Io ho varcato i confini della città d'oro!” La voce del Magister rimbombava in maniera malsana, gli occhi due scintille bianche di luce troppo intensa.
Le faceva male tutto –corpo e cuore – ma riuscì a scivolare in ginocchio. Il marchio bruciava, pulsava e sembrava volerle spaccare le ossa fino al gomito.
Il ronzio era così forte da ferirle le orecchie – o forse ormai era solo lei a udirlo a quel modo. Barcollò in piedi e da lontano, lontanissimo, le giunse l'incoraggiamento di Varric.
“Puoi farcela, Fedra!”
Fedra. Quel nome così spigoloso, così duro. Non la musicalità di Evelyn, non i suoi capelli biondi e gli occhi da halla. Orecchie a sventola e una treccia rossa.
Anche per te, sorella mia. Per tutti noi.
“Io ho attraversato le ere!”
Il ruggito di Corypheus mandò il ritmo alle pulsazioni fino al gomito. Fedra riuscì a trovare l'equilibrio e l'ancora agì di sua spontanea volontà. Braccio teso in avanti, onde verdi di energia e potere che le incendiavano la mano.
“Dumat! Antico! Se esisti - se sei mai esistito...”
Non più l'eco rimbombante di un essere soprannaturale: disperazione.
E l'ancora sfrigolava, una forza che attirava e trascinava verso di sé.
“Aiutami! Ora!”
Nessuno rispose. Fedra digrignò così forte i denti da esser certa che si stessero spezzando per l'intollerabile tensione nel braccio, ma non durò che un soffio.
La sfera si liberò dalla stretta di Corypheus e sfrecciò verso di lei, attratta dall'ancora.
Presa. Fedra indietreggiò mentre il Focus rimbalzava contro l'energia che l'avvolgeva e si fermava a una spanna dal suo palmo. Corypheus diede un gemito inarticolato e crollò in ginocchio, la mandibola spalancata e gli occhi rivolti al cielo.
Inerme. Inutile.
Ora era lei che teneva tra le dita una fonte di potere inimmaginabile. Più di quello che avrebbero mai potuto conferirle tutti i Maghi, dal Tevinter fino al Ferelden, Più di quello di ogni singolo Templare mai esistito.
Fedra alzò lo sguardo al cielo, all'orrido sfregio aperto tra le nuvole.
Più che sufficiente per chiudere il varco. Per sempre.
Prese un profondo respiro che si spezzò per una fitta tra le costole, ma non esitò.
Non aveva più paura di fallire: quello che non poteva l'artefatto elfico leggendario che aveva tra le dita potevano i mesi di sofferenza e paura, di amore e sfida e responsabilità.
Per l'Inquisizione. Per tutti noi.
Vide con la coda dell'occhio Solas che scavalcava le pietre ma non si fermò a osservarlo. Tese il braccio verso il cielo e di nuovo si trasformò in un ponte di energia che squassava la terra. La colonna di luce verde la investì completamente, un fascio abbagliante che la avvolgeva e che componeva ogni fibra del suo essere. Si sentiva sfilacciata e attirata sia dall'Oblio aperto sopra di lei che dal mondo reale dove appoggiava i piedi e non era più importante.
Sarebbe morta, ma avrebbe salvato tutti.
Un sorriso tremulo le sfiorò le labbra.
Diglielo, Cole. Se non dovessi tornare diglielo tu.
Era un pensiero dolcissimo e straziante, ma Fedra dentro di sé seppe che qualunque cosa fosse successa non sarebbe andata da sola nel regno dei morti.
Il fascio di luce lampeggiò una volta, due.
Si spense.
Fedra rimase immobile, tesa verso il cielo, e vide quello stesso cielo guarire sopra di lei: il gorgo pulsò e si contrasse, pupilla che si stringeva per la luce improvvisa. Si strinse, si strinse... e si chiuse.
Silenzio. Nessun ronzio, solo il vento d'autunno.
Solo il tonfo improvviso della sfera che atterrava ai suoi piedi, nera e tonda e buia. Morta.
Lei, invece, era viva. Fedra trasse un lungo respiro tremulo e il mondo le vorticò davanti: Solas che le correva incontro, Cassandra che armeggiava tra i detriti con Varric tenuto stretto per la cintura, cercando di fargli scavalcare la muraglia.
Corypheus. In ginocchio, vacillante.
Sconfitto.
La guardava senza vederla, bocca spalancata e occhi vacui, tendendo verso di lei quelle orride mani che tanto le avevano fatto paura e che ora sembravano solo le appendici di un vecchio senza speranza.
Il marchio sulla mano di Fedra protestava ancora e guidava i suoi passi. Zoppicante, sfinita, raggiunse Corypheus e lo guardò, per una volta, dritto negli occhi.
“Volevi l'Oblio?” chiese con voce rauca. La mano sinistra si alzò guidata da una volontà sua e illuminò di verde gli spuntoni di lyrium rosso che laceravano la pelle grinzosa. “Ti ci mando volentieri. A pezzi”.
Uno squarcio si aprì sopra a Corypheus e la strana magia dell'ancora sbocciò per l'ultima volta. Luce, carne soprannaturale che si lacerava e sfilacciava nell'aria mentre il Tempio delle Sacre Ceneri calava lentamente verso il suolo. Della sagoma scheletrica e imponente per un attimo rimase solo un alone di luce punteggiato da frammenti neri – ossa? Lyrium? Fedra non lo sapeva e non le interessava – mentre lo squarcio si beveva l'essenza del nemico e lo riduceva alla memoria di un incubo.
Non era mai stato un dio. Non lo sarebbe mai diventato.
L'ultimo barlume di Corypheus fu risucchiato dallo squarcio. Fedra chiuse il pugno e anche quell'anomalia nel velo svanì, ricucita per sempre.
Ci fu un solo istante in cui il tempo rimase sospeso, lo spazio che intercorse tra il gesto con cui Fedra spostò lo sguardo dal cielo notturno allo spazio deserto di fronte a lei. Il tempo di un sorriso, della speranza incredula, di una risata trattenuta e pronta a scoppiare.
Poi il mondo crollò.
Non tutto il mondo, forse, ma di certo le rovine del Tempio.
Fu Cassandra a raggiungerla e a prenderla in braccio senza tanti complimenti, scudo e spada dimenticati chissà dove e mani che le stritolavano il torace e le ginocchia.
“Col cazzo che ti lascio morire così! Col cazzo!” e quell' insolita volgarità in bocca alla Cercatrice fu l'ultima cosa che Fedra udì prima del rombo e delle grida che le riempirono le orecchie.
Via dagli archi che vibravano, via dalle mura che perdevano pezzi: Cassandra raggiunse il centro della navata e si accucciò sopra a Fedra.
Il tonfo fu così forte da farle saltare entrambe di un paio di spanne e ricadere sulle dure rocce in frantumi. Varric da qualche parte gridò una bestemmia a pieni polmoni.
Il viso di Cassandra era premuto contro quello di Fedra, occhi serrati e ciglia nere che fremevano.
Altri piccoli crolli, macigni che atterravano rotolando al suolo e abbattevano la foresta. Che si schiantavano sul corpo immobile del drago di lyrium.
Erano a terra, fermi.

Fedra prese la mano di Cassandra che le proteggeva la testa e la strinse forte.
“Ce l'abbiamo fatta”, sussurrò. Era troppo anche solo pensarlo, crederlo veramente le sembrava più assurdo di un miracolo.
Gli occhi grigi della Cercatrice si aprirono piano. Era così vicina che i loro nasi si sfioravano, coperta di lividi, con un segno di preoccupazione tra le sopracciglia e i capelli coperti di polvere.
Era viva. Erano vivi, tutti loro, e avevano vinto.
La risata ribollì nella gola di entrambe e quel salvataggio si trasformò in un abbraccio isterico, fatto di ilarità che faceva male a ogni osso, a ogni muscolo contuso e di lacrime a profusione. Fedra prese il viso di Cassandra tra le mani – il marchio non brillava quasi più, nessuna pulsazione dolorosa – e le strizzò le guance.
“Ce l'abbiamo fatta!”
Questa volta fu un grido cui la Cercatrice rispose schioccandole un bacio in piena bocca e sollevandola tra le braccia.
Varric le raggiunse tenendosi una mano sulla testa, i capelli biondi incrostati di sangue e un occhio così pesto da non aprirsi più. Cassandra lasciò Fedra e corse verso di lui, inginocchiandosi a terra con una scivolata e abbattendolo in una stretta che lo fece uggiolare per il male e ridere di gusto.
Questa volta era vero. Drago morto, Corypheus sconfitto, cielo buio e placido: nessun esercito a minacciare la sua gente, nessuna ritorsione. Fedra, ancora seduta a terra, si rialzò con la testa che girava e il cuore che saltellava a un ritmo tutto suo.
Erano vivi, e anche quello aveva del miracoloso, visto che il tempio era crollato loro in testa.
Ma Solas non si vedeva da nessuna parte.
Il Toro era seduto, una decina di metri più sotto della pila di detriti, sul collo del drago morto e tuonava qualcosa di indecifrabile, dando delle gran pacche alla creatura defunta, e Cole era poco distante. Tra le sue braccia Morrigan era esangue ma reattiva, una spalla piegata nell'angolazione sbagliato e ferite sulla schiena; sarebbe sopravvissuta.
Dorian lasciò cadere il bastone e iniziò ad arrampicarsi verso Fedra.
“Stai lì. Ti vengo a prendere! Ti porto giù!”
“Ce la posso fare!”
“Sì ma vengo lì. Hai bisogno di un... no, ho bisogno di un abbraccio!”
L'angoscia per la scomparsa dell'elfo si mischiò all'affetto. Vista la malagrazia con cui Dorian continuava a litigare con gli appigli Fedra si voltò, superò Cassandra e Varric ancora abbracciati e si guardò intorno.
“Solas?” chiamò con un filo di voce. Nessuna risposta.
Superò un cumulo di macerie che le franarono sotto i piedi e scrutò nella penombra.
La sagoma snella di Solas era in ginocchio, il vento che gli sollevava l'orlo della tunica e la testa china. Fedra si affrettò a raggiungerlo con un sorriso che si spense quando ne vide l'espressione.
Nelle lunghe mani eleganti – l'avevano confortata, l'avevano curata, erano le mani di un amico – giaceva la sfera. Il Focus era opaco, spezzato in due.
Spezzato era ancora qualcosa nello sguardo dell'elfo. Lo aveva sempre considerato stoico, qualche volta persino freddo: ora aveva l'espressione di chi avesse perso tutto. Cullava quei frammenti come se fossero un figlio perduto e Fedra, pur senza capire, sentì una lancia di dispiacere lacerarle il cuore.
Gli si avvicinò e gli posò le dita sulla spalla.
“Solas, va tutto bene?”
“La... la sfera...”
E la comprensione le sbocciò dentro. Millenni, ere di conoscenza di un popolo ormai smarrito, una leggenda che aveva quasi potuto tenere tra le mani, la sua storia... in cenere. Non poté non sentirsi almeno un po' in colpa.
“Mi... mi dispiace”, strinse un po' di più la mano. “Davvero, Solas, credimi”.
L'elfo si voltò di poco verso di lei, gli occhi ancora bassi.
“Non è colpa tua”.
Appoggiò i resti della sfera a terra e per un attimo posò le dita su quelle di Fedra.
“Non è colpa tua”, ripeté con voce più ferma. Si alzò e la guardò a lungo, il cuore in pezzi come la sfera che gli si rifletteva negli occhi.
Le fu chiaro anche senza dover dire una parola. Quel che si era spezzato in Solas non si sarebbe aggiustato con una festa o con l'ovazione della folla che li acclamava.
Cercò qualcosa da dire ma una voce alle sue spalle la strappò da quel momento di strazio.
“Fedra! Fasta vass, non ci credo, non ci posso credere!”
Dorian le stava correndo incontro e non ci fu più spazio per quella sospensione. Un attimo dopo Fedra si trovò seppellita nel suo abbraccio, morbido e con le mani che tremavano un po', un bacio ad arruffarle i capelli sulla sommità della testa.
Neanche il tempo di ricambiarlo che i piedi di entrambi si staccarono da terra mentre il Toro li sollevava senza sforzo.
“Un drago! Capo, mi hai fatto combattere contro un drago! Ti direi che ti amo ma Cullen potrebbe ingelosirsi un po'!”
“Ho f-fatto quasi tutto io, bestione”. La voce di Morrigan era spezzata mentre, un braccio sulle spalle di Cole, avanzava verso di lei. Sorrideva, tuttavia, e si teneva stretta al fianco di Cole.
Cassandra e Varric li raggiunsero; quest'ultimo si guardò intorno e l'espressione raggiante si offuscò.
“Dov'è Solas?” chiese. Fedra si districò dalla stretta del Toro proprio mentre Cassandra trasaliva e iniziava a gridargli di metterla immediatamente giù. Quando il mercenario ebbe obbedito Fedra non ebbe bisogno di controllare.
La felicità si offuscò un po'.
“Lui... se n'è andato”, disse semplicemente.
“Be', è vivo?” chiese Dorian spazzolandosi la veste.
“Sì, decisamente, io l'ho..”
“Allora si farà vedere quando gli sarà sbollita la rabbia verso di te. Gli hai chiuso il parco giochi davanti al naso, Fedra, non può averla presa bene”.
Avrebbe voluto approfondire, crucciarsi ancora un po', ma qualcosa dentro di lei si ribellava. Qualcosa di un po' meschino che cozzava con la coscienza ma che gridava molto forte.
Varric le diede una pacca sulla schiena e sfregò forte.
“Carota, hai appena salvato il mondo. Cosa ne dici adesso di tornare a casa?”
Morrigan si sollevò e si asciugò una goccia di sangue dalla tempia.
“Sono un po' provata ma posso agevolare il viaggio. Abbiamo tutti bisogno di Skyhold, in questo momento”.
Skyhold.
Casa.
Cullen.
Il cuore di Fedra si gonfiò e le riempì il petto, ma senza riflettere di nuovo si portò una mano alla pancia.
Quello non era possibile, ma sarebbe sopravvissuta.
Avrebbero – quante volte se l'erano detto! - avuto tempo e lei non voleva farsi illusioni. Una nota di tristezza rassegnata le si intrufolò nella mente e fu difficile, per quel viaggio notturno che sembrò durare tutta la vita, ignorare lo sguardo luminoso di Cole su di lei.



EPILOGO

 

Era mattina inoltrata quando arrivarono in vista delle torri di Skyhold e Fedra stava diventando pazza per l'impazienza. Il cielo era di un blu pulito e perfetto sopra alle cime rosse e gialle degli alberi e lassù, oltre quel ponte, oltre i vessilli che garrivano nel vento freddo, c'era casa.
E questa volta per davvero.
Strinse le redini e fece per dare di sprone al cavallo, ma Cassandra la fermò afferrando la testiera del cavallo.
“Vedi di stare attenta”, le ringhiò dall'angolo della bocca.
Come poteva dirglielo? Che era sicura che non ci fosse più niente a cui prestare attenzione, che nessuna microscopica vita fragile poteva sopravvivere a tutto quello?
Stava ancora cercando le parole, trascinata al passo su per il sentiero, quando le prime persone corsero loro incontro.
“Eccola, eccola!”
Un bambino bruno cui mancavano i denti davanti indicò il piccolo drappello e lanciò l'allarme. Presto una pattuglia di ragazzini sciamò fuori dai cespugli e corse loro incontro, aggrappandosi alle staffe e battendo le mani. Dorian si ritrasse con espressione disgustata ma Morrigan non nascose un sorriso sfinito. 
“Avete vinto anche questa volta vero? Vero signora Araldo?” chiese una ragazzina sui quattordici anni, tutta gambe e occhi sgranati. Fedra annuì una volta e si raddrizzò sulla sella, un orgoglio che non aveva mai provato a riempirle le vene.
“Correte a Skyhold, avvisate tutti”, disse Cassandra. 
“Agli ordini, Cercatrice Pentaghast!” La ragazzina recuperò un paio di compagni e li trascinò con sé, sfrecciando a perdifiato su per la salita.
Non andarono molto lontano, perché la folla si era riversata fuori dalla fortezza e oltre il ponte levatoio.
Fedra li vide attraverso uno schermo tremulo di lacrime: i suoi soldati e contadini, fabbri, falegnami, cuoche e guaritrici. Una folla esultante di tutti i colori, centinaia e centinaia di teste, colli che si tendevano per guardare il corteo dell'Inquisizione che si avvicinava.
Risate. Lacrime di gioia. Questa volta non c'erano lutti da piangere, solo la felicità di aver salvato il mondo.
Le veniva da vomitare dall'emozione. 
Mani entusiaste la accarezzarono e strinsero le sue mentre a fatica avanzavano nella calca. 
Una parte della sua memoria riportò a galla quegli stessi festeggiamenti ad Haven, ma questa volta era diverso. Nessun drago a minacciarli: erano liberi.
Dalle mura un coro tonante inneggiava al suo nome.
“Fe-dra! Fe-dra!”
Alzando gli occhi vide le Furie schierate fianco a fianco con i pugni levati al cielo e una sfilza di sorrisi da un orecchio all'altro. Il Toro sollevò le braccia e il coro si trasformò in un ruggito.
Qualcuno l'aiutò a smontare da cavallo e un soldato la condusse tra le due fila di armati che trattenevano la folla festante. No, non un soldato qualsiasi: Jim, contegno marziale ma occhi che brillavano e i denti piantati nel labbro per trattenere una risata. Fedra non resistette e gli prese le mani, stringendole forte.
Jim le fece un cenno verso la scalinata di Skyhold. Dietro di lei Cassandra le fece l'occhiolino tra gli applausi e l'ovazione della folla.
Si sentiva – si vedeva – la mancanza di Solas, ma avrebbero avuto il tempo di preoccuparsene dopo.
Fedra raddrizzò le spalle e alzò il mento senza asciugarsi le lacrime che le scendevano sulle guance. Salì lenta e seria verso le tre figure che si stagliavano contro il sole.
Quando raggiunse lo spiazzo si fermò e tenne lo sguardo fisso negli occhi di Leliana. L'Usignolo prese un profondo respiro e, al suo fianco, Josephine non trattenne un sorriso commosso. Entrambe si inchinarono a Fedra che, goffa e rigida, rispose all'inchino.
E poi Cullen fece un passo avanti.
Fine delle cerimonie. Fedra scoppiò a ridere e a piangere apertamente e gli saltò in braccio, gambe e braccia avvolte attorno alla sua schiena.
Cullen la tenne stretta e la baciò mentre Skyhold esplodeva in un coro di esultanza.
“Lo sapevo che saresti tornata”, sussurrò contro le sue labbra, e Fedra lo sentì tremare contro di lei.
“Ti amo, Cullen”.
Gli occhi dorati scintillavano e qualcosa si era spezzato nelle loro profondità: una tensione accumulata nei mesi, il terrore incombente della fine.
Liberi. Di amarsi, di vivere, di stare assieme. Cullen chiuse gli occhi un istante in una preghiera muta di ringraziamento che vibrò anche nei pensieri di Fedra e appoggiò la fronte alla sua.
“Ti amo anche io, e... ehi!”
“Mettila subito giù, deve vedere Madre Giselle!” Josephine stava strattonando le braccia di Cullen con gesti a stento dissimulati. Cullen sollevò le sopracciglia e posò Fedra a terra, scrutandola da vicino.
“Sei... sei ferita...”
“No, niente di grave, solo qualche graffio e...”
“Ma non sappiamo l'effetto che può aver avuto la chiusura del varco su di te”. Josephine la prese sotto braccio e la trascinò via, lasciando Cullen in piedi e molto perplesso di fronte a Skyhold che festeggiava.
In un attimo Fedra, scossa e confusa, si trovò premuta tra Josephine e Leliana che la scortavano senza pietà verso le viscere di Skyhold.
“Ma cosa vi viene in mente?”
“Lo sai benissimo”.
Non fece in tempo a formulare un pensiero coerente, a spiegare che non potevano aspettarsi che fosse ancora incinta dopo aver chiuso il varco e sconfitto Corypheus che si trovò nella propria stanza, sola con Madre Giselle in piedi davanti al suo letto e con la porta che sbatteva alle sue spalle.
La sacerdotessa la guardò con gli occhi grandi e lucidi; non disse una parola, si limitò ad andarle incontro e a prenderla tra le braccia.
Non la stretta di esultanza di un commilitone, non l'amore feroce di Cullen: un abbraccio materno che le fece salire di nuovo le lacrime agli occhi. Si abbandonò tra le sue braccia e la stanchezza minacciò di sopraffarla.
“Sei stata così coraggiosa, bambina, così forte... puoi negarlo con ogni tuo respiro, ma io so che Andraste ha cavalcato con te in tutti questi mesi”. Le prese il viso tra le mani e le accarezzò le guance, sfiorando lo sfregio ormai rimarginato. “Hai salvato il mondo. E nelle tue condizioni!”
Fedra si morse il labbro e abbassò il viso.
“N-non penso che le mie condizioni siano più particolarmente fuori dal comune. Con tutto quello che...”
Madre Giselle la lasciò andare e si rimboccò le maniche, intingendo le mani in una bacinella d'acqua.
“Quello lascialo stabilire a me, Fedra. Dopo medicherò quello che ci sarà da medicare, ma per adesso...” e le indicò il letto con un cenno del mento. Perché sembrava così sicura di sé?
Fu una procedura sgradevole e imbarazzante; per tutta la durata Fedra si tenne un braccio sugli occhi e strinse i denti, pronta alla conferma di quella che per lei era ormai una certezza cui si sarebbe prima o poi potuta rassegnare.
Invece dopo qualche minuto Madre Giselle le diede una pacca sul ginocchio e si rialzò.
“Vestiti, Fedra”, le disse senza guardarla.
Ecco fatto. L'aveva sempre saputo che non sarebbe mai potuto succedere, ora si trattava solo di lasciare che la natura facesse il suo corso. Mentre si infilava i pantaloni cercò un modo per affrontare la questione, ma quando sbirciò il profilo di Madre Giselle vide le labbra incurvarsi all'insù.
“Cosa c'è?” chiese.
Non sperare. Non farlo, Fedra, farà solo male.
La sacerdotessa si voltò verso di lei e, nella luce dorata del mezzogiorno, ogni parte di lei sembrò splendere.

“Sei un miracolo continuo, Fedra. Va tutto bene, congratulazioni!”
Si bloccò con le dita sui bottoni delle braghe e la testa iniziò a girarle forte. Cadde seduta sul letto e rimbalzò sul materasso, gli occhi sgranati nel nulla.
Ce l'aveva fatta. Non lei, no, ma quella scintilla di vita che cresceva dentro di lei: si era aggrappata alla sua carne e aveva rifiutato di andarsene.
Era ancora lì, con lei.
Quell'immagine che aveva tanto faticosamente bandito dalla fantasia – guance rosee, riccioli biondi, manine paffute tese verso di lei – le esplose nel cuore e le strappò un singulto.
Non sentiva la voce di Madre Giselle che parlava e quasi non si accorse della carezza che le fece prima di raggiungere la porta.
Di certo si rese conto troppo tardi che là fuori c'era Cullen e che la sacerdotessa non sapeva alcuni dettagli. Si alzò di scatto con un capogiro la cui origine conosceva molto bene e tese una mano verso la porta senza riuscire a produrre alcun suono. 
Aveva il cervello incastrato da qualche parte tra la felicità e una paura tutta nuova fatta di futuro, speranza e responsabilità. 
Un ruggito rimbombò oltre la porta.
“LEI COSA?”
Ecco. Glielo aveva detto. La porta si spalancò e sbatté così forte contro il muro da staccare frammenti d'intonaco. Cullen era sulla soglia, una mano aperta sulla porta e gli occhi sgranati; alle sue spalle madre Giselle mormorava una litania di scuse che tacque quando si trovò chiusa fuori.
Fedra rimase a guardare Cullen e finì di allacciarsi i pantaloni: se doveva prendersi una lavata di capo – meritatissima – almeno sarebbe stata presentabile.
Le si avvicinò a pugni stretti, sferragliante e paonazzo.
“C'è qualcosa che devi dirmi, Fedra?”
La voce gli tremava come tutto il resto e le narici erano dilatate, il naso arricciato. Si sentì molto come una delle reclute durante una strigliata e abbassò lo sguardo.
“Be', tecnicamente credo che te lo abbia già detto Madre Giselle...”
“Fedra guardami negli occhi e ripetilo!”
Lo fece. Non si sarebbe fatta intimidire e sostenne quello sguardo stravolto, pupille strette e sopracciglia corrugate. Raddrizzò la schiena e sollevò il viso.
“Sono incinta”.
Cullen barcollò all'indietro e si appoggiò al comodino, facendo cadere la brocca che vi era appoggiata. Si passò una mano sul viso e sbuffò a fondo tre, quattro volte mentre tutto il colore gli spariva dal viso.
“S-Sei incinta, già. E tu lo sapevi!”
Fedra inclinò la testa di lato e il collo scricchiolò. Aveva male ovunque, lividi ed escoriazioni e in più aspettava un bambino; tutto questo, sommato al non trascurabile fatto di aver appena salvato il mondo, la rendeva poco incline alla pazienza. Si sentiva perfettamente giustificata.
“Lo sapevo da circa un'ora prima di partire, se ti interessa”.
“E non me lo hai detto!”
“Quando avrei dovuto dirtelo? Mentre organizzavi l'evacuazione di Skyhold? Mentre radunavo l'Inquisizione per prendere a calci in culo Corypheus? 'Comandante Cullen, mi raccomando coi trabucchi. Ah, e comunque sono incinta'”.
Cullen le puntò un dito contro e alzò la voce.
“Non provarci neanche a fare questi giochetti con me! Avevo il diritto di saperlo!”
“Ti sembrava il momento giusto per un discorso di questo tipo? Sei uscito di senno?”
Ora stavano urlando a pieni polmoni
“Sei un'irresponsabile!”
“E tu un egoista!”
La porta si socchiuse e Cassandra si affacciò, torva.
“Per l'amor di Andraste, pensate al bambino! Siete...”
“FUORI!” le urlarono in coro. Cassandra trasalì e strinse le labbra.
“Almeno andate d'accordo”, borbottò prima di sbattersi la porta alle spalle.
Per un attimo Fedra e Cullen si guardarono ringhiando. Nessuno dei due abbassò lo sguardo.
“Perché non me lo hai detto?”
“Cosa sarebbe cambiato? Non ci si poteva fare niente!”
“Ma avrei saputo che...”
“Cosa? Che c'era una vita in più da rischiare? Che me ne andavo a ricucire il varco con n-nostro figlio in grembo? Sarebbe stato un disastro se te lo avessi detto, Cullen, perché mi avresti implorato di non farlo, avresti perso la concentrazione e... e...”
Si passò le mani tra i capelli e prese un respiro profondo, spezzato.
“E poi ero sicura che per quando fossi tornata non ci sarebbe stato più niente da dire. Che l'avrei perso e... e basta. E invece...”
“E invece”.
Fu Cullen ad abbassare lo sguardo, alla fine, sulle mani di Fedra intrecciate in grembo.
“Quanto?” chiese con un filo di voce.
“Tre mesi. Forse qualcosa in più. Io... non me ne ero nemmeno resa conto, ero troppo presa con il panico e il terrore per notare certe cose”.
Scosse la testa e sollevò le spalle, cercando di imbastire un sorriso.
“Scusami. Non volevo tradire la tua fiducia, ma vorrei che capissi perché l'ho fatto. Tutto qui”.
“Tre mesi”. Gli occhi di Cullen stavano mutando, la meraviglia che prendeva il posto della rabbia mentre alzava lo sguardo su di lei.
“Penso sia successo da qualche parte nel deserto”. Sospirò e il sorriso divenne reale, una tenerezza che non aveva mai conosciuto. “Un assedio, l'Oblio, le Selve Arboree e adesso Corypheus. Con tutte quelle che ha già passato questo bambino sarà un guerriero”.
“No”. La mano di Cullen si posò sulla sua, una mano grande e calda e tremante che le copriva la pancia. “Sarà un eroe. Come sua madre”.
E il comandante Cullen Rutherford, veterano di chissà quante battaglie, Templare e sopravvissuto a più ordalie di quante se ne potessero contare, andò in pezzi. Crollò in ginocchio e scoppiò in singhiozzi incontrollati, le labbra posate contro il ventre di Fedra e le spalle che sussultavano.
“Un figlio. Mio... nostro figlio...” Alzò il viso e nonostante le lacrime fu come se il sole gli splendesse dietro gli occhi. Fedra si morse il labbro e cadde seduta di fronte a lui, cullandolo in un abbraccio fatto di lacrime frenetiche e di una risata tremula che non riusciva a trattenere.
“Nostro figlio”, gli sussurrò all'orecchio.
La strinse a sé con il viso stravolto e gli occhi che splendevano di una gioia folle. Le tenne il viso tra le mani e le accarezzò i capelli.
“O figlia”, e gli angoli della bocca vibrarono in un sorriso incredulo. 
“O figlia”, concordò Fedra. Posò le labbra sulle sue e le sentì schiudersi, la lingua che l'accarezzava che sapeva di sale, del pianto di entrambi.
“Per il Creatore quanto ti amo, Fedra, quanto ti amo...”
“Mi perdoni?”
“Solo se mi baci di nuovo”.
Fu molto lieta di obbedire. La porta si riaprì con un cigolio e Fedra, oltre la spalla di Cullen, vide Cassandra, Josephine e Leliana affacciarsi e sbirciare dentro con tre identiche espressioni di sollievo.
Rimasero abbracciati fino a che Fedra non iniziò ad agitarsi per la posizione scomoda. Cullen trasalì e balzò in piedi, sollevandola di peso e deponendola sul letto.
“Sono uno sconsiderato! Non ho pensato che sei...”
“Cullen, ti prego, non cominciare!” disse perentoria scendendo dal letto e fermandolo con un gesto della mano. “Se Rutherford Junior, qui, non si è formalizzato per Corypheus dubito che un crampo possa cambiare qualcosa!”
Cullen si asciugò le guance con il palmo delle mani e fece spallucce.
“Mi permetterai di prendermi cura di te?”
“Solo se non mi tratterai come se fossi malata. In più...”
La porta si aprì del tutto, questa volta, e fu Josephine ad affacciarsi, raggiante.
“Posso farvi le congratulazioni adesso?”
Fedra sospirò e annuì. Non riusciva a trovare altro che allegria dentro di sé, in quel momento.
“Ma non solo io, Fedra! Non credi che sarebbe bene dirlo anche agli altri? Oh, e poi sappi che in tuo onore si terrà una settimana di festeggiamenti!”
Il capogiro questa volta non era da imputare alla gravidanza. Si prese la testa tra le mani e batté le palpebre.
“Hai... ragione, immagino. Noi...”
“Noi saremo pronti”, e Cullen le prese la mano ammiccando.
Noi. Noi tre.

 

Cole aveva tenuto la bocca cucita. Quella sera, smaltita l'eccitazione della novità e con qualche ora di sonno, Fedra e tutti gli altri si trovarono seduti al tavolo della cucina come quella sera di pochi giorni prima che sembravano appartenere a un'altra epoca.
C'erano le carte sul tavolo e le candele semisciolte e Fedra aveva raccontato la battaglia per la millesima volta, recuperando a ogni ripetizione nuovi dettagli. Raccontò di come Morrigan si era trasformata in drago ed era rimasta ferita – niente di troppo grave, anche se Madre Giselle aveva cercato di convincerla a prendersi qualche giorno di riposo -  abbattendo il segreto per l'immortalità del nemico. Parlò anche di Solas e l'atmosfera si incupì quando non seppe dire dove fosse finito.
Leliana si versò un bicchiere di vino e guardò fuori dalla finestra buia con gli occhi acuti del capo delle spie.
“Lo troveremo, non temere. Te lo prometto”, disse prima di bere.
Ci fu un attimo di silenzio in cui Cullen cercò senza successo di trattenersi dal sorridere. Era tutto il giorno che lo faceva, un'espressione sognante e beata che faceva il paio con l'incapacità di concentrarsi come suo solito.
“Allora Fedra, cosa ne dici? Sarebbe il caso di...” accennò Cassandra con aria esplicita. Sollevò le sopracciglia e fece un cenno con il capo
“Il caso di cosa?” Dorian, che pure aveva bevuto più degli altri, tornò attento all'istante e raddrizzò la testa.
“Di dirlo”, incalzò Josephine.
“Dire cosa? Fedra?”
Le veniva da ridere – di nuovo – e si sentiva il viso in fiamme mentre alzava lo sguardo sugli amici. Su quella nuova famiglia che si era costruita.
“Sono...”
“Non ci credo sei incinta!”
“Dorian! Hai rovinato la scena!” tuonò il Toro picchiando il pugno sul tavolo. Diventò serio di colpo e voltò di scatto la testa massiccia verso Fedra. “No, aspetta capo: sei incinta sul serio?”
Le riuscì solo di annuire una volta.
“Per le tette di Andraste, Carota! Hai spedito Corypheus nell'oblio con la pagnotta nel forno? Sei incredibile!” Varric si alzò facendo cadere la sedia e corse ad abbracciarla.
“Divento zio. Non ci posso credere, divento zio...” Dorian si morse le nocche e si aggiunse all’abbraccio, che si concluse con il Toro che strizzava tutti.
“Due Cuori. Sono ancora due e sono forti”. Cole fece uno di quei suoi rari, dolci sorrisi. Il Toro e Varric si sfilarono dall'abbraccio per andare a sollevare di peso Cullen strapazzandolo con molta più energia; Dorian rimase stretto a Fedra e questa allungò la mano sul tavolo, prendendo quella di Cole.
“Grazie”, mormorò. Guardò negli occhi tutti, uno a uno, e la commozione le gonfiò il cuore.
Amici. Fratelli. Compagni.
C'erano stati fino in fondo durante quella lunga notte di orrore, e ora erano ancora assieme a godersi l'alba.


Ed eccoci qui, a spuntare la casellina e decretare conclusa questa lunga avventura. Gli ultimi capitoli sono arrivati un po' a singhiozzo e me ne scuso, tutta colpa del numero improponibile di progetti che porto avanti in parallelo.
Fedra però avrà sempre un posto speciale nel mio cuore di fanwriter. Mi ha riportata in questo mondo e mi ha fatto scoprire un'infinità di nuove sfumature della scrittura, senza contare le persone meravigliose che ha portato nella mia vita.
Si meritava un lieto fine - che lo sappiamo, durerà giusto un paio d'anni, ma anche oltre le ultime nuvole ci sarà il sole. Prevedibilmente gli headcanon sul nuovo arrivo in famiglia si sprecano; Allegra - non poteva che chiamarsi così! - sarà la prima di una dinastia, seguita dopo due o tre anni da Arland e Fergus; una maga, perché non si passano le prime, essenziali fasi dello sviluppo embrionale nell'Oblio senza portarsi a casa qualche effetto collaterale, con gli occhi della mamma e i capelli biondi del papà, ferocemente protettiva nei confronti dei fratellini e con un piede nel mondo dei sogni.

Grazie per chi ha fatto questo viaggio con me e con Fedra; al prossimo squarcio da chiudere!

 

Val

   
 
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