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Autore: Lady A    18/04/2017    8 recensioni
«[…] Mi sono fermato in Francia per due motivi. Per dare l’ennesima dimostrazione a me stesso che il mio cuore adesso non prova più amore per lei e… per voi. Sì per voi. Vi confesso che in questi sette lunghi anni mi è capitato sempre più spesso di pensarvi Madamigella Oscar, il ricordo della vostra immensa grazia, dei vostri bellissimi lineamenti e dei vostri meravigliosi occhi azzurri sono stati in grado di placare come nient’altro le profonde sofferenze di questi lunghi anni. E sempre pensando a voi, ho capito quanto davvero ho sbagliato con la Regina. Lei resterà sempre nel mio cuore, ma ora posso dirvi con certezza che riesco a pensarla in maniera diversa… mentre per voi… per voi mi sono accorto di provare qualcosa di profondo, di molto profondo Oscar… non voglio sconvolgervi ma credetemi, ci tenevo a dirvi che nell’eventualità che ricambiaste i miei sentimenti, desidererei come niente al mondo sposarvi…»
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Rosa nata ieri
 

[Oscar]


Giunse la notte, come una madre placò e avvolse lentamente il pianto del cielo; spense ogni rumore. Mi versai da bere, scaldata dal respiro del fuoco. Fiero e inarrestabile, aggredì il vigore della legna.
Uno sguardo al passato, il crepitare della lotta, l’emozione viva e mendace della sfida. Tutto sembrava ricondurmi inevitabilmente a quell’esistenza. Il mio spirito battagliero giaceva ancora nudo e tremante, come un bambino nel grembo materno, e il suo cuore gridava forte, accanto al mio: era ormai pronto a squarciare le mie carni terrene, per attingere alla vita.
Mi sedetti e indugiai a lungo in quei pensieri. Fersen sedeva accanto a me, sull’altra poltrona; dimenticai presto la sua presenza. Ripensai al duro colloquio avuto nello studio con mio padre, alla sua avversione per la fine del mio matrimonio e alle sue parole recanti un ordine preciso. Rigirai il bicchiere a tulipe tra le mani, colsi l’immediato aroma del liquore e lo portai alle labbra. Mandai giù il primo assaggio, ad occhi chiusi.
Avrei dovuto adempiere onorevolmente al suo volere, fermare e consegnare il Cavaliere Nero e i suoi complici alle autorità, risanando l’ordine tra un’aristocrazia sempre più licenziosa.
Aprii gli occhi di colpo, sfiorata dall’amarezza. Mi scoprii vittima e carnefice di me stessa. Era interiore la lotta per cui l’animo mio divampava da tempo, allora tuttavia, preferii concentrarmi solo sul suo riflesso cangiante. Volevo ritornare ad essere un uomo e per questo, con fiducia, affidai la mia vita e ogni suo segreto, inseguendo l’onda di quello scontro nascente. Credetti di ritrovare così, l’equilibrio sperato. Non volevo deludere mio padre, mi ripetevo, ma non assecondai mai davvero la sua volontà e non furono soltanto l’istinto e la passione di sfida a guidarmi, a schiudere in me, la lenta consapevolezza per degli ideali che avrei abbracciato con ardore di corpo e spirito.
Continuai ad evitare André a lungo. In quei giorni, il mio rancore verso di lui crebbe profondo e feroce, m’invase il petto e la ragione. Si vestì di spine; mutò poi, in rogo e s’addolcì in piccola fiamma, quando capii di temere per la sua vita. Ero ancora fortemente legata a lui, benché non volessi ammetterlo per orgoglio o per un indefinibile pudore.
La realtà da lui abbracciata, giungeva dunque, oscura e preclusa ai miei occhi. Volli conoscerla a fondo, intimamente. Confrontarmi e guardare senza più chinare il capo, quell’ombra di mondo così lontana e discorde dal mio.

«Quando la storia del Cavaliere Nero sarà finita, tornerò dalla Regina».
La voce di Fersen, frenò i miei pensieri. Mi voltai ad osservarlo; la malinconia del suo viso, s’offrì al mio sguardo.
«Ho impiegato anni per capire che il mio amore per lei era irrealizzabile nella sua pienezza e che avrebbe rovinato la sua persona, ciononostante ho commesso molteplici errori, e così d’ora in poi, io non posso fare altro che tenere questi… questi miei sentimenti soffocati nel profondo del cuore. Metterò la mia persona e la mia vita al suo servizio». 
I suoi lineamenti gentili, s’accesero sfiorati dalle ombre del camino.
Rimasi in silenzio, ferma nella gravità dei suoi occhi ardenti e chiarissimi. Chinai il capo e mi concessi dell’altro cognac. Era fortunata la mia Regina, pensai. Fersen non aveva mai smesso d’amarla, così come io, mai avevo smesso di venerarla nel suo ruolo di sovrana. Ancora una volta, mi affidai al mio affetto per lei e soffocai la desolazione che provai per me stessa.
Cos’ero stata per mio marito, se non una figura irreale, fatta d’acqua e deserto? Era lei che pensava e nell’intimo desiderava, quando s’intratteneva con me o con le sue amanti?
La gelosia non accompagnò quei pensieri, diversamente dall'insofferenza.
Cos’era stato lui per me, se non un sorso d’acqua irrimediabilmente salata? Impossibile da bere senza sfiorare la lenta agonia del corpo. Ne ero stata innamorata nel profondo, ma quella vita di donna e moglie, molto simile per passività e fattezze a quella di bambola, era per me estranea e intollerabile.
Non ero figlia di quell’esistenza: essa non mi apparteneva, come non mi apparteneva il cuore del mio sposo. Avevo provato dolore e risentimento per le sue impunite infedeltà; al cospetto dell’amore avevo piegato più volte il mio orgoglio fino a rinnegare con sdegno, la mia vera natura.
Fregiata da ali di cera, mi ero lanciata contro il Sole. 

«Ho saputo della malattia del Delfino. Se solo il popolo sapesse dell’amore che è in grado di donare, della sua generosità. Perché il popolo non la ama, Oscar? Perché tante dicerie e malevolenze su di lei?».                    
Il tormento gli infranse la voce. Si mosse verso di me. Calò le mani sulle mie spalle, mi scosse, e fu potente come il vento. Divenni roccia allora, e lo placai con la durezza di uno sguardo.
Socchiuse gli occhi mortificato. Bevve del vino e tornò a sedersi sulla poltrona, sospirando.
Commettemmo lo stesso errore io e la Regina, seppur in contesti distinti. Entrambe volgemmo lo sguardo altrove, ignorando e sottovalutando spesso, ragioni e sentimenti. Non riuscì mai a comprendere il suo popolo, ad ascoltarne il grido; mancò di assolvere il suo ruolo di Sovrana e il Re non fu da meno, purtroppo.
Realizzai questo, solo dopo molto tempo, quando la crudeltà della sua morte, divenne inevitabile. Allora, quando tutto era ancora lontano, mi imposi di parlarle, di chiederle un’udienza privata; l’avrei supplicata ad aprire gli occhi e il cuore sulle condizioni grevi dell’intero paese.
Esitai troppo.
Il tempo scivolò via dalle dita e non fui più in grado di fermarlo. Notte e giorno vestirono d’improvviso lo stesso colore. Non distinsi più il sole, né la luna, né il cielo.

Mi alzai.
«Spero che il matrimonio venga annullato presto, in modo che possiate tornare ad essere un uomo libero e felice» parlai senza guardarlo, allentando appena, il nodo dello jabot attorno al collo. Mi allontanai dalla stanza.
«No Oscar, vi sbagliate!» la sua voce s’alzò duramente. Mi venne vicino, lo avvertii alle mie spalle.
«Non sarò mai un uomo felice. Per quanto la ami, lei non sarà mai mia…» scandì con lenta amarezza ogni singola parola. Mi voltai ad osservarlo. Mi scoprii in pena per lui e per la mia Regina. Rividi il suo dolore di madre per la morte della piccola Marie Sophie. Immaginai la sua angoscia per la vita del principino Joseph, la cui salute andava ad aggravarsi di giorno in giorno. Pregai il Signore di evitarle un altro lutto.
«Bene. Vi auguro la buona notte» pronunciai solo e mi congedai. Raggiunsi lo scalone principale. Fersen inseguì i miei passi.
«Oscar, aspettate. Avete qualche pista che possa condurci al Cavaliere Nero?».                            
Mi fermai. Strinsi il freddo corrimano.
«No. Desidererei comunque, occuparmene personalmente, senza il vostro aiuto. Per quanto mi riguarda, nessuno vi trattiene dal potervi recare domani stesso dalla Regina» dissi con distacco, e salii i primi gradini, senza voltarmi.                                                                                                   
«Ho dato la mia parola a vostro padre. Catturerò lui e i suoi complici e li condurrò all’impiccagione!».                    
L’inquietudine mi punse il cuore.                                                     
«Avremo modo di parlarne» risposi irritata.
Seguì un lungo silenzio, quando avvertii dei passi in lontananza, dall’ala est del palazzo.
André?! 
Cercai d’istinto i suoi occhi e il suo viso. Rianimai così, il mio rancore verso di lui. Allora, quasi non tolleravo la sua presenza. Rimase per un poco nel mio sguardo, per poi rivolgersi con gentilezza a mio marito.
«Buonasera Conte di Fersen… Madame».                                                                            
Mi guardò ancora. Lo lasciai alle mie spalle, salendo velocemente le scale.
«Buonasera a voi. Vi trovo molto bene André».         
«Trovo molto bene anche voi, Conte».          
«Una di questa sere potreste aiutare me e mia moglie a pedinare il Cavaliere Nero. So che lei nutre una grande stima per voi, immagino siate a conoscenza di tutti i furti…».                         
Sorrisi d’amarezza nell’ascoltare quelle parole. Mi fermai all’improvviso, in cima alle scalinate. 
«Credo dobbiate rinunciare alla sua compagnia. André ha altro di cui occuparsi la sera…» fu una provocazione la mia. Strinsi i denti. Fremevo di risentimento e delusione per lui. Sostenne il mio sguardo senza esitazioni, privo di timore; solo orgoglio e fermezza.
«Capisco».        
Ignorai le parole di Fersen. Lo ritrovai accanto a me, lungo le scale. Salutò André e circondò la mia schiena con un braccio. Contenni a stento, il disappunto per quel gesto. Tuttavia, m’imposi di assecondare il volere di mio padre e continuare a celare la fine della nostra unione. Prima di voltarmi, André lasciò palazzo Jarjayes: evitò di guardarmi.


 
[André]


Il tormento mi crebbe in petto, lo scoprii ostile come un fiore d’oleandro. Sciolse l’audacia, al cospetto di quell’intimo contatto tra loro, scivolai in un’irrimediabile gelosia.
Avevo appena saputo da mia nonna del ritorno di Fersen. Soffocai così, l’amarezza di vederlo nuovamente assieme ad Oscar, lasciando entrambi alle mie spalle, senza più guardarmi indietro.
Sarebbero tornati presto in Svezia, considerai, trattenendo il respiro
Non avrei mai più rivisto Oscar. A quel pensiero, il dolore si infittì nel cuore, fu fuoco e freccia, ferro e spada.
Da tempo, le nostre vite scorrevano distanti e silenziose, come acque di lago e mare. Ero stato quiete nell’accogliere la sua volontà d’evitarmi. Fermo nei miei ideali, l’avevo assecondata e affrontata, strappando ogni rapporto d’amicizia, nutrendomi dei suoi silenzi e delle sue piccole provocazioni, amandola perdutamente, in quel freddo groviglio di follia. Quella notte di metà febbraio, Astrée mi precedette a casa di Bernard e Rosalie, un’abitazione poco lontana dal Pont Neuf della Senna. Mi affrettai a raggiungerla, recuperando velocemente le mie vesti di Cavaliere Nero nelle scuderie. Evitai di cambiarmi lì, infilando gli indumenti nella bisaccia che sistemai al fianco del mio cavallo.
Lo spronai verso la desolazione di Parigi.
Il forte desiderio della popolazione di porre fine ai soprusi e ai privilegi delle classi agiate, aveva incalzato il Re a convocare gli Stati Generali.
Allora, mancavano meno di tre di mesi all’inaugurazione ufficiale. Erano molte le aspettative.
Cercai il volto della luna nel piombo del cielo. Trovai il mio cuore nella sua nobile, intoccabile freddezza, così simile a quella di Oscar. Sorrisi di me stesso a quel pensiero.
Sapere lei e Fersen sulle nostre tracce non mi stupì più di tanto, solo, mi sentii in dovere di avvisare Astrée e Bernard. Erano in molti in quel periodo a darci la caccia, tra nobili e autorità. Agivamo con cautela, ma sornioni, ci accostammo spesso al fuoco del pericolo. Scoprii di amare il rischio, il suo odore e la sua consistenza di cristallo lucente. Mi scoprii vivo e orgoglioso in quel ruolo: nel suo involucro annegai le mie ombre, inseguendo così, la sorte di Icaro.

L'aurora avrebbe presto ridestato il cielo pallido, il canto di un campanile giunse lontano, quasi sperduto.
Pioveva lievemente, un pianto intimo e silenzioso. Mi scostai dai vetri e passai le mani sugli occhi, accantonando dopo una lunga notte, le mie vesti di ladro assieme ad Astrée.
Salutammo Bernard e Rosalie, abbandonando la loro abitazione.
Recuperati i nostri cavalli, le vie di Parigi si schiusero lente e familiari ai nostri occhi, nude e sfiorite come alberi nel cuore feroce dell’inverno. La fame dilagante, strappava via, vite come fossero fili d’erba. Malgrado l’impegno costante, eravamo spesso impotenti dinanzi a simili scenari.
Ci separammo a metà strada.
Assecondai la mia sete di solitudine nel vino di una locanda. Bevvi un’intera bottiglia, seduto ad un tavolino della Bonne Table. A parte l’oste, pensai a lungo d’essere solo. Con irruenza, il pensiero di Oscar rivendicò il mio petto. La pioggia mutò d’intensità. Accolsi quel suono ad occhi chiusi, bevendo fiele dal mio bicchiere.
Come poteva proprio lei restare in disparte, coltivare nel profumo del proprio seno, il seme dell’avversione? Sospirai con profonda amarezza. Quando riaprii gli occhi, trovai la malizia di uno sguardo. Lo riconobbi senza indugi. Lei rise con dolcezza, con gli occhi di zaffiro e lunghe ciglia scure. Accostò il suo viso al mio. Morbidi ricci biondi, sfioravano la linea generosa del suo seno, sfacciatamente in vista nella rigidità di un corsetto color uva spina.  
«Bérénice!» esclamai sorpreso. Sorrisi, feci per alzami quando lei mi bloccò.             
«Adesso lavoro qui. Sai, diventi sempre più bello, Grandier…» sussurrò pianissimo, chinandosi su di me, carezzandomi il petto.
Cercai Oscar nei suoi occhi, vi trovai un cielo che non riconobbi.
Guidò la mia mano, la poggiò sulla collina in fiore del suo seno. Ne scostò appena l’orlo, strinse le mie dita, le insinuò all’interno della scollatura. Profanai la sua pelle nuda e calda, con il solo palmo. A quel punto, liberò la presa. Ferma nel mio sguardo, sfiorò il confine del mio ventre.
La fermai.
Quante volte in passato, avevo placato il mio desiderio, tra il velluto vivo delle sue gambe, cercando Oscar in ogni suo più piccolo sospiro?
L'allontanai gentilmente e mi alzai. Estrassi delle monete e la guardai, stringendole la mano.
«E’ stato un piacere rivederti. Ora devo andare, grazie della compagnia».                    
«André…». 
Trattenne il mio polso. La ritrovai ad un soffio dal mio viso, con i suoi capelli di grano scomposto.
Seguii i suoi occhi, le sue mani e il suo respiro minuto. Toccò le mie spalle, lentamente. Baciò la mia bocca, con un’inaspettata esigenza. Fu una guerra silenziosa. Sorrisi divertito dal suo atteggiamento. Lei rise con gli occhi. La salutai.
Un timido sole bagnò l’alba del ritorno. Giunto nella mia stanza, cedetti all’abbraccio della stanchezza. Fu un riposo breve e inquieto. Sognai un’ombra scura come il manto di un corvo: spense irrimediabilmente il sole.
 


[Oscar]


Accadde allo schiudersi della primavera.
Per quasi un mese, pattugliammo Parigi a ridosso della notte. Feci il possibile affinché quell’incontro non avvenisse. Il più delle volte, fui io stessa ad orientare Fersen su tracce sbagliate. Con disagio, osservai l’indifferenza estrema nei confronti della povertà, di chi come me, era figlio della ricchezza. Come una crisalide, debellai lentamente il bozzolo delle mie convinzioni. Venni al mondo con nuovi occhi e pensieri. Il popolo francese arrancava da anni, orfano e abbandonato a se stesso. Gli Stati Generali avrebbero mai alleviato simili vessazioni e sofferenze? Vi credetti con tutto il cuore. Allora, compresi solo una piccola parte delle ragioni che spinsero André a ricoprire quel ruolo.
Priva della sua amicizia, mi avvicinai al suo sentire in punta di piedi. Vegliai su di lui in silenzio, nel segreto del mio orgoglio e cuore.
Quella notte, accostati nei pressi di Place Vendôme, ci imbattemmo in tre figure a cavallo, avvolte in mantelli scuri.
Non si accorsero di noi. Non potei far nulla per impedire a Fersen di inseguirli. Giunsero nei pressi di un palazzo nobiliare, a ridosso della Senna. Dimora del Duca Picard.
Ci fermammo poco lontano da loro, celati dall’alto arbusto di un biancospino in boccio. C’erano le stelle quella notte. Vidi Fersen scendere da cavallo e impugnare la sua pistola.                                                                   
«Restate di guardia, mi occuperò io di tutto» intimai con durezza, affiancandolo.   
«Abbiamo già perso troppo tempo, Oscar. E’ ora di porre fine a questo gioco».   
Trattenni il fiato.
«Aspettate!».
Fermai rapidamente il suo braccio, intralciando ogni suo movimento avventato.
In quell’istante due figure calarono all’interno di una delle arcate superiori di palazzo Picard.
Ci avvicinammo in silenzio. 
«Li aspetteremo qui, non dobbiamo farli fuggire» sussurrò contro la mia spalla, sferzante come il vento. Era pronto a far fuoco. In cuor mio, pregai a lungo che ciò non avvenisse.
In quel momento, dall’alto, un suono catturò la nostra attenzione.
Fu un istante, breve come un battito di ciglia. Lo sparo di Fersen andò a segno.
La figura avvolta di nero ricadde nell’oscurità del fiume.
Non riuscii a distinguere la sua fisionomia. Sperai solo non fosse…       
«Perché lo avete fatto?» Gridai.
Il panico mi strattonò il cuore, smorzò il respiro e ogni altro pensiero.
Con un calcio, gettai la sua pistola sul manto d’erba.                                              
«Ma cosa fate?».
Ignorai ogni sua parola e sconcerto. Rincorsi come una furia la sponda della Senna.
Mi scoprii incapace di respirare.
«Fate attenzione Oscar!».  
Distinsi dei passi alle mie spalle.
Istintivamente, toccai l’elsa della mia spada. Quando mi voltai, una figura dalla corporatura esile, lanciò qualcosa contro i miei piedi. Una granata. 
L’afferrai tra le mani. Corsi velocemente, scostandomi da quel punto di fiume. Quando fui abbastanza lontana, la gettai nelle sue acque. Fu un attimo e un’esplosione improvvisa e violenta, stordì i miei sensi.
Conobbi la notte.
  
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