Anime & Manga > No. 6
Ricorda la storia  |      
Autore: Windstorm96    19/04/2017    3 recensioni
L’infanzia a volte ritorna. La riscopriamo inaspettatamente in un luogo, in un profumo, in una storia… una storia, quella del principe felice, che ha segnato profondamente la vita di Shion, che ne ha plasmato gli ideali, fin dalla tenera età. Una storia ricca di insegnamenti, con un finale che forse qualcuno potrebbe trovare un po’ troppo triste. Ma Shion ha sperimentato da sé che c’è un solo modo per cambiarlo: prendere carta e penna e incominciare a scrivere.
Storia partecipante al contest di Biancarcano “Oggetti e giocattoli dimenticati… o ricordati?”
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Karan, Nezumi, Shion
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Windstorm96Fandom: No.6
Titolo: Il principe felice
Oggetto: libro “Il principe felice” di Oscar Wilde
Come è stato utilizzato: riporta alla luce ricordi d’infanzia che sembravano dimenticati; stimola la riflessione sulle vicende che hanno visto come protagonisti due ragazzi, Nezumi e Shion, e la città di No.6.
 
 
 
 
Una brezza gentile si era levata anche quella sera. Entrava attraverso la finestra semiaperta dell’ufficio all’ultimo piano del Moondrop e faceva ondeggiare dolcemente le sottili tende di lino bianco.
Impilati con ordine sull’enorme scrivania di lucido legno di ciliegio, innumerevoli plichi e incartamenti attendevano pazientemente di essere esaminati. Molte decisioni andavano prese, un nuovo ordine andava stabilito al più presto per evitare che il caos prendesse il sopravvento sulla città devastata di No.6.
Ma gli occhi di Shion erano stanchi di rimanere prigionieri tra carte e progetti, e ormai da tempo avevano incominciato a vagare inquieti per il cielo violaceo che si stagliava limpido all’esterno del municipio.
Gli sembrava che il vento non avesse mai smesso di soffiare da quel giorno.
All’improvviso, un sonoro squittio si levò dalla sua spalla, talmente vicino all’orecchio che lo fece sobbalzare interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Il ragazzo voltò la testa e i suoi occhi incontrarono due perline scure che lo fissavano con espressione severa.
“Ah! Amleto… già, hai ragione a rimproverarmi. Mi sono distratto di nuovo… accidenti, di questo passo mi ci vorrà una vita per terminare il lavoro.”
Shion tese una mano col palmo aperto, dove il piccolo topino dal pelo chiaro si accomodò senza esitare.
“Cosa direbbe il tuo padrone se mi vedesse comportarmi così, eh? Sicuramente mi rimprovererebbe per avere sempre la testa fra le nuvole, anche quando devo occuparmi di questioni tanto importanti… e avrebbe ragione, come sempre.”
Amleto si alzò sulle zampette posteriori e il suo nasino rosa ebbe un fremito. Gli occhietti scuri del roditore scrutavano attentamente in quelli dalle sfumature viola del ragazzo, e per un attimo sembrò che fosse sul punto di aprire bocca e parlare.
“Beh, ormai si è fatto tardi. Andiamo a casa, la mamma ci starà aspettando per la cena.”
Shion raccolse alcune carte che giacevano sparpagliate di fronte a sé e le ripose in una cartellina etichettata come “progetto nuova scuola”. Recuperò la borsa a tracolla da un elegante appendiabiti un po’ troppo alto e la aprì per permettere al topino di saltarci dentro. Poi andò alla finestra e si sporse dal balcone per chiudere le imposte.
L’aria fresca della sera lo investì in pieno volto, portando con sé l’odore dei pini che crescevano nel parco forestale attorno al Moondrop, misto al sentore di fritto che si diffondeva per le strade a quell’ora.
Pochi suoni echeggiavano fin lassù: le grida di alcuni bambini che giocavano rincorrendosi nel parco, i richiami saltuari dei genitori che li osservavano poco distante, l’abbaiare gioioso di un cane che salutava il ritorno del padrone, gli ultimi garriti di qualche rondinella che ancora non si rassegnava a dire addio al giorno.
Nel luminoso alone proiettato dai lampioni che bordavano i sinuosi viottoli del parco, la vita di No.6 sfilava pacifica. Tutto sembrava tranquillo, come se ogni cosa fosse tornata alla normalità dopo la bufera dei giorni precedenti. Eppure agli occhi di Shion tutto pareva in qualche modo profondamente differente. Le cose erano decisamente cambiate da quando lavorava come supervisore della pulizia del parco; ora si trovava diversi piani più in alto, con compiti ben differenti, una responsabilità gravosa sulle spalle e diverse esperienze di vita a ricordargliene il motivo.
“Squit squit squiiiiiit!”
Stufo dell’attesa e impaziente per la cena, Amleto emise un richiamo seccato e incominciò a grattare con le zampette unghiute le pareti interne della borsa.
Shion respirò un’ultima boccata dell’aria della sera e richiuse la finestra del municipio.
 
“Com’è andata la giornata, tesoro?”
Karan si era appena seduta di fronte al figlio, dopo aver portato in tavola due ciotole fumanti di zuppa e due pagnotte tenute da parte dall’infornata di quella mattina.
“Molto bene, mamma. Si danno tutti un gran daffare. Ormai abbiamo quasi terminato la ricostruzione dell’ospedale, e gli ex abitanti del West Block sono stati quasi tutti censiti e riconosciuti ufficialmente come cittadini in piena regola. Si tratta di formalità, lo so, ma sono certo che per loro significa davvero tanto. Ah, e stamattina è arrivato il nuovo progetto per la scuola pubblica che verrà costruita di fronte al municipio, ho passato il pomeriggio ad esaminarlo e mi sembra grandioso…”
Da una terza sedia accostata al tavolo si levò una serie di brevi squittii di varie tonalità che nel complesso suonavano come un buffo borbottio. Amleto si arrampicò aggrappandosi alla tovaglia color pesca e balzò leggero come una piuma accanto al braccio di Karan. La donna afferrò il messaggio, spezzò la pagnotta e ne diede qualche briciola al roditore.
“Sembra che il tuo amico qui abbia qualcosa da ridire. Al piccoletto dev’essere stata impartita una buona dose di sana disciplina; è piuttosto intransigente quando si parla di lavoro, non trovi?”
Notando un’ombra fugace rannuvolare per un istante gli occhi del ragazzo, Karan si zittì; poi si protese sul tavolo e rivolse al figlio un tenero sorriso.
“Ti manca?”
Shion sollevò lo sguardo dal proprio piatto e incrociò quello di sua madre solo per un attimo, prima di rivolgere un’occhiata di tacito rimprovero al topolino, che tuttavia pareva troppo impegnato a rosicchiare la sua cena per farci caso.
“È naturale che tu senta la sua mancanza” riprese Karan. “In fondo avete vissuto insieme per più di sei mesi, condividendo tante esperienze e affrontando diverse situazioni difficili. Si può dire che siete cresciuti insieme, influenzandovi l’un l’altro. Tu sei cambiato radicalmente, Shion, sei cresciuto, sei maturato, e tutto questo grazie a lui. Ma sono certa che, prima di incontrare te, anche quel ragazzo doveva essere una persona profondamente differente. Posso dirlo dal modo in cui ti guardava. Beh, in realtà era difficile non notarlo. È davvero un peccato che si sia trattenuto qui con noi per così poco tempo…”
Shion ora aveva ripreso a mangiare, tenendo gli occhi fissi sul suo piatto. Aveva cambiato un paio di volte posizione sulla sedia, nervoso. Per qualche motivo, si sentiva sempre vagamente a disagio quando sua madre iniziava a parlare di Nezumi.
La donna naturalmente si accorse del cambiamento d’atmosfera, e per qualche secondo si zittì. Ma era pur sempre una madre, e tacere a volte le risultava davvero impossibile.
“Senti, Shion… sono successe tantissime cose in quest’ultimo periodo, è naturale che tu abbia bisogno di un po’ di tempo per riprenderti da tutto ciò che hai passato. Io ti conosco, so che ti senti in dovere di assumerti questa responsabilità, ma… onestamente, come madre sono preoccupata. Penso che coordinare la ricostruzione della città sia un compito troppo impegnativo per te in questo momento. Credo che dovresti prenderti qualche giorno libero per riposarti e non pensare ad altro. Dopotutto non dovrebbe essere un problema trovare qualcuno di valido disposto a sostituirti. Potresti andare a far visita a Inukashi e al bambino, che ti scrivono sempre…”
“Lo so, mamma” la interruppe il ragazzo. “Ultimamente non ci sono del tutto con la testa, spesso il mio pensiero vola altrove… ma non posso tirarmi indietro. Non ora. Mi sono dato così tanto da fare per salvare questa città e far crollare quelle mura, ho messo in pericolo la mia vita e quella di altre persone, e ora devo andare fino in fondo. Io voglio farlo, lo voglio davvero. E inoltre… beh, ho fatto una promessa.”
Gli occhi stanchi e leggermente cerchiati di Shion si fissarono in quelli di Karan irradiando una luce determinata; le sue labbra si incurvarono lievemente in un sorriso che rincuorò la donna.
Fu in quell’istante che Karan comprese una cosa: non era più compito suo preoccuparsi per suo figlio. Nell’ultimo anno Shion era cresciuto più di quanto non fosse cresciuta lei in una vita. Ormai poteva prendere le proprie decisioni in autonomia. Lei avrebbe potuto dargli la sua opinione - anzi, in quanto madre, l’avrebbe certamente fatto - ma l’ultima parola alla fine sarebbe spettata unicamente a lui.
Karan sorrise e tuffò il cucchiaio nella zuppa.
“Ah” aggiunse poi. “Stamattina è passata di qua la signora Mei. Ha chiesto se abbiamo qualcosa da donare al centro d’assistenza. Passerà a ritirare domani, perciò vedi se hai qualche cosa in camera tua. In caso, puoi metterla in quello scatolone con il resto.”
 
Con lo stomaco pieno e il cuore più leggero, Shion si lasciò cadere sul suo piccolo letto incastonato tra il muro ed una vecchia credenza per conserve che ormai da anni era stata promossa a libreria.
Lasciò che il suo sguardo vagasse per qualche minuto per il soffitto lievemente scrostato del deposito riadattato a camera da letto, ascoltando il suono dell’acqua che scorreva nel lavello e il canticchiare di sua madre intenta a lavare i piatti.
Quanto gli era mancato tutto quello… il suo letto morbido e confortevole, il profumo dolciastro del burro con cui Karan preparava deliziosi muffin da vendere nel suo forno, la voce sottile di sua madre che intentava melodie stravaganti e un po’ stonate…
Si trattava di sensazioni che aveva creduto di aver perso per sempre, e che proprio per questo ora gli donavano una gioia impossibile da descrivere a parole.
Eppure non si sentiva del tutto felice, non del tutto appagato. C’era qualcosa che tuttavia gli mancava, e sapeva esattamente di cosa si trattava.
Percepì un leggerissimo peso sul petto. Sollevò la testa e si ritrovò ancora una volta a fissare quel paio di imperscrutabili occhietti neri.
A te non mancano i tuoi compagni di scorribande, piccoletto? domandò tra sé e sé al roditore lisciandogli il pelo con un dito, gesto che il topolino accolse chiudendo gli occhi e spalmandosi sul petto del ragazzo.
La stanchezza cominciava a pesare sulle palpebre di Shion, la cui mente tuttavia ancora si rifiutava di riposare. Mentre sentiva che i propri pensieri erano sul punto di strappargli il guinzaglio di mano, il ragazzo ripensò a quello che sua madre gli aveva chiesto e, se non altro per distrarsi, decise di mettersi all’opera.
Prese delicatamente in mano il topino e lo posò sul materasso, poi si alzò dal letto e andò fino alla libreria.
Tutto ciò che aveva accumulato nei suoi anni di scuola era ammucchiato lì su quegli scaffali, che sua madre teneva sempre perfettamente puliti: diplomi e certificati di partecipazione a corsi di ogni sorta, modellini e progetti di vario genere che aveva realizzato su richiesta degli insegnanti… tutte cose che un tempo avevano avuto per lui grande importanza e di cui era andato fiero, ma che avevano ora il solo scopo di ricordargli di aver fatto parte dell’élite della città.
Shion iniziò a spostare oggetti, sfogliare carte, chiedendosi se tra tutte quelle vecchie cianfrusaglie ci fosse effettivamente qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi utile per qualcuno.
Nascosta dietro ad una riproduzione in scala dell’edificio del Moondrop, il ragazzo rinvenne una fotografia incorniciata di lui insieme a Safu. Ricordò che sua madre l’aveva scattata il primo giorno del loro terzo anno di scuola. Shion rimase a contemplare per lunghi istanti il volto sottile e sorridente dell’amica, sentendo l’aria rimasta intrappolata nei suoi polmoni premere per trovare una via d’uscita. Ripose la cornice sulla mensola più in alto, dando un ultimo fugace, doloroso sguardo al luminoso sorriso che non avrebbe più rivisto.
Dopo aver rovistato ogni scaffale inutilmente, il ragazzo si chinò ad aprire la piccola anta che chiudeva lo scomparto inferiore.
Amleto si materializzò improvvisamente sulla sua spalla, squittendogli ancora una volta in un orecchio.
“Vuoi sapere cosa c’è qui dentro? Beh, sono curioso di saperlo anch’io. Saranno anni che nessuno si mette a frugare tra questa roba. Spero solo che qualche cosa non ne salti fuori con le proprie zampe.”
Impilati l’uno sull’altro e ricoperti da un sottile velo di polvere, Shion estrasse dall’armadietto numerosi giornali dall’inchiostro ormai sbiadito, tutti risalenti a non meno di un decennio prima. Cominciò a sfogliarne uno, curioso di scoprire quali memorie fossero talmente preziose per sua madre da essere custodite per così tanto tempo, finché un articolo non attirò la sua attenzione; in penna rossa erano appuntate alcune note sul margine del foglio, in un carattere così minuto da risultare praticamente indecifrabile. Poi notò la firma del giornalista: era opera del vecchio Rikiga. Shion sorrise ripensando all’emozione che era brillata negli occhi dell’uomo nell’apprendere che Karan ancora lo ricordava.
Quando ebbe finito di sfogliare quelle vecchie carte, fotografie di un passato di cui nessuno gli aveva mai detto molto, nella casa regnava ormai il silenzio. Sua madre doveva essere già a letto, pronta ad alzarsi presto il mattino seguente per sfornare il suo buon pane.
Shion sentì la stanchezza ricadergli addosso tutta d’un colpo, rivestendogli le palpebre di piombo e rallentando un poco i suoi processi mentali, che da tempo ormai erano fin troppo attivi e frenetici.
Impilò di nuovo i fogli con cura e spalancò le piccole ante di legno per riporli dove erano rimasti per anni, ma uno squittio acuto lo fermò.
“Squiit squiit!”
Amleto, che fino ad allora se ne era stato ad osservare in silenzio appollaiato sulla sua spalla, balzò giù e si infilò nello scomparto aperto, alzandosi sulle zampette posteriori e puntando una delle pareti laterali di compensato. Shion allora notò che c’era ancora qualcosa lì: un libriccino talmente sottile e insignificante che gli era sfuggito.
“Oh. Grazie, Amleto” mormorò il ragazzo allungando una mano.
 
Il principe felice
Un racconto di Oscar Wilde
 
Improvvisamente la mente annebbiata di Shion fu percorsa da una scossa potente, che nello spazio di un brivido gli fece tornare alla memoria ricordi che credeva andati persi nel vortice caotico del tempo e della vita. Ricordi del piacevole tepore di un abbraccio, confortevoli come parole sussurrate all’orecchio e dalle timide sfumature pastello di disegni dallo stile un po’ infantile.
Gli sembrava fosse trascorso così tanto tempo… quando era piccolo, ogni volta che non riusciva a prendere sonno, sua madre lo faceva sedere sulle sue ginocchia con in mano una tazza di buona cioccolata fumante e gli leggeva quella storia. Sempre la stessa, ma lui ne era felice, ne scopriva ogni volta una sfumatura differente.
Non avrebbe mai immaginato che un semplice oggetto fosse in grado di scatenare una cascata di ricordi tanto impetuosa. Non era altro che un libretto piccolo piccolo, dalla copertina di cartoncino rigido solcata da profonde cicatrici bianche, come il corpo di un guerriero sopravvissuto a troppe battaglie.
Un libro era una cosa insolita da vedere nella città di No.6. Con la tecnologia digitale a disposizione di chiunque, nessuno si dava più pena di maneggiare tomi pesanti e ingombranti. Per di più, dei libri di narrativa… se la gente di Cronos avesse saputo che Karan era solita leggere a suo figlio racconti di fantasia, sicuramente la donna si sarebbe ritrovata diversi sguardi di disapprovazione puntati contro.
Eppure per Shion quelle costituivano delle memorie preziose; la morbida sensazione dell’abbraccio di sua madre, la sua voce che gli insegnava a spiegare le ali della fantasia, il fruscio lieve delle pagine che le sue dita sottili voltavano, il profumo della cioccolata che gli invadeva le narici… gli sembrò quasi di sentirlo, quell’aroma dolciastro, e subito la sua mente volò ai principi dell’associazione visivo-olfattiva che aveva sentito ripetere infinite volte a Safu in vista di un esame.
Vecchie abitudini, pensò, troppo dure a morire.
Ma tutte le nozioni imparate a scuola, le vuote parole che gli venivano ripetute e che lui stesso era obbligato a ripetere ogni giorno per dichiararsi leale a quella città tirannica, gli avevano semplicemente fatto accantonare quei ricordi in un anfratto remoto del suo cervello, dandogli l’impressione che fossero stati completamente cancellati. Ma a quanto pare non era così. Non ci aveva più pensato per molti anni, ma essi erano sempre rimasti lì, appena sotto la superficie, ad attendere che un giorno finalmente qualcosa li riportasse alla luce. Avevano sempre costituito un frammento di lui, quelle memorie, quel frammento che non si accontentava di una vita agiata nel quartiere più prestigioso della città, dove ogni comodità gli sarebbe sempre stata garantita; quel frammento che ricercava il caos nella normalità ordinata di ogni giorno, che aveva provato l’impulso irrefrenabile di spalancare la finestra in quella notte di uragano di quattro anni prima, che gli aveva fatto conoscere una vita differente, più tragica, ma anche infinitamente più autentica. Erano quei ricordi che avevano contribuito a farlo diventare quello che era, che gli avevano permesso di conoscere la persona diventata per lui il centro di ogni cosa.
Sistemò velocemente i giornali che aveva riesumato dopo tanto tempo, si mise a letto, raggomitolandosi sotto le coperte con la luce calda di una vecchia abat-jour – il topino si stiracchiò pigramente e si distese sul cuscino accanto a lui – e aprì il libro alla prima pagina.
La stanchezza che fino ad un momento prima gli rendeva le palpebre pesanti sembrava essersi dissolta nel nulla, rimpiazzata dall’emozione e dalla curiosità di rileggere quel vecchio racconto che apparteneva alla sua infanzia, di riaccenderne i colori sbiaditi dal tempo.
La prima figura che gli saltò agli occhi fu quella di una rondine. Un elegante uccellino primaverile, grazioso e delicato, che viaggiava di paese in paese. E poi ovviamente c’era un principe: il principe felice, in vita amato e coccolato da tutti e da morto fatto statua ricoperta d’oro.
Cominciò a leggere, e le immagini divennero parole.
Ero felice, se il piacere è felicità.
Rannicchiato in posizione fetale, a Shion tornarono in mente le serate trascorse nella tana sotterranea stipata di libri in cui aveva vissuto durante i mesi passati con Nezumi. Come si era ritrovato spaesato quando vi aveva messo piede per la prima volta, dopo essere fuggito dalla crudele realtà che gli si era rivelata senza preavviso… eppure, quanto poco ci era voluto perché si sentisse a casa. Aveva imparato così a nutrire la sua mente; ma non nel modo in cui la città istruiva i suoi bambini… era diverso, mille volte diverso. Certo, ricordava anche di aver patito talmente la fame da non riuscire quasi a pensare ad altro, ma quel tipo di nutrimento era diventato in breve tempo di importanza secondaria per lui.
Riaffiorarono alla mente di Shion le sensazioni di allora, così vivide che poteva quasi percepirle ancora sulla propria pelle: il tepore e il lieve odore di bruciato emanati dalla vecchia stufa alimentata a rifiuti, i topini che squittivano debolmente mentre si rincorrevano zampettando tra le mensole ricoperte di libri, il soporifero suono della pioggia che filtrava attraverso gli spessi muri di pietra, i leggeri colpi di tosse di Nezumi e i suoi lievi spostamenti quando si rigirava nel letto…
Era quello che gli mancava. Aveva ottenuto un mucchio di cose al termine della loro impresa, ma aveva perso forse ancora di più.
Chiuse gli occhi e scacciò quelle memorie troppo ingombranti. Voltò la pagina, poi un’altra, divorando le parole cui era diventato ormai assuefatto.
Il principe felice. Già. A volte la vita può apparire splendida, proprio come uno spettacolo ben congegnato, finché non noti la bidimensionalità della scenografia e tutte le tue certezze non ti crollano sulla testa, riportandoti all’asprezza del mondo a tutto tondo.
Ma lui l’aveva affrontata, quella realtà, ed era riuscito infine a cambiarla. L’avevano fatto insieme, loro due adolescenti drogati di sogni e parole, avevano deciso di scrivere una storia differente. Avevano vissuto l’inferno, sondato gli abissi più neri della natura umana, e ne erano testardamente riemersi per raccontare a tutti la verità. Nezumi gli aveva dato la preziosa possibilità di cambiare, un’occasione che altrimenti non avrebbe probabilmente mai avuto. Lui lo aveva plasmato, aveva stravolto il mondo finto e limitato che gli era stato posto davanti agli occhi, squarciando il velo di finzione dello spettacolo che qualcun altro aveva messo in scena per loro.
Ma la loro battaglia non poteva dirsi conclusa. C’era ancora tanto da fare, e Shion era determinato ad andare fino in fondo.
Oltretutto te l’ho promesso, ripeté tra sé e sé chiudendo il libro.
“Squit squi-squiiiit!”
Ancora una volta il topino accanto al suo orecchio emise uno squittio eccitato.
“Amleto, sei ancora sveglio? Attendevi il finale? Temo che non sia una storia molto allegra, vero? Ma in fondo non sei tu quello che ama le tragedie?”
“Squit squiiit squiiiiiit!”
Il piccolo roditore balzò improvvisamente sulla copertina del libro chiuso e si mise a descrivere piccoli cerchi zampettando concitato.
Shion lo osservò per un momento, perplesso, poi allungò una mano per recuperare il libriciattolo. Lo aprì nuovamente all’ultima pagina e mostrò al topino il disegno di un cuore di piombo solcato da una crepa e una rondinella che giaceva stecchita accanto ad esso.
“Vedi? La storia finisce così. Non c’è un lieto fine…”
Mentre borbottava quelle parole nel mezzo di uno sbadiglio, con un piede ormai nel mondo dei sogni, Shion notò il margine di un pezzetto di carta scivolare fuori dalla terza di copertina. Voltò allora la pagina bianca per trovare un piccolo stralcio di carta ingiallita, probabilmente il frammento di un vecchio diario, pressato talmente stretto tra le due ultime pagine da rimanervi quasi incollato.
Aprì il foglietto ripiegato e subito riconobbe una calligrafia sottile ed elegante.
 
“Siamo finalmente riusciti a mostrare a tutti la verità, mio principe. Ora abbi l’audacia di lasciare la corona e assumere il nobile ruolo di pastore. Ma non affaticarti troppo, rondinella mia. Per quanto tu possa fare da vivo… da morto servi ancora a meno – N”
 
Doveva aver fatto scivolare quella nota all’interno del libricciolo durante il breve periodo che avevano trascorso insieme in quella casa, quando la loro serie di avventure si era conclusa e prima che lui partisse seguendo il corso delle nuvole in una mattinata ventosa.
Shion lesse e rilesse innumerevoli volte quel breve messaggio rivolto a lui, ultime concise ma significative raccomandazioni da parte di Nezumi.
Un sorriso gli si allargò sul volto provato dalla stanchezza.
Lo so, Nezumi. So che ora questo è il mio compito, e ho intenzione di portare a termine ciò che io e te abbiamo iniziato. Grazie per avermi ricordato ancora una volta che la nostra battaglia è solo all’inizio, e grazie per la fiducia che hai sempre riposto in me. Volevi vedere che tipo di persona sarei diventato? Ti prometto che sarò all’altezza delle tue aspettative. E quando ripasserai di qua rimarrai stupefatto nell’ammirare cosa sarà rinato dalle ceneri di No.6. Sarai fiero di me, sarai fiero della persona che mi hai fatto diventare. Oh, Nezumi, non vedo l’ora di rivederti.
Con le palpebre che lentamente si chiudevano e la mente che danzava ormai leggera sul confine col mondo onirico, Shion strinse a sé il prezioso messaggio. Un sorriso che nasceva dal profondo gli tinse le labbra del colore di un’amicizia che era stata forse qualcosa di più, e dolcemente si arrese all’oblio.
Il libriccino che ancora teneva in mano gli scivolò dalle dita, atterrando con un tonfo sordo sul fondo dello scatolone ai piedi del letto, aprendosi all’ultima pagina e rivelando due figure dai contorni leggermente sbavati.
Un cuore spezzato e una rondinella morta. Loro avevano fatto a modo loro, quel poco che avevano potuto, ed era già tanto da far spuntare una lacrima solitaria a chi leggesse la loro storia.
Ora toccava a lui. Non si sarebbe tirato indietro. Non ora che aveva finalmente in mano carta e penna.
 
 
 
 
 
Salve, bella gente!!
Eccomi di nuovo in questo fandom sempre troppo ingiustamente ristretto, con una insignificante ff che altro non è che una riflessione personale dopo aver letto la novel e aver riletto il breve racconto di Oscar Wilde. Ricordo infatti che da qualche parte nominavano quest’opera, facendo riferimento appunto ai ricordi d’infanzia di Shion (ero convinta fosse nel romanzo, ma dopo averla cercata da capo a fondo devo supporre di essermi sbagliata…). In ogni caso, trovo che le due opere abbiano più di un punto in comune e che si completino stupendamente.
Perciò, senza altro da dire, sparisco, sperando di avervi allietato qualche minuto. Lasciatemi un commento, se vi va ;)
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > No. 6 / Vai alla pagina dell'autore: Windstorm96